Liturgia Messa del Giorno domenica 13 Luglio 2025 Messa del Giorno XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Colore Liturgico Verde

Domenica 06 luglio 2025 , XIV Settimana Tempo Ordinario | Parrocchia San Giovanni Bosco Bari

Antifona
Nella giustizia contemplerò il tuo volto,
al mio risveglio mi sazierò della tua presenza. (Cf. Sal 16,15)

Si dice il Gloria.

Colletta
O Dio, che mostri agli erranti la luce della tua verità
perché possano tornare sulla retta via,
concedi a tutti coloro che si professano cristiani
di respingere ciò che è contrario a questo nome
e di seguire ciò che gli è conforme.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Oppure:

Padre misericordioso,
che nel comandamento dell’amore
hai portato a compimento la legge e i profeti,
donaci un cuore capace di misericordia
affnché, a immagine del tuo Figlio,
ci prendiamo cura dei fratelli
che sono nel bisogno e nella sofferenza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Prima Lettura
Questa parola è molto vicina a te, perché tu la metta in pratica.
Dal libro del Deuteronòmio
Dt 30,10-14

Mosè parlò al popolo dicendo:
«Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima.
Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».

Parola di Dio.

Salmo Responsoriale
Dal Sal 18

R. I precetti del Signore fanno gioire il cuore.

La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice. R.

I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi. R.

Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti. R.

Più preziosi dell’oro,
di molto oro fino,
più dolci del miele
e di un favo stillante. R.

Seconda Lettura
Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési
Col 1,15-20

Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.

Parola di Dio.

Acclamazione al Vangelo
Alleluia, alleluia.

Le tue parole, Signore, sono spirito e vita;
tu hai parole di vita eterna. (Cf. Gv 6,63c.68c)

Alleluia.

Vangelo
Chi è il mio prossimo?
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 10,25-37

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Parola del Signore.

Si dice il Credo.

Sulle offerte
Guarda, o Signore, i doni della tua Chiesa in preghiera
e trasformali in cibo spirituale
per la santificazione di tutti i credenti.
Per Cristo nostro Signore.

Antifona alla comunione
Anche il passero trova una casa
e la rondine il nido dove porre i suoi piccoli,
presso i tuoi altari, Signore degli eserciti, mio re e mio Dio.
Beato chi abita nella tua casa: senza fine canta le tue lodi. (Sal 83,4-5)

Oppure:

Dice il Signore: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue
rimane in me e io in lui». (Gv 6,56)

*C
Il buon samaritano ebbe compassione.
«Va’ e anche tu fa’ lo stesso». (Cf. Lc 10,37)

Dopo la comunione
O Signore, che ci hai nutriti con i tuoi doni,
fa’ che per la celebrazione di questi santi misteri
cresca in noi il frutto della salvezza.
Per Cristo nostro Signore.

Fonte CEI

La Regola di san Benedetto è il miglior documento per la civiltà europea

da Avvenire

La Regola di san Benedetto è il miglior documento per la civiltà europea

Pubblichiamo una riflessione del vescovo e monaco cistercense Erik Varden tratta dall’ultimo numero di “Vita e Pensiero”, il bimestrale culturale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. All’interno della rivista, anche un contributo della scrittrice e filosofa Julia Kristeva sul tema del perdono. Oltre a un editoriale su Leone XIV, un Papa «mite e umile di cuore» scritto dia monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica. L’approfondimento è invece dedicato alla bomba atomica lanciata su Hiroshima e Nagasaki: ottant’anni dopo, le riflessioni di Anna Foa, Franco Giudice, Massimo De Giuseppe, Naoko Abe.

Nel suo prologo alla Santa Regola, scritta alla fine del V secolo e destinata a diventare, all’insaputa del suo autore, il documento principale per lo sviluppo della civiltà europea, san Benedetto chiama il monastero – termine ai suoi tempi ancora detentore di un potenziale attraente – dominici schola servitii. Questa frase solitamente è resa come «scuola del servizio del Signore», evocando l’immagine di un vecchio monaco barbuto in cattedra che conduce i novizi attraverso l’Abc della vita ascetica. L’associazione non è del tutto falsa, ma inadeguata.

Una schola nell’antichità latina non era un’istituzione molto simile a quella che noi oggi consideriamo “scuola”. Un qualcosa del significato antico si conservava nell’italiano. Chi ha visitato Venezia conosce la Scuola di San Rocco o di San Teodoro. Le scuole veneziane erano associazioni laiche che a volte somigliavano a corporazioni, altre volte a club di stranieri, microsocietà inserite nella cornice della Repubblica, che fornivano ai loro membri assistenza, una rete sociale e supporto professionale. Si pensi anche ai pittori del Rinascimento i cui allievi producevano opere sotto le loro istruzioni, tele che i curatori ora attribuiscono alla “Scuola di Michelangelo” o alla “Scuola di Tiziano”. Queste esemplificazioni ci aiutano a comprendere il progetto benedettino nei suoi termini. La schola di cui parla Benedetto è un luogo in cui si impartisce la conoscenza, certo; ma ancor più essenzialmente è un luogo di iniziativa in cui si crea qualcosa di nuovo.

Questo qualcosa è un modello innovativo di comunità che riunisce liberamente degli uomini per mezzo di un patto di vita e un obiettivo chiaro. […] In termini cristiani, credo sia legittimo rinominare questa scuola come schola Dei. La costruzione al genitivo in latino sottende due significati; può riferirsi all’oggetto dell’apprendimento: in questo caso, la vita secondo la chiamata di Dio, rivelato in Cristo. E può riferirsi al soggetto dell’insegnamento: Dio stesso, che opera attraverso strumenti e circostanze umane. Non è quindi per mera facezia che ho intitolato questo discorso adottando l’acronimo DEI (diversity, equity, inclusion). Infatti, i valori della diversità, dell’equità e dell’inclusione condizionano l’impresa di Benedetto. Per un millennio e mezzo la sua Regola si è dimostrata il paradigma per una coesistenza umana felice. Può ancora dirci qualcosa sulle sfide che stiamo affrontando oggi? Penso di sì. […] L’acronimo DEI identifica quei valori pertinenti a un modello di società benedettino. Ognuno, però, ha un rovescio distruttivo della medaglia. Buona per costruire comunione, l’“inclusione” è nociva come slogan di diritto. L’“equità” è splendida come indicatore di equilibrio sociale, ma dirottata in vista di guadagno privato può diventare uno strumento di manipolazione. La “diversità” è meravigliosa nel mostrare la complementarietà dei doni, ma rinchiudendo le persone in un’autoaffermazione separata i suoi frutti sono amari, causando indi gestione nel corpo politico. Per essere utile, il giusto esercizio di queste qualità deve essere appreso. Abbiamo bisogno di una formazione mirata per essere equi, inclusivi e diversi nella verità, anche se ci deve essere insegnato come essere, e aiutare gli altri a essere, veramente liberi. Uno sfruttamento retorico e caricaturale di questi termini ha portato a un’impasse. La parola è ben scelta: indica un punto da cui normalmente non è possibile alcun movimento in avanti, è possibile solo indietreggiare. Le posizioni sono bloccate, le passioni sono forti. Si verificano scontri e litigi. Rispondere alla retorica e alla caricatura in modo cinico con questi stessi mezzi, però, è improduttivo e, invero, ridicolo. Vale la pena riflettere sul fatto che pedalare all’indietro è l’unica via d’uscita da un’impasse solo se l’ostacolo non può essere superato. Per un po’ di tempo la DEI è stata sfruttata politicamente e commercialmente. Perché non usarla se vende? I clienti, tuttavia, mostrano segni di averne avuto abbastanza. La recente rinuncia alla DEI da parte, ad esempio, di Toyota indica probabilmente una tendenza in crescita. È nella natura degli slogan, in particolare degli acronimi, du- rare solo una stagione. Le stagioni nel commercio e nella moda sono brevi.

La vacuità di molti discorsi su questo tema deriva dall’assenza di una meta-narrazione praticabile, di una visione antropologica sovrastante. Per avere un senso, i termini di DEI devono essere definiti. Inclusione in cosa? Equità secondo quale giusto standard? Diversità secondo quale norma? Queste sono domande che i nostri tempi prag- matici sono mal attrezzati a gestire e da cui le personalità pubbliche si sottraggono. Poiché passare dal registro del “Come?” a quello del “Perché?” presuppone l’impegno verso una visione del mondo, e per-sino immaginare una cosa del genere è considerato da molti come ma- nifestamente anti-DEI. Questa è l’ironia, in un certo senso la tragedia, che dobbiamo affrontare. Il compito è per tutti, ma soprattutto per i cristiani, sostenuti come sono da una visione di un nuovo cielo e una nuova terra, la cui prospettiva non è riservata all’eschaton. La speranza mi sembra qui il termine cruciale. Molti degli eccessi ideologici del nostro tempo sono tentativi su misura di ricrearla, poiché da tempo è scomparsa dalla politica. Ne sentiamo la mancanza, anche se in modo subliminale. Eppure la speranza non può essere decretata come strategia. Deve nascere.

Per secoli, la missione di civilizzazione della Chiesa ha trovato espressione nei gesti di carità, nella liturgia e nelle arti, nell’impegno intellettuale. Si è espressa anche, non meno durevolmente, nella riproposizione di un vocabolario, consentendo ai cristiani di salvare dalle nebbie mitizzate nozioni preziose necessarie per parlare di nuovo di uno scopo umano comune e desiderabile. Le controversie provocate dalla DEI mostrano la mancanza di tale scopo in una società il cui tessuto si sta sfilacciando in tutte le direzioni contemporaneamente, e da cui intere matasse di filo vengono bruscamente strappate, in cui modelli di nobiltà o bellezza non appaiono più all’occhio umano. San Benedetto visse in un mondo che, sotto questo aspetto, assomigliava al nostro, un mondo crepuscolare. La sua risposta fu, nelle parole del salmo, quella di «risvegliare l’aurora», ricordando all’uomo, per il quale non è bene essere solo, cosa significhi sperimentalmente essere umani, pienamente e felicemente umani, per poi formulare quella proposizione attraverso un ideale condivisibile.

Il metodo in passato ha funzionato, traendo da diverse sensibilità una qualità molto gentile: l’unanimitas, un’unità di anima che rende leggere le cose pesanti. Chissà. Potrebbe funzionare di nuovo. Perché, in verità, ciò che serve ora è più di una semplice agenda politica stancamente ritoccata. Ciò di cui c’è bisogno è un nuovo senso della nozione stessa di polis. Ciò di cui c’è bisogno è una rinascita dell’uomo. Ciò di cui c’è bisogno è una testimonianza collettiva credibilmente incarnata della vera umanità. (Traduzione di Simona Plessi).

Messa del Giorno sabato 12 Luglio 2025 Messa del Giorno SABATO DELLA XIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO DISPARI)


Colore liturgico verde
Antifona
O Dio, accogliamo il tuo amore nel tuo tempio.
Come il tuo nome, o Dio,
così la tua lode si estende sino ai confini della terra;
è piena di giustizia la tua destra. (Cf. Sal 47,10-11)

Colletta
O Padre, che nell’umiliazione del tuo Figlio
hai risollevato l’umanità dalla sua caduta,
dona ai tuoi fedeli una gioia santa,
perché, liberati dalla schiavitù del peccato,
godano della felicità eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Prima Lettura
Dio verrà a visitarvi e vi farà uscire da questa terra.
Dal libro della Gènesi
Gn 49,29-33; 50,15-26a

In quei giorni, Giacobbe diede quest’ordine ai suoi figli: «Io sto per essere riunito ai miei antenati: seppellitemi presso i miei padri nella caverna che è nel campo di Efron l’Ittita, nella caverna che si trova nel campo di Macpela di fronte a Mamre, nella terra di Canaan, quella che Abramo acquistò con il campo di Efron l’Ittita come proprietà sepolcrale. Là seppellirono Abramo e Sara sua moglie, là seppellirono Isacco e Rebecca sua moglie e là seppellii Lia. La proprietà del campo e della caverna che si trova in esso è stata acquistata dagli Ittiti». Quando Giacobbe ebbe finito di dare questo ordine ai figli, ritrasse i piedi nel letto e spirò, e fu riunito ai suoi antenati.
Ma i fratelli di Giuseppe cominciarono ad aver paura, dato che il loro padre era morto, e dissero: «Chissà se Giuseppe non ci tratterà da nemici e non ci renderà tutto il male che noi gli abbiamo fatto?». Allora mandarono a dire a Giuseppe: «Tuo padre prima di morire ha dato quest’ordine: “Direte a Giuseppe: Perdona il delitto dei tuoi fratelli e il loro peccato, perché ti hanno fatto del male!”. Perdona dunque il delitto dei servi del Dio di tuo padre!». Giuseppe pianse quando gli si parlò così.
E i suoi fratelli andarono e si gettarono a terra davanti a lui e dissero: «Eccoci tuoi schiavi!». Ma Giuseppe disse loro: «Non temete. Tengo io forse il posto di Dio? Se voi avevate tramato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso. Dunque non temete, io provvederò al sostentamento per voi e per i vostri bambini». Così li consolò parlando al loro cuore.
Giuseppe con la famiglia di suo padre abitò in Egitto; egli visse centodieci anni. Così Giuseppe vide i figli di Èfraim fino alla terza generazione e anche i figli di Machir, figlio di Manasse, nacquero sulle ginocchia di Giuseppe. Poi Giuseppe disse ai fratelli: «Io sto per morire, ma Dio verrà certo a visitarvi e vi farà uscire da questa terra, verso la terra che egli ha promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe». Giuseppe fece giurare ai figli d’Israele così: «Dio verrà certo a visitarvi e allora voi porterete via di qui le mie ossa».
Giuseppe morì all’età di centodieci anni.

Parola di Dio.

Salmo Responsoriale
Dal Sal 104 (105)

R. Voi che cercate Dio, fatevi coraggio.
Oppure:
R. Cerchiamo il tuo volto, Signore: colmaci di gioia.

Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere.
A lui cantate, a lui inneggiate,
meditate tutte le sue meraviglie. R.

Gloriatevi del suo santo nome:
gioisca il cuore di chi cerca il Signore.
Cercate il Signore e la sua potenza,
ricercate sempre il suo volto. R.

Voi, stirpe di Abramo, suo servo,
figli di Giacobbe, suo eletto.
È lui il Signore, nostro Dio:
su tutta la terra i suoi giudizi. R.

Acclamazione al Vangelo
Alleluia, alleluia.

Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo,
perché lo Spirito di Dio riposa su di voi. (1Pt 4,14)

Alleluia.

Vangelo
Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 10,24-33

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:
«Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia!
Non abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.
E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.
Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!
Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».

Parola del Signore.

Sulle offerte
Ci purifichi, o Signore,
quest’offerta che consacriamo al tuo nome,
e ci conduca di giorno in giorno più vicini alle realtà del cielo.
Per Cristo nostro Signore.

Antifona alla comunione
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia. (Sal 33,9)

Dopo la comunione
O Signore, che ci hai nutriti
con i doni della tua carità senza limiti,
fa’ che godiamo i benefici della salvezza
e viviamo sempre in rendimento di grazie.
Per Cristo nostro Signore.
cei

Valle Vigezzo, trovato dal cane della guardia di finanza il sacerdote scomparso a Re

Le ricerche a Re con il cane della guardia di finanza

La Stampa
E’stato trovato dal cane della guardia di finanza Iker don Angelo Pargoletti, il prete lombardo di 83 anni che dalla mattina di oggi – venerdì 11 – era scomparso a Re, in valle Vigezzo.
Il prete di Legnano, in questo periodo in Ossola per un periodo di riposo, dopo aver celebrato la messa mattutina al santuario della Madonna del sangue di Re, attorno alle 10,30 era partito per la solita camminata lungo la mulattiera che porta a Villette. All’ora di pranzo non è tornato. Don Pargoletti era uscito da solo e con sé non aveva portato il cellulare.
Nel primo pomeriggio è scattato l’allarme. Sono stati impegnati nelle ricerche i carabinieri, il Soccorso alpino della X delegazione Valdossola, il Sagf e i vigili del fuoco (presente anche il loro elicottero da Malpensa per le ricerche dall’alto).
Poco dopo le 17 è stato Iker, il cane dela guardia di finanza, a trovare don Angelo: era caduto vicino a un fiume e non riusciva più a muoversi ma è vivo.

Morte di don Balzano, il messaggio della Santa Sede

Grignasco, oggi è il giorno dell'addio a don Matteo Balzano

Di seguito il messaggio di cordoglio e vicinanza alla Chiesa Novarese, inviato al vescovo Brambilla dal Dicastero per il Clero della Santa Sede, per la morte di don Matteo Balzano.

Eccellenza Reverendissima,

Questo Dicastero Le scrive in riferimento alla nota di cordoglio pubblicata sul sito di codesta diocesi, da parte del Vicario episcopale per il Clero e la vita consacrata, per la morte di don Matteo Balzano.

Al riguardo, questa Istituzione della Santa Sede, in questo momento di dolore e sgomento, desidera esprimere a Lei, alla comunità diocesana, al presbiterio e alla famiglia del sacerdote, la più sincera vicinanza e partecipazione al cordoglio.

Infatti, la morte improvvisa di un chierico, specialmente nelle circostanze dolorose in cui essa è avvenuta, interpella l’intero corpo ecclesiale, richiamando alla responsabilità comune della custodia vicendevole nella carità, nella fraternità e nell’orazione.

AssicurandoLe il ricordo nella preghiera, questo Dicastero si unisce spiritualmente a Lei e alla Sua diocesi, affinché il Signore nella Sua infinita misericordia accolga nel Suo regno il Reverendo don Matteo e consoli quanti lo hanno sostenuto e accompagnato nel suo ministero.

Nel salutarLa cordialmente, in assenza del Cardinale Prefetto, mi confermo con sensi di distinto ossequio,

Dell’Eccellenza Vostra Reverendissima
Devotissimo nel Signore

Andrès Gabriel Ferrada Moreira,
Arcivescovo titolare di Tiburnia,
Segretario del Dicastero per il Clero

“Donne Chiesa Mondo”, quando la crisi porta a Dio. Sul numero di luglio del mensile de L’Osservatore Romano storie di donne tra cinema, fede e rinascita spirituale

Ingrid Bergman nel film "Europa '51", alle sue spalle Giulietta Masina

Vatican News

di Tiziana M. Di Blasio

Se il cinema, per sua natura arte della visione, necessita, formalmente, di un linguaggio non verbale e, tematicamente, di una drammaturgia che esplora le fenomenologie della crisi, tanto più quello d’autore  le propone con originali poetiche, tra ricerca e mistero, nella pluralità dei generi: dal dramma alla commedia, dal musical al fantasy, dal biopic all’horror e nella levatura di interpreti quali Ingrid Bergman, Audrey Hepburn, Jennifer Jones, Sophia Loren, Anna Karina, Silvana Mangano, Vanessa Redgrave, Julie Andrews, Susan Sarandon e Meryl Streep.

E se lo sguardo sulla crisi ha incluso anche la sfera spirituale lo si deve a teorici che hanno indagato sulla presenza/assenza di Dio e ad autori che in modalità diretta o indiretta se non provocatoria, irriverente quando non blasfema, hanno elaborato itinerari interiori di corrispondenza o discrasia tra fede ed eresia, vocazione e ribellione, vita attiva e vita contemplativa. Dall’ascetica classicità del Robert Bresson de Les Anges du péché (1943) alla provocazione surreale del Luis Buñuel di Viridiana (1961), dalla conflittualità politico-religiosa del Jacques Rivette de la Suzanne Simonin, la Religieuse de Diderot (1966) al pamphlet grottesco del Ken Russel di The Devils (1971), dall’irrisione boccaccesca del Decameron (1971) di Pier Paolo Pasolini, ripresa dai fratelli Taviani nel Maraviglioso Boccaccio (2015) fino alle suggestioni dello sguardo al femminile di Márta Mészáros, Margarethe von Trotta, Liliana Cavani, Anne Fontaine, Margaret Betts, Maura Delpero.

In tale variegata casistica un valido avvio alla riflessione può essere la lettura della crisi proposta in Europa ’51 di Roberto Rossellini (1952), ispirato a Simone Weil, Herbert Marcuse e a un fatto di cronaca.

La protagonista, Irene (Ingrid Bergman), donna altoborghese, è sconvolta, nella vacuità della sua esistenza, dalla morte del proprio bambino suicidatosi per carenze affettive. Di fronte ad un vuoto incolmabile s’interroga, in un percorso di ascesi, sul senso ultimo del proprio dolore e così facendo cade nel “peccato mortale” del non-conformismo, non adeguandosi all’insincerità programmatica delle istituzioni totali. Né i familiari, né il cugino marxista, né il sacerdote, né il giudice, né lo psichiatra, esponenti dell’ordine costituito, riusciranno a comprendere l’elaborazione del dolore di Irene, la sua distopia e le conseguenti scelte radicali, sopportando la nudità di cui parla la Weil nei suoi Quaderni. Internata in una clinica psichiatrica, sarà invece considerata santa da coloro che aveva amato in modo disinteressato e anticonvenzionale.

Con sorprendente attualità Rossellini, anticipando le tematiche delle periferie e degli ultimi, mette in scena la cura di Irene verso i diseredati che vivono ai margini e la dura vita degli operai in fabbrica. Con un “documentario sul volto”, l’autore narra un dolente itinerario esistenziale alla fine del quale emergono follia ed emarginazione, ma anche speranza e forza morale in un processo di purificazione negli attraversamenti del dolore. L’enunciazione rosselliniana, in tal modo, rivela che ogni gesto di amore è esperienza del divino e ricerca dell’Assoluto.

L’evocazione claustrale, indotta dalla sequenza finale della grata, giunge a conferma di quanto Irene aveva dichiarato al giudice che la incalzava sul senso delle sue reali intenzioni: «… voglio dividere la gioia di chi è felice, il dolore di tutti quelli che soffrono, l’angoscia di chi si dispera. Preferirei perdermi con gli altri che salvarmi da sola. Solo chi è completamente libero può confondersi con tutti, solo chi è legato a niente è legato a tutti gli esseri umani».

Nella sequenza conclusiva a finale aperto, la protagonista, attraverso lo sguardo “in camera”, interpella direttamente lo spettatore. Dalle immagini, epurate ad eccezione del volto, filtra, nello spazio lasciato vuoto dai corpi, l’idea del trascendente.

Il ricorso alla rappresentazione del volto inteso non come oggetto parziale, ma come astrazione da ogni coordinata spazio-temporale è ripreso dalla personale stilizzazione di Alain Cavalier in Thérèse (1986), interpretato da Catherine Mouchet. Con la sua rilettura della figura storica di santa Teresa del Bambin Gesù, si entra nel cuore del claustrum, dove l’essenzialità del volto funziona anche qui da chiave ermeneutica, un vis-à-vis con Thérèse, in una narrazione senza iato tra leggerezza e profondità, vita e morte. Il risultato di tale procedimento che fa appello ad un marcato virtuosismo iconografico non è un ritratto apologetico/agiografico, ma quello di un’adolescente con un obiettivo preciso e definitivo: diventare santa.

La novità consiste in un itinerario di ascesi stilistica analogo a quello spirituale della protagonista e, in coerenza con tale scelta, il claustrum funziona come spazio/tempo per una riflessione sulla vocazione, lasciando parlare i vuoti più dei pieni, la rarefazione più della condensazione, i silenzi più dei suoni.

La drammaturgia del luogo chiuso avvince anche un autore come Michelangelo Antonioni apparentemente lontano da tematiche spirituali, ma estremamente sensibile al vuoto esistenziale e all’assenza di senso.

È lo stesso regista a rivelarne la fascinazione dopo aver letto il diario della monaca di clausura Catherine Thomas dal titolo My Beloved. The Story of a Carmelite Nun (Mio Amato. La storia di una monaca carmelitana). Pur confessando il proprio disinteresse per l’ascetismo, ma consapevole che la ragione non sia in grado di spiegare la clausura, Antonioni afferma:«Quale risposta possono dare queste monache se hanno scelto per disciplina non dare risposta? La difficoltà di capire la loro vita non dipende né dal rigore della Regola né dal modo in cui la attuano. Dipende da noi che non cerchiamo una sosta di riflessione nel mistero della loro esperienza» e cita santa Teresa d’Avila: “O patire o morire, ecco quali devono essere i nostri desideri”.

Dalle prime tre pagine del diario, il regista trae, alla fine degli Anni ’70, il soggetto Patire o morire che lo porta a visitare 14 monasteri di clausura e instaurare anche delle relazioni epistolari con alcune monache. Ad una di esse Antonioni pone una domanda indiscreta: «E se mi innamorassi di te?», a cui segue una risposta folgorante: «Sarebbe come accendere una candela in una stanza piena di luce». Il lungometraggio non sarà realizzato, ma argomento e dialogo verranno ripresi in Al di là delle nuvole (1995), distillandoli nell’episodio dal titolo Questo corpo di fango, dove una ragazza (Irène Jacob) accetta di fare un tratto di strada, nella città delle cento fontane, Aix-en-Provence, in cui l’acqua delle fonti e della pioggia evoca la rigenerazione, con uno sconosciuto (Vincent Pérez) che si informa della sua vita, affascinato dalla sua misteriosa serenità. La cinepresa segue tali pedinamenti dalla chiesa sino alla soglia di casa quando, alla richiesta di poterla rivedere, la ragazza fulminea replicherà: «domani entro in convento».

Dalla consapevolezza di una vocazione corrisposta, con Sangue del mio sangue di Marco Bellocchio (2015), evoluzione di un precedente corto La monaca (2010), si affronta, pur se tangenzialmente, il tema opposto delle monacazioni forzate nel XVII secolo, legato all’istituto del maggiorasco che prevedeva l’eredità esclusiva del primogenito violando la libertà di scelta individuale e all’istituto del fedecommesso. Fenomeno diffuso anche se il Concilio di Trento nel Decretum de regularibus et monialibus (1563) dichiarava anatema contro chi violasse la libera volontà, anche attraverso la costrizione di natura psicologica.

Sul dramma esiste una vasta letteratura nella storia di genere anche con adattamenti cinematografici che hanno narrato la vita del claustrum, per alcune donne luogo di autoaffermazione, per altre dimora coatta, dando vita anche a un particolare sottogenere, il nunsploitation, che ha insistito, spesso con compiacimento morboso, sulla sessualità, sulla tortura e sulle possessioni.

Di ben altra caratura e giocato su epoche diverse, il film di Bellocchio narra di una monaca “forzata”, Benedetta (Lidiya Liberman), che seduce il confessore Fabrizio (Pier Giorgio Bellocchio) inducendolo al suicidio. Il gemello Federico, uomo d’armi, cerca, senza risultato, di convincerla a confessare di essere una strega e, tuttavia, la donna sarà murata in una minuscola cella con feritoia.

Girato a Bobbio, in provincia di Piacenza, nella prigione ricavata da un’ala dell’abbazia di San Colombano, in quanto storia di spazi interconnessi testualmente e metalinguisticamente, il film attinge ad una serie di elementi atti a rappresentare la mentalità di un’epoca intrisa di pratiche magiche ed ascetico-disciplinari.

Esso ha inizio infatti con una porta chiusa, elemento che collega figurativamente, tra nascondimenti e svelamenti, epoche diverse come “cosmo del socchiuso”, secondo la concezione di Gaston Bachelard, che chiude/apre a topografie interiori.

La metafora della dualità interno/esterno, luce/ombra trova il suo culmine infine nella muratura/smuratura della cella, nella forza immaginifica di una liberazione, non solo materica, nel ri-venire alla luce. Vediamo infatti il levarsi di Benedetta, nella nudità di corpo incorrotto dopo una straziante purificazione/decarnificazione, come una sorta di anástasis, resurrezione di quell’eterno femminino, memoria e anima del tempo.

Vatican News

Simone Cristicchi ha la paralisi di Bell: l’annuncio spiazza i fan. Annullato il concerto

Simone Cristicchi annulla un concerto: ha la paralisi di Bell
Momento difficile per Simone Cristicchi, celebre cantante italiano. L’uomo ha fatto un annuncio sui social che ha fatto preoccupare tutti i suoi sostenitori. Il cantante ha annunciato di essere costretto ad annullare un suo concerto a causa di un problema di salute che l’ha colpito in questo ultimo momento. L’uomo ha postato una storia nel suo profilo Instagram, dove ha scritto le seguenti parole: “E’ con grande dispiacere che devo annunciare che per un improvviso problema di salute sarò costretto ad annullare il concerto previsto per il 12 luglio a Forte di Bard nell’ambito della rassegna Aosta Classica.” Simone Cristicchi ha aggiunto di essere stato colpito dalla paralisi di Bell, una condizione temporanea che richiede riposo e attenzione. L’uomo ha concluso il messaggio ringraziando i fan per la loro comprensione.
Simone Cristicchi è stato colpito dalla paralisi di Bell: anche Simona Ventura ebbe lo stesso problema
Simone Cristicchi è stato colpito dalla paralisi di Bell. Il cantante ha annunciato il suo problema di salute con una storia su Instagram per svelare i motivi dietro la sua assenza al concerto di Forte di Bard. La paralisi di Bell è una forma di paralisi facciale risultante da una disfunzione del VII nervo cranico, che provoca l’incapacità di controllare i muscoli del viso dal lato colpito. Il cantante non è l’unico ad avere avuto questa patologia. Di recente, Simona Ventura aveva riferito di essere stata diagnosticata con la paralisi di Bell. In quel frangente, la conduttrice del Grande Fratello aveva dichiarato: “mi sono svegliata con la parte sinistra bloccata. Ero a Roma con Giovanni e mi sono spaventata. Poi ho fatto le analisi e gli esami di rito che hanno confermato che si tratta della paralisi del settimo nervo cranico facciale”.
Il tour di Simone Cristicchi è in forse dopo l’annuncio del problema di salute
Problemi di salute per Simone Cristicchi. Il cantante reduce dal grande successo ottenuto nell’ultima edizione del Festival di Sanremo è stato costretto ad annullare un concerto a causa della paralisi di Bell che l’ha colpito. Al momento non è certo se il cantante pugliese prenderà parte alle nuove tappe del suo tour dal titolo Dalle tenebre alla luce – Summer tour 2025. L’uomo sarebbe impegnato a luglio e agosto con la sua tournée, che a questo punto potrebbe essere addirittura cancellata.
Televisionando

Meeting di Rimini, mattoni nuovi per costruire il futuro

Il tavolo dei relatori durante la presentazione del Meeting di Rimini 2025.

Presentata a Roma la prossima edizione di questo evento che si aprirà il 22 agosto. All’incontro, tenutosi presso l’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, hanno partecipato tra gli altri l’ambasciatore Francesco Di Nitto, il presidente della Fondazione Meeting per l’Amicizia fra i Popoli, Bernhard Scholz e il ministro per le disabilità Alessandra Locatelli

Silvia Guidi – Città del Vaticano – Vatican News

La vulnerabilità delle democrazie, le sempre crescenti polarizzazioni sociali, la concentrazione del potere economico in pochissime mani. Sono questi alcuni dei gravi problemi del nostro tempo di cui si parlerà durante il prossimo Meeting per l’amicizia tra i popoli di Rimini, che si svolgerà dal 22 al 27 agosto. L’edizione di quest’anno – presentata a Roma nel pomeriggio del 9 luglio nella sede dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, ha un titolo che non nasconde le difficoltà del presente ma apre alla speranza: “Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi”, una frase tratta dai Cori da “La Rocca” di T. S. Eliot. Dopo i saluti introduttivi dell’ambasciatore Francesco Di Nitto, a Palazzo Borromeo, sono intervenuti il presidente della Fondazione Meeting per l’Amicizia fra i Popoli, Bernhard Scholz, il ministro per le Disabilità, Alessandra Locatelli, il decano della Facoltà di Teologia alla Pontificia Università Santa Croce, don Giulio Maspero, e il presidente del Comitato nazionale per l’ottavo centenario della morte di San Francesco d’Assisi, Davide Rondoni.

Papa Leone e un mondo all’altezza dei bambini

Leone XIV con una bambina del centro estivo vaticano

Vatican News

Sono passati due mesi dall’elezione di Robert Francis Prevost alla Cattedra di Pietro e già sono numerose le immagini simbolo di questo Pontificato appena iniziato. Tra queste, anche se meno conosciuta, quella del nuovo Papa che si abbassa per essere accanto a una bambina che gli vuole regalare un disegno. Un gesto semplice che ha tuttavia un messaggio di grande valore: per edificare un mondo migliore bisogna mettersi all’altezza dei bambini
Alessandro Gisotti

Sono tante e ricche di significato le immagini che ci hanno consegnato questi primi due mesi di Pontificato di Leone XIV. Alcune rimarranno nella memoria collettiva per lungo tempo, come le lacrime trattenute sulla Loggia centrale della Basilica petrina nel guardare la gente festosa in Piazza San Pietro il pomeriggio dell’8 maggio nel suo primo Urbi et Orbi dopo l’elezione. Ma ce ne è una, molto meno conosciuta, che con naturalezza porta con sé un messaggio e una visione per il futuro. E’ quella in cui Papa Leone sta seduto sulle proprie gambe accanto ad una bambina del Centro estivo vaticano che gli mostra un disegno.

Colpiscono i sorrisi dei due: il Papa guarda evidentemente verso l’obiettivo di chi sta fotografando. La bambina è “rapita” da quel gesto e quindi non guarda il fotografo ma tiene fisso lo sguardo sorridente su Leone XIV. Perché questa immagine è così importante? Perché con quel semplice abbassarsi, il Pontefice ci ha mostrato una direzione che dovrebbe essere seguita da tutti e in particolare da chi oggi ha nelle proprie mani le sorti del mondo: mettersi all’altezza dei bambini, guardare il mondo con i loro occhi. Come cambierebbero le sorti dell’umanità se ognuno di noi avesse il coraggio di abbassarsi come fece Gesù quando – riprendendo i discepoli che volevano allontanare i bambini “fastidiosi” – pronunciò quella frase immortale: “Lasciate che i bambini vengano a me”.

Oggi quanto lasciamo che i bambini vengano a noi? E soprattutto quanto noi andiamo verso di loro. Verso quei bambini travolti dalla guerra, quelli affamati dall’egoismo altrui, quelli abusati da mille forme di violenza. La logica prima ancora che il sentimento richiederebbe che i grandi proteggessero i piccoli. Invece, succede esattamente l’inverso: nelle guerre decise dai grandi, i primi a soffrire sono proprio loro: i piccoli. Che cosa vedremmo se ci abbassassimo alla misura dei bambini di Gaza, di Kharkiv, di Goma e dei tanti, troppi luoghi sconvolti dai conflitti armati. Forse, se lo facessimo, qualcosa cambierebbe.

“Se vogliamo insegnare la vera pace in questo mondo – diceva Gandhi – e se vogliamo portare avanti una vera guerra contro la guerra, dovremo cominciare dai bambini”. Immaginiamo per un istante se al Consiglio di Sicurezza dell’ONU sedessero bambini delle nazionalità delle Grandi Potenze. Chissà come cambierebbero le relazioni internazionali. Purtroppo, dobbiamo riconoscere con amarezza che la realtà della guerra ci viene instillata, come veleno, fin dai primi anni della nostra vita. Lo spiega in modo drammaticamente efficace Bertolt Brecht in una poesia scritta mentre si approssimava il lugubre inizio della Seconda Guerra Mondiale: “I bambini giocano alla guerra. È raro che giochino alla pace perché gli adulti da sempre fanno la guerra”.

Ecco perché forse l’unica via per cambiare il corso della storia è davvero quella apparentemente più improbabile: abbassarsi, scendere dalle nostre convinzioni e dai nostri interessi di adulti e mettere i nostri occhi (e ancor più il nostro cuore) nello sguardo “basso” dei bambini. Papa Leone, da missionario e vescovo in Perù, si è abbassato tante volte per essere all’altezza dei bambini. Sono numerose le immagini che ce lo mostrano in questa situazione. Ora che è Vescovo di Roma il suo stile non è cambiato, come ci ha “confermato” quello scatto dal Centro estivo vaticano in Aula Paolo VI. Farsi piccoli, dunque, per rendere più grande la nostra umanità. Una lezione di cui oggi abbiamo immensamente bisogno.