
Jan Bloch ritratto da Jan Ciągliński, Museo Nazionale di Varsavia – —
Avvenire
Ci sono storie di persone del passato che, pur non celebri o avvolte dall’oblio, sembrano attenderci per donare speranza. Con Gerolamo Fazzini, già autore un anno fa della fortunata serie sui “protagonisti dimenticati”, ogni mercoledì lungo tutta l’estate offriamo un ideale album di testimoni credibili della speranza – intesa nei suoi profili più umani – su cui il Giubileo ci sta invitando a verificare la nostra stessa vita. Studiando i conflitti dell’epoca comprese che la soluzione militare avrebbe procurato solo vittime e nessun vero vincitore
L’avessero ascoltato, ci saremmo risparmiati almeno dieci milioni di morti. Con quasi vent’anni di anticipo su Benedetto XV (che il 1° agosto 1917 definì «inutile strage» la Prima guerra mondiale), l’oscuro imprenditore Jan Gotlib Bloch, polacco di origine ebraica, aveva intuito l’immane disastro che stava per abbattersi sull’Europa. Anche il leader socialista francese Jean Jaurès aveva alzato, inutilmente, la voce per impedire il massacro. Nel suo penultimo discorso pubblico a Lione, pochi giorni prima di essere ucciso da un giovane connazionale nazionalista, il 31 luglio 1914, disse: « L’Europa si dibatte come in un incubo. Spero ancora, nonostante tutto, che proprio a causa dell’enormità del disastro che ci minaccia, all’ultimo minuto i governi si riprendano e che non dovremo tremare di orrore al pensiero del cataclisma che una guerra europea comporterebbe oggi per gli uomini. Pensate a quale sarebbe il disastro per l’Europa: non sarebbe più, come nei Balcani, un esercito di trecentomila uomini, ma quattro, cinque, sei eserciti di due milioni di uomini. Che massacro, che rovina, che barbarie!».
Se Jaurès è pacifista per ragioni ideologiche (« Il capitalismo porta la guerra come la nuvola porta la tempesta »), Bloch è un pragmatico. Il suo interesse deriva dalle osservazioni raccolte durante la guerra russo-turca del 1877-1878 e dalla sua esperienza professionale. Dopo aver divorato numerosi testi di tecnica militare dell’epoca, Bloch si convinse che, impiegando le moderne tecnologie, una nuova guerra si sarebbe risolta in uno scontro senza vincitori, ma con enormi perdite (vite umane e risorse economiche) per tutti. Scrive: « L’aspetto tecnico della guerra non è più quello di un tempo; i cambiamenti che ha subito sono grandi quanto quelli che il vapore ha determinato nel traffico interoceanico. Da un punto di vista tecnico, spero quindi di dimostrare che la guerra, come mezzo per risolvere le controversie tra nazioni, non è più efficace. Ma anche se le ragioni tecniche fossero meno convincenti, le considerazioni economiche sarebbero comunque decisive. La macchina militare non è più isolata come un tempo.
È strettamente connessa con le macchine finanziarie ed economiche non solo dei Paesi in guerra, ma di tutte le altre nazioni». Benché si sia convertito al calvinismo e successivamente al cattolicesimo, Bloch non poggia i suoi ragionamenti su basi etiche o religiose, ma su calcoli matematici e valutazioni economiche. È un uomo d’affari, del resto: comincia come modesto impiegato di banca, ma poi farà i soldi buttandosi nella costruzione della ferrovia russa. Si compra una banca, sposa Emilia Kronemberg, nipote di un ricco finanziere del Regno di Polonia, fonda una società per azioni per amministrare le ferrovie nella parte europea della Russia, fino a diventare presidente della Borsa di Varsavia dal 1873 al 1885.
Una brillante carriera, al culmine della quale Bloch decide di indagare i meccanismi che portano alla guerra e studiare le conseguenze dei mezzi di combattimento nei conflitti armati. « La scienza militare – denuncia è stata da tempo immemorabile un libro con sette sigilli, che solo gli iniziati erano ritenuti degni di aprire». Dopo un tenace lavoro di documentazione, il frutto dei suoi pensieri esce, a puntate su una rivista polacca, tra il 1893 e il 1894 col titolo Il futuro della guerra nelle sue relazioni tecniche, economiche e politiche: negli anni successivi la versione ampliata diverrà un libro in sei tomi, diffuso in inglese, polacco, russo, francese, tedesco e olandese.
Nel periodo passato alla storia come “Belle Époque” Bloch, in sostanza, rappresenta una sorta di guastafeste, di profeta di sventura. E, si sa, i potenti (sia politici che militari) dei profeti non sanno che farsene. Scrive Agnieszka Janiak-Jasiñska, studiosa dell’Università di Varsavia, nell’Enciclopedia internazionale della Prima guerra mondiale: « Bloch cercò di convincere i suoi contemporanei, principalmente politici europei e l’opinione pubblica, che di fronte alla corsa agli armamenti imperante l’aggressore non sarebbe stato in grado di giocare la carta vincente della sorpresa e che spezzare la resistenza dell’avversario avrebbe richiesto una guerra lunga e costosa ». Pur sottovalutando il ruolo che avrebbe poi giocato l’artiglieria (e non potendo prevedere l’invenzione dei carri armati o degli aerei da combattimento), Bloch aveva comunque compreso lo scenario totalmente nuovo e allarmante che andava profilandosi. Per questo, continua Janiak-Jasiñska, «l’autore credeva nella logica alla base delle decisioni e delle azioni individuali e concluse quindi che non si potesse giungere a uno scoppio di guerra che avrebbe messo in pericolo l’umanità». Ma, come sappiamo, gli eventi presero un’altra direzione.
Gli scritti di Bloch fecero storcere il naso ai militari, ma riscossero un certo interesse negli ambienti intellettuali, tant’è che nel 1899 venne convocata la Conferenza di pace dell’Aia, alla quale Bloch fu invitato come osservatore. Insieme alla baronessa austriaca Bertha von Suttner (prima donna a vincere il Premio Nobel per la Pace nel 1905), Bloch fece pressione perché fosse raggiunto un accordo sul disarmo. Bloch consegnò copie del suo libro La guerra futura a politici di molti Paesi e ad altri opinion leader, ma la maggior parte degli interlocutori si dimostrò fredda, ad eccezione del giornalista britannico William Thomas Stead che contribuì a diffondere le idee di Bloch firmando una prefazione al volume. Nel 1914 The World Peace Foundation pubblicò il libro negli Usa, a Boston. Ma, come detto, le profezie di Bloch rimasero sostanzialmente lettera morta. Eppure, leggendo i suoi testi, infatti, si resta colpiti dalla lucidità delle analisi e dalla verve polemica dell’imprenditore-saggista. Un esempio? «Gli eserciti di oggi non sono composti da cavalieri galanti e gioviali, ma da interi popoli che maledicono il destino che li costringe ad abbandonare le loro professioni, privando così le loro famiglie di un aiuto e gettando un enorme peso supplementare sullo Stato. L’aspetto economico della questione è diventato formidabile, perché internazionale».
Bloch dedicò gli ultimi anni della sua vita alla promozione del pacifismo e all’istituzione del Museo della Guerra e della Pace a Lucerna. Inaugurato sei mesi dopo la morte del suo fondatore, venne chiuso dopo la Prima guerra mondiale. Su Bloch e il suo messaggio calò un silenzio che sarebbe durato lunghi decenni. Solo di recente sembra che il mondo si stia accorgendo della straordinarietà di questa figura. Nel 2010 è apparsa una traduzione in inglese del suo libro; nel 1993 era stata ristampata un’antologia di suoi scritti. Per paradosso, è un militare, il colonello statunitense Richard M. Swain, a firmarne la prefazione, in cui dichiara: «Questi saggi sono stati ristampati nella speranza che possano incoraggiare i professionisti dell’esercito di oggi a sviluppare una lungimiranza pari a quella del più grande dilettante del XIX secolo».