Diventa sacerdote a 68 anni, il figlio entra in seminario per seguire la stessa strada

Diventa sacerdote a 68 anni, il figlio entra in seminario per seguire la stessa strada

Una storia di famiglia e di fede. Ad Adrano, nel Catanese, accade che padre e figlio scelgano contemporaneamente il sacerdozio. Daniele Caruso, 35 anni, grafico pubblicitario, entrerà in seminario a Roma il prossimo 1° ottobre, ma dopo qualche giorno tornerà nuovamente in Sicilia per partecipare all’ordinazione sacerdotale, in cattedrale a Catania, del padre Alfredo, 68 anni, ex impiegato al comune di Adrano, vedovo e padre di 4 figli. Alfredo, che verrà ordinato presbitero il 7 ottobre dall’arcivescovo di Catania Luigi Renna, dopo aver perso la moglie Rita Monachino con la quale aveva intrapreso il Cammino neocatecumenale, decise di iniziare il diaconato. Ora diventerà prete, possibilità prevista, in quanto vedovo, dal Codice di diritto canonico.

Era stata proprio la moglie a consigliargli il sacerdozio, quando lei non ci sarebbe stata più. La morte della donna, conosciuta in paese anche per le sue collaborazioni artistiche come attrice all’interno della compagnia l’Efebo di Adrano, ha segnato anche la vita del figlio, Daniele: “Ho deciso di farmi prete, dopo la morte di mia madre”. Daniele dopo il percorso in seminario al Redemptoris Mater di Roma, potrà diventare presbitero.

Repubblica

Essere Coppia Essere Fraternità compie 27 anni e ripartirà l’11 ottobre il corso per fidanzati ospitato dal convento dei cappuccini di San Martino in Rio

ECEF (Essere Coppia Essere Fraternità) non è un corso. ECEF è un PERCORSO che aiuta le coppie a tracciare un cammino insieme, dando loro strumenti di vita di coppia, prima e dopo il matrimonio.

Nasce 27 anni fa su iniziativa di frate Adriano Parenti, un frate francescano che aveva colto la profonda necessità da parte delle coppie di fare discernimento, o semplicemente di comprendere come rimanere nel progetto di coppia.

Da questa intuizione sono nati un libro e un ciclo di incontri dove si parla di quotidianità, valori, priorità, gestione del rapporto con l’altro e con le proprie famiglie, amicizie, interessi comuni, lavoro e tanti altri temi che sono occasione di confronto profondo per fare luce sulla propria vocazione di coppia.

Negli anni si sono aggiunte, come partecipanti, anche coppie già sposate (chi da tanti anni, chi da pochi) in ricerca di strumenti per consolidare e approfondire la loro relazione di giovani sposi, strumenti che, magari, erano mancanti nel periodo del fidanzamento.

I n effetti il fidanzamento è il periodo più prezioso in preparazione ad una vita matrimoniale. Ma come funziona il percorso? Innanzitutto è ciclico, per cui si può sempre iniziare, e si svolge un mercoledì al mese per due anni perché le tematiche sono ovviamente tante. Alle coppie viene inviato del materiale qualche giorno prima dell’incontro così da poterci riflettere anche prima della serata insieme.

In particolare, vengono inviati testi biblici e francescani che introducono il tema (ebbene sì: questi testi hanno tanto da dirci anche sulla vita di coppia, anche negli aspetti più pratici) e una brevissima introduzione registrata dagli animatori. La sera dell’incontro si inizia con una preghiera insieme, seguita da un momento di riflessione introdotto sia dalle coppie di animatori che dal frate.

Dopo la preghiera viene lasciato spazio alle coppie per confrontarsi e si termina con un momento a gruppi dove ogni coppia sceglie se, come e cosa condividere nel gruppo. è un momento centrale che consente alle coppie di raccontarsi, di ascoltare e di prendere coscienza di paure, differenze, certezze. Gli animatori sono solo facilitatori di uno scambio che contribuisce a tracciare per tutti i presenti quel prezioso e intenso percorso di discernimento e consapevolezza.

La sede degli incontri è il Convento francescano di San Martino in Rio. Vi aspettiamo!
Per informazioni: indirizzo di posta elettronica esserecoppiaesserefraternita@gmail.com, Daniele: 335.6751676, Paolo: 335.362103.

Cecilia Intonti

lalberta.info

L’esperienza. «Nel cielo stellato una natura che annuncia il Vangelo»

Don Luca Peyron racconta le serate assieme ai giovani con il naso all’insù sul tetto della parrocchia a guardare le stelle: è una “biblia pauperum” disponibile a tutti
Don Luca Peyron, al centro, assieme ai giovani assieme ai quali va alla "scoperta" della volta celeste

Don Luca Peyron, al centro, assieme ai giovani assieme ai quali va alla “scoperta” della volta celeste – (Peyron)

C’è una nuova biblia pauperum. In realtà è antica quanto l’universo. Ma è nuova perché i fanali di strada, le luci delle città, la smania di illuminare a giorno qualunque artefatto, ha reso color caffellatte uno spettacolo che per millenni ci ha ispirato. È biblia perché è intrisa dello Spirito che aleggia sulle acque, quelle sopra di noi. È pauperum perché non è necessario avere chissà quali conoscenze o capacità, ma chiunque, di ogni età, latitudine e censo può averla a disposizione.

La nebulosa di Orione

La nebulosa di Orione – (Peyron)

Il cielo stellato, galassie, nebulose, costellazioni, pianeti. Il cielo profondo come lo chiamano gli astronomi. Ed è il poverello per antonomasia, il più santo degli italiani ed il più italiano dei santi, a cantare queste pagine celesti sopra di noi. San Francesco ne era infatti così tanto innamorato, meravigliato, ispirato, che ne fa l’ossatura portante del Cantico, non a caso, di frate Sole. Laudato sì canta Francesco innanzitutto per il Sole, la nostra stella, la Luna, il nostro satellite e poi tutte loro le stelle. Al suo tempo non poteva vedere galassie e nebulose, però possiamo immaginare che in qualche modo le avrebbe inserite nel suo semplice e potente canto d’amore per il Creatore che nel creato rivela la sua paternità ed amorevolezza.

La Scrittura stessa, la Bibbia quella autentica, è costellata, non potrei usare altro termine, della presenza del cielo profondo. Per tutto bastino i versetti del Salmo 19 ove “I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il racconto e la notte alla notte ne trasmette notizia”.

In un tempo ove l’annuncio del Vangelo deve trovare nuove strade per essere espresso, ove tecnologia e pensiero scientifico sono le nuove religioni e la nuova pratica religiosa, abbiamo strade antiche e ad un tempo nuove da proporre all’umano inconsciamente assetato di Dio, ma coscientemente smarrito in una sua ricerca disordinata e rapsodica?

Don Luca Peyron

Don Luca Peyron – (Peyron)

Non ho una ricetta, ma una esperienza che sta diventando proposta che ha, letteralmente, di nuovo illuminato i cieli di molti, soprattutto bambini e giovani. Il cielo. Quello che è abitato da un Padre straordinario che sembra aver puntellato con garbo il nero sopra di noi come a lasciare briciole di pane per farsi trovare. Che ha colorato polveri e gas per permettere a chi fa della scienza e della tecnica uno dei pilastri della propria esistenza di farsi abbracciare dal fattore di quella intelligenza e di quella meraviglia usando un telescopio ed una telecamera. Sto sperimentando come la natura annunci il Vangelo mettendo un telescopio sul tetto della parrocchia o costruendo con studenti universitari di mezzo mondo, in un progetto di Fondazione Matrice, piattaforme astronomiche. Ho abbracciato stupore e assaporato meraviglia. Ho, soprattutto, gioito del fatto che in tanti hanno letto che sì, il loro nome è scritto nei cieli, ma soprattutto nel palmo della mano di Dio. Laudato sì.

avvenire.it

L’esperienza. Educare alla pace per combattere la dispersione scolastica

Ministero dell’Istruzione e Associazione Rondine firmano un Protocollo per diffondere il Metodo in tutte le scuole. Valditara: efficace contro il bullismo
Da destra: il ministro dell'Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara e il presidente dell'Associazione Rondine, Franco Vaccari

Da destra: il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara e il presidente dell’Associazione Rondine, Franco Vaccari – Associazione Rondine

avvenire.it

Creare un ambiente scolastico accogliente, che favorisca le relazioni e l’apprendimento e contrasti la dispersione e l’abbandono. È l’obiettivo del metodo Rondine, promosso da Rondine Cittadella della Pace di Arezzo che, grazie a un Protocollo d’intesa con il Ministero dell’Istruzione e del Merito, ha l’ambizione di raggiungere le scuole di tutta Italia. Per il momento, la Sezione Rondine – avviata nel 2021 grazie alla collaborazione con le scuole della provincia di Arezzo e dell’Ufficio scolastico provinciale e regionale – è presente in 37 classi di 25 scuole in 15 regioni. Sono più di 500, inoltre, gli insegnanti formati al Metodo Rondine.

«Nel corso degli anni – ha sottolineato il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara – il Metodo Rondine si è rivelato utile ed efficace nella costruzione di un dialogo costruttivo tra docente e studente, per la serenità dell’ambiente scolastico, nel contrasto al bullismo e nella creazione di un ambiente accogliente che favorisca l’apprendimento».

A Rondine Cittadella della Pace, ogni anno sono formati giovani provenienti da Paesi in guerra o in situazione post-belliche che accettano di convivere con il “nemico” per superare le ragioni dell’odio e tornare nei propri Paesi come leader di pace. Finora sono stati formati più di 300 giovani e, dal 2016, il percorso è stato promosso tra gli adolescenti italiani, attraverso il progetto Quarto Anno Rondine, riconosciuto dal Ministero come percorso di sperimentazione per l’innovazione metodologico-didattica.

«La firma del protocollo con il Mim – ha sottolineato Franco Vaccari, presidente dell’associazione Rondine – è un passo avanti nella sperimentazione e attuazione del Metodo Rondine, un metodo certificato e validato ogni anno, nelle scuole italiane, lì dove è necessario favorire habitat relazionali per generare un clima capace di disincentivare la dispersione e l’abbandono, individuando nella scuola il luogo prediletto alla costruzione di relazioni di fiducia che portino lo studente a un personale percorso di crescita».

Dialogo, inclusione e convivenza pacifica, oltre alla promozione della cittadinanza attiva e digitale sono, allora, i valori di base del progetto che, si legge in una nota congiunta, vuole «potenziare la dimensione della formazione come condizione irrinunciabile e affermare una visione condivisa della persona e della famiglia umana verso una cultura del dialogo e della pace».
Le scuole superiori che vorranno attivare la Sezione Rondine, potranno decidere di dedicare a questo progetto un triennio o un quinquennio sperimentali, «al fine di proporre un’offerta educativa e formativa centrata sul Metodo Rondine per la trasformazione creativa dei conflitti».

Come spiegato dai firmatari del Protocollo d’intesa – sottoscritto alla presenza anche di Alberto Belli Paci, figlio della senatrice a vita Liliana Segre, che proprio a Rondine ha rilasciato nel 2020 la sua ultima testimonianza pubblica – «le parole chiave di Sezione Rondine sono: relazione, conflitto e gruppo classe. La relazione vissuta, scambiata e rigenerata costantemente tra docente e alunno, dove il conflitto non è visto come una minaccia ma come condizione ordinaria e risorsa potenziale per una maggiore coesione del gruppo classe, il quale così diventa un laboratorio sull’umano accedendo a ogni tipologia di dinamica relazionale».
Colonne portanti della sperimentazione del Metodo Rondine sono i docenti e i tutor. Le Sezioni Rondine sono, infatti, «il frutto di un lavoro di co-progettazione dei docenti che, tenendo conto dell’identità dell’istituto scolastico e dei bisogni specifici del territorio, definisce un percorso scolastico/educativo che permetterà a ogni studente di abitare i conflitti in maniera generativa e positiva, con attenzione alla specificità del contesto, anche attraverso l’operato del tutor di classe». Dimensione individuale e collettiva sono, infine, tenute insieme da autonomia e rispetto, libertà e responsabilità. Per un nuova comunità educante che rimetta al centro la scuola.

 

Scuola. Alunni difficili e insegnanti impreparati, condividere le difficoltà educative

Gli alunni delle scuole italiane sono sempre più difficili. È talmente evidente che solo chi non respira “la polvere delle aule” può metterlo in dubbio. Nonostante l’impegno quotidiano…
Alunni difficili e insegnanti impreparati, condividere le difficoltà educative

Gli alunni delle scuole italiane sono sempre più difficili. È talmente evidente che solo chi non respira “la polvere delle aule” può metterlo in dubbio. Nonostante l’impegno quotidiano di molti insegnanti, infatti, sono fortemente in aumento i casi di alunni che vivono con profondo disagio i tradizionali ritmi scolastici, che dimostrano un diffuso disimpegno per le attività di studio e che sovente mettono in luce comportamenti e atteggiamenti non idonei ai normali parametri di convivenza relazionale che l’esperienza scolastica impone. Sono soggetti che non riescono ad adattarsi ai processi di apprendimento e alle dinamiche sociali che si instaurano nelle nostre istituzioni formative, pur essendo in possesso di potenzialità cognitive adeguate.

Spesso l’avversione nei confronti delle proposte formative curricolari li porta ad avere atteggiamenti e comportamenti problematici che suscitano un conflitto evidente con l’istituzione scolastica e con gli insegnanti tale da precludere loro un percorso educativo e formativo significativo. I comportamenti problematici in classe degli allievi rappresentano una fonte di grave preoccupazione e sono la sorgente di disagio e di inquietudine e finiscono per condizionare il percorso educativo-didattico, rendendo sempre più mortificante e demotivante quell’avventura che dovrebbe invece generare fascino, partecipazione e coinvolgimento. I turbamenti degli insegnanti nel constatare la frequenza di questi comportamenti, la loro imprevedibilità, l’aggressività che li accompagna, uniti alla consapevolezza che se mal gestiti rischiano di ingenerare reazioni violente anche sul piano fisico, sollecitano sempre più una richiesta di aiuto e di consulenza pedagogica e didattica.

Riteniamo che non possono essere additate alla vita scolastica il disagio, il disadattamento e la devianza, le sofferenze più o meno nascoste dei ragazzi, il malessere personale che condiziona la vita degli alunni. È pur vero, però, che occorre prendere atto delle responsabilità dell’istituzione scolastica qualora non riesca a far fronte alle difficoltà di un allievo contribuendo, a volte, ad acuirne i problemi con la sua azione e le sue regole. Di fronte a questa realtà è necessario prendere coscienza che occorre cambiare e avere il coraggio di intraprendere strade nuove, capaci di assicurare un successo educativo che dia prospettive sicure ai futuri cittadini del nostro Paese.

Ma per cambiare è necessario capire, innanzitutto, che il vero punto nodale odierno a scuola è la complessità della vita di classe. In ogni aula della nostra penisola, in ogni ciclo di istruzione, vivono in gruppo allievi che presentano bisogni specifici e differenze marcate, che spesso rientrano nel seguente elenco: alunni difficili, soggetti che, a causa di condizioni esogene, con fatica riescono ad adattarsi ai normali canoni di una vita civile scolastica; alunni male- educati, portatori di vissuti negativi frutto di esperienze familiari tormentate sul piano relazionale e morale; alunni con disabilità, a volte anche in condizioni di estrema gravità, con il loro pesante bagaglio di bisogni speciali; alunni con Dsa, i cui genitori spesso sono molto presenti e incalzanti soprattutto nel rivendicare diritti non sempre compatibili con le reali esigenze educative dei propri figlioli; alunni stranieri, soggetti che di per sé non rappresentano un reale problema se parlano e comprendono la nostra lingua ma che diventano problematici quando non posseggono i requisiti preliminari per entrare in un contesto di gruppo come la classe.

Questa complessità, così evidente e reale, questi molteplici bisogni portati da tanti alunni in classe, così differenti e profondi, sono fonte di scoraggiamento per i docenti, i quali si chiedono se e come sia possibile offrire risposte efficaci che soddisfino le esigenze di tutti e di ciascuno. Le evidenze e le ricerche ci dicono che se vogliamo lavorare bene sul piano inclusivo, cercando di aiutare veramente i nostri allievi occorre impostare su un piano completamente nuovo il nostro modo di operare e di proporre le attività in aula. Le problematiche evidenziate verranno affrontate in un Convegno all’Università Cattolica di Milano il 14 ottobre, organizzato dal Centro studi e ricerche sulla disabilità e marginalità (CeDisMa) dal titolo «Allievi difficili in classe e comportamenti problematici: come affrontarli?» con l’intervento di esperti di chiara fama. I numerosi posti messi a disposizione sono andati esauriti nell’arco di pochi giorni, segno evidente di un fortissimo interesse da parte degli insegnanti, che di fronte a una sfida assai complessa si rendono conto di aver bisogno di un supporto formativo e di un confronto competente. Perché il primo passo per affrontare le difficoltà educative è condividerle.

di Luigi D’Alonso Ordinario di Pedagogia Speciale Università Cattolica di Milano

avvenire.it

Il testimone. «Nel Golfo, dove i cattolici sono migranti» e stanno tornando dopo secoli

Alla Cattolica di Milano incontro promosso da Fondazione Oasis. Il vescovo Martinelli, vicario apostolico per l’Arabia meridionale: i flussi? Un fenomeno da governare con «sapiente lungimiranza»
Il vescovo Paolo Martinelli

Il vescovo Paolo Martinelli – Archivio

«Negli Emirati Arabi Uniti il 90 per cento della popolazione è straniera. E noi cattolici siamo tutti migranti, compreso clero, religiosi e il sottoscritto. Passare da Milano ad Abu Dhabi è stata un’esperienza vertiginosa e densa di insegnamenti, preziosi anche per i cristiani che vivono in Europa». Monsignor Paolo Martinelli dal 2022 è Vicario apostolico per l’Arabia meridionale, un’area di 930mila chilometri quadrati che comprende Emirati Arabi Uniti, Yemen e Oman, con 43 milioni di abitanti e dove i cattolici sono un milione, arrivati soprattutto da Filippine e India, oltre che da Sri Lanka, Pakistan, Libano, Europa, Africa e America Latina. Alla conferenza internazionale “Cambiare rotta. I migranti e l’Europa” – promossa dalla Fondazione Oasis e ospitata ieri a Milano dall’Università Cattolica – ha portato un punto di vista originale e profetico.

«Negli Emirati Arabi Uniti, i migranti risiedono per il tempo del loro lavoro. La presenza può durare alcuni o molti anni, al termine rientrano nei Paesi di origine. Svolgono i lavori più diversi, da quelli più pesanti a quelli di prestigio, portando anche presenze qualificate. Quando è possibile, tutto il nucleo familiare viene ad abitare lì, ma spesso il migrante vive da solo o nelle abitazioni costruite appositamente per i lavoratori».

Dal suo osservatorio particolare e guardando a un’Europa che sta vivendo il fenomeno migratorio in una prospettiva sempre più emergenziale, Martinelli osserva: «Siamo di fronte a un fenomeno globale che tocca tutto il mondo, che – come ha ricordato papa Francesco a Marsiglia – dev’essere governato con “sapiente lungimiranza” e che può rappresentare un’opportunità, disegnando scenari nuovi. Nel Golfo i cristiani – attestati già nei primi secoli come alcune scoperte archeologiche stanno dettagliando – sono tornati a essere una presenza consistente attraverso la migrazione, dentro quel fenomeno singolare che il cardinale Angelo Scola quasi vent’anni fa chiamava meticciato di civiltà e di cultura: uno scenario che riguarda la Chiesa ma anche le società che si devono misurare con la sfida della convivenza tra differenze».

Quattro anni fa ad Abu Dhabi papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad al-Tayyib, firmavano il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, un atto che ha lasciato un segno profondo anche in quella regione. «È qualcosa di straordinario per l’autorevolezza di chi l’ha sottoscritto e per ciò che afferma, come la condanna della violenza in nome di Dio, la centralità dell’educazione, l’impegno a costruire insieme un mondo migliore. Da noi è nato un frutto significativo: la Abrahamic Family House, composta da una chiesa cattolica dedicata a San Francesco, una moschea e una sinagoga: una realtà dove i fedeli pregano nel proprio luogo di culto evitando ogni forma di sincretismo ma anche conoscendosi reciprocamente e sostenendo lo sviluppo di una società solidale in cui si costruisca insieme la pace e la giustizia».

Nelle nove parrocchie degli Emirati Arabi Uniti la Chiesa ha un volto giovane e plurale, inglobando culture e riti differenti. Nei giorni festivi le chiese sono invase dai fedeli dal mattino alla sera, molti genitori si rendono disponibili come volontari per i corsi di formazione previsti dal Vicariato, il cammino di catechesi per la prima comunione e la cresima permette ai ragazzi di vivere le differenze culturali ed etniche come una ricchezza.

«È ormai diventata una realtà ordinaria quella che l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, evoca come “Chiesa dalle genti”. Sta nascendo una nuova generazione di cattolici per i quali abitare la differenza sarà più facile perché il tutto sarà percepito come una realtà familiare: la diversità vissuta nell’unità. E il carattere interculturale della fede diventa un contributo a una società plurale in cui le differenze imparano a stimarsi e a condividere la vita buona di tutti».

avvenire.it

OMI Festival, tre giorni di musica a Reggio Emilia con Benny Benassi, Lazza e Geolier

REGGIO EMILIA – Dopo il grande successo dello scorso anno torna alle ex Reggiane OMI Festival, la tre giorni di musica che porta a Reggio Emilia il meglio della scena house e techno italiana e internazionale nella suggestiva ambientazione post industriale del Parco Innovazione.

stampareggiana.it

A esibirsi quest’anno, dal pomeriggio di venerdì 29 settembre, alla sera di domenica 1 ottobre, alcuni tra i migliori artisti nazionali e internazionali come Lazza, Geolier, Shiva, oltre a dj di fama internazionale come Gordo, Luca Agnelli o il reggiano Benny Benassi.

OMI Festival proporrà anche per questa seconda edizione, contenuti artistici e culturali di spessore con la missione di diventare un punto di riferimento internazionale. Anche Midland Europe, gruppo di Reggio Emilia di respiro internazionale, sarà presente a OMI Festival, per promuovere valori e messaggi culturali dedicati a contrastare abbandono, degrado del territorio e mancata partecipazione dei giovani. “La nostra azienda opera da anni a Reggio, luogo in cui sono cresciuto, dove è nata la nostra bandiera italiana nel 1797 e che rappresenta il meglio dell’italianità che noi portiamo con orgoglio in tutto il mondo” commenta Gabriele Torreggiani Vice Presidente di Midland Europe. “Ci occupiamo di comunicazione in movimento e dal lancio dell’iconico ‘baracchino’ che ha segnato i ricordi di intere generazioni, abbiamo accompagnato le nuove tendenze tecnologiche fino ad oggi, pensando a strumenti di comunicazione per viaggiatori, motociclisti, amanti del trekking e della vita outdoor. OMI Festival è per noi l’occasione per stare accanto ai giovani con le nostre radio di ultima generazione, vivendo un’esperienza di musica e cultura, italiana e internazionale, con dj set di livello e fans che arrivano da tutto il mondo”.

L’IDML tra musica e progetti

L’IDML (Istituto diocesano musica e liturgia) don Luigi Guglielmi presenta i nuovi corsi musicali.

Sono innumerevoli e di grande qualità le proposte dei corsi musicali a Reggio Emilia e provincia, da quelle più professionalizzanti a quelle più legate alla formazione di base e in tutti i generi: classica, pop, jazz, folk, blues, eccetera.

Ma allora perché iscriversi all’Istituto Diocesano di Musica e Liturgia (IDML) “Don Luigi Guglielmi”?
La nostra proposta è complessa, chiede ai ragazzi un impegno notevole, per sua natura non si può basare solo sulla formazione musicale ma, ovviamente, anche su quella liturgica.

Impegna gli studenti anche oltre la lezione frontale di strumento.

MUSICA COME ESPERIENZA FORMATIVA

Noi crediamo che ciò che si vive in IDML, fin da piccoli, dai 6 anni per arrivare agli adulti senza limiti d’età, sia un’esperienza che aiuta a crescere, che forma e cambia la vita non solo in ambito musicale ma più generalmente come persona.

Sono i ragazzi che lo testimoniano; ci siamo resi conto che percorrere con loro la strada della formazione musicale significa, oltre al dato tecnico la cui validità è assicurata dalle ottime competenze dei docenti, costruire memoria.
Significa renderli partecipi di esperienze di cultura, di arte, di servizio, di preghiera… che diventano pietre miliari della loro formazione complessiva e non solo tecnico musicale.

L’OFFERTA FORMATIVA

Quest’anno l’offerta formativa dell’IDML oltre agli strumenti già presenti (pianoforte, organo, chitarra, violino, violoncello, flauto, sax, percussioni e canto) si completa con l’arpa. La liturgia, le attività d’insieme per i diversi livelli, “Let’s play” per il ciclo delle elementari, “Young Musicianchip” ed Ensemble vocale e strumentale per le medie e Musica d’insieme dalle superiori in avanti, Armonia, Direzione, le altre materie teoriche, le celebrazioni comuni completano la proposta in grado di formare buoni musicisti per la liturgia e dare anche una preparazione musicale ottima a chi intende poi approfondire gli studi musicali accademici in Conservatorio o anche soltanto potersi divertire nel fare musica.

Per quest’anno poi, proseguendo nella tradizione che nel tempo ci ha portato a realizzare numerosi eventi pubblici, in collaborazione con Hospice Casa Madonna dell’Uliveto di Montericco, i ragazzi grandi e piccoli saranno impegnati nella realizzazione di un interessante lavoro di grande qualità che presenteremo tra qualche giorno. Il progetto consiste nella composizione, strumentazione, realizzazione strumentale e vocale, allestimento e drammaturgia di un importante testo per bambini; tutto composto e prodotto interamente dagli studenti.

Ci saranno ancora i tradizionali momenti residenziali invernali ed estivi con Winter e Summer Camp di ComeUnOrchestra in cui la musica viene fatta dialogare con le altre arti e la scienza e viene vissuta con un approccio olistico esecutivo dando ai ragazzi la capacità di appropriarsi pienamente, secondo le proprie competenze, di questo linguaggio.

RELAZIONE CONTINUA

E per ultimo ma certamente non meno importante c’è un dato oggettivo: in IDML si sta bene! Ci si diverte, c’è un ambiente bello, tutt’altro che bigotto, effervescente! Nei locali della scuola, come dice il nostro motto, “passione e bellezza sono in relazione continua”.
E questo si respira.

In questo anno di grandi cambiamenti, ciò che assicuriamo è che non verrà mai meno lo spirito che fin dall’inizio (su progetto di don Gigi Guglielmi) ha animato quest’attività di servizio alla Diocesi: amore per la Chiesa, amore per la Liturgia, amore per le persone (giovani in particolare) e per la loro crescita e amore per l’arte, la musica e la bellezza.

laliberta.info

Chiesa filippina: valorizzare le Comunità ecclesiali di base

Le Comunità ecclesiali di base nelle Filippine, in Asia

Durante la recente consultazione sinodale avviata in tutte le diocesi delle Filippine, sono stati tre i temi principali oggetto di riflessione: l’ascolto, la proclamazione e la celebrazione. Obiettivo principale è quello di rafforzare l’esperienza delle Comunità ecclesiali di base, dove i fedeli fanno esperienza di fede e di vita cristiana
Camilla Dionisi – Città del Vaticano – vaticanenws.va

“Nella Chiesa filippina, la partecipazione al processo sinodale, in vista della Assemblea del Sinodo che sta per cominciare in Vaticano, è stata ampia, con una consultazione di base in tutte le diocesi e una feconda riflessione”, è così che in un colloquio con l’Agenzia Fides il gesuita padre Antonio Ledesma, arcivescovo emerito dell’Arcidiocesi di Cagayan de Oro, racconta il percorso avviato dalle diocesi locali. L’obiettivo principale, emerso durante gli incontri, è la necessità di fortificare sempre di più le Comunità ecclesiali di base (BEC). Queste furono avviate nelle Filippine alla fine degli anni ’60, subito dopo il Concilio Vaticano II, e ad oggi “sono un’esperienza ecclesiale di stile sinodale – continua Ledesma – in quanto segnate da un carattere inclusivo e partecipativo di tutti i membri del Popolo di Dio che danno un contributo alla pastorale e alla missione”.

La partecipazione attiva dei laici
Per il gesuita, i fedeli “desiderano spazi nella vita della Chiesa che consentono di parlare apertamente, come gli incontri settimanali delle BEC, momenti di dialogo o discussione”. Nella consultazione sinodale, infatti, è emersa la partecipazione attiva dei laici all’interno delle Comunità ecclesiali di base, “significativa nell’organizzare la vita pastorale, ma anche nel sostenere, in solidarietà, le famiglie più povere e nel promuovere una vita dignitosa per tutti”, continua Ledesma. Così come indicato da Papa Francesco, dunque, la fraternità umana è la chiave per l’avvio del cammino ecumenico e del dialogo interreligioso, temi che toccano a pieno la sinodalità. “Il cammino sinodale nelle Filippine – conclude l’arcivescovo – è andato avanti con spirito missionario e con gioia. Abbiamo da poco celebrato i 500 anni dall’arrivo del Vangelo nella nostra nazione, sta a noi, ora, continuare a donare il Vangelo dell’amore e della gioia alle nuove generazioni”.

Il Patriarca, prossimo cardinale nel Concistoro del 30 settembre, parla del conflitto israelo-palestinese e dell’imminente Assemblea del Sinodo, rilancia la strada del dialogo tra le Chiese di Oriente e Occidente

Il Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Pierbattista Pizzaballa, cardinale nel Concistoro del 30 settembre 2023

Antonella Palermo – Città del Vaticano – vaticananews

Le criticità socio-politiche storiche e contingenti che vive la Terra Santa, lo sguardo all’Assemblea generale del Sinodo che sta per cominciare in Vaticano, le sfide relative alla gestione dei flussi migratori in quel Mediterraneo che pure così tanto riguarda i popoli mediorientali: questi i temi affrontati nel breve colloquio che i media vaticani hanno avuto stamani nella Sala Stampa della Santa Sede con Sua Beatitudine Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, che sarà creato cardinale nel Concistosto del 30 settembre prossimo in Vaticano. Ribadisce che è una grande gioia essere stato nominato per la porpora da Papa Francesco, “un segno di attenzione del Papa e della Chiesa a Gerusalemme che è il cuore del mondo, ma anche la periferia”.

Sinodo, la proposta dell’ascolto in un’epoca di scontri e monologhi

Il presidente della Commissione informazione, Paolo Ruffini, alla conferenza stampa sulla XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi

Il prefetto del Dicastero per la Comunicazione, nella sua veste di presidente della Commissione per l’informazione del Sinodo, ha parlato con i media in Sala Stampa vaticana sulla Veglia di preghiera presinodale e sullo svolgimento dei lavori dell’assise che inizierà il 4 ottobre prossimo: la voce dello Spirito ha bisogno di silenzio
Adriana Masotti – Città del Vaticano – vaticananews

Un’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, quella che si terrà in Vaticano dal 4 al 29 ottobre, che presenta numerose novità e solo fino a un certo punto prevedibile proprio perchè il più possibile aperta alla voce e alle sorprese dello Spirito. Un’Assemblea che non metterà fine al processo iniziato nel 2021 nella Chiesa universale, ma sarà una tappa del cammino intrapreso: le sue conclusioni non avranno un peso definitivo, ma rappresenteranno il risultato di una sintesi su cui sarà stato raggiunto il consenso dei membri, e dunque un frutto della comunione raggiunta nel discernimento comune sui temi presenti nell’Instrumentum laboris. È questa, sottolinea in più occasioni in Sala Stampa Vaticana Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione e presidente della Commissione per l’informazione al Sinodo, la sostanza di una sfida che si profila anche per i giornalisti a cui è chiesto di entrare nella dimensione vera dei lavori definiti “uno spazio sacro, protetto, di conversazione nello Spirito”, come sacra è la preghiera.

La Veglia per affidare i lavori allo Spirito
Molti gli argomenti affrontati da Ruffini: per primo la Veglia ecumenica di preghiera di sabato 30 settembre aperta a tutti che, significativamente, precede l’apertura dell’Assemblea per affidare i suoi lavori allo Spirito Santo. Sarà presieduta da Papa Francesco che arriverà in Piazza san Pietro intorno alle 17, mentre tra le 15 e le 16.30 ci sarà un programma con canti e testimonianze. All’iniziativa proposta dal priore della Comunità di Taizé Frère Alois, in occasione dell’apertura del processo sinodale, saranno presenti tutti i partecipanti all’Assemblea e molti leader delle Chiese di diverse confessioni come il Patriarca ecumenico Bartolomeo, l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby e molti altri.

Una celebrazione di gratitudine
“La Veglia di preghiera – spiega Ruffini – inizierà con una celebrazione di gratitudine: gratitudine per il dono dell’unità e per il cammino sinodale, per il dono dell’altro, per il dono della pace e per il dono del Creato. Comprenderà l’ascolto della Parola di Dio, la lode e l’intercessione, i canti di Taizé e il silenzio e vuol essere un segno forte di fraternità, unità e pace”. L’accento, a 4 giorni dalla pubblicazione dell’Esortazione apostolica di Papa Francesco Laudate Deum, sarà messo anche sulla difesa del Creato e, prosegue Ruffini, “Piazza San Pietro diventerà come un giardino, piena di alberi e di fiori”. Otto le lingue in cui Vatican Media trasmetterà la Veglia: italiano, inglese, francese, tedesco portoghese, spagnolo, polacco e arabo.

Ambiente. Nell’era degli scarti non può esistere ecologia senza giustizia sociale

Un ragazzo in una discarica in Nicaragua

Marco Armiero, storico dell’ambiente dell’Istituto Reale di Stoccolma, parteciperà sabato 7 ottobre alle 18, alla XXI edizione del festival di divulgazione scientifica BergamoScienza, con la conferenza dal titolo “Altro che Antropocene! Benvenuti nell’era degli scarti”, di cui proponiamo una sintesi dei contenuti.

Tra pochi giorni ricorrerà il 60 anniversario del disastro del Vajont. Il 9 ottobre del 1963 circa 2mila persone morirono, uccise dall’onda gigantesca sollevatasi dall’invaso del Vajont. Ancora oggi qualcuno, sbagliando, parla del crollo della diga: la diga è ancora lì, appena scalfita dalla frana – quasi 300 milioni di metri cubi di roccia – che precipitando nel bacino idroelettrico sollevò l’onda gigantesca del disastro. L’anniversario sarà una occasione per onorare la memoria delle vittime e ricordare i soccorritori; tuttavia, è opportuno ricordare che non è sempre stato così. A lungo il Vajont è stato rimosso dalla memoria collettiva, un pezzo di storia con il quale sembrava che nessuno volesse fare i conti. Sono stati Marco Paolini e Gabriele Vacis con la loro “orazione civile” a restituire il Vajont alla memoria collettiva con quel memorabile monologo recitato da Paolini sul palcoscenico della diga e trasmesso dalla Rai il 9 ottobre del 1997.

Oggi, nei giorni del disastro di Derna in Libia, con più di undicimila vittime e due dighe crollate, la storia del Vajont sembra ancora più attuale e universale. Tecnologia e scienza, precauzione e profitto, modernizzazione e potere si mescolano in queste storie di periferia – non siamo certo nel cuore del capitalismo moderno né al Vajont né a Derna. Eppure facendo tesoro di quanto scritto dalla femminista afroamericana Bell Hooks, resto convinto che bisogna guardare il mondo e le sue storie dalle periferie.
Come appare questo Antropocene di cui tanto si parla visto dalla valle del Vajont, o dalla città distrutta di Derna, o magari dai quartieri afroamericani di New Orleans battuti dall’uragano Katrina nel 2005, o dalle periferie di Beira in Mozambico travolte dal ciclone nel 2019? Gli studiosi parlano di Antropocene per indicare una nuova era nella quale gli umani sono diventati una forza geologica capace di cambiare i cicli bio-geo-chimici del pianeta. Sembra una definizione cucita su misura per il Vajont dove davvero gli umani hanno spostato le montagne, come fossero una forza geologica. E se l’Antropocene fa rima con la crisi ecologica, il Vajont spiega con la durezza di una strage che il dominio degli umani sul pianeta assomiglia ad un arrogante e autodistruttivo delirio di onnipotenza. Tuttavia, vista dal Vajont e dalle altre periferie del mondo, questa narrazione mainstream dell’Antropocene rivela tutti i suoi limiti. Perché a guardare il mondo dal cimitero del Vajont e dalle tante periferie dove i poveri e i subalterni sono intrappolati, più che l’Antropocene sembra di vedere il Wasteocene, l’era degli scarti (dall’inglese waste che significa rifiuto). A differenza dell’Antropocene che parla di una umanità avida e arrogante, colpevole della crisi ecologica, il Wasteocene non appiattisce le diseguaglianze, non cede al racconto facile che mette tutti sulla stessa barca e con le stesse responsabilità.
Se proprio dobbiamo usare la metafora della barca, il Titanic è l’immagine più appropriata, perché all’appuntamento con il disastro qualcuno arriva in prima classe e tanti altri in terza. E la probabilità di mettersi in salvo dipende proprio dalla classe in cui si viaggia. Nessuna metafora potrebbe essere più calzante: davvero la classe conta nell’Antropocene. Il disastro visto dalla terza classe, sia essa il Vajont, Derna o un altro inferno su questa terra, non sembra il frutto dell’arroganza della specie umana e della sua pretesa di dominare la natura. Questa logica di specie può funzionare dentro la narrativa mainstream dell’Antropocene ma è del tutto inadeguata a raccontare la realtà del Wasteocene, caratterizzata dalla continua riproduzione di discariche socioecologiche funzionali al benessere di pochi. Non parlo solo delle discariche di rifiuti ma in generale della produzione di umani ed ecosistemi di scarto, corpi e zone di sacrificio dove accumulare ogni genere di tossicità.
La stratigrafia del Wasteocene non è neutrale ma politica perché racconta storie di oppressione e sfruttamento incarnate nell’ecologie del vivente. Al Vajont, nei corpi degli operai, negli ecosistemi soggiogati dalla logica estrattivista non vediamo l’arroganza di specie ma l’oppressione di un modo di produrre e consumare che riproduce ineguaglianze, separando chi vale da chi non vale niente. Ma il Vajont ci ricorda anche un altro tipo di tossicità: per funzionare il Wasteocene ha bisogno di una infrastruttura narrativa tossica che invisibilizzi e normalizzi l’ingiustizia. Non è forse vero che abbiamo preferito dimenticare il Vajont o magari ricordarlo con la neutralità del lutto ufficiale, come se chiedere giustizia fosse una reazione scomposta, inadeguata? L’infrastruttura narrativa tossica rende possibile il Wasteocene perché non consente neppure di vederlo, figuriamoci di provare a sabotarlo. Questo non toglie che in tante periferie del mondo, vicine e lontane, comunità subalterne stiano costruendo una nuova narrazione, raccontando storie di resistenza e condivisione che rivelano l’ingiustizia del Wasteocene mentre provano a costruire relazioni ecologiche e sociali diverse. Non si può uscire dalla crisi ecologica con gli strumenti che l’hanno provocata; non si può salvare il pianeta salvando il benessere di pochi; non si può fare ecologia senza giustizia sociale.
avvenire.it

Reportage. Kenya, la scuola per i bambini che non sanno cos’è la pioggia

Il Turkana è il lago desertico più grande al mondo: a causa del clima le popolazioni locali hanno perso l’80% del bestiame e la pesca è impraticabile. La speranza nell’educazione
Scene di vita a Loyangalani, villaggio sulle sponde del lago Turkana nel Kenya del nord

Scene di vita a Loyangalani, villaggio sulle sponde del lago Turkana nel Kenya del nord – Anna Pozzi

È una terra di vento e di sabbia, di orizzonti sconfinati punteggiati qua e là di acacie solitarie. Una terra bruciata dal sole. Una terra di niente. «Qui i bambini non sanno neppure che cos’è la pioggia. Perché non l’hanno mai vista!», dice padre Mark Gitonga, unico missionario della Consolata a Loyangalani, sulle rive del Turkana, il lago desertico più grande al mondo. Una distesa immensa di acqua, in una regione assetata da una lunghissima siccità. Sono almeno quattro o cinque anni che non piove nel nord del Kenya, così come in molte zone del Corno d’Africa, dove più di 23 milioni di persone, secondo il World Food Programme (Wfp), soffrono la fame e più di 5 milioni di bambini sono gravemente malnutriti. Le popolazioni locali – turkana, samburu, rendille ed el-molo – tradizionalmente dedite alla pastorizia, hanno perso l’80% del bestiame. In questa terra che è stata la culla dell’umanità, oggi la gente muore di sete e di fame.

Qualcuno, soprattutto i turkana, si sono avvicinati al lago, ma non sanno pescare. Si avventurano sull’acqua con esili zattere in balìa delle onde sollevate dai forti venti. E poi – per un fenomeno che gli studiosi stanno ancora indagando – le acque si stanno innalzando ed è cambiata la salinità, dunque è diventato più difficile trovare il pesce. Nel frattempo, ampi tratti di costa sono stati sommersi. Uno dei due villaggi degli el-molo (la più piccola etnia dell’Africa), che si adagiava sulla riva, ora si trova su un’isola. Pure la piccola chiesa di Tumkende è minacciata dal lago, che ormai lambisce gli scalini d’ingresso. « Abbiamo già dovuto ricostruire la cucina e alcune aule della nostra scuola», dice padre Mark, mentre ci mostra i vecchi edifici che emergono appena dall’acqua. Pare si tratti di un fenomeno legato non solo ai cambiamenti climatici, ma anche alle sorgenti sotterranee e ai movimenti delle placche tettoniche che provocano un analogo innalzamento degli altri laghi della Rift Valley.

Padre Mark è un missionario keniano della Consolata, che proprio in Kenya ha la sua terra di elezione. In questo Paese arrivarono i primi missionari nel 1902 e in molte diocesi – soprattutto nelle zone più remote e difficili del nord – la loro presenza e le loro opere sono ancora ben visibili, anche se il numero degli italiani si è progressivamente assottigliato. Molte parrocchie e attività sono state trasferite alla Chiesa locale o vengono portate avanti da missionari keniani. Come padre Mark che è originario di una regione rigogliosissima del Kenya, ma si è adattato a vivere sulle rive del Turkana, affrontando condizioni climatiche estreme, per le temperature spesso altissime e, appunto, per la mancanza di pioggia. «La situazione umanitaria è catastrofica – dice -. Essere malnutriti è diventata la norma per donne e bambini. E gli uomini non stanno molto meglio».

Sotto un’esile struttura fatta di arbusti, un’infermiera sta pesando un bambino minuscolo: ha sei anni e pesa sei chili. Sua madre porta le tradizionali collane e gli orecchini che la identificano come donna sposata, ma pure lei sembra una bambina. L’infermiera le consegna alcune bustine di cibo terapeutico che il bambino inizia immediatamente a succhiare. « Poi, quando tornano nelle capanne, lo mangiano anche le mamme – fa notare rassegnata –. Ma che cosa possiamo fare? Pure loro non hanno niente…». Non c’è cibo e non ci sono medicine. « Da diversi mesi il governo non ci manda nulla», si lamenta l’infermiera, che si sposta da un villaggetto all’altro per individuare i casi più critici. Padre Mark cerca di rifornire regolarmente il dispensario della parrocchia, ma i pazienti sono pochissimi perché quasi nessuno è in grado di pagare le cure per quanto costino pochissimo. Se poi qualcuno sta veramente male, deve recarsi a Marsabit, a più di cinque ore di viaggio su piste dissestate, pagando una sorta di ambulanza che quasi nessuno può permettersi.

Nelle scuole le cose non vanno meglio: « Da mesi non ci mandano cibo», protesta Teresalba Sintiyan, direttrice delle elementari cattoliche di Loyangalani, e impegnata sia in parrocchia che in un’organizzazione che si occupa di problematiche femminili e cambiamenti climatici: «Istruzione e salute sono le grandi sfide di questo territorio – conferma – e riguardano innanzitutto le donne che continuano a essere discriminate e marginalizzate. Non hanno voce, non vengono mandate a scuola e sono forzate a sposarsi giovanissime. La crisi climatica, poi, ha aggravato la situazione e accresciuto i conflitti intercomunitari». Conflitti peggiorati pure dalla diffusione delle armi che sono l’unica cosa che non manca in questa regione anche per la vicinanza dell’Etiopia continuamente afflitta da crisi e guerre.

Nell’unica scuoletta in cui è rimasta un po’ di farina, paradossalmente, non c’è legna per cucinarla. Anche questo è un bene prezioso (e costoso) in un territorio dove non ci sono alberi. Quasi sempre sono le ragazzine turkana che percorrono lunghissime distanze per andare a raccogliere qualche arbusto e rivenderlo. Quella dell’educazione è la missione nella missione di padre Mark. «È quello che mi tiene qui!», ammette. Oltre ad accompagnare la piccola comunità cristiana composta da circa cinquemila cattolici su un territorio vastissimo, padre Mark sta investendo molte energie proprio per garantire un’istruzione ai bambini grazie a tante piccole scuole. Alcune sono molto rudimentali, costruite con rami e paglia come le capanne dei villaggi; altre, come a Loyangalani e Moite, i due principali centri della zona, sono in muratura. «In questa regione, più del 90% della popolazione istruita lo deve alle scuole cattoliche portate avanti in oltre cinquant’anni di presenza. Ancora oggi però molte famiglie non ne capiscono l’importanza e non vi mandano i bambini; se lo fanno è solo perché possano avere almeno un pasto al giorno».

A Moite la giornata comincia all’alba. Prima di recarsi in classe, i bambini vanno al greto del fiume, dove alcune ragazzine scavano finché non trovano l’acqua. Con le tazze riempiono i recipienti che poi i piccoli alunni portano a scuola per preparare il porridge. Teresa Lopowar Etapar è la prima e unica donna laureata di questo villaggio grazie a padre Mark, che oggi sostiene quasi 150 studenti nelle scuole superiori di altre parti del Kenya, con l’aiuto di famiglie locali e il sostegno di benefattori italiani che purtroppo si è molto ridotto. «Stiamo combattendo con le poche forze e le poche risorse che abbiamo per risollevarci – dice Teresa –. L’insicurezza alimentare è gravissima. Molta gente, nel suo cuore, vorrebbe tornare a dedicarsi alla pastorizia e alla vita che ha sempre fatto. Le comunità hanno chiesto alla contea di risarcirle del bestiame perso a causa della siccità, ma per ora hanno ricevuto solo promesse».

Siprosa Akiru, invece, una promessa la porta nel suo stesso nome: Akiru, infatti, vuol dire “pioggia”. È nata in un tempo in cui questa parola aveva un significato reale e la pioggia era una benedizione per uomini, animali e ambiente. Con le altre donne di una piccola comunità cristiana anima la Messa nel cortile di una casa, a Loyangalani, dove tutti cercano riparo all’ombra. Lo sguardo e la preghiera sono rivolti al cielo, in attesa di quella pioggia che da troppi anni è una speranza tradita.

avvenire.it

Don Patriciello, a Caivano serve «un esercito di maestri e assistenti sociali»

Il parroco in audizione in vista del decreto del governo. «Chi ha creato il quartiere meriterebbe la galera. Lo Stato ha aumentanto la sicurezza. Politica di oggi e ieri ora non se ne lavi le mani»
Don Patriciello e il senatore Paolo Tosato durante l'audizione

Don Patriciello e il senatore Paolo Tosato durante l’audizione – Ansa/ Vincenzo Livieri

avvenire.it

Su Caivano per ora le promesse di maggiore sicurezza sono state mantenute. Ma adesso occorre fare di più, non spegnendo i riflettori e soprattutto investendo su formazione e assistenza sociale. Anche perché la situazione in cui è finito il Parco Verde di Caivano era del tutto prevedibile ed ora né i politici attuali né quelli del passato possono lavarsene le mani. Il parroco di Caivano, don Maurizio Patriciello, è stato ascoltato stamane dalle commissioni Affari costituzionali e Giustizia nell’ambito delle audizioni sul cosiddetto decreto Caivano. Il provvedimento, in scadenza il 14 novembre, prevede norme più rigorose per contrastare il fenomeno dei reati commessi da minori.

«Mi chiedo come sia stato possibile da parte dello Stato permettere che questi quartieri come Parco Verde potessero esistere. Ci vuole poco per rendersi conto che questi quartieri non potevano che produrre questi frutti», ha detto il sacerdote, aggiungendo che «chi li ha voluti meriterebbe la galera. Ammassare in un solo posto tutte le famiglie povere dei quartieri più poveri e degradati di Napoli dopo il terremoto del 1980 e abbandonarli a se stessi è stata una tragedia immane di cui nessuno può lavarsi le mani adesso, né i vecchi politici né coloro che ne sono gli eredi».

Un momento della bonifica da parte del genio dell'Esercito a Caivano

Un momento della bonifica da parte del genio dell’Esercito a Caivano – Ansa/Cesare Abbate

 

 

Inoltre, parlando della recente visita della premier Giorgia Meloni, dopo l’ennesimo fatto di cronaca frutto del degrado, don Patriciello non ha nascosto che l’impegno dello Stato c’è stato, ma non deve fermarsi. «Non ci avrei mica scommesso che nel giro di pochi giorni il presidente mi arrivasse in parrocchia con tre ministri, due sottosegretari, il capo della polizia, il questore, il prefetto e poi avesse fatto delle promesse», ha sottolineato, confermando che c’è stato «l’aumento dei carabinieri e della polizia l’abbiamo. Ma serve anche un esercito di maestri e assistenti sociali. Un conto è leggere le cose dai giornali e sentirle da Roma, un conto è viverle a Parco Verde».

Studio rivela. Lo spot Esselunga divide i social (con alcune sorprese)

Secondo SocialData, in rete nelle ultime 48 ore «sul tema si sono registrate oltre 850 interazioni al minuto». Quasi dieci volte di più della Nadef e circa il doppio del tema migranti
Un fotogramma dello spot Esselunga che ha infiammato i social e la politica

Un fotogramma dello spot Esselunga che ha infiammato i social e la politica

A dare retta ai dati emergono non pochi elementi dalla polemica social sullo spot di Esselunga. Secondo la ricerca di SocialData che, in esclusiva per Adnkronos, ha analizzato le conversazioni in rete delle ultime 48 ore, «sul tema si sono registrate oltre 850 interazioni al minuto». Nel complesso la discussione sullo spot «ha generato 136K mentions (post su pagine pubbliche che menzionano la keyword di ricerca) e 2,5 milioni di interazioni (reactions, commenti e condivisioni). Sono stati Facebook (64%) e Twitter (20%) i canali social dove si sono sviluppate le conversazioni, ma anche nei Forum (3,6%), in particolar modo quelli riguardanti genitori e famiglie, dove si registra una forte divisione nelle conversazioni analizzate.

La fascia d’utenti più coinvolta nelle discussioni è stata quella compresa tra i 35 e i 55 anni, perlopiù maschile (69%)». Secondo SocialData, «nei commenti ai post, gli utenti esprimono immedesimazione e commozione (73%), ma anche fastidio per l’ambiguità del messaggio (42%) e per l’intromissione della politica (49%)». Ben il 50% degli utenti ha promosso lo spot a pieni voti ma al 40% non è piaciuto». E ancora: «Analizzando i volumi di conversazione rispetto a varie tematiche, si nota come dello spot Esselunga, nelle ultime 48 ore, se ne sia parlato quasi dieci volte di più della Nadef e del terremoto a Napoli, ma anche circa il doppio rispetto alla questione migranti e al caso Osimhen. La polarizzazione rilevata sembra rispecchiare gli attuali blocchi politici italiani. Commentano negativamente lo spot i lettori dei quotidiani progressisti, che parlano in prevalenza di “luoghi comuni” e invitano al “boicottaggio” di Esselunga, mentre guardano con favore i lettori dei quotidiani conservatori, i quali invece esprimono sentimenti di speranza e immedesimazione».

Altro dato significativo: a dare una forte spinta al dibattito social sono stati gli articoli dei quotidiani pubblicati sulle piattaforme. Sono loro, secondo lo studio, ad avere raccolto il maggior numero di commenti. Il maggior numero delle discussioni è avvenuto su Facebook (64,9%), seguito da X/Twitter (20,6%). Fanalino di coda TikTok con solo lo 0,9%, il che fa pensare che il tema, anche per questioni anagrafiche, non ha coinvolto i giovanissimi.

Un altro elemento della ricerca che colpisce è che «le polemiche politiche e le migliaia di meme pubblicati sui social hanno oscurato il messaggio principale dello spot Esselunga». Non ci stupirebbe quindi scoprire che in azienda non sono così felici della discussione che ne è nata. Non a caso il presidente di Federdistribuzione, l’associazione della distribuzione moderna di cui fa parte l’Esselunga, Carlo Alberto Buttarelli, ieri ha dichiarato: «Non credo proprio che ci si aspettasse questa risposta mediatica, è stata una pubblicità con uno sforzo importante per dare una visione un po’ emozionale, ma la risposta è stata un po’ sopra le righe». E ancora: «Lo spot integra l’atto della spesa all’interno della vita della famiglia, qualsiasi essa sia. Dargli altri attributi e altri valori non ha senso».

Per Luca Ferlaino, partner di SocialData, «l’analisi dei dati evidenzia la profonda frattura presente nel nostro Paese su un tema delicato e dagli importanti risvolti sociali. Ma le polemiche di queste ore hanno di fatto oscurato quello che è il messaggio centrale dello spot – ossia che i consumatori non sono numeri, ma sono persone con una storia e un vissuto – e si sono spostate su un campo più ideologico e meno di merito. Al di là di questo, continua a essere evidente come la polarizzazione delle opinioni sia paradossalmente in grado di fungere da propellente per la partecipazione civica e politica e motivi le persone a impegnarsi attivamente nella discussione pubblica». L’ultimo dato che emerge infatti è questo: che per tornare a far parlare massicciamente gli italiani della centralità della famiglia ci sia voluto uno spot pubblicitario.

avvenire.it

 

Vini, Birre & Drink in 30 minuti alla tua porta! Ordina ora con Winelivery, L'App per Bere! Aimon Traghettilines DIARI SCOLASTICI IBS.IT British School Banner 2023 Kinderkraft Back to School! Talent Garden - Banner Master