NOI in famiglia. La sfida dell’educazione sessuale. «Ascolto paziente, senza giudizi»

Convegni, sussidi per educatori, corsi di alta formazione. Il grande impegno dell’Università Pontificia Salesiana per la formazione all’affettività. Parla il rettore, don Andrea Bozzolo
La sfida dell'educazione sessuale. «Ascolto paziente, senza giudizi»

archivio

L’emergenza educativa che stiamo attraversando impone di avviare percorsi strutturati e consapevoli di educazione sessuale. Dobbiamo farlo ”senza infingimen-ti”, come ha detto il presidente della Cei, cardinale Zuppi, cioè guardando in faccia alla realtà, confrontandoci con le speranze e le aspettative dei giovani. «Con empatia e disponibilità », aggiunge don Andrea Bozzolo, rettore della Pontificia Università Salesiana. «Senza toni giudicanti e senza linguaggi enfatici», come purtroppo è avvenuto troppe volte in passato, quando i timidi tentativi di educazione all’affettività e alla sessualità si riducevano all’elenco dei divieti e dei permessi. Oggi tutto è diverso. L’impegno dei salesiani su questo fronte è davvero imponente. Si è conclusa una ricerca triennale che sarà approfondita in un convegno nella prossima primavera, sta partendo un corso di alta formazione, oltre ad altre iniziative di cui abbiamo già dato conto nei mesi scorsi.

Lunedì, aprendo i lavori del Consiglio permanente della Cei, il cardinale Matteo Maria Zuppi ha parlato della necessità dell’educazione affettiva dei giovani e ha sollecitato i credenti a trovare il coraggio “di parlare di sessualità senza infingimenti, nella prospettiva dell’integrazione tra vita umana e vita spirituale”. Riconosce in queste sollecitazioni il senso delle iniziative avviate dall’Università Salesiana?

L’invito ad impegnarsi nell’educazione affettiva e sessuale delle giovani generazioni viene già dal Concilio. La Dichiarazione Gravissimum educationis ne parla esplicitamente e Papa Francesco in Amoris Laetitia riprende questo appello. Dobbiamo però chiederci onestamente se le nostre istituzioni educative abbiano assunto questa sfida in tutto ciò che essa comporta. Non basta offrire ai ragazzi un’informazione corretta e alcune regole di comportamento. Hanno bisogno che li accompagniamo nell’esperienza quotidiana a dare un nome alle emozioni, a riflettere sulle loro esperienze, a sviluppare il senso critico davanti alla molteplicità di stimoli e messaggi da cui siamo circondati. E lo desiderano più di quanto possiamo immaginare. In questo senso, come afferma il cardinale Zuppi, l’educazione affettiva ha certamente a che fare con la vita interiore, con il gusto per la preghiera e per l’autenticità dei rapporti. Ma senza spiritualismi. Corpo e affetti non sono luogo di applicazione di una spiritualità appresa altrove, ma lo spazio in cui imparare a fare esperienza di Dio. Per quanto ferita dal peccato, l’energia di eros è un dono dello Spirito Creatore, che abita i nostri corpi come un tempio. Per questo è necessario un apprendistato del linguaggio del corpo, che aiuti a cogliere la profondità simbolica dei nostri gesti di amore.

Quali sono gli “infingimenti” che non permettono ai giovani di scorgere il significato autentico della sessualità?

Nel Sinodo sui giovani del 2018, i vescovi hanno riconosciuto francamente che su molti temi «prevale talora la tendenza a fornire risposte preconfezionate e ricette pronte, senza lasciar emergere le domande giovanili nella loro novità e coglierne la provocazione». Fuggire gli infingimenti significa accettare la logica dell’ascolto empatico, che non è solo una raccolta di informazioni, ma un vero incontro di libertà. Ascoltare con empatia richiede umiltà, pazienza, disponibilità a non giudicare, impegno a elaborare una comprensione più profonda. Senza questa alleanza, gli educatori rischiano di assumere un atteggiamento giudicante o di ricorrere ad un linguaggio enfatico e altisonante, che non aiuta a interpretare il vissuto. I giovani, invece, rischiano di cedere ad atteggiamenti reattivi, sottovalutando l’esperienza degli adulti e accettando come certezze granitiche le tesi più diffuse dai massmedia.

Qual è la responsabilità di noi adulti per questa profonda confusione di significati? Abbiamo dimenticato le parole per dirlo o forse anche le nostre convinzioni andrebbero riviste con il coraggio di fare autocritica?

Viviamo in un’epoca che la sociologa Eva Illouz vede caratterizzata dalla incertezza affettiva e dalla “fine dell’amore”. Non è vero che all’estendersi della libertà sessuale si sia accompagnata una crescita del benessere emotivo. Al contrario: «Oggigiorno la libertà sessuale è una sfera di interazione dove “tutto va liscio”: le parti dispongono di una grande abbondanza di risorse tecnologiche, di copioni e di immagini culturali che guidano il loro comportamento, al fine di trovare piacere in un’interazione, e per definirne i limiti. Le emozioni, tuttavia, sono diventate il piano problematico dell’esperienza sociale, un campo in cui regna la confusione, l’incertezza, per non dire il caos» ( La fine dell’amore, 12). Non penso che il problema del mondo adulto sia prima di tutto una questione di linguaggio. È piuttosto quello di fare seriamente i conti con l’eredità della rivoluzione sessuale, che prometteva la liberazione del sesso, ma ha finito per concorrere alla sua mercificazione. Se si trasmette l’idea che il sesso è l’emblema primario del desiderio e poi lo si presenta come un istinto incontenibile, un’energia senza logos e senza regole, non dobbiamo stupirci che l’esito sia l’aumento della violenza di genere e della depressione giovanile.

Affronterete il tema delle convivenze, del digitale, della pornografia e di tanto altro ma, parlando di giovani e sessualità qual è l’aspetto più problematico emerso nella vostra ricerca?

Senza dubbio, la confusione. Essa è alimentata dall’ambivalenza che contrassegna i mutamenti della cultura affettiva in cui siamo immersi. Importanti acquisizioni del costume sociale si accompagnano con spinte ideologiche, che fanno leva sui guadagni condivisi per insinuare surrettiziamente interpretazioni devianti, fino a decostruire il vincolo originario che sussiste tra l’alleanza dell’uomo e della donna, i legami della famiglia e la generazione della vita. Perso questo vincolo, che non è altro che l’orizzonte entro cui accediamo al mondo, i diversi tasselli dell’esperienza affettiva rischiano di diventare frammenti che non si compongono più in un disegno. Un esempio? Penso alla questione femminile. Una cosa è superare gli stereotipi del passato, che spesso hanno plasmato una figura femminile dedita esclusivamente alle mansioni domestiche e alle cure familiari, altro è decostruire il senso della maternità, considerandola come un ostacolo all’emancipazione della donna e alla sua realizzazione sociale. Rimuovere dall’immaginario di una ragazza la straordinaria ricchezza simbolica della gravidanza, in cui si esprime la forma femminile della fecondità, significa impoverire la sua capacità di accedere alla grammatica del suo corpo e alla dialettica del suo desiderio. Significa rieditare, in forme opposte a quelle del passato, una narrazione che censura ciò che di più intimo abita il corpo femminile.

Sul tema dell’accompagnamento dei ragazzi e delle ragazze lgbt ritiene che la pastorale debba aprirsi alla considerazione di quanto emerge dalla ricerca scientifica per quanto riguarda orientamento e identità sessuale, soprattutto in riferimento all’esigenza di considerare questi aspetti dimensione profonda della persona e non esito di una volontà di autodeterminazione?

La ricerca scientifica in realtà non è così unanime nei suoi risultati. L’at-tenzione al suo apporto, in ogni caso, è ineludibile. Non suggerirei però l’idea di affidarle semplicemente le chiavi per accedere all’intelligenza dell’umano, anche nella sua dimensione sessuale. Il mistero dell’esistenza è assai più complesso: volontario e involontario non sono componenti dell’umano che si possono giustapporre l’una all’altra, ma dimensioni che si intrecciano nella dialettica della libertà. Per questo dobbiamo trovare categorie più evolute per interpretare la misteriosa sintesi, sempre dinamica, che ogni persona realizza in sé. È giusto pertanto che, mentre ascoltiamo gli apporti di ogni disciplina che concorre al chiarimento dei temi discussi, procediamo pastoralmente sulla via, esigente ma fruttuosa, del discernimento condiviso.

Il corso di alta formazione che andrete e proporre dopo il convegno del prossimo marzo, punta a formare educatori competenti nell’accompagnamento affettivo dei giovani. Come immaginate questa proposta?

La immaginiamo all’intreccio tra rilettura della propria esperienza affettiva, approfondimento dell’antropologia cristiana e acquisizione di competenze metodologiche per costruire alleanze educative e proposte progettuali. Un investimento a servizio dei giovani e delle comunità.

avvenire.it

Sempre meno fedeli a Messa. «Ecco da dove possiamo ripartire»

Il calo delle presenze dopo il Covid, l’assenza dei giovani, il disagio per riti “scadenti”. Le diocesi si interrogano sulla partecipazione in crisi alle celebrazioni. Parla il vescovo Busca
La celebrazione della Messa in una parrocchia italiana

La celebrazione della Messa in una parrocchia italiana – Siciliani

Il campanile non chiama più come accadeva fino a pochi anni fa. Invece di un popolo intorno alla mensa eucaristica, c’è un “gregge disperso” che frequenta sempre meno le Messe nelle parrocchie italiane. E qualcuno parla di «chiese vuote». Sintesi semplicistica, a dire il vero, per raccontare il calo della partecipazione alle celebrazioni. Come ha mostrato di recente la testata online dei dehoniani Settimana News.it. Chi prende parte a un rito religioso almeno una volta alla settimana è circa il 19% della popolazione. Una cifra che si è ridotta di un terzo in diciotto anni. «È evidente la diminuzione della pratica della fede. Ma occorre ricordare che l’esperienza ecclesiale non si esaurisce entro i confini del rito. Come narra il Vangelo, Cristo è passato beneficando e risanando tutti quelli che incontrava nei contesti ordinari della vita. Ecco, la Chiesa intercetta non soltanto coloro che si siedono sulle panche ma l’intero popolo di Dio che comprende anche chi si interroga sulla verità e sul bene. Del resto non dobbiamo disconoscere che c’è una diffusa ricerca di spiritualità nel nostro Paese, di cui la Chiesa è chiamata a farsi interprete», spiega il vescovo di Mantova, Gianmarco Busca, presidente della Commissione episcopale Cei per la liturgia. E subito propone una domanda: «Dovremmo chiederci: chi si è allontanato da chi? È la gente che si è allontanata dalla Chiesa o da determinate ritualità; oppure è la Chiesa che si è allontanata dalle persone perdendo in parte la sua capacità di incontro nel nome del Vangelo? Comunque spesso siamo di fronte a comunità con legami fragili, con appartenenze deboli e talvolta anche con uno stile di fraternità a velocità variabile».

Nodi al centro del convegno del Triveneto che si tiene oggi a Verona dove arriveranno 750 rappresentanti delle quindici diocesi del Nordest con i loro pastori. È la fase finale di un itinerario dal basso che già nel titolo racconta della crisi attrattiva delle liturgie: “Ritrovare forza dall’Eucaristia”. «Nelle sintesi diocesane giunte a Roma per il Cammino sinodale della Chiesa italiana – afferma Busca – è emersa una qualità celebrativa un po’ deludente, un anonimato delle liturgie che non può essere trascurato. Si chiede maggiore attenzione da parte di chi presiede e delle assemblee. Oppure di superare una gestione clericale dei riti. Inoltre viene sottolineato un divario fra liturgia e vita che balza agli occhi soprattutto nell’omelia: in molti hanno manifestato il proprio malessere di fronte a riflessioni che non hanno una lingua materna e non riescono a sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda spirituale che si irradia nelle nostre città». Busca sarà uno dei relatori dell’appuntamento di oggi insieme con suor Elena Massimi, religiosa delle Figlie di Maria Ausiliatrice, presidente dell’Associazione professori di liturgia.

Il punto di partenza è proprio l’addio alla Messa. Un distacco che il Covid, complice la serrata nazionale nel 2020, ha amplificato. «Con la pandemia – afferma il presidente della Commissione Cei – la frequenza ai riti domenicali ha subìto un calo sensibile. Tutto ciò ha palesato disagi che erano latenti da tempo. Dopo la ripresa delle celebrazioni comunitarie, un segmento dei fedeli non è tornato. Era la loro una partecipazione abitudinaria e poco motivata? O c’è dell’altro? Qualcuno ha detto che l’emergenza sanitaria è stata un’occasione persa perché non ha contribuito a far comprendere che l’incontro con Dio avviene non soltanto nei riti mediati dal sacerdote e con la comunità, ma che c’è anche una liturgia domestica con la preghiera in famiglia al centro. E c’è un sacerdozio battesimale che andava più valorizzato. Abbiamo affollato il web di pseudo-ritualità. E in alcuni è passata l’idea che la Messa in tv fosse non solo più comoda ma equivalente. Ciò ha alimentato il rischio di una spiritualità fai-da-te che è affine a una certa cultura contemporanea di stampo individualistico. Invece l’esperienza cristiana implica una comunità in carne e ossa, che celebra il mistero attraverso la corporeità, che sta sul territorio, dove ai momenti celebrativi si aggiungono percorsi di fraternità e missione».

La celebrazione della Messa in una parrocchia italiana

La celebrazione della Messa in una parrocchia italiana – Gambassi

All’appello mancano in particolare i ragazzi: i praticanti assidui tra gli adolescenti (14-17 anni) sono passati dal 37% del 2001 al 12% del 2022 e quelli tra i 18 e 19 anni sono scesi dal 23% nel 2001 all’8% nel 2022. «L’estraneità dei giovani alla liturgia è lo specchio di una Chiesa a due velocità: quella degli “over” che vanno a Messa e quella delle nuove generazioni che si ricompattano nei grandi eventi come la Gmg o che ha forme aggregative diverse rispetto a quella liturgica – osserva il vescovo di Mantova –. Non è vero che i giovani peccano di giovanilismo. Le critiche per riti noiosi, indecifrabili, soprattutto poco vivi e coinvolgenti sono da tenere in debito conto. Fa pensare che a Lisbona i giovani abbiano partecipato con entusiasmo ogni giorno all’Eucaristia o che nei campi estivi le celebrazioni siano accolte positivamente. Inoltre sono gli stessi giovani a privilegiare contesti comunitari, come lo sono quelli liturgici».

Allora da dove ripartire? Anzitutto, dagli itinerari di avvicinamento all’Eucaristia. Con la formazione alla liturgia. «Servono proposte per riapprendere questo linguaggio dell’anima – sprona Busca –. Ogni ritualità, come quella sportiva o musicale, ha un linguaggio iniziatico: ci sono parole, gesti, azioni che vengono compresi da chi segue uno sport o la musica perché qualcuno lo ha introdotto. Anche la lingua liturgica ha necessità di essere imparata. E la si apprende frequentandola. Nel celebrare, ad esempio, si coglie il valore del silenzio, si è toccati dalla vicinanza degli altri, si viene catturati dal messaggio di una preghiera, si è aiutati dalla spiegazione della Parola. Ma c’è anche una capacità di adattamento che da sempre la liturgia ha. Essa è un corpo vivo, non un fossile e può ricorrere a parole nuove o a approcci che colgono le sensibilità di oggi. Guai però a scadere in forme di stampo televisivo o all’eccentricità».

Poi c’è la qualità dei riti che può essere riassunta nel motto “Più Messa, meno Messe”. «Succede che si tenga un’Eucaristia domenicale per otto persone e l’ora successiva per altre quindici. Moltiplicare le Messe e smembrare l’assemblea è contrario alla natura dell’Eucaristia che implica il “convergere in uno”. E la quantità rischia di andare a discapito della dignità liturgica». In aiuto possono venire l’arte e il canto. « Non sono elementi accessori ma parte della liturgia stessa – avverte il presidente della Commissione episcopale –. Essi indicano come la lode a Dio si avvalga anche di leve culturali diversificate. Perché culto e cultura vanno di pari passo». E l’altare è sorgente di carità. « Nell’Eucaristia – conclude Busca – Cristo si rende presente per farci dono della sua Pasqua. Un dono ricevuto che diventa dono restituito nel servizio e nell’abbraccio al prossimo. Essere stati alla mensa del Signore apre a una prassi di ospitalità del fratello che è chiamata a farsi annuncio del Risorto. Altrimenti tutto si riduce all’assistenzialismo o alla filantropia».

avvenire.it

Himalaya. Due sacerdoti per la prima volta in cima a un ottomila

Gli slovacchi don Ján Bystriansky e don Ján Dubecký hanno conquistato il Manaslu. Capo spedizione era il gesuita Peter Dubovský, rettore del Pontificio Istituto Biblico
I quattro sacerdoti della spedizione sul Manaslu

I quattro sacerdoti della spedizione sul Manaslu – Peter Dubovský SJ

avvenire.it

Gli slovacchi don Ján Bystriansky e don Ján Dubecký mercoledì scorso hanno raggiunto la cima del Manaslu, l’ottava montagna più alta della terra, con i suoi 8.163 metri, nell’Himalaya nepalese. «Sono i primi sacerdoti di sempre ad aver scalato un ottomila» ha comunicato il gesuita slovacco Peter Dubovský, che era a capo della spedizione, ma si è fermato a 7.400 metri. «A causa delle condizioni sanitarie e meteorologiche non ottimali ho deciso di non proseguire. Siamo già tutti e quattro al campo base» sono state le sue prime parole dopo l’impresa, riportate dal sito della Conferenza episcopale slovacca. Il quarto uomo, anche lui sacerdote, don Libor Marek, si è fermato a 6.200 metri per motivi fisici.

Padre Peter Dubovský è stato nominato dal Papa lo scorso 11 settembre rettore del Pontificio Istituto Biblico.

Verso il Sinodo. Coppie gay, sacerdozio femminile: il Papa risponde ai “dubia”

Dalla sinodalità al pentimento, il Papa sui quesiti, “dubia” di 5 cardinali. Il matrimonio è solo tra uomo e donna ma domandando una benedizione le coppie gay esprimono una richiesta di aiuto a Dio.

Il Papa domenica scorsa all'Angelus

Il Papa domenica scorsa all’Angelus – Ansa

Papa Francesco ha risposto a 5 Dubia che gli avevano fatto pervenire nel luglio scorso cinque cardinali, di cui due con meno di 80 anni e quindi elettori. Dubia riguardanti alcuni temi che sono stati sollevati nel corso del percorso che ha portato alla celebrazione del Sinodo dei vescovi che si apre mercoledì 4 ottobre. In particolare la questione della benedizione delle coppie omosessuali, quella dell’ordinazione delle donne al sacerdozio e quella dell’assoluzione sacramentale data a tutti e sempre, senza condizioni. I porporati firmatari sono il tedesco Walter Brandmüller (94 anni) e lo statunitense Raymond Leo Burke (75) con l’appoggio, il messicano Juan Sandoval Íñiguez (90), il guineano Robert Sarah (78) e il cinese Joseph Zen Ze-kiun (91). Le domande dei porporati, in italiano, e le risposte del Papa, in spagnolo, sono state pubblicate ieri nel primo pomeriggio sul sito del Dicastero per la Dottrina della Fede dopo che in mattinata il blog Settimo Cielo di Sandro Magister aveva messo in rete una nuova formulazione dei Dubia che i cardinali avevano sottoposto al Pontefice il 21 agosto perché insoddisfatti della prima risposta che avevano ricevuto a luglio. VaticanNews ha pubblicato una traduzione in italiano (tinyurl.com/m3k9kkmu). Nelle risposte offerte dal Papa a luglio si ricorda che «la Chiesa ha una concezione molto chiara del matrimonio: un’unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta a generare figli». Tuttavia «nel rapporto con le persone, non si deve perdere la carità pastorale, che deve permeare tutte le nostre decisioni e atteggiamenti». Pertanto «la prudenza pastorale deve discernere adeguatamente se ci sono forme di benedizione, richieste da una o più persone, che non trasmettano un concetto errato del matrimonio».

Perché «quando si chiede una benedizione, si sta esprimendo una richiesta di aiuto a Dio, una supplica per poter vivere meglio, una fiducia in un Padre che può aiutarci a vivere meglio». D’altra parte «sebbene ci siano situazioni che dal punto di vista oggettivo non sono moralmente accettabili, la stessa carità pastorale ci impone di non trattare semplicemente come “peccatori” altre persone la cui colpa o responsabilità può essere attenuata da vari fattori che influenzano l’imputabilità soggettiva».
Papa Francesco poi ricorda che quando san Giovanni Paolo II «insegnò che bisogna affermare “in modo definitivo” l’impossibilità di conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne, in nessun modo stava denigrando le donne e conferendo un potere supremo agli uomini». D’altra parte, «per essere rigorosi, riconosciamo che non è stata ancora sviluppata esaustivamente una dottrina chiara e autorevole sulla natura esatta di una “dichiarazione definitiva”». Che, «non è una definizione dogmatica, eppure deve essere accettata da tutti». Così «nessuno può contraddirla pubblicamente e tuttavia può essere oggetto di studio, come nel caso della validità delle ordinazioni nella Comunione anglicana».
Da segnalare che nel sito del Dicastero per la dottrina della fede (tinyurl.com/5f6nxve2) oltre alla risposta ai Dubia dei 5 porporati sono stati pubblicati altri documenti successivi all’insediamento del nuovo prefetto, l’argentino Victor Manuel Fernandez, creato cardinale sabato scorso. Documenti che riguardano la questione della comunione ai divorziati risposati (viene ribadita che la linea da seguire è quella indicata dai vescovi della Regione pastorale di Buenos Aires) e il caso di un presunto veggente in diocesi di Como.
© riproduzione riservata

avvenire.it

3 ottobre, memoria e accoglienza. Migranti, ecco i 10 punti delle suore

NeI decennale della strage di Lampedusa, le raccomandazioni delle suore dell’Uisg rivolte a governi, istituzioni e ong per favorire una gestione più efficace ed equilibrata del fenomeno
Sr Maryanne Loughry e Sr Charity Katongo Nkandu all'evento UISG di luglio 2023

Sr Maryanne Loughry e Sr Charity Katongo Nkandu all’evento UISG di luglio 2023 – Foto Uisg

avvenire.it

Dieci raccomandazioni per ricevere con umanità e competenza i migranti, da una parte aiutandoli ad integrarsi nel territorio che li ospita, dall’altra sfatando pregiudizi e “fake news” che circondano il fenomeno. Il decalogo è stato messo a punto dall’Unione internazionale delle Superiori Generali (Uisg), che in occasione della Giornata della Memoria e dell’Accoglienza, celebrata ogni 3 ottobre in ricordo di tutte le vittime delle migrazioni, propone un “policy brief” destinato a governi, istituzioni internazionali, ong e in generale a tutte le persone che si trovano ad avere a che fare con richiedenti asilo.
Le raccomandazioni sono emerse dal Sister-led Dialogue on Migration, il secondo di un ciclo di appuntamenti su temi chiave dello sviluppo internazionale organizzati all’interno dell’iniziativa UISG Sisters Advocating Globally, realizzata in collaborazione con il Global Solidarity Fund.

“Presentiamo il nostro policy brief prima del decennale del tragico naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, in cui persero la vita centinaia di migranti – ha ricordato Suor Carmen Elisa Bandeo, coordinatrice della Rete internazionale migranti e rifugiati della Uisg. – Non possiamo voltare le spalle a chi mette a rischio la propria vita per cercare speranza e dignità, né vogliamo dimenticare tutte le crisi umanitarie che, in ogni parte del mondo, alimentano i flussi di persone in fuga alla ricerca di sicurezza. Migranti, rifugiati e richiedenti asilo possiedono una grandissima esperienza umana che possono condividere con tutti noi, così da alimentare e nutrire la nostra vita. Perché questo sia possibile, è necessario che ci liberiamo dai pregiudizi, dalle paure, mettendoci accanto a chi è più vulnerabile; solo così riusciremo a costruire un mondo che non escluda nessuno”.

Ecco il “decalogo” che si invita ad adottare:

 

1. Sostenere chi si sposta dentro ed oltre i confini internazionali attraverso educazione linguistica, formazione di nuove competenze e progetti di sviluppo che possano migliorare la resilienza alle sfide della migrazione.
2. Sostenere le persone in transito fornendo informazioni accurate e tempestive, in particolare sui pericoli del viaggio verso l’Europa, al fine di contrastare la disinformazione dilagante.
3. Promuovere l’integrazione di migranti e rifugiati favorendo un senso di sicurezza e appartenenza, in particolare attraverso l’azione comunitaria affettiva e relazionale.
4. Coinvolgere le comunità di immigranti e quelle ospitanti in attività interculturali condivise, che possano contribuire a colmare le differenze sociali e culturali.
5. Sfruttare il potenziale informativo ed educativo delle piattaforme mediatiche per aumentare la consapevolezza politica sulle realtà dell’immigrazione.
6. Sostenere un cambiamento linguistico che si sposti dai discorsi di paura, minaccia, emergenza e guerra verso conversazioni orientate su inclusione, integrazione, sviluppo e arricchimento reciproco.
7. In particolare, esemplificare e promuovere un cambiamento nelle narrazioni mediatiche creando spazio per le persone con esperienze vissute di migrazione e dando voce non solo alle loro preoccupazioni, ma anche alle soluzioni proposte.
8. Stabilire alleanze tra agenzie umanitarie, istituzioni religiose e organizzazioni mediatiche per resistere insieme alla propaganda anti-migranti e sviluppare una visione condivisa per superare gli ostacoli legislativi.
9. Collaborare con i governi dei Paesi di transito non-europei nell’adozione e nell’implementazione di misure etiche per rispettare la dignità di ogni persona ed arginare la tratta e gli abusi.
10. Fare pressione sui governi dell’Unione Europea affinché istituiscano leggi che riflettano i valori etici e la visione umanitaria dell’UE, consentendo accesso equo, paritario e legale a tutti i migranti, indipendentemente dal motivo dell’immigrazione.

 

 

Si tratta di racomandazioni quanto mai necessarie, di fronte a una crisi che continua a manifestarsi in modo acuto. Secondo i dati diffusi dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), tra gennaio e dicembre 2022 quasi 3.800 persone hanno perso la vita sulle rotte migratorie nella vasta regione cosiddetta MENA, ovvero Medio Oriente e Nord Africa, con un aumento dell’11% rispetto all’anno precedente. È il numero più alto dal 2017, quando furono registrati 4.255 decessi. In tutto il mondo, oltre 50.000 migranti hanno perso la vita tra il 2014 e il 2022, senza contare quelli persi in mare, rapiti o scomparsi durante il viaggio della speranza. E’ il dramma immane degli “invisibili dalla nascita alla morte”, per utilizzare le parole di Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre, fondato in seguito alla tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013, di cui ricorrerà quest’anno il tragico decennale.

 

I dialoghi guidati dalle suore della Uisg, concepiti come uno spazio per riflettere su questioni chiave dello sviluppo internazionale, culmineranno nel primo Advocacy Forum della Uisg in programma il 23 e 24 ottobre 2023 a Roma. Sotto il titolo “Religious Women: Leadership and Development”, la Uisg riunirà il suo network globale a Roma per due giorni di incontri e confronti, con l’obiettivo di identificare le aree prioritarie per l’advocacy a livello nazionale, regionale e internazionale che possano portare “a un cambiamento sistemico, collegando la saggezza tradizionale e la spiritualità alle nuove esigenze che derivano dalla rapida trasformazione delle nostre società”.

Note, ma non sul diario. Le mie canzoni di classe. Musica scelta con gli studenti

Un concerto della band dei Pinguini tattici nucleari, tra i più amati dai giovani millennials

Un concerto della band dei Pinguini tattici nucleari, tra i più amati dai giovani millennials – ANSA

avvenire.it

Un prof di religione apre un dialogo musicale con i suoi studenti di scuola media stilando una speciale playlist: 99 canzoni passando dai cantautori storici al rap, fino all’indie Un’esperienza che è diventata un libro e anche una possibile alternativa didattica Ho 38 anni: per i miei genitori sono ancora un bambino, i colleghi insegnanti mi considerano mediamente giovane. Ma per i miei studenti delle medie sono certamente un dinosauro. Me ne resi conto la prima volta che misi piede in un’aula, dall’altra parte della cattedra: per fare un complimento a un ragazzo gli dissi: «Sei molto fantasioso, mi ricordi Roberto Baggio». E lui: «Baggio chi?». Per me fu un colpo al cuore: come poteva ignorare il mio mito? Da una generazione all’altra, come è normale che sia, i riferimenti cambiano. Anche nella musica. Una volta un alunno mi confessò che adorava ascoltare i dischi di Fabrizio De Andrè: solo per questo avrei voluto che venisse promosso con lode. Ma è l’eccezione. Viene quasi da chiudersi nella nostalgia, in quel consolante «ai miei tempi », che spesso introduce rassicuranti bugie. Perché non necessariamente quei tempi erano davvero così belli (chi rimpiange i muri dei locali che puzzavano di fumo?), e non tutto oggi è da buttare. Non esistono solo i tormentoni superficiali, che peraltro ci sono sempre stati: tante canzoni degli ultimi dieci anni – di cantanti emergenti, emersi o anche di vecchie star – affrontano temi non semplici. Di Alzheimer e demenza, per esempio, parlano – anzi, cantano – i Pinguini Tattici Nucleari ( Ricordi) e Lorenzo Baglioni – i più lo conoscono per la canzone sul congiuntivo – con Paolo Ruffini, portando in scena una relazione commovente con dialoghi ripetuti, perché alla persona amata si chiude la porta della memoria e fa sempre le stesse domande («Non ti scordare di volermi bene»). Anche gli argomenti dei quali a scuola si parla spesso sono al centro di canzoni che dicono molto. Prendiamo il bullismo, per esempio. Quattro anni fa il rapper Marco Sentieri portò a Sanremo Billy Blu, una storia divisa in tre parti. Nella prima Billy, a scuola, viene preso in giro, spintonato, umiliato. Un salto di diversi anni, e troviamo un uomo disperato, sul punto di farla finita. Billy lo vede, e lo chiama: «Ti ricordi di me?». Finisce per salvare la stessa persona che lo aveva preso di mira ai tempi della scuola. Perché questo gesto di affetto? Perché quello fragile in realtà era il bullo, che svuota il sacco al nuovo amico: parla di una famiglia assente («tuo padre che non c’era») o incapace di educare («tua madre piena d’ansia/ che ti dava ragione anche quando avevi torto/ Tutti i tuoi casini sono il frutto di quell’orto»). Ci sono spunti per parlare con i ragazzi di perdono – chi di noi sarebbe capace di agire come Billy? – e anche di chiedersi come mai, nel video, Marco Sentieri si rivolga tutto il tempo a un ragazzo col cappuccio, seduto di spalle, che alla fine si scopre avere il volto del cantante stesso. Come interpretare questo passaggio? Forse anche dentro ciascuno di noi c’è un potenziale bullo? Lasciate la domanda in mano ai ragazzi, non sarete delusi. Negli ultimi anni si è cantato di tutto: disagio giovanile ( Cherofobia, Martina Attili), immigrazione ( Stiamo tutti bene, Mirkoeilcane), gioco d’azzardo ( Il giovane Mario, Brunori Sas). Per parlare di Africa e povertà il pezzo da novanta è il video di Life is sweet del trio Fabi-Silvestri-Gazzè, che non saranno dei ragazzini ma la sanno lunga, anche perché raccontano il Sud Sudan essendoci stati, e in quel ponte che «collega i modi di pensare » sembra risuonare l’invito di Papa Francesco – successivo però alla canzone – di costruire «ponti, non muri», di dialogare tra persone di culture e fedi diverse. Valerio Mazzei, tiktoker, influencer e quant’altro, in «12 luglio» parla della madre, morta quando lui aveva 11 anni; fa venire un colpo al cuore sentirlo cantare: «Gli occhi li ho presi da te/ ma non ti vedo più». Penso ai tempi delle mie supplenze alle elementari, e a quando il giorno della festa della mamma, dedicato a disegni e lavoretti da portare a casa, per qualcuno non era così gioioso. E la religione? Dio e il senso della vita sono davvero così assenti? Non si direbbe. In Supermarket flowers Ed Sheeran – non uno qualunque – parla della morte della nonna, mettendosi nei panni di sua madre. Pronuncia una preghiera: «Canterò Hallelujah/ Eri un angelo sotto forma di mia mamma/ Quando cadevo, tu eri lì a sorreggermi/ Spiega le tue ali mentre vai/ E quando Dio ti riavrà, diremo: “Hallelujah, sei a casa”». La sofferenza della figlia, che sta sistemando la casa ormai vuota, togliendo i fiori del supermercato dal davanzale e versando nel lavandino il the del giorno prima, è una testimonianza, perché «un cuore che si è spezzato/ è un cuore che è stato amato». E alla fine della canzone è Dio stesso a esprimersi con la stessa lode pronunciata dai parenti della defunta: «Spiega le tue ali e io so/ che quando Dio ti ha riavuto ha detto: / “Hallelujah, sei a casa”». C’è chi ha accostato il testo di Supereroi (Mr. Rain) a una preghiera di don Tonino Bello, e chi ha ballato sulle note di Jerusalema (Master Kg), il più grande tormentone del 2020: «Gerusalemme è la mia casa/ Non lasciarmi qui/ […] Il mio regno non è qui/ Salvami». E nel 2017 Biagio Antonacci presentò Mio fratello, unarilettura della parabola del padre misericordioso. I protagonisti del video sono Rosario e Beppe Fiorello. Quale dei due sta interpretando la parte del figlio che prende i soldi e se ne va? L’ho chiesto ai ragazzi, e uno di loro mi ha fatto capire che avevo dato la risposta sbagliata. A scuola c’è sempre da imparare. Soprattutto per me.

Teologia. Un tempo senza tempo? Non è l’eternità del Dio cristiano

Per la Bibbia “immutabilità” non indica assenza di cambiamento, ma “fedeltà”. L’eternità non è assenza di tempo ma un tempo altro: e i momenti di felicità permettono d’immaginarlo fin d’ora
Miami

Miami – Andre Benz / Unsplash

avvenire.it

Irriverente, sarcastico, a volte perfino osceno, tuttavia animato da profondo e autentico senso religioso. Ancora oggi il poeta romanesco Giuseppe Gioacchino Belli (1791-1863) addita con sagacia i conti che non tornano. Nessuno scampava alla sua penna appuntita, nemmeno il papa che era suo sovrano e datore di lavoro. Nel suo mirino c’erano anche alcuni aspetti della predicazione e della catechesi del tempo, che gli sembravano incongruenti con la vita, col buon senso e quindi con Dio. In un sonetto urticante, La morte co la coda, composto nel 1846, egli prende a bersaglio l’immagine di eternità allora diffusa (solo allora?). La poesia parla della movimentata, complessa vicenda umana: dolori, amori, ricchi e poveri, astuti e sfruttati, tormenti e piaceri… Tutto precipita nel medesimo imbuto: la morte. Ma ecco una differenza: l’Inferno e il Paradiso che diversificano i destini. Eppure proprio qui cominciano «i guai», perché la vita dell’altro mondo dura sempre e non finisce «mai». È esattamente quel «mai» a sconcertare il poeta. Insomma, a dannati e beati è riservata ancora una medesima sorte, «sta cana eternità» che «ddev’esse eterna!»: questa cagna eternità, purtroppo eterna.

Per il Belli il problema non è che l’aldilà duri per sempre, ma che sia totalmente opposto al carattere “mosso” e mutevole della pur faticosa esistenza terrena. In aggiunta tale immobilità durerà sempre, un’immutabilità perenne. Sinceramente, come dargli torto? Nel sonetto lo spirito insorge e si ribella contro un esito così spento e fisso. È l’assenza di movimento, e quindi di tempo, a terrorizzare il Belli. Il suo spavento deriva dall’identificazione, allora diffusa (solo allora?), tra eternità, assenza di tempo e mancanza di cambiamento.

Tale coincidenza però ha poco a che vedere con il Dio cristiano. Certo, egli è immutabile, ed entrare nella sua vita significa goderne l’immutabilità. Tuttavia, per le Sacre Scritture “immutabilità” non indica assenza di cambiamento, ma “fedeltà”. Dio è immutabile perché, una volta stabilito un legame, non cambia, rimanendo fedele a ogni costo, perfino a costo della morte del Figlio. È risaputo che bisogna cambiare, proprio per restare fedeli a una persona o a una situazione. Perciò Dio è diventato addirittura carne.

Secondo la Bibbia, il cambiamento, e quindi il movimento, è requisito dell’immutabilità. La Rivelazione ebraico-cristiana giudica e converte le categorie filosofiche e culturali alla luce dei legami, poiché Dio è colui che ama legarsi. Questo vale anche per l’aggettivo “eterno” che non significa “senza tempo”, “fuori dal tempo”, bensì “un tempo che dura”, un tempo così gravido da non potersi misurare con minuti, ore, giorni e anni.

Qualcosa del genere capita quando siamo felici. Da un punto di vista strettamente cronologico magari siamo felici solo per brevi momenti – parliamo di “attimi di felicità”. Eppure, il tempo della felicità è così intenso da insaporire a lungo il palato dell’anima. Un istante di felicità è più vitale, energico, denso di molti anni messi insieme. L’eternità è un tempo altro, e i momenti di felicità permettono d’immaginarlo fin d’ora. Non solo: senza il tempo Dio potrebbe essere, come san Giovanni lo definisce nella sua prima lettera (1Gv 4,8), “amore”? L’attesa della persona amata – quanto sta attendendo Dio? – non si misura con l’orologio, poiché quel tempo è amore. La memoria dell’amata o dell’amato non si calcola con i giorni trascorsi dal­l’evento ricordato, perché quel tempo è amore.

Se non ci fosse il tempo non ci sarebbe nessuna sorpresa: un’immobile conoscenza che sa già tutto in anticipo non si aspetterebbe niente di nuovo da nessuno. Chi osa negare a Dio la capacità di sorprendersi, quando fin dalla prima pagina delle Sacre Scritture (Gen 1,4-31), si legge che egli stesso si stupì davanti alla meravigliosa bellezza dell’opera delle sue mani? Com’è possibile amare ed essere incapaci di stupore e sorpresa? Si potrà mai amare senza il coraggio che è l’imprevedibile inizio di tutto e inaugura qualcosa di nuovo nell’istante di una decisione che protesta contro ogni inerzia e alibi? L’istante del coraggio non si misura in secondi e minuti, perché è amore. E noi, in nome di una stramba idea di eternità, vorremmo negare a Dio l’attesa, la memoria, la sorpresa e il coraggio? Con la sua poetica graffiante, Belli non ci sta. E nemmeno Dio.

*Il testo di Giovanni Cesare Pagazzi, teologo e segretario del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, è l’editoriale del numero 287 di Luoghi dell’Infinito, in edicola da martedì 3 ottobre, dal titolo “Sguardi sull’eternità”.

Veglia ecumenica. Verso il Sinodo in preghiera con papa Francesco, nello stile di Taizé

Presenti tanti giovani, il patriarca ecumenico Bartolomeo I e il primate anglicano Welby. L’invocazione per la pace in Ucraina
Giovani portano in processione l’immagine della Vergine con il Bambino all’inizio della Veglia di preghiera ecumenica

Giovani portano in processione l’immagine della Vergine con il Bambino all’inizio della Veglia di preghiera ecumenica – Agenzia Romano Siciliani

avvenire.it

Il silenzio. Quello che scende per lunghi minuti sui partecipanti alla Veglia di preghiera nello stile di Taizé, in una piazza San Pietro addobbata da alberi e gremita da 18mila fedeli, soprattutto giovani da tutto il mondo. E quello che viene sottolineato dal Papa. Che ne richiama il valore nella vita del credente e della Chiesa e nel cammino di unità dei cristiani.

Francesco l’ha osservato lui per primo, durante lo svolgimento della preghiera “Togheter” (“Insieme”, come il titolo della veglia stessa, che ha una forte componente ecumenica, con la presenza del patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo e altri capi delle confessioni cristiane, e il Papa seduto accanto a loro come un fratello tra fratelli), e ora prendendo la parola per l’omelia, sottolinea: «Il silenzio è essenziale nella vita del credente. Il nostro non è stato un tacere vuoto, ma un momento carico di attesa e di disponibilità. In un mondo pieno di rumore non siamo più abituati al silenzio, anzi a volte facciamo fatica a sopportarlo, perché ci mette di fronte a noi stessi. Eppure esso sta alla base della parola e della vita». Un silenzio che serve anche per l’evangelizzazione.

«D’altronde – fa notare il Pontefice – la verità non ha bisogno, per giungere al cuore degli uomini, di grida violente. Dio non ama i proclami e gli schiamazzi, le chiacchiere e il fragore: preferisce piuttosto, come ha fatto con Elia, parlare nel “sussurro di una brezza leggera”». E allora anche ogni singolo credente deve «liberarsi da tanti rumori per ascoltare la sua voce. Perché solo nel nostro silenzio risuona la sua Parola».

Ma il silenzio è essenziale anche nella vita della Chiesa perché, spiega Francesco, «rende possibile la comunicazione fraterna, in cui lo Spirito Santo armonizza i punti di vista». E questo è importante anche in vista del Sinodo, che sta per iniziare. «Essere sinodali vuol dire accoglierci gli uni gli altri così, nella consapevolezza che tutti abbiamo qualcosa da testimoniare e da imparare, mettendoci insieme in ascolto dello “Spirito della verità” per conoscere ciò che Egli “dice alle Chiese». Nel silenzio infatti, è ancora la sottolineatura del Papa, si attua il discernimento, «attraverso l’ascolto attento dei “gemiti inesprimibili” dello Spirito che riecheggiano, spesso nascosti, nel Popolo di Dio». Perciò il Pontefice chiede allo Spirito «il dono dell’ascolto per i partecipanti al Sinodo: ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido del popolo; ascolto del popolo, fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama».

Infine la necessità del silenzio nel cammino ecumenico. «L’unità dei cristiani – ricorda Francesco – cresce in silenzio davanti alla croce, proprio come i semi che riceveremo (uno dei gesti significativi della veglia, ndr) e che raffigurano i diversi doni elargiti dallo Spirito Santo alle varie tradizioni: a noi il compito di seminarli, nella certezza che Dio solo dona la crescita. Essi saranno un segno per noi, chiamati a nostra volta a morire silenziosamente all’egoismo per crescere, attraverso l’azione dello Spirito, nella comunione con Dio e nella fraternità tra di noi».

«Chiediamo che il Sinodo sia kairós di fraternità – auspica dunque il Pontefice -, luogo dove lo Spirito Santo purifichi la Chiesa dalle chiacchiere, dalle ideologie e dalle polarizzazioni. Mentre ci dirigiamo verso l’importante anniversario del grande Concilio di Nicea, chiediamo di saper adorare uniti e in silenzio, come i Magi, il mistero del Dio fatto uomo. Più saremo vicini a Cristo, più saremo uniti tra noi». La veglia è stata preceduta da quattro “grazie” per i doni che Dio ha concesso all’umanità. Poi Bartolomeo ha invocato l’Adsumus. E si è pregato intensamente per il Sinodo, per le vittime di violenza e abusi e per la pace in Ucraina e nelle altre zone di guerra. Una preghiera ecumenica affinché si possa camminare insieme verso l’unità.

Liturgia DOMENICA 08 Ottobre 2023 Messa del Giorno XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A

Colore Liturgico Verde

Scarica il foglietto della Messa >
Scarica le Letture del Lezionario >
Scarica il Salmo Responsoriale Cantato >

Antifona
Tutte le cose sono in tuo potere
e nessuno può opporsi alla tua volontà.
Tu hai fatto il cielo e la terra
e tutte le meraviglie che si trovano sotto il firmamento:
tu sei il Signore di tutte le cose. (Cf. Est. 4,17b-c)

Si dice il Gloria.

Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
che esaudisci le preghiere del tuo popolo
oltre ogni desiderio e ogni merito,
effondi su di noi la tua misericordia:
perdona ciò che la coscienza teme
e aggiungi ciò che la preghiera non osa sperare.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Oppure:

Padre giusto e misericordioso,
che non abbandoni mai la tua Chiesa,
vigna che la tua destra ha piantato,
custodisci e proteggi ogni suo tralcio,
perché, innestato in Cristo, vite vera,
porti frutti buoni nel tempo e nell’eternità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Si dice il Credo.

Prima Lettura
La vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele.
Dal libro del profeta Isaìa
Is 5,1-7

Voglio cantare per il mio diletto
il mio cantico d’amore per la sua vigna.
Il mio diletto possedeva una vigna
sopra un fertile colle.
Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi
e vi aveva piantato viti pregiate;
in mezzo vi aveva costruito una torre
e scavato anche un tino.
Egli aspettò che producesse uva;
essa produsse, invece, acini acerbi.
E ora, abitanti di Gerusalemme
e uomini di Giuda,
siate voi giudici fra me e la mia vigna.
Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna
che io non abbia fatto?
Perché, mentre attendevo che producesse uva,
essa ha prodotto acini acerbi?
Ora voglio farvi conoscere
ciò che sto per fare alla mia vigna:
toglierò la sua siepe
e si trasformerà in pascolo;
demolirò il suo muro di cinta
e verrà calpestata.
La renderò un deserto,
non sarà potata né vangata
e vi cresceranno rovi e pruni;
alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia.
Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti
è la casa d’Israele;
gli abitanti di Giuda
sono la sua piantagione preferita.
Egli si aspettava giustizia
ed ecco spargimento di sangue,
attendeva rettitudine
ed ecco grida di oppressi.

Parola di Dio.

Salmo Responsoriale
Dal Sal 79 (80)
R. La vigna del Signore è la casa d’Israele.
Hai sradicato una vite dall’Egitto,
hai scacciato le genti e l’hai trapiantata.
Ha esteso i suoi tralci fino al mare,
arrivavano al fiume i suoi germogli. R.

Perché hai aperto brecce nella sua cinta
e ne fa vendemmia ogni passante?
La devasta il cinghiale del bosco
e vi pascolano le bestie della campagna. R.

Dio degli eserciti, ritorna!
Guarda dal cielo e vedi
e visita questa vigna,
proteggi quello che la tua destra ha piantato,
il figlio dell’uomo che per te hai reso forte. R.

Da te mai più ci allontaneremo,
facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome.
Signore, Dio degli eserciti, fa’ che ritorniamo,
fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi. R.

Seconda Lettura
Mettete in pratica queste cose e il Dio della pace sarà con voi.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési
Fil 4,6-9

Fratelli, non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti.
E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.
In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri.
Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!

Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
Alleluia, alleluia.

Io ho scelto voi, dice il Signore,
perché andiate e portiate frutto
e il vostro frutto rimanga. (Cf. Gv 15,16)

Alleluia.

Vangelo
Darà in affitto la vigna ad altri contadini.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 21,33-43

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto per mio figlio!. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

Parola del Signore.

Sulle offerte
Accogli, o Signore, il sacrificio
che tu stesso ci hai comandato di offrirti
e per questi misteri che celebriamo con il nostro servizio sacerdotale
porta a compimento la tua opera di santificazione.
Per Cristo nostro Signore.

Antifona alla comunione
Buono è il Signore con chi spera in lui,
con colui che lo cerca. (Lam 3,25)

Oppure:

Uno solo è il pane,
e noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo:
tutti partecipiamo all’unico pane e all’unico calice. (Cf. 1Cor 10,17)

*A
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo. (Cf. Mt 21,42)

Dopo la comunione
Concedi a noi, Padre onnipotente,
che, inebriati e nutriti da questi sacramenti,
veniamo trasformati in Cristo
che abbiamo ricevuto come cibo e bevanda di vita.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.

Fonte: chiesacattolica.it

Vaticano Sinodo, su il sipario! E’ tutto pronto per la grande assemblea voluta dal Papa che deciderà il futuro della Chiesa


(Matteo Matzuzzi – Il Foglio) Questa mattina la creazione di nuovi cardinali, stasera la veglia ecumenica in piazza San Pietro. E poi qualcosa succederà. Lo dicono tutti, osservatori esperti di cose di Chiesa, preti che sfogliano Avvenire, vescovi con il trolley pronto per Roma. “Tante cose possono accadere, non lo sappiamo”, conferma uno che di Sinodi se ne intende, come il cardinale Christoph Schönborn. Apre il Sinodo sulla sinodalità, prima puntata, da mercoledì prossimo al 29 ottobre. Quattro settimane piene che metterebbero a dura prova la tempra e la resistenza di chiunque, tant’è che sono previsti momenti di “svago”, se così si può dire: intanto il ritiro spirituale a Sacrofano, il pellegrinaggio nelle catacombe sull’Appia antica, il Rosario nei Giardini vaticani davanti alla riproduzione perfetta della Grotta di Lourdes. La seconda puntata, quella presumibilmente decisiva, si celebrerà fra un anno, quando si tireranno le somme del grande dibattito aperto dal Papa tempo fa e svoltosi, fra alti e bassi, in tutto il mondo. Qualcosa succederà, ma nessuno sa cosa. Ufficialmente e aulicamente, nessuno lo sa perché a guidare menti e cuori sarà lo Spirito santo – Francesco lo ripete ogni qualvolta che affronta il tema – ma realisticamente è impossibile fare previsioni. “E’ un’altra occasione di grazia per la Chiesa, un tempo per certi versi simile a quello che è stato il tempo dell’ultimo Concilio, in cui è riecheggiata in maniera insistente la domanda: ‘Chiesa, cosa dici di te stessa?’”, ha detto pochi giorni fa il cardinale Matteo Zuppi aprendo il Consiglio permanente della Cei: “La prossima assemblea del Sinodo dei vescovi – ha aggiunto – si troverà a far risuonare una domanda simile, sulla natura e sulla missione di una Chiesa che voglia essere tutta sinodale, declinando insieme comunione, partecipazione e missione”. Centinaia di teste pensanti, ogni angolo del pianeta rappresentato, idee sul destino della Chiesa sovente agli antipodi. Per una volta, dagli stessi dubbi e dalle medesime insicurezze sono accomunati conservatori e progressisti, ammesso che tali categorie vogliano ancora dire qualcosa, in tempi in cui più o meno tutto è fluido, liquido e relativo. Cosa succederà? Cosa stabilirà il Papa, una volta che le settimane di discussioni, proposte e voti avranno avuto luogo nell’Aula Paolo VI? Perché sarà lì che si celebrerà l’evento, non più nell’Aula Nuova che vide scrutini drammatici e colpi bassi fra porporati nel Sinodo biennale sulla famiglia, agli albori del pontificato bergogliano. Nell’Aula Paolo VI (o Nervi) perché i padri – e le madri – saranno tanti, troppi per essere ospitati altrove. 449 i partecipanti: avranno diritto di voto in 365. Venti i delegati delle Chiese orientali, due vescovi cinesi scelti “dalla Chiesa locale d’intesa con le autorità”, una cinquantina i nomi scelti personalmente dal Papa che ha anche selezionato per la prima volta settanta fedeli non vescovi (fra cui cinque consacrate e cinque consacrati). 54 le donne votanti. Sinodo molto eco friendly , tant’è che è stato diffuso perfino un documento in cui si spiega come saranno ridotte le emissioni di anidride carbonica. Niente carta ma tanti tablet da cui si potrà votare e leggere i documenti. Confermata l’alternanza di lavori in plenaria e dibattiti più approfonditi nei trentacinque circoli minori, formati ciascuno da undici persone più un “facilitatore”: quattordici saranno in lingua inglese, otto in italiano, sette in spagnolo, cinque in francese e uno in portoghese. E in tedesco? Nessuno. Uno dei presidenti delegati, l’ordinario di Dogmatica all’Università Gregoriana, don Giuseppe Bonfrate, disse a luglio che “la rappresentanza è una qualità densa che non potrebbe comprendersi senza sentirsi parte di quell’effervescenza di Spirito Santo che, nell’unione a Cristo e a tutto il genere umano, è la sacramentalità, al cui genere il Concilio Vaticano II associa la Chiesa”. Ci sarà anche Luca Casarini, l’ex leader no global ora convertitosi, che sarà lì a nome di “Mediterranea Saving Humans”. Cooptati anche rappresentanti del “mondo digitale”, perché lo Spirito del tempo richiede anche questo. Non è più l’ora, insomma, di chiusure e di giornalisti costretti a nascondersi nei confessionali di San Pietro per carpire segreti e furibonde liti tra eminentissimi e reverendissimi. La platea è ampia, così come l’ordine del giorno. Era inevitabile che accadesse, dopo anni di consultazioni del Popolo di Dio, infallibile in credendo, che ha partecipato – più o meno attivamente a seconda dei luoghi e dei contesti – alla stesura della lista di richieste da presentare al vertice della cattolicità. Il laicato che il Vaticano II cercava di coinvolgere e che oggi pressoché ovunque si ritiene coinvolto se può organizzare i turni di lettura all’ambone, il coro e tenere in tasca le chiavi di chiesa e oratorio, ha detto la sua. Il cahier des doléances è scontato e nell’ Instrumentum laboris , traccia che dovrebbe – mai come in questa circostanza il condizionale è d’obbligo – ispirare i lavori sinodali, si trova tutto quel che i settori più movimentisti della Chiesa domandano da tempo: fine del celibato sacerdotale, partecipazione delle donne al governo, ai processi decisionali, alla missione e ai ministeri a tutti i livelli della Chiesa, minoranze, disabilità, “eliminazione di barriere, da quelle pratiche ai pregiudizi culturali”, crisi climatica. Tornano perfino i temi del doppio Sinodo sulla famiglia del biennio 2014-15: nuovo approccio alla morale, divorziati risposati, matrimoni poligamici. Utile qui, per fare un po’ di chiarezza, il saggio del teologo Alberto Frigerio, “Morale coniugale. Fondamenti antropologico-teologici e questioni pratico-pastorali”, recentemente pubblicato da Cantagalli (156 pp., 17 euro). Si comprende insomma che solo capire da dove partire è un’impresa titanica, pari forse alla costruzione delle Piramidi nell’Antico Egitto o all’edificazione di una cattedrale gotica nell’Europa medievale. C’è di tutto, in quello che settori molto a destra hanno definito “il vaso di Pandora” da cui uscirà il Male in ogni sua forma, una Babele di richieste che non si sa in che forma potranno essere accettate. Ma anche a sinistra – sempre per usare metafore parlamentari che al Papa dispiacerebbero assai – c’è chi pensa che aver portato tutto al Sinodo è la migliore ricetta per far sì che alla fine il risultato più annunciato alla vigilia sarà quello che si verificherà: una sorta di pareggio con diluizione delle istanze più hard in un documento che riconoscerà la validità e la bontà di certi afflati del Popolo di Dio ma che andranno pensati, soppesati, meditati per qualche tempo. Chissà se per i tempi eterni di Santa Madre Chiesa. Si vedrà, non è tempo né luogo per le divinazioni. Il cardinale Schönborn, in una lunga intervista concessa ai media vaticani, ha detto che si tratterà di capire “cosa vuole per noi il Signore oggi, per la Chiesa” e che “dunque il Sinodo è un tentativo di approfondire, di imparare, di sperimentare questo cammino del discernimento”. Sinodo che è e resta “consultivo”, precisa l’arcivescovo di Vienna, anche se – e già questo fa capire quanto importante sarà quanto avverrà in Vaticano tra pochi giorni – c’è chi come il cardinale Francesco Coccopalmerio, canonista e presidente emerito del Pontificio consiglio per i Testi legislativi, lo scorso 19 settembre alla Lumsa ha riconosciuto la possibilità che prima o poi il Sinodo diventi uno strumento deliberativo con i laici pienamente integrati al suo interno. Quel che è certo è che i faldoni che i padri si ritroveranno sui banchetti è paragonabile agli schemi che fecero il Vaticano II. Questo è un Sinodo, i tempi per il Vaticano III non sono maturi ha detto il Papa, ma la stessa richiesta di cambiamenti profondi – e che cambiamenti – riporta agli anni Sessanta, al Gaudet Mater Ecclesia di Giovanni XXIII e alla domanda di rinnovamento. Giovanni Maria Vian, storico e direttore emerito dell’Osservatore Romano, non è convinto: “Non sembra proprio che la prima parte di questa assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi si possa assimilare a un Vaticano III, cioè a un concilio che riunisca tutti i vescovi cattolici, decisamente di là da venire”, chiarisce al Foglio. Dopotutto, aggiunge, “lo ha detto lo stesso Papa sottolineando più volte, con ragione, che ancora va applicato il Vaticano II, in larga parte disatteso. A causa di resistenze persistenti poco sensate da una parte e di sterili fughe in avanti dall’altra. Senza contare che l’impresa sarebbe ardua. In che modo sarebbe oggi realizzabile un concilio con quasi il doppio dei vescovi rispetto a quelli presenti al Vaticano II? Ben diverso è il Sinodo dei vescovi, istituito da Paolo VI quasi sessant’anni fa e certo utile nello sviluppare la dimensione collegiale della Chiesa. Ma questo organismo consultivo, e non deliberativo, mostra ora limiti evidenti e una struttura ingessata, a cui hanno cercato di rimediare sia Benedetto XVI introducendo la discussione libera, sia il suo successore che ha voluto opportunamente la lunga fase di riunioni che nei diversi continenti hanno preceduto la riunione attuale. La quale si terrà in due fasi, come il Sinodo sulla famiglia, che ha finito per deludere e accendere polemiche. Invece, questi incontri preparatori, pur con ovvie differenze tra loro, sono stati in genere interessanti, con dibattiti reali tra laici, donne e uomini, preti, vescovi. Che al sinodo dovrebbero tornare utili”. E però un assaggio di quel che si preannuncia lo si è avuto con il Cammino sinodale tedesco, anticipatore di quel che potrà accadere tra poco, spia di una volontà di riforma che ha teso i rapporti con il Vaticano fin quasi allo strappo, fra minacce ben poco velate, lettere di richiamo, interventi del Papa in persona e documenti audaci messi al voto sfidando Roma e i suoi diktat. Non è stato uno spettacolo edificante: è stato il trionfo di quel parlamentarismo tanto e giustamente deprecato da Francesco, le conte all’ultimo voto, i vescovi delusi perché non si era ottenuta la maggioranza prevista su questo o quel testo, la sparuta minoranza che invocava cavilli tecnici e legali per rendere nulle le deliberazioni. La Germania, con la sua crisi di fede acclarata dai numeri – sempre più abbandoni, sempre meno battesimi – non è però un caso isolato, il solito Reno che minaccia di farsi largo nel più stretto Tevere. La Germania è bene accompagnata da altre Chiese locali, ciascuna con le sue peculiarità e richieste, con le sue difficoltà. Tanti dei temi emersi nel Cammino sinodale tedesco, ad esempio, sono stati fatti propri in Spagna. E anche in Australia, in America latina. Certo, al Sinodo sarà più complicato, perché davanti al fronte novatore si frapporrà quello che non vuol neppure sentir parlare di adeguamento ai tempi correnti di norme e prassi consolidate nei secoli. Potrà essere ignorata la voce dei padri africani, rappresentanti dell’unico continente dove il cattolicesimo si fa strada? Data la situazione ai blocchi di partenza, non è dunque sbagliato ritenere che il grande Sinodo farà da camera di decantazione fra opposte tendenze, cercando di aggiornare sì, ma con juicio . Mantenendo un equilibrio che tenga tutti insieme pur senza ribadire quel che è già stato detto. Ma potrà bastare? Non ci si è spinti troppo in là per limitarsi a una mediazione generica che metta più o meno tutti d’accordo e rinvii a tempi più tranquilli la risposta alle tante domande che si sono affastellate in questi anni sui tavoli vaticani? Schönborn richiama “la tensione all’unità”, cioè “la ricerca di una unanimità non nel senso parlamentare che tutti devono votare allo stesso modo”, ma ascoltare “la voce dello Spirito santo che va avanti nella ricerca della verità, nella ricerca del bene fino ad arrivare a una quasi unanimità”. Operazione complessa, guardando le carte e l’ordine del giorno, anche se – dice l’arcivescovo di Vienna – “io sono un po’ scettico sul fatto che l’elenco dei temi molto dibattuti soprattutto nel mondo occidentale secolarizzato sia così centrale per tutta la Chiesa”. Fa un esempio concreto, sempre a Vatican News: “Al Sinodo sull’Amazzonia c’è stata da certi gruppi una forte pressione per arrivare a una decisione sui viri probati , l’ordinazione sacerdotale di uomini sposati. Alcuni si sono chiesti come è possibile che vi siano ben 1.200 preti della Colombia, paese che ha molte vocazioni sacerdotali, che vivono negli Stati Uniti e in Canada. Perché un centinaio o duecento di loro non vanno in Amazzonia?”. Insomma, “ci vuole un po’ più di discernimento e anche di onestà nel vedere la complessità delle tematiche”. E’ proprio questa la grande sfida, capire come unire capitoli di libri diversi: non si tratta qui di discutere di minuzie, di abbellimenti e maquillage: ci sono in ballo questioni fondamentali. La teologa Cettina Militello sta per mandare in libreria (dal 6 ottobre) un saggio ( Le chiese alla svolta. Ripensare i ministeri , EDB, 160 pp., 16 euro) in cui lo chiarisce fin dalle prime righe dell’Introduzione: “Le chiese alla svolta… Ai più sembrerà un titolo esagerato. Ma – ne sono pienamente convinta – il nostro è un tempo di obbligato cambio di passo, di ‘svolte’, appunto. E in quest’ottica di necessario e necessitato mutamento il problema è – a mio parere – quello del ‘ministero’ e dei ‘ministeri’”. Per capire meglio di cosa si tratti, basta leggere qualche pagina dopo: “La non ammissione delle donne al ministero non ha nessun supporto d’indole metafisica, antropologica, cristologica, ecclesiologica, sacramentaria. E’ e rimane una questione ‘culturale’. Questo non semplifica le cose perché la cultura è ancora segnata dall’ipoteca patriarcale e la chiesa cattolica ne è ultima custode. Dobbiamo acquisirne coscienza. Ne va l’autenticità del messaggio cristiano. Ridurre il dettato di Gal 3,28 alla sola valenza battesimale oggi non basta a rendere credibile l’annuncio. La Chiesa ha da profetizzare un mondo in cui le contrapposizioni discriminanti di carattere sociale, etnico, sessuale sono definitivamente sconfitte”. Anche discutere, come si fa da tempo, del diaconato femminile, ha poco senso: “Il problema resta il ministero tout court. Dunque nessuna scorciatoia depistante e umiliante!”, scrive Militello: “Piuttosto, il porsi reiterato del problema apra con urgenza la questione del ministero. Lo si esamini davvero a tutto campo. Se restituito alla sua indole nativa di servizio (diakonia), cadranno anche le ragioni dell’esclusione delle donne. Ma proprio questa è la sfida che investe soprattutto i percorsi di formazione”. Da Chicago, il cardinale Blaise Cupich, longa manus di Papa Francesco in terra americana, pur essendo annoverabile tra le file dei novatori, rassicura: niente paura, ha scritto poche settimane ai suoi fedeli e ai suoi preti, invitando a non dare retta a quanti – e negli Stati Uniti sono parecchi – sono convinti che il Sinodo “modificherà radicalmente l’insegnamento e la pratica della Chiesa, allineando entrambi con le idee secolari e provocando uno scisma”. Anche perché, ha ricordato, “la domanda principale” dell’appuntamento di imminente apertura è quella di capire come restare fedeli “al piano di Cristo per la Chiesa”. In ogni caso, non ci dovrà essere spazio – soprattutto mediatico – per chi travisa “totalmente l’obiettivo del Sinodo sulla sinodalità”, facendosi così “profeta di sventura”, tanto per citare Giovanni XXIII. La missione di Cupich è però ardua, anche perché i toni apocalittici di chi teme la devastazione della Chiesa e gli accenti giacobini di chi non vede l’ora di rivoluzionare l’esistente spesso provengono dalle stesse gerarchie cattoliche. S’è detto di certe falangi tedesche, pronte a calare su Roma accompagnate da tamburi e fanfare, ma anche tra i profili più moderati c’è chi teme che poco cambierà, provocando quindi reazioni non facilmente anticipabili tra il Popolo di Dio. L’arcivescovo emerito di Dublino, mons. Diarmuid Martin, sospetta che le tante aspettative create nella Chiesa andranno deluse, a cominciare dalla maggiore partecipazione delle donne. Aspettative che, dice, andranno “sicuramente frustrate”. Si torna allora alla domanda centrale: fino a dove ci si potrà spingere? Fino a che punto la corda potrà essere tirata senza che si spezzi? Un cardinale della periferia, l’arcivescovo di Stoccolma Anders Arborelius, carmelitano pragmatico, proprio sul tema della donna nella Chiesa ha detto che bisognerà discuterne, ma senza che si arrivi all’ordinazione femminile. Lo scorso maggio, sulla Croix (il testo è stato meritoriamente tradotto in italiano dalla rivista Il Regno), il filosofo e sociologo delle religioni Jean-Louis Schlegel, già direttore della rivista Esprit, ha scritto che numerose sono le “voci episcopali che affermano che l’essenziale è l’evento in sé, più che i suoi risultati: nella sua preparazione e, speriamo, nel suo seguito, questo Sinodo senza precedenti avrà mobilitato e invitato a ‘camminare insieme’ un gran numero di cattolici in tutto il mondo. Altri dicono di preferire una Chiesa che diventa sinodale per sempre, cioè in continuo movimento, piuttosto che riforme una tantum che rafforzino l’inerzia generale e vengano presto dimenticate. Tutto questo è vero, ma non è forse per prevenire la delusione che facciamo questi commenti inconcludenti?”. Secondo Vian, “bisogna tenere presente che i media rimbalzano sempre le posizioni più estreme, in un senso o nell’altro. E senza dubbio ci sono vescovi che puntano a cambiamenti radicali su temi che fanno notizia, mentre altri gridano allo scisma, se non all’eresia: si pensi alla Germania e agli Stati Uniti, due esempi tra loro opposti. Prevarrà con ogni probabilità il centro, molto più vasto, anche se il Papa ha messo in guardia da letture politiche dell’assemblea. Ma sarà impossibile controllare l’informazione, con centinaia di partecipanti ai lavori. Il tema della sinodalità è poi talmente generico da abbracciare tutto, mentre l’uso ossessivo del termine ha provocato reazioni critiche, garbate ma solide, sulla lontananza dalla prassi orientale, idealmente presa a modello. Del resto il Sinodo dei vescovi come organismo mondiale consultivo della Santa sede è ben diverso non solo dal concilio, ma anche dai sinodi, orientali e occidentali, che si sono sempre tenuti nelle diverse confessioni cristiane. Fondate sono poi le critiche sull’esercizio poco collegiale, anzi fortemente autocratico, del potere papale. E questo viene sostenuto in modo acritico non solo sui media soprattutto italiani, ma anche con affermazioni giuridiche e teologiche estreme, forse non teorizzate nemmeno al tempo del Vaticano I che decretò l’infallibilità del Pontefice, ma entro limiti ben circoscritti e ribaditi poco dopo dallo stesso Pio IX”. A ogni modo, ha ammesso Schlegel, “i timori che i cambiamenti ritenuti essenziali da chi ha partecipato alle assemblee preparatorie vadano delusi sono prematuri. Lasciamo che la discussione sinodale sulle proposte provenienti dalla base si svolga, senza pregiudicarne l’esito: chissà che i partecipanti non entrino in una dinamica di aggiornamento imprevista, come al Concilio Vaticano II…”, con quei puntini di sospensione che molto vogliono significare, e cioè la speranza che dagli schemi preparatori preconfezionati possa scaturire qualcosa di nuovo, proprio come sessant’anni fa. “Tuttavia – prosegue il filosofo francese – sarebbe bene non nascondere sotto il tappeto una difficoltà formidabile, di cui la preparazione del Sinodo ha mostrato in modo caricaturale l’attualità e che, a mio avviso, viene velocemente trascurata: la conferma dello stato di frammentazione e persino d’implosione della Chiesa”. Che poi è la polarizzazione estrema, tra chi piange su quello che considera lo scempio dell’ultimo Concilio e chi ritiene che il Vaticano II abbia deluso le attese di chi auspicava una Chiesa davvero nuova. “Sì, il vero rischio è un’ulteriore polarizzazione delle posizioni”, dice ancora Giovanni Maria Vian, “e dunque l’aggravarsi delle divisioni nella Chiesa. Storicamente il cattolicesimo si è tenuto più unito di altre confessioni cristiane proprio grazie al ruolo unico del Papa, che non è però un vescovo diverso e superiore agli altri, come si è letto di recente. E’ il successore del primo degli apostoli, all’interno di un collegio, e in una dimensione di carità, come si afferma sin dagli inizi del II secolo, ancor prima dell’avvento dell’episcopato monarchico a Roma diversi decenni più tardi. E’ il ‘servo dei servi di Dio’, come si definisce Gregorio Magno verso la fine del VI secolo, inventando il titolo più carico di significato per il ‘Romano Pontefice’. E al Papa, che si richiama all’autorità degli apostoli Pietro e Paolo, spetta il compito difficile e faticoso di comporre posizioni diverse, come durante il Vaticano II è riuscito a fare Paolo VI”. Anche le risposte alla fase diocesana, quella che più ha visto il coinvolgimento dei laici – che poi, almeno in Europa, sono coloro che animano la vita parrocchiale – sono state scarse e molto elitarie. Il coinvolgimento, salvo rare eccezioni, ha riguardato chi già s’impegna nella vita quotidiana della Chiesa. Numeri bassi, anche se la Conferenza episcopale italiana s’è detta comunque soddisfatta. Poteva sempre andare peggio. E il concorso del Popolo di Dio, dei laici, non ha fatto altro che mettere in risalto questa frattura. Scrive ancora Schlegel: “Ci troviamo quindi su due fronti contrapposti. La ‘Chiesa multipolare’ (Nathalie Becquart), generazionale e fortemente divisa dal suo recente passato, può essere riconciliata e superata? E’ difficile immaginarlo, perché oggi abbiamo a che fare con concezioni molto diverse e parallele della Chiesa, della liturgia e del sacerdote, della fede e della morale, della vita cristiana nel mondo e, infine, del significato della religione e del ‘sacro’. Non è appunto di questo che dovremmo parlare al Sinodo?”. Il fatto è che “le aspettative di un rinnovamento sono il minimo che ci si deve attendere per una Chiesa cattolica bloccata in una crisi profonda perché senza memoria, e senza attrattiva per un mondo che la guarda deluso, se non peggio”, chiosa Vian. “A causa dello scandalo vergognoso e persistente degli abusi, a causa dell’insopportabile emarginazione delle donne, a causa delle strutture di potere clericali che restano impermeabili a ogni critica, a causa dell’inadeguatezza nella testimonianza e nella predicazione del Vangelo”. Chissà se tra un mese, a lavori conclusi, Papa Francesco potrà rallegrarsi di aver assistito a un grande momento di comunione spirituale e non, come ha detto tornando dalla Mongolia, “un programma televisivo dove si parla di tutto”.

Vangelo della domenica. Pentitosi andò. I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio (Mt 21,28-32)

(a cura Redazione “Il sismografo”) “In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».”
Parola del Signore
Commento di S. B. cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme.
“Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?” (Mt 20, 15): così si concludeva il brano di Vangelo di domenica scorsa (Mt 20, 1-16), la cosiddetta parabola degli operai dell’ultima ora.
Dio, abbiamo visto in questa parabola, è come un padrone buono: è libero da ogni calcolo, da ogni bramosia di possesso, da ogni istinto di potere.
E siccome è buono, può fare delle sue cose quello che vuole, perché ogni cosa che farà sarà una cosa buona, sarà una cosa bella, che aiuta la vita, che serve il bene di tutti.
Siccome è buono, è libero di trattare i suoi operai come vuole, di trattare tutti con giustizia, dando cioè a ciascuno non ciò che si merita, ma ciò di cui ha bisogno, proprio come un padre che conosce i suoi figli e dà a ciascuno quello che gli serve per vivere: dà di più a chi più ne ha bisogno.
La libertà, dunque, è vera solo quando il cuore è buono: il cuore buono sarà libero di scegliere il bene.
Nella parabola di oggi (Mt 21,28-32) vediamo che non necessariamente il cuore dell’uomo è libero come quello del padrone della vigna di domenica scorsa.
Il contesto è quello del capitolo 21 di Matteo: Gesù ha terminato il suo viaggio verso Gerusalemme ed è entrato nella Città santa, nella sua vigna.
Ha compiuto tre gesti molto forti e significativi: è entrato trionfalmente in città (Mt 21, 6-11), ha scacciato i mercanti dal tempio (Mt 21, 2-17) e infine ha maledetto il fico che non produce frutti, ma solo foglie (Mt 21,18-22).
Sono tre gesti che esprimono un giudizio sulla vigna del Signore, chiamata ad accogliere la presenza del padrone e a convertirsi alle esigenze di questa nuova chiamata che la venuta del Messia porta con sé: Gesù sta in fondo dicendo che il tempo è compiuto, che si fa urgente convertire il cuore ad accogliere il dono di Dio.
Ma succede che questi gesti irritano i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, che quindi lo avvicinano nel tempio e gli chiedono con quale autorità Gesù si permette di compiere questi segni (Mt 21, 23).
E Gesù, come spesso fa, non risponde direttamente alla domanda, ma svela le resistenze del cuore dell’uomo: è venuto Giovanni battista, risponde, che con la sua autorità di profeta ha invitato tutti alla conversione. Ma non tutti hanno riconosciuto l’urgenza di questo appello.
Chi l’ha riconosciuto? Non i capi, non i sacerdoti, ma gli ultimi, i peccatori, i pubblicani, chi ha avuto l’umiltà di convertirsi, chi ha creduto alla gratuità del dono di Dio (Mt 21,31-32).
Eccoci dunque alla parabola di oggi: è con questa parabola che Gesù risponde alla domanda sulla sua autorità.
Un uomo ha due figli e li manda a lavorare nella vigna: il primo dice di non averne voglia, ma poi si pente e ci va (Mt 21, 29). Il secondo, invece, accetta subito, ma poi non ha voglia, e non ci va.
Ecco che ritorna dunque quello che dicevamo all’inizio: il cuore dell’uomo, a differenza di quello di Dio, è incapace di scegliere il bene, perché è tentato di fare solo quello di cui ha voglia, come il primo figlio. E quando lo sceglie, come il secondo, in fondo non lo desidera veramente, e quindi non si muove, non parte.
E ciò che permette di aprirsi ad una volontà più grande e più bella non è tanto uno sforzo di volontà, quanto una fiducia umile che crede (Mt 21,32) alla bontà di Dio. Questa è la conversione, che è sempre possibile, a patto di riconoscere di aver bisogno di salvezza, come i pubblicani e le prostitute, che per questo passano
davanti, non perché sono migliori, ma perché non sono rimasti schiavi dei propri errori, e nemmeno delle proprie sicurezze.
Il primo figlio della parabola, nel momento in cui si converte e va nella vigna, in fondo non fa altro che diventare veramente e finalmente figlio, perché un figlio obbedisce; obbedisce non come uno schiavo, ma come uno che ha a cuore le cose del padre, come qualcuno che vuole ciò che il padre vuole.
Perché il Padre è libero e vuole solo il bene.
+ Pierbattista

Vaccini Covid: chi deve farli, da quando, quanto dura la protezione. Tutte le risposte

Vaccini Covid: chi deve farli, da quando, quanto dura la protezione. Tutte le risposte

Quando inizia la campagna vaccinale anti Covid? Ufficialmente è iniziata con l’ arrivo in Italia delle prime dosi del vaccino Pfizer aggiornato alla variante Omicron e con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, da parte del Ministero della Salute, della circolare con le indicazioni relative. In pratica , le Regioni stanno ricevendo le dosi in questi giorni e stabiliscono in autonomia dove i cittadini potranno presentarsi per riceverle. Chi deve vaccinarsi contro il Covid? I vaccini saranno somministrati gratuitamente e non obbligatoriamente, ma ci sono una serie di raccomandazioni e di priorità: persone over 60, fragili di età compresa tra i 6 mesi e i 59 anni, ospiti delle strutture RSA, donne in qualsiasi trimestre della gravidanza o nel periodo «postpartum» (comprese quelle in allattamento), operatori sanitari e sociosanitari. Il Ministero precisa anche che chiunque potrà richiedere di essere vaccinato, previa disponibilità delle dosi, che arriveranno a scaglioni. Che tipo di vaccino viene somministrato? È la formulazione di Pfizer progettata contro la variante Omicron XBB.1.5 (detta « Kraken»), che era il virus dominante all’inizio di quest’anno. Sebbene XBB.1.5 sia quasi sparita dalla circolazione mondiale, la quasi totalità delle varianti attive nel mondo sono suoi «parenti stretti». Il vaccino aggiornato è efficace contro le nuove varianti? I nuovi vaccini aggiornati (ne sono in arrivo altri) sembrano essere efficaci contro tutte le sottovarianti nel prevenire le conseguenze più gravi dell’infezione. In Italia la variante più diffusa è la EG.5.1 (denominata «) e i dati a oggi disponibili mostrano che i vaccini di nuova formulazione presentano una buona risposta anche contro EG.5.1». I vaccini proteggono dal contagio? Non sempre i vaccini sono in grado di evitare un’infezione sintomatica, ma riducono la carica virale (e la possibilità di contagiare gli altri). Soprattutto, continuano a proteggere dalla malattia grave le persone più a rischio. Quando ci si po’ vaccinare dopo una pregressa infezione o immunizzazione? Il vaccino dovrebbe essere fatto a distanza di 6 mesi dall’ultima dose ricevuta o dall’ultima infezione, a prescindere dal numero di dosi ricevute precedentemente o diagnosi di positività. L’intervallo temporale minimo per ricevere il vaccino resta quello di 3 mesi. Il richiamo ha una valenza di 12 mesi e può valere anche come «ciclo primario» per persone che dovessero decidere di vaccinarsi contro il Covid per la prima volta. Che cosa succede se faccio il vaccino e mi accorgo subito dopo di essere positivo al Covid? Non ci sarebbe alcun pericolo a ricevere il vaccino da positivi, per questo la positività al Covid nel momento della nuova immunizzazione non rappresenta una controindicazione alla vaccinazione. Ci si può vaccinare contro il Covid e contro l’influenza?Tutti possono ricevere il vaccino antinfluenzale contemporaneamente al vaccino anti Covid (e ad altri vaccini), in sedi corporee e con siringhe diverse. In particolare, è confermato, anche negli studi scientifici più recenti, che la co-somministrazione del vaccino antinfluenzale e di quello anti-Covid non abbia portato a una risposta immunitaria inferiore o a un aumento del tasso di eventi avversi rispetto alla somministrazione di un solo preparato alla volta.
msn.com 

Ponte Messina, progetto definitivo consegnato: cantieri da estate 2024

(Adnkronos) – E’ stato presentato oggi, 30 settembre 2023, il progetto definitivo del Ponte sullo Stretto di Messina. L’annuncio è arrivato dall’Ad di Webuild, Pietro Salini in video collegamento con la convention di Forza Italia a Paestum. “Abbiamo firmato l’altro giorno con la Stretto di Messina spa l’atto prodromico che rinnova le pattuizioni industriali e siamo pronti a stipulare il contratto una volta che le operazioni sono fatte. Con la consegna di oggi si conclude l’iter di tutte quei processi che erano stati previsti dal decreto che ha ripristinato il Ponte di Messina”.

In linea con i tempi previsti, il consorzio Eurolink, guidato dal Gruppo Webuild, ha consegnato la documentazione relativa all’aggiornamento del progetto definitivo del ponte. Le modifiche descritte nella relazione di Eurolink aggiornano il progetto del ponte e dei suoi collegamenti stradali e ferroviari rispetto alla più recenti evoluzioni tecnologiche e norme tecniche per le costruzioni, al fine di incrementarne il livello di sicurezza e compatibilità ambientale, per un’opera che rappresenta una sfida tecnologica e una vetrina dell’ingegneria italiana nel mondo.

”Noi siamo pronti tecnicamente, ora dovremo vedere tutti i passaggi effettivi con le Regioni Sicilia e Calabria. Ci confronteremo a brevissimo. Ora è una questione di catarattere autorizzativo, quindi avremo i cosiddetti esperti che sono stati nominati dal ministro Salvini, che devono rivedere il progetto e controllare che tutto sia conforme alle normative e ai desiderata. Noi siamo pronti per iniziare fisicamente questo sogno di tantissimi italiani”, ha detto Salini , aggiungendo che “noi oggi abbiamo come programma di assunzione diretta di 10 mila persone. Oggi queste persone non ci sono e il tema è formarle. Abbiamo predisposto corsi di formazione non solo in Sicilia e Calabria, ma anche sul resto del territorio italiano. Nei prossimi tre anni dobbiamo formare almeno 5 mila persone. E’ uno sforzo molto grande dal punto di vista economico. Ci vuole una collaborazione tra pubblico-privato importante”.

”Il Ponte non è solo il collegamento tra due pezzi del Paese importanti, 5,5 milioni di persone collegate finalmente in via stabile al resto del mondo, e non solo con l’Italia ma il resto d’Europa. E’ soprattutto una vetrina per l’industria italiana. Il Ponte di Messina non sarà il ponte di Webuild, ma il ponte dell’industria italiana e deve far lavorare le imprese italiane e far mettere a tutti una coccarda perché quest’opera sarà vista in tutto il mondo come un record dell’ingegneria italiana nel mondo”.

“E’ un passaggio fondamentale – ha commentato l’Amministratore delegato della società Stretto di Messina Pietro Ciucci – nell’ambito del serrato cronoprogramma che consentirà di raggiungere l’obiettivo di aprire i cantieri nell’estate del 2024, in linea con le indicazioni ricevute dal Ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. La società Stretto di Messina, riavviata appena cento giorni fa, è oggi dotata di una struttura organizzativa tecnica, economico finanziaria e legale in grado di gestire l’impegnativo piano di attività. Tali attività comprendono, tra l’altro, gli aggiornamenti in corso per lo studio di traffico, l’analisi costi benefici, il piano economico finanziario con la definizione dell’ammontare dell’investimento e dei costi di gestione, la relazione di sostenibilità. In attuazione di quanto previsto dalla legge stiamo predisponendo l’aggiornamento della Convenzione e dell’Accordo di programma per la migliore definizione del quadro realizzativo dell’opera”.

“Inoltre – ha spiegato Pietro Ciucci – sono stati attivati i Tavoli Tecnici di lavoro con i rappresentanti dei Comuni interessati dall’opera, con l’obiettivo di mantenere un costante dialogo e confronto con le Città e consentire ai governi del territorio di portare avanti le scelte strategiche pianificate. Sono incontri di fondamentale importanza perché il ponte è un’opera del territorio e per il territorio, dal quale deriveranno straordinari benefici. In questo quadro è prossima l’apertura di sedi a Villa San Giovanni e Messina per garantire un flusso informativo continuo con le istituzioni e la cittadinanza”.

Con la consegna della relazione del progettista entra nel vivo il cronoprogramma per l’approvazione del progetto definitivo. Stretto di Messina avvia immediatamente l’istruttoria tecnica ed economica, unitamente al Project Manager Consultant, la Parson Trasportation Group; parallelamente acquisisce il parere da parte del Comitato Scientifico. Questo iter, della durata prevista dalla norma in un mese, si completerà con l’approvazione da parte del Consiglio di Amministrazione della Stretto di Messina. Successivamente la società trasmetterà il progetto definitivo e la relazione di aggiornamento del progettista al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che indirà la Conferenza di Servizi alla quale partecipano le amministrazioni statali e gli enti territoriali interessati dalla realizzazione dell’opera. La documentazione, unitamente agli elaborati ambientali, sarà contestualmente trasmessa al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica per l’ottenimento della compatibilità ambientale.

L’aggiornamento del progetto definitivo rappresenta il culmine di 50 anni di lavoro, studi ed analisi di centinaia di ingegneri, tecnici, professori universitari e ricercatori. Questi esperti hanno lavorato per sviluppare soluzioni progettuali in grado di garantire i più alti livelli di sicurezza, efficienza, sostenibilità ambientale e impatto economico e sociale per il Ponte sullo Stretto, un’opera di straordinaria complessità. Particolare attenzione è stata dedicata alla stabilità della struttura e alla sua resistenza ai venti e ai terremoti. Il ponte è stato progettato per resistere a intensità del vento estreme, largamente superiori al vento più intenso mai registrato nello Stretto. Dal punto di vista sismico, l’integrità strutturale dell’opera è stata verificata per eventi di magnitudo superiore all’eccezionale terremoto di Messina del 1908.

Gli studi preliminari e le analisi condotte nel corso degli anni hanno reso l’area tra Messina e Reggio Calabria tra quelle più studiate nel Mediterraneo. L’opera è destinata a diventare il ponte sospeso più lungo al mondo, con una campata complessiva di circa 3.660 metri e una luce centrale sospesa di 3.300 metri. La sua piattaforma, tecnicamente chiamata impalcato, avrà una larghezza totale di circa 60 metri, e le due torri collocate a terra, che andranno a reggere l’intera struttura, raggiungeranno un’altezza di 399 metri. La struttura accoglierà due carreggiate stradali con tre corsie per direzione (due di marcia e una di emergenza) e una linea ferroviaria a doppio binario, consentendo un flusso di 6.000 veicoli all’ora e fino a 200 treni al giorno, rivoluzionando la mobilità dell’area e dell’intero Sud Italia.

msn.com

L’appello della famiglia Borsellino: “Diteci la verità su nostro padre, diteci cosa è successo i giorni prima della strage””

paolo borsellino

“Vedremo se questa morte, se questo sacrificio, era evitabile”. Ha esordito così Lucia Borsellino, primogenita del magistrato ucciso nella strage di via D’Amelio, in audizione giovedì scorso davanti alla Commissione parlamentare antimafia.

Lucia è stata sentita assieme al marito e legale della famiglia Borsellino, l’avvocato Fabio Trizzino, per fare chiarezza sui tanti punti oscuri che ancora oggi impediscono di conoscere cosa effettivamente accadde in quell’estate del 1992. “Chiediamo che le componenti statuali a vario titolo e livello possano fare piena luce e senza condizionamenti su quelli che sono stati i dettagli della vita di mio padre, soprattutto negli ultimi 57 giorni tra le due stragi, anche grazie alle testimonianze dirette”, ha proseguito Lucia.

“Fin da subito ci siamo resi conto che il corso delle indagini sulla strage nella quale mio padre perse la vita avrebbe creato dei depistaggi e questo ci ha portato a impegnarci direttamente, non solo partecipando ai processi ma anche portando istanze che abbiamo inviato in sedi pubbliche e istituzionali anche e soprattutto per il tramite della voce di mia sorella Fiammetta“, ha aggiunto.

Non si può non rammentare il ruolo del falso pentito Vincenzo Scarantino, ideatore del più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana che iniziò con il ritrovamento dei resti della Fiat 126 carica di tritolo che uccise alle 16.58 della domenica 19 luglio 1992 Borsellino assieme agli agenti della sua scorta. Recentemente la Corte di Cassazione ha messo una pietra tombale sul processo Trattativa Stato Mafia, assolvendo il generale dei carabinieri Mario Mori e alcuni ufficiali del Ros che con Giovanni Falcone avviarono nel 1989 l’indagine del dossier mafia appalti, poi ripreso proprio da Borsellino in quei 57 giorni in cui il magistrato disse ad Antonio Di Pietro, in occasione del funerale del collega e amico d’infanzia, “dobbiamo sbrigarci”. Di Pietro, allora pubblico ministero a Milano, era impegnato in Tangentopoli. Fu Mori che dopo la sua assoluzione definitiva nel maggio scorso a sollecitare la politica a creare una Commissione di inchiesta sul dossier mafia appalti “per andare a fondo, perché, se come ha detto la sentenza del Borsellino Quater, l’inchiesta mafia appalti è la causa della strage, mi sembra doveroso per i morti e per i vivi che si trovi la verità”.

Del resto fu Mori colui a cui Falcone aveva conferito la delega per avviare tale indagine con l’obiettivo di accertare la sussistenza, entità e modalità di condizionamenti mafiosi nel settore degli appalti pubblici nella provincia di Palermo, mettendo per la prima volta l’attenzione sugli interessi economici di Cosa nostra. “L’interessamento al dossier mafia appalti” per Trizzino “è la pista investigativa più meritevole di attenzione, in quanto plausibile causa di accelerazione nell’esecuzione della strage di via D’Amelio”. Scrivono i giudici sempre nella sentenza del Borsellino Quater che il magistrato “aveva mostrato particolare attenzione alle inchieste riguardanti il coinvolgimento di Cosa Nostra nel settore degli appalti pubblici, avendo intuito l’interesse strategico che tale settore rivestiva per l’organizzazione criminale”.

“Borsellino io me lo immagino qui dietro di me, come era in quella foto, in cui si trova da solo nei corridoi del Palazzo di Giustizia a Palermo, che era diventato un luogo in cui non si trovava più a suo agio, al punto che lo ebbe a definire un nido di vipere”, ha aggiunto Trizzino, anticipando una ricostruzione che sarà fatta con il richiamo a dichiarazioni qualificate e sostenuta da documenti. “C’è un problema di strategia comunicativa”, ha continuato, riferendosi alla frase di Borsellino alla moglie Agnese Piraino: “Mi uccideranno ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica, forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”. “Ebbene in questa frase è sempre stato omesso il seguito “ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno i miei colleghi ed altri””, ha puntualizzato l’avvocato della famiglia Borsellino. “Dobbiamo andare a cercare dentro la Procura di Palermo, quella che Borsellino chiamò “il nido di vipere”, per sapere se allora ci fossero in atto condotte che favorirono quel processo di isolamento, delegittimazione e indicazione come target e obiettivo di Borsellino e che sono quelle condizioni essenziali che hanno sempre preceduto gli omicidi eccellenti a Palermo”, ha quindi concluso Trizzino.

“Le parole pronunciate da Lucia Borsellino e dall’avvocato Trizzino sono state così sconvolgenti e di tale importanza da meritare un approfondimento immediato. In particolare, il riferimento alle denunce presentate dalla stessa famiglia in merito alle affermazioni del giudice sul ‘nido di vipere’ che popolava la Procura di Palermo nel 1992”, ha affermato al termine dell’audizione la senatrice di Italia viva Raffaella Paita, componente della Commissione antimafia. “Credo che dovremmo chiedere perdono se non siamo riusciti in tutti questi anni a dare una risposta alle tante

domande che fin qui ci avete posto, con sofferenza e amore. Abbiamo sentito il cuore batterci nei timpani. Vorrei che di questa Commissione non si avesse mai a dire che non si è fatto quello che si doveva fare”. Così invece la presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo. La audizione del legale della famiglia Fabio Trizzino continuerà lunedì prossimo.

msn.com

Questa è la vera meta più economica al mondo: spendi poco e vivi come un re

Parque Nacional Tayrona. Colombia.
Qual è la destinazione più economica al mondo?

Sono migliaia gli italiani che, ogni anno, si mettono in viaggio nei periodi di bassa stagione: primavera, ma anche autunno e (nei luoghi con le temperature più miti) anche d’inverno. Insomma, è evidente che l’estate non è l’unica opzione per andare in vacanza. Non lo è perché sarà pure calda, certo, ma è anche la stagione più costosa, quella più affollata, con le code e il traffico più intensi.

A viaggiare nei mesi di settembre, ottobre e dicembre, in media si risparmia oltre il 10%. Ma in certi casi il risparmio può superare il 35% del costo totale del viaggio. Non male, no? Ma qual è in assoluto la destinazione più economica in cui andare in viaggio?

Per chi vuole risparmiare, ma al contempo visitare una delle località tropicali più belle al mondo, la risposta è solo una: la Colombia. Cioè un paradiso terrestre a costi ridottissimi. Con un mare inimitabile, spiagge contornate da palme e natura rigogliosa, ma con prezzi imbattibili.

Quanto costa una vacanza in Colombia?
La Colombia ha prezzi bassi rispetto ai nostri, cioè a quelli europei, ma anche rispetto a quasi tutte le località del centro e del sud America. La Colombia costa meno del Costarica, del Brasile e così via. Ed è grazie a prezzi così vantaggiosi che il viaggio in questa località conviene anche rispetto a mete più vicine, come quelle europee. Anche tenendo conto del viaggio in aereo, infatti, si spende meno.
Un viaggio in Colombia – tenendo conto solo del trasporto dall’Italia – costa dai 400 euro fino ai 650. Andata e ritorno, quindi, se si riesce a ottenere un buon prezzo, si possono avere spendendo circa 800 euro a persona. I resort per il resto offrono diversi sconti e promozioni, soprattutto in bassa stagione.

Le stagioni in Colombia sono molto diverse dalle nostre. Come dicevamo poco fa lì c’è sempre caldo: non esiste un inverno che somigli al nostro, né per ore di sole né tantomeno per le temperature. Eppure due stagioni esistono: quella secca e quella delle piogge. Preferibilmente è meglio prenotare in quella secca, che va da dicembre a marzo.

Vini, Birre & Drink in 30 minuti alla tua porta! Ordina ora con Winelivery, L'App per Bere! Aimon Traghettilines DIARI SCOLASTICI IBS.IT British School Banner 2023 Kinderkraft Back to School! Talent Garden - Banner Master