Centro Opere Cappuccina, ”la fine di un sogno”’….. e anche di una radio

Centro Opere Cappuccina, ''la fine di un sogno'''..... e anche di una radio

Ossola News

Alla Cappuccina, ore 21,15, Antonio e Luca Ciurleo hanno presentato il 13 Giugno 2025 il loro ultimo libro: “Centro Opere Cappuccina: la fine di un sogno?”.

E’ l’ultimo tassello di una storia che è ormai segnata, con l’addio dei frati da Domodossola e col futuro incerto per molte strutture ”nate” con e grazie a Padre Michelangelo ed ai frati.

Il volume ripercorre proprio le vicende degli ultimi mesi:  dall’annuncio della partenza dei frati alla mobilitazione della comunità per evitarla, fino alle incognite sul futuro delle strutture presenti sul territorio di Domodossola e non solo,  che attualmente sono gestite dai cappuccini e che prossimamente si troveranno in gran parte senza una guida.

Oggi, però, chiude anche Radio San Francesco di Domodossola, l’emittente creata dai frati, che aveva la sua redazione sotto la chiesa.

Esse Effe, come era poi stata chiamata, è una delle tante realtà che cesseranno con l’addio dei frati. Un abbandono della città che ha mandato in crisi una comunità ma anche un complesso di iniziative che avevano fatto della Cappuccina un punto di riferimento, di aiuto e di solidarietà.

Radio Esse Effe era nata 44 anni fa, inserita nel contesto della Cappuccina ma ascoltata in tutta l’Ossola. Le sue frequenze andranno ad una emittente dei frati lombardi.

Una voce in meno nell’informazione ossolana, già penalizzata dalla chiusura a Domodossola – negli ultimi 20 anni – di altre redazioni.

Un nuovo playmaker in Pallacanestro Reggiana, arriva Troy Caupain

REGGIO EMILIA – Pallacanestro Reggiana comunica di aver raggiunto un accordo per la stagione 2025/2026 con il playmaker statunitense Troy Caupain. Nato il 29 novembre 1995 a New York, Caupain si è formato cestisticamente all’Università di Cincinnati, dove ha disputato quattro stagioni di NCAA. Ha saggiato brevemente l’NBA con la maglia degli Orlando Magic, alternandosi con alcune esperienze in G-League, prima di approdare per la prima volta in Italia ad Udine nella seconda parte del campionato 2017/2018.

Da quel momento la sua carriera europea lo ha visto calcare tanti differenti parquet in leghe di prestigio, tedesca, spagnola e francese, oltre ad una nuova esperienza nella massima serie italiana a Brescia nel 2022/2023. Ha disputato sia l’Eurocup, con Ulm e Brescia, che la Basketball Champions League con Holon, Ostenda, Darussafaka e Murcia.

Nelle ultime due stagioni ha militato in Liga ACB e BCL con Murcia, totalizzando 85 presenze. Nel finale della scorsa stagione, ha giocato con il club francese dello Strasburgo, viaggiando ad una media di 14.5 punti, 3.7 rimbalzi e 4 assist a partita.

Queste le prime parole di Troy Caupain in biancorosso: “Sono emozionato per questo nuovo capitolo della mia carriera e della mia vita. Ringrazio innanzitutto il management ed il coaching staff per aver creduto in me. Ai tifosi dico che non vedo l’ora di essere in città e conoscervi. Voglio portare energia con l’obiettivo di vincere più partite possibili. Ci vediamo presto”.

stampareggiana

Soli Deo Gloria: concerto con musiche di Mattioli e Donizzetti

L’antica Pieve di Albinea, intitolata alla Natività della Beata Vergine Maria e a San Prospero vescovo, ospiterà venerdì 20 giugno, con inizio alle ore 21, il tradizionale concerto promosso nell’ambito della rassegna “Soli Deo Gloria. Organi, Suoni e Voci della Città 2025”, giunta alla XXI edizione in coproduzione con Lions Club Albinea “Ludovico Ariosto”, Comune di Albinea, Unità Pastorale Sacra Famiglia, Conservatorio di Musica di Reggio Emilia e Castelnovo ne’ Monti “Achille Peri-Claudio Merulo”.

Saranno eseguite musiche del compositore reggiano Guglielmo Mattioli e di Gaetano Donizzetti.

Il programma prevede di Gaetano Donizetti (Bergamo, 29 novembre 1797 – 8 aprile 1848) l’esecuzione di “Moderato” per organo con flauto, due corni, due clarinetti, tromba, trombone e contrabbasso”.

Del musicista Guglielmo Mattioli, nato a Reggio Emilia il 14 ottobre 1857 e spentosi a Bologna il 7 maggio 1924, a cui il Lions Club Albinea “Ludovico Ariosto” ha dedicato una pregevolissima monografia, saranno eseguite numerose composizioni.

Sono in programma: “Preghiera” in la bemolle maggiore, per organo solo; “Toccata brillante” in sol maggiore, per organo solo; “Comunione seconda” in re maggiore, per organo solo; “Offertorio”in la maggiore, per organo solo; “Introduzione e fuga sul soggetto: Fede a Bach” in re minore, per organo solo.

Sono inoltre previste: “O salutaris Hostia” per soprano, mezzosoprano e organo (trascrizione a cura di Andrea Caselli); “Salve Regina” per tenore e organo, entrambe su trascrizione a cura di Andrea Caselli e ”Ave Maria” per soprano, mezzosoprano e organo, su trascrizione a cura di Primo Iotti.

Infine sarà eseguito il “Kyrie” dalla Grande Messa di Requiem op. 164, per coro e organo composta da Mattioli e dedicata “Alla cara e venerata memoria del mio adorato ed eroico figliolo Giannino caduto da prode sul Carso il giorno 5 ottobre 1916”, trascrizione a cura di Andrea Caselli.

Questi gli interpreti: Yaling Chen soprano, Giulia Boni mezzosoprano, Liu Ziteng tenore; Valentina Zenobi flauto; Nicolas Burtini, Paolo Cesaroni clarinetto, Pietro Martino tromba,Sara Benassi, Natan Dall’Aglio corno; Mauricio Petta contrabbasso. All’organo: Lorenzo Tamagnini, allievo della classe di organo del maestro Renato Negri.

Interverrà il Coro del Conservatorio di Reggio Emilia e Castelnovo ne’ Monti “Achille Peri – Claudio Merulo”; soprani: Margherita Fontanesi, Lucia Ruggerini, Maya Boiardi, Clarissa Polastri, Clarissa Marchi, Yina Qiu; contralti: leonora Semeraro, Sara Conconi, Miriam Ruggerini, Noemi Righi, Gabriela Acquaro, Yelyzaveta Kozynko, Maria Cecilia Bassi, Letizia Consigli, Maddalena Boni, Veronica Prati, Grazia Sestito; tenori: Pietro Martino, Rosario Emanuele Diletto, Ornil Muharremi; baritoni:Valerio, Stano, Francesco, Bergonzani; bassi: Sebastiano Grasselli, Julian Jose Lanzafame, Azad Ahmadi, Andrea Bandierini; direttore: Luigi Pagliarini.

Israele, l’Iran e la bomba atomica: il programma segreto avviato da Ben Gurion e quello (sempre bloccato) degli ayatollah

Israele costruì il programma che l’ha condotto ad avere (anche se in modo non ufficiale) l’atomica con l’aiuto della Francia, sin dagli anni Cinquanta: oggi in Israele nessuno parla apertamente di ricorrervi. Teheran ha sempre negato di voler arrivare all’arma nucleare, ma l’Aiea ha rivelato che l’Iran aveva violato gli accordi sull’arricchimento

Israele - Iran, la guerra in diretta | 

Israele, l’Iran e la bomba atomica: due storie completamente diverse, diventate nel tempo l’intreccio delle minacce che gravano sul Medio Oriente e adesso al centro delle cronache di guerra. Israele costruì il suo programma nucleare in gran segreto grazie all’aiuto francese a partire dai primi anni Cinquanta e da subito con l’idea che servisse a impedire per sempre il rischio di «un secondo Olocausto». David Ben Gurion e gli altri leader fondatori dello Stato lo battezzarono: una forma di deterrenza assoluta, l’arma di tutte le armi che non avrebbe lasciato scampo a nessun nemico.

Fu un giovanissimo Shimon Peres a trattare con Parigi i protocolli segreti di Sèvres nel 1958, oliati due anni prima dall’alleanza israelo-franco-britannica nella fallimentare guerra per il Canale di Suez contro Nasser, che portarono alla costruzione del reattore di Dimona, nei bunker sotterranei del deserto del Negev settentrionale. Washington era assolutamente contraria. Il presidente Dwight D. Eisenhower aveva costretto gli israeliani a ritirarsi dal Sinai e dalla striscia di Gaza occupati nel 1956: non voleva avventurismi pericolosi che mettessero a rischio gli equilibri della Guerra Fredda con Mosca e soprattutto era contro la proliferazione nucleare. L’intelligence americana scoprì quindi il progetto di Dimona solo nei primi anni Sessanta, cercò allora di bloccarlo e di inviare gli ispettori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Iaea). Vi riuscì a fatica nel 1965, ma per allora gli impianti sotterranei erano stati camuffati e l’ispezione si rivelò un flop. Il tema rimase bollente per lungo tempo a inquinare i rapporti Washington-Gerusalemme.

Soltanto l’amministrazione Nixon avrebbe poi accettato obtorto collo il fatto compiuto. Intanto l’atomica israeliana era una realtà. Nel 1967 sembra fossero una decina i missili a testata nucleare nei silos pronti al lancio. Secondo alcune fonti, si pensò allora a Gerusalemme di farne esplodere una nel Sinai come minaccia e deterrenza per fermare le truppe egiziane poco prima della travolgente vittoria israeliana nella Guerra dei Sei Giorni. Sei anni dopo, quando le truppe egiziane e siriane scatenarono la Guerra del Kippur, il governo di Golda Meir nel panico ordinò di aprire i silos di Dimona con i missili a testata atomica pronti per il lancio e ciò convinse gli americani ad avviare il ponte aereo per l’invio rapido delle armi convenzionali necessarie a ricacciare gli invasori.

L’Iran filo-occidentale nell’era dello Scià Reza Pahlavi si mosse invece più tardi sul nucleare rispetto ad Israele e alla luce del sole. Ma soprattutto lo fece in pieno coordinamento con Washington. Inizialmente si parlava dal progetto «Atoms for Peace» volto alla ricerca scientifica. Nei primi anni Settanta si pianificò la costruzione di una ventina di centrali nucleari, che producessero energia pulita a bassi costi per scopi puramente civili. In quell’era Israele e Iran stavano dalla stessa parte contro il mondo arabo. Però, tutto cambiò con la rivoluzione Khomeinista del 1979. La presa dei diplomatici americani in ostaggio nell’ambasciata di Teheran e la violenta predicazione antisionista segnarono una svolta radicale. Da allora la prospettiva di un’atomica al servizio del radicalismo islamico sciita divenne una preoccupazione costante per lo Stato ebraico, per gli Stati Uniti e per gran parte dei governi sunniti, con l’Arabia Saudita in testa. Dopo Khomeini, la guida Suprema Ayatollah Ali Khamenei, ha più volte reiterato la necessità di «annullare Israele».

La destabilizzazione scatenata dalla rivoluzione verde a Teheran mise in evidenza ciò che prima era stato sottovalutato: la mancanza di regole e accordi condivisi rendeva il quadro altamente instabile. E il problema di fondo non è mutato. Le autorità israeliane non hanno mai neppure ufficialmente riconosciuto di possedere armi non convenzionali. Ne consegue che i governi di Gerusalemme non hanno aderito al Trattato internazionale sulla Non Proliferazione Nucleare (Npt), che dal 1968 cerca di limitare la minaccia. Teheran, al contrario, lo ha firmato, ma da dopo il 1979 non lo riconosce più. Le conseguenze sono evidenti: l’ambiguità regna sovrana e ciò crea le condizioni per la proliferazione incontrollata. L’Iran degli Ayatollah venne aiutato in segreto dal Pakistan e dalla Corea del Nord a sviluppare i suoi programmi nucleari.

In Israele, dove pure regna la libertà della società aperta, la censura ha il diritto di bloccare la pubblicazione di informazioni sul tema e addirittura perseguire giornalisti, scrittori, militari, funzionari dello Stato e chiunque confermi l’esistenza delle armi atomiche. Gli ispettori della Iaea non hanno mai messo piede a Dimona o in alcun altro sito nucleare. Oggi gli osservatori stranieri, evitando di citare direttamente le loro fonti in Israele, stimano che le bombe atomiche siano in un numero compreso tra 90 e 400 e possano essere lanciate dai missili anche di lungo raggio (si valuta che il modello più aggiornato del Jericho superi gli 11.5000 chilometri), dai sottomarini e dall’aviazione.

Nell’Iran Khomeinista la Iaea venne largamente limitata, ma continuò ad operare. La Russia nei primi anni Novanta inviò esperti nucleari a Teheran. Nel 2002 gli attivisti dell’opposizione iraniana all’estero denunciarono che il regime stava cercando di costruire l’atomica, puntando il dito contro la base di Natanz per l’arricchimento dell’uranio. I siti più importanti coi reattori e i depositi di uranio erano stati nascosti in profonde gallerie. L’anno seguente Khamenei emise una fatwa che metteva al bando le armi nucleari come «anti-islamiche». Tuttavia, Israele e Stati Uniti avanzarono subito seri dubbi che fosse davvero applicata e ciò indusse la comunità internazionale a intensificare le sanzioni. Negli anni seguenti la Iaea accusò reticenze e non collaborazione da parte iraniana: c’era il sospetto che esistessero programmi segreti di arricchimento dell’uranio per fini militari. Durante la presidenza di Mahmud Ahmedinejad la difesa del nucleare divenne parte integrante della rinascita nazionale e l’11 aprile 2006 fu lui stesso ad annunciare per televisione il team degli scienziati per arricchire l’uranio. Da allora in poi tra gli ispettori internazionali e il regime divenne guerra aperta, apparve ovvio che l’Iran stava arrivando a grandi passi alla bomba atomica. I rapporti periodici della Iaea erano allarmanti.

Ma nel 2014 Barack Obama con i partner europei si impegnarono direttamente per giungere ad un’intesa con Teheran. Che fosse la svolta? In Europa tanti diplomatici ne erano convinti. Il 14 luglio 2015 fu firmato l’accordo che limitava la proliferazione nucleare iraniana con la supervisione internazionale. Nel gennaio 2016 venne annunciato che l’Iran aveva rispettato le intese e si potevano togliere le sanzioni. Ma nel 2018 il Mossad israeliano dichiarava di avere sottratto gli archivi nucleari nel distretto di Turquzabad a Teheran in cui si provava che in verità gli iraniani stavano segretamente continuando a costruire l’atomica. E ciò convinse Donald Trump a cancellare l’accordo di tre anni prima e reimporre le sanzioni. La diplomazia europea e larga parte della comunità internazionale criticò duramente quella scelta, che nei fatti marginalizzava l’Iran e spingeva i «falchi» del suo regime a riprendere i progetti nucleari in gran segreto. A nulla valsero la dichiarazione della Iaea nel febbraio 2019, per cui l’Iran stava ancora rispettando le intese. Nel muro contro muro, Teheran annunciò a maggio che il programma nucleare riprendeva in pieno, «senza limiti». Ciò coincise con una lunga serie di attacchi del Mossad contro i siti nucleari e gli scienziati iraniani che vi lavoravano.

Tra i morti eccellenti fu anche Mohsen Fakhrizadeh, il capo del progetto, assassinato a Teheran il 27 novembre 2020. Nel rapporto dell’Ottobre 2023 la Iaea segnalava che le riserve di uranio iraniane erano cresciute 22 volte rispetto al 2015 e che il lavoro degli ispettori era continuamente ostacolato. Concetti questi ribaditi anche negli ultimi giorni. Sebbene non ci siano davvero prove concrete che l’Iran sia vicino ad avere la Bomba. «L’Iran stava veramente sviluppando l’atomica?», si chiede in prima pagina oggi il Financial Times, ricordando che è dal 2012 che Benjamin Netanyahu «cerca di convincere il mondo dell’imminenza della minaccia atomica di Teheran». L’aspetto paradossale di tutto questo è che, sino a prima dell’attacco a sorpresa israeliano di pochi giorni fa contro l’Iran, Donald Trump stava cercando di rimettere in piedi un’intesa sul nucleare non molto diversa da quella conclusa nel 2015 e da lui rotta nel 2018. E uno dei motivi politici per Netanyahu di attaccare adesso è stato proprio evitare che ciò potesse avvenire. Dal 2018 la domanda che ribadiscono gli iraniani non cambia: «Come mai Israele può avere l’atomica e noi no?».

Oggi in Israele nessuno parla apertamente di ricorrere all’atomica e l’accenno lo scorso novembre al suo utilizzo contro Gaza per parte del ministro Amichai Eliyahu è stato subito zittito dal governo, ma anche tra gli osservatori internazionali si stima che gli eventi delle ultime settimane possano indurre il regime iraniano ad accelerare il programma nucleare.

Corriere

Israele: “Controlliamo i cieli di Teheran”. Wsj: “Iran pronto a trattare”. Il giallo sul salvacondotto in Russia per Khamenei

Israele: “Controlliamo i cieli di Teheran”. Wsj: “Iran pronto a trattare”. Il giallo sul salvacondotto in Russia per Khamenei

Il giallo del salvacondotto in Russia per Khamenei e il suo staff
Fonti iraniane ostili al governo hanno rilanciato nelle ultime ore l’ipotesi secondo cui lo staff della guida suprema, Ali Khamenei, sarebbe “in trattative con le autorità russe per un’evacuazione con le famiglie, in caso di necessità”. Lo riporta il sito dell’opposizione Iran International, che si pubblica a Londra e viene spesso ripreso dai media israeliani. L’indiscrezione, non verificabile, fa riferimento in particolare a un possibile salvacondotto per Ali Asghar Hejazi, vice capo di gabinetto di Khamenei. Quanto all’ayatollah in persona, lo stesso sito aveva scritto ieri che sarebbe con i familiari in un bunker a Teheran.

Wsj: “L’Iran ha segnalato una volontà di ripresa dei colloqui se gli Usa restano fuori dagli attacchi. Messaggi anche a Israele”
L’Iran ha segnalato la sua volontà di voler porre fine alle ostilità e riprendere i colloqui sul nucleare inviando messaggi a Israele e agli Stati Uniti tramite intermediari arabi. Lo riporta il Wall Street Journal citando funzionari mediorientali ed europei. Teheran ha segnalato agli intermediari che sarebbe disponibile a tornare al tavolo delle trattative a condizione che gli Stati Uniti non prendano parte agli attacchi di Israele. L’Iran ha anche trasmesso messaggi a Israele affermando che è nell’interesse di entrambe le parti contenere la violenza.

Funzionario Israele; “l’operazione potrebbe durare da 2 a 3 settimane”
L’operazione israeliana contro l’Iran potrebbe durare dalle 2 alle 3 settimane, ma i tempi dipendono dalle decisioni prese dai vertici politici sulla portata della campagna. Lo ha dichiarato un funzionario israeliano al Times of Israel. “C’è una serie di obiettivi militari che possiamo completare abbastanza rapidamente”, afferma il funzionario. “Se decidono di estenderla a obiettivi più legati a simboli governativi, obiettivi economici e così via, allora ci vorrà più tempo”, aggiunge. L’obiettivo è un accordo nucleare più stretto tra l’Iran e le potenze occidentali, afferma il funzionario. Israele mira a “causare danni sufficienti [al programma nucleare] per tornare alla diplomazia e raggiungere un buon accordo”. Gli iraniani hanno inviato messaggi a Israele tramite intermediari: “Se Israele smette di attaccare, si fermeranno e sono pronti a tornare ai negoziati”, afferma il funzionario. “Ma Israele deve fermarsi prima”. Israele sta ancora conducendo valutazioni dei danni sul campo di battaglia per valutare l’entità degli attacchi, ma è troppo presto per saperlo in questa fase. Ritiene che l’impianto sotterraneo di Natanz sia stato danneggiato oltre alle infrastrutture in superficie, ma la questione è ancora in fase di verifica.
La Stampa

Idf: “Ucciso il capo dell’intelligence di Teheran e tre alti ufficiali”

Le Idf hanno dichiarato di aver ucciso tre alti ufficiali dell’intelligence iraniana, dopo aver eliminato, ieri, il capo dei servizi dei Guardiani della rivoluzione, Mohammad Kazemi, la cui uccisione era stata resa annunciata dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
“Nel suo ruolo, Kazemi ha supervisionato la raccolta di informazioni sulle attività terroristiche e il monitoraggio dei cittadini iraniani per reprimere il dissenso e preservare il regime iraniano – ha affermato l’esercito – Il suo vice, Mohammad Hassan Mohaqiq, in passato ha presieduto il Dipartimento di intelligence strategica e ha svolto un ruolo chiave nelle operazioni terroristiche del regime contro Israele, l’Occidente e i paesi del Medio Oriente”.

 

(agf)
Repubblica

Felicità in un pallone di stracci a Goma, la foto vincitrice di “Sport in motion”

La foto vincitrice del concorso "Sport in motion" scattata da Isaac Burjiwa

Isaac Burjiwa si è aggiudicato il concorso fotografico lanciato in occasione del Giubileo dello sport, al quale hanno partecipato con oltre 80 foto una cinquantina di giovani di età inferiore ai 25 anni

Giampaolo Mattei – Città del Vaticano – vatican news

Con l’immagine di bambini che giocano a calcio, con un pallone fatto con stracci e sacchetti di plastica, nel quartiere di Goma  – Nord Kivu, Repubblica Democratica del Congo – Isaac Burjiwa è il vincitore del concorso fotografico “Sport in Motion – The essential is invisibile to the eye”, promosso dal Dicastero per la cultura e l’educazione, in occasione del Giubileo dello sport.

Il nome del vincitore è stato reso noto, sabato 14 giugno, durante il convegno internazionale “Lo slancio della speranza” all’Augustinianum, alla presenza del cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, e il presidente del Comitato olimpico internazionale, Thomas Bach.

Burjiwa, nell’ambito della categoria “sport e politica”, ha scattato la foto lo scorso 17 gennaio intitolandola “Bloom– Where the War Fails”. Spiega l’autore: «La gioia di questi bambini si trasforma in speranza. Attraverso i loro semplici gesti, questi bambini ci ricordano che, in mezzo al caos, cresce ancora qualcosa: una luce invisibile, ma molto reale. Dove la guerra fallisce, l’infanzia fiorisce in pace, unità e umanità».

Al concorso, lanciato lo scorso novembre, hanno partecipato 49 giovani – 81 le foto proposte – di età inferiore ai 25 anni. Con l’obiettivo di unire tre parole non sempre vicine: gioventù – arte – sport. Con questa prospettiva, il concorso ha voluto rileggere le sfide dello sport di oggi attraverso gli occhi dei giovani  che hanno uno “sguardo di speranza” più limpido.

Cinque i temi proposti, tratti dal Patto Educativo Globale e dal tema del Giubileo: sport e disabilità, sport e famiglia, sport ed ecologia, sport e politica, sport e speranza. Per ognuna delle cinque categorie, la giuria ha scelto tre foto. E tra le 15 foto vincitrici è stata scelta la l’immagine di Burjiwa.

La giuria era composta dal fotografo sportivo Giovanni Zenoni; dall’ex calciatore paralimpico e speaker motivazionale Arturo Mariani; dal giornalista dell’Osservatore Romano, Gabriele Nicolò; dal segretario generale di Athletica Vaticana, Marco Alpigiani; dal giornalista Sebastiano Caputo; da padre  Ezio Lorenzo Buono per il Patto educativo globale; e da monsignor Davide Milani per la Fondazione pontificia Gravissimum Educationis.