16 Luglio 2024 in Santo Stefano a Reggio Emilia festa della Madonna del Carmelo

Martedì 16 luglio sarà celebrata con particolare solennità nell’antica chiesa parrocchiale cittadina di Santo Stefano la festa della Madonna del Carmelo.

Alle ore 10.30 e alle ore 19.00 sarà celebrata la Santa Messa accompagnata dalla preghiera di consacrazione delle consorelle e dei confratelli della Confraternita del Santo Scapolare della Beata Vergine del Carmine.

Nel pomeriggio dalle 17.30 alle 18.30 avrà luogo l’adorazione eucaristica a cui seguirà alle ore 18.40 la recita dell’antico inno Akhatistos, appartenente alla tradizione ortodossa.

Al mattino dalle 9.00 alle 12.00 e nel pomeriggio dalle 17.30 alle 18.30 sarà presente in Santo Stefano – santuario mariano carmelitano – un sacerdote per le confessioni. Durante tutta la giornata di sabato sarà possibile iscriversi all’antica Confraternita e ottenere l’indulgenza plenaria.

Molto antico a Reggio è il culto della Beata Vergine Maria sotto il titolo del Monte Carmelo.

È proprio un vescovo di origini reggiane, Sant’Alberto patriarca di Gerusalemme (1150 ca-1214), colui che i Carmelitani venerano come loro “legislatore”, cioè autore della loro prima regola. A lui è intitolata la chiesa parrocchiale sita in via Einstein.

E sotto la protezione Beata Vergine del Carmelo venne fondato da Pinotto Pinotti, nel 1371, l’Arcispedale di Santa Maria Nuova di Reggio, la cui cura spirituale fu appunto affidata ai Carmelitani che – trasferiti in seguito nella Commenda Gerosolimitana di Santo Stefano, dove portarono la statua lignea raffigurante la Madonna del Carmelo – ebbero perciò un ruolo notevole nella diffusione di questo particolare culto mariano nella città di Reggio e nel suo distretto.

Ciò spiega l’ampia diffusione in tutto il territorio diocesano di confraternite, oratori e opere caritative anche recenti – si pensi alle “Casa della Carità” di don Mario Prandi – sotto il titolo del Carmelo che risulta dalle varie visite pastorali.

Presso la parrocchia cittadina di San Giovanni Evangelista in Santo Stefano venne istituito nel 1943 il Terz’Ordine Carmelitano Femminile, come si legge in una memoria manoscritta conservata nell’archivio parrocchiale, che ricorda la vestizione della prima terziaria: Clementina Cavazzoli, incoraggiata da mons. Leone Tondelli arciprete della Cattedrale; lo zelo delle prime ascritte permise l’adesione di varie terziarie, con l’intendimento anche di onorare la Beata Giovanna Scopelli; a Tondelli successe nella direzione del Terz’Ordine don Torquato Iori, prevosto di Santo Stefano.

Presso la stessa parrocchia esisteva già dal secondo decennio del XIX la «Confraternita dei Fratelli e delle Consorelle della Beata Vergine del Carmelo che si venera nella chiesa di Santo Stefano di Reggio» o «Confraternita del Santo Scapolare della Beata Vergine del Carmine»; i registri degli ascritti datano dal 1820; l’archivio conserva le «bolle di aggregazione» e la «Regola per gli ascritti».

(laliberta.info)

Festincontro, 40 anni di ricchezza condivisa

«Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (Giovanni Paolo II, “Dilecti amici”, 31 marzo 1985).

Festincontro è sempre un’occasione poliedrica e interessante.

Lo sappiamo da quarant’anni. Da quando i giovani di AC, nel 1985, provocati dalle parole di san Giovanni Paolo II in occasione della prima GMG, pensarono ed organizzarono questo evento diocesano, offrendolo alla Diocesi e alla città come momento di incontro autentico e di evangelizzazione.

Si tratta di alcune giornate, sulla soglia dell’estate, in cui, allora come oggi, si respira una sorta di “I care” su tutta la realtà, un evento che fa bene allo spirito, al cuore e anche alla mente.
Uno spazio aperto e cordiale, in cui è sempre presente anche uno spazio culturale di cui, come credenti, si sente tanto bisogno.

Entrare al Festincontro significa, inevitabilmente, lasciarsi toccare da quanto proposto, lasciarsi interrogare e scoprire di non essere spettatori di un’esperienza, ma divenirne partecipi!

Lo stile associativo di Azione Cattolica porta con sé il desiderio di una “Chiesa in uscita” che rende concreta la forza del servizio e dell’incontro, di una laicità e popolarità che sono un antidoto all’autoreferenzialità! Condivisione, ascolto, dialogo e inclusione fanno del Festincontro un’esperienza bella di gratuità che incanta, interroga e mette in discussione.

Come ci ricorda Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale di Azione Cattolica (cfr Verso Noi – Prendersi cura della vita di tutti, Edizione Ave): “La nostra esperienza associativa oggi non può essere data per scontata, è certamente innervata e connaturata alla vita della Chiesa e riconosciuta come una significativa forza sociale, ma è affidata sempre più all’intraprendenza e alla creatività di laiche e laici che sentono la sete dei propri contemporanei e, proprio in ragione di questa profonda condivisione interiore, intuiscono ragioni di amicizia e di speranza per sperimentare e dare forma a cammini, alleanze e dialoghi che sappiano mostrare la bellezza di una costruzione comune. Ognuno al suo compito, tutti al lavoro comune”.

laliberta.info

Quale sinodalità?

sinodalità

settimananews.it
Ogni volta che si parla di sinodalità, non posso fare a meno di ripensare al cammino degli anni Ottanta e Novanta con le famiglie contadine del Maranhão, al tempo del protagonismo laico delle Comunità di Base e alla lotta per la conquista della terra e della dignità, quando i poveri affrontavano la violenza secolare del latifondo e i poteri nemici dello Stato.

Abbiamo vissuto la sinodalità ed esperienze concrete dell’esercizio collegiale di animazione-coordinamento delle comunità, delle parrocchie e della pastorale, in un processo di valorizzazione del protagonismo laicale, del Popolo di Dio, del sacerdozio di tutti i battezzati, in una Chiesa povera, samaritana, martiriale.

Sinodalità esistenziale
L’esperienza delle comunità di base è, infatti, la profezia esistenziale della sinodalità: una Chiesa povera, non costruita su criteri gerarchici, testimone del Regno, martire. Una Chiesa che nasce e cresce fuori dal Tempio, nelle case, attorno a una tavola, sotto un tetto di paglia, condividendo la Vita e la Pasqua di Gesù. Una Chiesa che sposava la Parola di Dio alla vita, una Chiesa che pregava e cantava, e che aveva come missione la lotta amorosa per la giustizia del Regno.

È stata un’esperienza comunitaria, che ha ridefinito il ruolo dei preti in termini di servizio fraterno nei percorsi di formazione biblica e sociopolitica. Un prete formatore, che assumeva lo stile pedagogico suggerito da Paulo Freire. Un prete assolutamente non clericale, che non abbandonava l’altare, ma non si limitava alla liturgia e all’amministrazione dei sacramenti. Un prete itinerante, non identificato con la centralità della chiesa parrocchiale.

Una Chiesa che poteva ancora innestarsi in un tessuto comunitario erede di ascendenze indigene e africane, sedotte dal Vangelo di Gesù. Si tratta di una dimensione comunitaria che è stata attaccata mortalmente dai processi di modernizzazione capitalista. Una dimensione che ancora resiste nella lotta dei popoli originari e tradizionali, ma che è quasi del tutto dimenticata nell’odierno cattolicesimo popolare.

Ed è per questo che mi sento in dovere di parlare della sinodalità come di qualcosa che appartiene al passato. Di recente, però, papa Francesco ci ha sorpreso con la proposta di un Sinodo, che sta cercando di coinvolgere, dal 2021, l’intera Chiesa cattolica nella ricerca della partecipazione e del contributo delle comunità dei cinque continenti in vista di un cammino comune. Una proposta che si rivela complicata e piena di difficoltà, in una Chiesa oggi abbastanza divisa tra chi va a destra, chi va a sinistra e chi preferisce rimanere neutrale.

Le prassi che mancano
Ci sono anche altri ostacoli. In effetti, ciò che dovrebbe preoccuparci di più è la distanza tra parole e pratiche, tra documenti e conversioni pastorali effettive, una «sindrome» che caratterizza i processi di questi ultimi cinquant’anni di storia della Chiesa a partire dallo stesso Concilio Ecumenico Vaticano II.

Assumiamo e ripetiamo le parole chiave − si pensi, ad esempio, ai «discepoli missionari» di Aparecida o a un altro motto, molto popolare e presto dimenticato: «Chiesa in uscita», ma pare non sia possibile andare oltre il discorso ortodosso e vuoto. Questo si ripete con il tema della sinodalità, tema che è oggetto di studi, riflessioni, commenti, orientamenti, incontri parrocchiali, diocesani e regionali, il più delle volte ripetitivi e slegati da decisioni ed eventi che possono tradurlo.

Insomma, date queste considerazioni, avremmo due momenti storici ben distinti. Nel primo caso, stiamo facendo memoria di eventi in cui i poveri erano protagonisti e la sinodalità e la collegialità erano vissute concretamente, frutto della sorprendente irruzione dello Spirito nella nostra storia, sino a che i processi si sono affievoliti, ridimensionati da imprevedibili cambiamenti economici e sociopolitici, e da pressioni gerarchiche e persecuzioni durante due lunghi pontificati. Al contrario, nel secondo caso, non si tratta di esperienze concrete, ma di discorsi, che, a volte, appaiono inutilmente ripetuti e inflazionati.

Tutto inizia con la decisione pastorale di papa Francesco, che propone un dibattito sinodale sulla sinodalità, invitando i cattolici di tutto il mondo a convertirsi alla fraternità evangelica e a partecipare a un dialogo permanente sulle nuove sfide che il mondo di oggi ci presenta e sulle strategie per annunciare il Vangelo. Un progetto che si accompagna a frequenti critiche al clericalismo, che mi sembra un atteggiamento sottilmente e prudentemente antigerarchico.

Ultimamente, però, riflettendo sulle tensioni tra tendenze egualitarie e gerarchiche, sono stato costretto a guardare alla storia occidentale con altri occhi e altre lenti e ho concluso che abbiamo a che fare con l’impossibilità ontologica di risolvere politicamente questa opposizione e ostilità.

Il rapporto con il diritto
Ereditiamo un’aporia filosofica, che ci viene dalle spiegazioni che Thomas Hobbes, John Locke e Jean-Jacques Rousseau, sul rapporto tra gli esseri umani e lo Stato. In tutti e tre, la figura del contratto sociale comporta l’esistenza del potere statale: il Leviatano assoluto e incontestabile in Hobbes, la monarchia parlamentare in Locke, la democrazia diretta in Rousseau. Forse, solo quest’ultimo si dimostra ottimisticamente antigerarchico.

Va ricordato che l’opposizione al potere è presente come motivazione teologica fondamentale nella Riforma luterana. Lo spirito antiromano, antiautoritario, antigerarchico, tuttavia, non ha generato alternative organizzative per le comunità. Lutero si sbarazzò del diritto canonico, ma rimase fedele al diritto civile, delegando ai principi il compito di amministrare la Chiesa, quasi fossero vescovi d’emergenza, sottomettendosi così al controllo dello Stato e rinunciando al compito di costruire e pensare l’uguaglianza fraterna nello spazio della convivenza politica.

L’unico che riuscì ad andare oltre la semplice riforma della Chiesa fu Thomas Müntzer, che guidò la guerra dei contadini. Si considerava un profeta inviato per realizzare il Regno di Dio, attraverso una rivoluzione che chiedeva l’abolizione della servitù della gleba nelle campagne e la divisione comunitaria della terra, l’eliminazione di ogni privilegio, di ogni disuguaglianza, di ogni oppressione. Ovviamente, la nobiltà cattolica e luterana non poteva rimandare lo scontro con i contadini ribelli e li sconfisse sterminandoli nella battaglia di Frankenhausen (1525).

Molto prima di Lutero, c’è stato il tentativo rivoluzionario di Francesco e Chiara, che hanno affrontato il diritto canonico con una strategia amorevole ed estremamente creativa: non lo hanno attaccato frontalmente né hanno pensato di bruciarlo, come più tardi farà Lutero, ma hanno semplicemente vissuto la vita comunitaria come se il diritto canonico non esistesse, guidati semplicemente dal Vangelo letto e obbedito «sine glossa».

Il dibattito sulla necessità di una regola pose fine al movimento francescano e lo stesso Francesco, ancora in vita, fu rispettosamente sconfitto ed emarginato. E dopo la sua morte, naturalmente, fu santificato e, per secoli fino ad oggi, ammirato e contemplato, ma senza l’invito, la vocazione chiara e incontestabile, ad imitarlo.

Questa tensione, inoltre, si è rivelata tragica quando l’uguaglianza e la fraternità, che hanno ispirato i movimenti rivoluzionari, vengono successivamente e sempre rinnegate e tradite da regimi dittatoriali.

Fede e politica
Nuovi movimenti, evangelici, carismatici, rivoluzionari, amorevoli, fraterni, comunitari, antigiuridici e anarchici, alleati della verità, della pace e della giustizia, appaiono insistentemente nella storia dell’Occidente e del cristianesimo e sono invariabilmente sconfitti dai leviatani degli Stati e delle istituzioni. Ma se vincessero lo scontro, si sistemerebbero in un processo di inevitabile tradimento di valori e speranze.

Il confronto con le istituzioni deve essere permanente, non solo per salvaguardare la nostra fedeltà, ma per costruire un processo di autonomia e di autogestione e per insistere su una versione dello stato e delle istituzioni come potere obbediente alla Vita. L’insistenza e la perseveranza nella Speranza, contro ogni negazione, nonostante le sconfitte, in opposizione radicale al cinismo del realismo politico, deve essere la caratteristica fondamentale di chi si oppone al capitale e allo stato.

In primo piano sta la questione dello Stato, affrontato nella sua identità costitutiva: occidentale, violenta, colonialista, fedele al sistema capitalista. Approccio basato sul diritto delle culture indigene, la profezia zapatista del Chiapas, Davi Kopenawa Yanomami, Nego Bispo. Senza trascurare il pensiero di grandi e indispensabili occidentali, resi spesso invisibili, come Fëdor Dostoievski, Enrique Dussel, Emmanuel Lévinas, René Girard, Jacques Ellul e, soprattutto, Simone Weil, la profezia di Francesco e Chiara attualizzata nel nostro tempo.

Sarebbe qui opportuno anche riflettere sul secolare rapporto tra la Chiesa cattolica e lo Stato. Lo Stato, come «cameriera del mercato capitalista» (subcomandante Marcos dell’EZLN), si presenta di nuovo come un nemico mortale della Vita e dei piccoli. Gestito dalla destra o dalla cosiddetta sinistra, ha radicalizzato la sua essenza violenta in modo tale che ripetere le metodologie ecclesiastiche tradizionali, attraverso il diritto, il concordato, l’advocacy, è una scommessa sbagliata e sterile.

Si tratta, insomma, di provocare un dibattito più ampio della mera ripetizione del tema Fede e politica, che sembra semplicemente optare per la riduzione della politica a questioni partitiche ed elettorali.

Liturgia DOMENICA DI PENTECOSTE Messa del giorno (ANNO B)

La Liturgia della S. Messa domenicale legata al ciclo liturgico annuale della Chiesa Cattolica Romana.

Grado della Celebrazione: Solennità
Colore liturgico: Rosso

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Lo Spirito Santo è lo Spirito di Cristo ed è la Persona divina che diffonde nel mondo la possibilità di imitare Cristo, dando Cristo al mondo e facendolo vivere in noi.
Nell’insegnamento e nell’opera di Cristo, nulla è più essenziale del perdono. Egli ha proclamato il regno futuro del Padre come regno dell’amore misericordioso. Sulla croce, col suo sacrificio perfetto, ha espiato i nostri peccati, facendo così trionfare la misericordia e l’amore mediante – e non contro – la giustizia e l’ordine. Nella sua vittoria pasquale, egli ha portato a compimento ogni cosa. Per questo il Padre si compiace di effondere, per mezzo del Figlio, lo Spirito di perdono. Nella Chiesa degli apostoli il perdono viene offerto attraverso i sacramenti del battesimo e della riconciliazione e nei gesti della vita cristiana.
Dio ha conferito al suo popolo una grande autorità stabilendo che la salvezza fosse concessa agli uomini per mezzo della Chiesa!
Ma questa autorità, per essere conforme al senso della Pentecoste, deve sempre essere esercitata con misericordiae con gioia, che sono le caratteristiche di Cristo, che ha sofferto ed è risorto, e che esulta eternamente nello Spirito Santo.

CALENDARIO SETTIMANA SANTA in Parrocchia S. Agostino, S. Stefano e S. Teresa a Reggio Emilia (centro)

CALENDARIO SETTIMANA SANTA
Sabato 23 marzo
DOMENICA DELLE PALME
ore 18.30 S. Agostino
Domenica 24 marzo
DOMENICA DELLE PALME
ore 08.45 S. Agostino
ore 09.45 S. Stefano
ore 11.00 S. Teresa
ore 11.15 S. Agostino
Giovedì 28 marzo
GIOVEDÌ SANTO
ore 09.30 Cattedrale Messa Crismale
ore 18.30 Cattedrale MESSA IN COENA DOMINI
ore 21.00-07.00 S. Stefano adorazione notturna
Venerdì 29 marzo
VENERDÌ SANTO
ore 15.00 S. Agostino Liturgia della Croce
ore 18.30 Cattedrale Liturgia della Croce
ore 21.00 VIA CRUCIS CITTADINA
Sabato 30 marzo SABATO SANTO
ore 21.30 S. Agostino VEGLIA PASQUALE
Domenica 31 marzo DOMENICA DI RESURREZIONE
ore 08.45 S. Agostino
ore 10.00 S. Stefano
ore 11.00 S.Teresa
ore 11.30 S. Agostino
Lunedì 1 aprile
LUNEDÌ DELL’ANGELO
ore 08.45 S. Agostino
ore 10.00 S. Stefano
ore 11.00 S. Teresa

Fede di Abramo, fede cristiana

di: Roberto Mela
in settimananews.it

Francesco MosettoFede di Abramo e fede cristiana. Un percorso biblico, LAS, Roma 2023, pp. 148, € 10,00. (qui su Amazon con 5% sconto)

copertina

Francesco Mosetto, professore emerito della Università Pontificia Salesiana, sezione di Torino, traccia un ampio percorso biblico sul tema della fede, centrale per il credo ebraico e per quello cristiano.

Nell’Introduzione egli ripercorre la tematica della fede cristiana nella storia della teologia: teologia patristica e medievale, magistero recente delle Chiesa cattolica (dalla Dei Filius alla Dei Verbum e nel magistero postconciliare), tradizione orientale ortodossa e teologia protestante.

La teologia si era andata irrigidendosi in una concettualista astratta. Il concilio Vaticano II ha recuperato la dimensione personale ed esistenziale della fede. Questo sollecita il recupero della ricchezza del dato biblico e a far tesoro dell’esperienza liturgica e spirituale dell’Oriente cristiano.

Circa la fede di Gesù, esiste un paradigma “scolastico” e una nuova prospettiva. Il tema della fides Jesu può essere affrontato oggi con serenità grazie ai guadagni relativi a una visione dialogica e personalistica della fede, a complemento della sua dimensione cognitiva, più frequente in passato.

Reggio Emilia. Il CSI del futuro: nuove sinergie tra Chiesa e sport

Tratto da La Libertà n. 8
26 febbraio 2024
“Dobbiamo interrogarci sul modello di attività sportiva che vogliamo promuovere, e adattarci alla società che ci circonda”: questa è l’esortazione che il presidente Vittorio Bosio ha rivolto a coloro che hanno presenziato alla mattinata di formazione associativa che si è tenuta il17 febbraio presso la sede del Comitato CSI Reggio Emilia in via Agosti.

Il presidente, insieme all’altro ospite di spicco della mattinata, il vescovo Giacomo Morandi, ha portato avanti una conversazione stimolata dalle domande di Samuele Adani, responsabile della Formazione associativa per il CSI di Reggio.

IL RUOLO DELL’ALLENATORE
In particolare, i temi trattati durante l’incontro hanno preso ispirazione dagli spunti e dai suggerimenti inviati precedentemente dai dirigenti sportivi affiliati CSI, così da dare voce alle singole realtà sportive locali e mettere l’accento sui bisogni specifici percepite dalle società.

Tra le tematiche affrontate, spicca la necessità di riformare il ruolo dell’allenatore: non più soltanto una personalità dalle competenze tecniche specifiche, ma un nuovo educatore che si metta a disposizione della comunità e aiuti i giovani ad affrontare il fallimento in una società in cui non si ammette più la possibilità di perdere.

“I giovani hanno bisogno di volti, non di emoticon o messaggini”, così ha concluso monsignor Morandi, definendo l’ambiente sportivo un luogo di ascolto in cui l’aggressività e il caos del mondo possa essere assorbito e attenuato dalla figura dell’allenatore. Comunicazione e dialogo diventano quindi le parole chiave dell’ambiente sportivo, e lo fanno con il fine di ricercare e rafforzare quella diversità positiva che contraddistingue nello specifico il panorama valoriale del Centro Sportivo.
SINERGIA TRA CHIESA E SPORT
Alla formazione di tipo psico-pedagogico dei tecnici si affianca infine anche l’urgenza di ricercare nell’ambito del CSI un’originalità, la quale secondo Sua Eccellenza si può ritrovare nell’ispirazione di carattere evangelico che diventa a tutti gli effetti una scelta operativa.

Il presidente del CSI Bosio, concordando con monsignor Morandi sull’esigenza di ritrovare una sinergia positiva tra la Chiesa e lo sport, ha citato alcuni esempi virtuosi in cui l’ambiente parrocchiale abbia giocato un ruolo fondamentale nella crescita sportiva dei territori.

“Serve reciproca comprensione con il laicato”, ha affermato parlando nello specifico di un progetto di inclusione partito dall’ambiente sportivo in un quartiere difficile di Messina. Ha poi specificato che mettersi in rapporto con le altre agenzie educative è fondamentale per riuscire ad adattare il modello CSI alla realtà sociale, nonché legislativa, che ci circonda.

L’UOMO AL CENTRO
“Si deve ripartire dalla solidarietà, dall’uomo al centro dell’attività sportiva, dalla singola persona, e dalla condivisione”: così Vittorio Bosio ha concluso il suo intervento, e con questa spinta all’unità tra gli attori dello sport, tra i Comitati, e tra le piccole realtà territoriali, il CSI si prepara ad affrontare le sfide del futuro.

Alla fine dell’incontro, i relatori si sono ritrovati a condividere un pranzo all’insegna della pura convivialità con i dirigenti presenti alla mattinata di formazione.