Don Ravazzini a Correggio, don Casini a Cadelbosco: le nomine del Vescovo di Reggio Emilia

Mani giunte in preghiera davanti a una croce su sfondo scuro e texturizzato.
Mani giunte in preghiera con una croce sullo sfondo.

Una quindicina i nuovi incarichi per far fronte alle esigenze pastorali emerse in Diocesi. Con qualche settimana di anticipo sulla tradizione, Monsignor Morandi ha ufficializzato le destinazioni

REGGIO EMILIA – Don Alessandro Ravazzini è il nuovo parroco di Correggio. Con lui nella parrocchia della bassa arriva anche il prete novello don Francesco Bazzoni. Negli ultimi anni la terra che onora san Quirino ha visto alternarsi tanti sacerdoti. Tra questi anche don Alberto Debbi, medico pneumologo, che lascia Correggio per servire la parrocchia di Guastalla. Qui tra le altre cose, gestirà anche la partita ‘oratorio di Pieve’, un luogo che fece a suo tempo discutere alcune famiglie della zona e l’allora parroco don Nildo Rossi, oggi inviato a Carpineti. Correggio viene lasciata anche da don Gionatan Giordani che sarà il nuovo parroco di san Pietro e san Giacomo in città.

Ritorna in parrocchia don Daniele Casini, già segretario di monsignor Caprioli e poi parroco del Duomo a Reggio. Reggerà la parrocchia di Cadelbosco scoperta da qualche giorno dopo la morte di don Gianni Repetti. La Chiesa reggiana invia un nuovo prete in Amazzonia: si tratta di don Marco Lucenti che lascia Castelnovo Monti per affiancare in Brasile don Paolo Bizzocchi. Sotto la pietra, arriva da Campagnola, don Angelo Guidetti, fino ad oggi parroco a Campagnola.

Don Carlo Pagliari lascia la guida della pastorale giovanile affidata a don Gionatan Giordani coadiuvato da don Alessandro Zaniboni e don Domenico Reverberi. Don Alberto Nicelli e don Edoardo Ruina, già amministratori pastorali a Poviglio e Luzzara, diventano a tutti gli effetti, parroci delle parrocchie in cui già operavano.

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Scossa terremoto Napoli fortissima, avvertita anche in provincia: epicentro e stima magnitudo

Scossa terremoto Napoli fortissima, avvertita anche in provincia: epicentro e stima magnitudo

calcionapoli24

Ultim’ora terremoto a Napoli – Una forte scossa di terremoto è stata registrata dall’INGV alle 09.14 nella zona dei Campi Flegrei.

Terremoto oggi Napoli, epicentro e magnitudo
Stando ai primi dati, la magnitudo dell’evento sismico si assesta sui 4 gradi della scala Richter. Il sisma è stato avvertito da molti comuni della provincia di Napoli ed anche in città.

Profondità 2.4 km. Epicentro in zona Dazio a Pozzuoli. La gente è scesa in strada a Napoli.

Ecco la nota dell’INGV:

“Alle ore 9:14 italiane del 18/07/2025 è avvenuto un terremoto nell’area dei Campi Flegrei con magnitudo di Md 4.0 ± 0.3, ad una profondità pari a circa 2,5 km, tra le località di Pozzuoli e Bagnoli”

Ucraina, Yulia Svyrydenko è la nuova premier

La neo-premier ucraina, Yulia Svyrydenko
Via libera del Parlamento ucraino. Nel rimpasto voluto dal presidente Zelensky, Shmyal passa alla Difesa

Costanza Santillo – Citta del Vaticano – Vatican News

Nulla osta del Parlamento ucraino al rimpasto di governo voluto dal presidente Zelensky: Yulia Svyrydenko, la neo premier ha ottenuto la fiducia con 262 voti a favore, 22 contrari e 26 astensioni. L’avvicendamento rappresenta il primo cambio di leadership in Ucraina dall’inizio della guerra nel 2022. L’intento dichiarato dalla presidenza ucraina è quello di dare nuova energia a un Paese stanco della guerra e posto di fronte a nuove sfide strategiche. Svyrydenko, già vicepremier nel precedente governo, subentra a Denys Shmyhal, al quale è stato affidato il Ministero della Difesa, dicastero di massima importanza in questo periodo di guerra. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, si è congratulata con la nuova premier, riaffermando il pieno sostegno dell’Unione Europea “nella lotta per la sopravvivenza dell’Ucraina e nel lavoro per la ripresa del Paese e per il futuro dell’Ue”.

Le sfide della nuova premier
Negli anni, Svyrydenko ha svolto un ruolo chiave nei negoziati per l’accordo sulle terre rare svolti tra Stati Uniti e Ucraina, promuovendo gli interessi nazionali. Descritta da parlamentari e funzionari di governo come una dirigente di grande lealtà nei confronti del presidente Zelensky, la neo-premier ha rappresentato il suo paese in numerosi colloqui di alto livello con i partner occidentali, in particolare in materia di difesa, ripresa economica e ricostruzione. La scelta di Svyrydenko si inserisce negli obiettivi dei prossimi sei mesi così come espressi dal presidente Zelensky martedi’ scorso. Tra questi figurano l’aumento della produzione interna di armi, l’appalto di tutti i tipi di droni per le forze ucraine, l’alleggerimento delle normative per sbloccare il potenziale economico e la garanzia dell’attuazione dei programmi di sostegno sociale.

La priorità della produzione di armamenti
Tra gli obiettivi messi in agenda dal presidente, una grande enfasi è stata posta sull’aumento della produzione interna di armamenti, che attualmente copre già il 40% del fabbisogno dall’esercito ucraino. La necessità di aumentare la produzione interna deriva dalla forte incertezza relativa alla tempestività di fornitura degli armamenti da parte dei paesi occidentali.

Vangelo 18 Luglio 2025

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 12,1-8

In quel tempo, Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi di grano e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere delle spighe e a mangiarle.
Vedendo ciò, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato».
Ma egli rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Egli entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell’offerta, che né a lui né ai suoi compagni era lecito mangiare, ma ai soli sacerdoti. O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio vìolano il sabato e tuttavia sono senza colpa? Ora io vi dico che qui vi è uno più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significhi: “Misericordia io voglio e non sacrifici”, non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato».

Il tema. Social e minori: intervenire è possibile (e qualcosa si muove)

Giovani e telefonini

Giovani e telefonini – .

Avvenire

Adesso o mai più. Che serva una stretta sulla tutela dei minori online lo dicono i numeri. Soprattutto se associati a un web che assomiglia sempre di più a un Far west senza regole. Perché chiunque può accedere a qualsiasi tipo di contenuto, falsificando l’età senza sprecare nemmeno una goccia di sudore. In Italia, infatti, oltre il 62% dei ragazzi tra gli undici e i tredici anni possiede un account social, spesso creato con dati anagrafici falsificati o tramite profili di adulti. Un terzo dei bambini tra i 6 e i 10 anni utilizza quotidianamente lo smartphone, mentre soltanto il 30% delle famiglie adotta sistemi di parental control. E questo solo per rimanere nel nostro Paese. Ma, allargando lo sguardo, è un problema che riguarda tutti.

Parte da questo assunto il report realizzato da FutureProofSociety (Fps) insieme a InnovUp e Italian Tech Alliance. Un lavoro che analizza i modelli attuali e offre consigli per un sistema più sicuro e inclusivo. È stato presentato ieri, a Roma, sulla scia dei passi compiuti da Bruxelles verso questi temi. Sintomo che qualcosa si sta muovendo. Negli scorsi giorni, infatti, la Commissione Ue ha presentato delle linee guida per la protezione digitale dei minori e un prototipo di un’applicazione per la verifica dell’età degli utenti sulle piattaforme ai sensi del Digital Service Act. Lo ha annunciato Henna Virkkunen, la vicepresidente della Commissione. «Le piattaforme – ha detto – non hanno più scuse per continuare a mettere in atto pratiche che mettono a rischio i bambini». Alla fase pilota dell’applicazione parteciperanno Italia, Francia, Spagna, Grecia e Danimarca. Sarà uno dei tasselli che comporranno il portafoglio d’identità digitale previsto per la fine del 2026. L’app sarà utilizzata per verificare se l’utente ha più di 18 anni senza dover rivelare ulteriori informazioni personali nel rispetto della privacy.
Nelle linee guida c’è anche quella del cyberbullismo. Tra gli aspetti promossi, la Commissione vuole che si offra la possibilità ai minori di bloccare o silenziare gli utenti, garantendo che non possano essere aggiunti ai gruppi senza il loro esplicito consenso, così come che si proibisca agli account di scaricare o fare screenshot di contenuti pubblicati da minori per evitare la distribuzione indesiderata di contenuti sessuali o intimi. «La sperimentazione va nella direzione giusta – ha sottolineato Giacomo Lev Mannheimer, co-fondatore di Fps, insieme ad Alessandro Tommasi -. È stato fatto un grandissimo sforzo di sintesi su un tema complesso che è molto sentito dagli Stati nazionali e dall’industria. Non era facile, ma purtroppo stiamo parlando di linee guida, quindi delle raccomandazioni non vincolanti. C’è ancora moltissimo da fare». Anche sull’applicazione pilota Lev Mannheimer nutre qualche dubbio. «Può essere parte della soluzione. Ma il problema è che richiede la collaborazione di tutti gli altri servizi digitali. Pensare che tutti collaborino in maniera armonica lo ritengo un po’ naïf». Dal report di Fps emerge invece la necessità di un modello centralizzato di responsabilità. «Servirebbe – ha spiegato – una norma europea che imponga una verifica a monte dell’età fatta a livello di sistema operativo o di app store. Non risolverà del tutto l’emergenza, ma la arginerà più di quanto succeda oggi».
È la stessa strada indicata da Meta. In rappresentanza dell’impresa statunitense era presente ieri Costanza Andreini. «Crediamo che siano necessarie regole europee uguali per tutti, per non frammentare il mercato e per estendere le tutele non solo ai minori, ma a tutti gli utenti – ha sottolineato -. Anche per noi le soluzioni più efficaci sono quelle a livello di sistema operativo e di app store».
Di tutti questi temi, in realtà, in Italia se ne parla già da tempo. È del 13 maggio dell’anno scorso la proposta di legge bipartisan per la tutela dei minori nell’utilizzo degli strumenti digitali depositata in Senato da Lavinia Mennuni (Fdi) e cofirmata da Simona Malpezzi (Pd). La deputata dem Marianna Madia l’ha invece depositata a Montecitorio. In sostanza, prevede la regolamentazione dell’accesso ai social media, con un’età minima alzata a 15 anni. «Siamo in una fase di stand still – ha detto ieri Mennuni -. Aspettiamo di sapere quali sono i pareri della Commissione europea. Abbiamo accolto con favore l’ipotesi della sperimentazione dell’app, ma crediamo che nell’epoca dell’Intelligenza artificiale non ci possa volere troppo tempo. Abbiamo presentato infatti un non paper insieme a molti altri Paesi per chiedere di velocizzare l’iter». Le ha fatto eco Malpezzi, che ha sottolineato come quello della tutela dei minori sia un problema che non riguarda solo l’Europa, ma tutto il mondo. «Dal 2010 – ha spiegato – sono aumentati incredibilmente i problemi che riguardano i preadolescenti e gli adolescenti rispetto a casi di autolesionismo, di disturbi alimentari, del sonno, della concentrazione e dell’apprendimento. Per questo – ha concluso – serve un lavoro collettivo e di rete».

Jan Bloch e la lezione inascoltata sulla follia della guerra

A fine Ottocento l’imprenditore polacco teorizzò l’insostenibilità umana ed economica dei conflitti armati

Jan Bloch ritratto da Jan Ciągliński, Museo Nazionale di Varsavia

Jan Bloch ritratto da Jan Ciągliński, Museo Nazionale di Varsavia – —

Avvenire

Ci sono storie di persone del passato che, pur non celebri o avvolte dall’oblio, sembrano attenderci per donare speranza. Con Gerolamo Fazzini, già autore un anno fa della fortunata serie sui “protagonisti dimenticati”, ogni mercoledì lungo tutta l’estate offriamo un ideale album di testimoni credibili della speranza – intesa nei suoi profili più umani – su cui il Giubileo ci sta invitando a verificare la nostra stessa vita. Studiando i conflitti dell’epoca comprese che la soluzione militare avrebbe procurato solo vittime e nessun vero vincitore
L’avessero ascoltato, ci saremmo risparmiati almeno dieci milioni di morti. Con quasi vent’anni di anticipo su Benedetto XV (che il 1° agosto 1917 definì «inutile strage» la Prima guerra mondiale), l’oscuro imprenditore Jan Gotlib Bloch, polacco di origine ebraica, aveva intuito l’immane disastro che stava per abbattersi sull’Europa. Anche il leader socialista francese Jean Jaurès aveva alzato, inutilmente, la voce per impedire il massacro. Nel suo penultimo discorso pubblico a Lione, pochi giorni prima di essere ucciso da un giovane connazionale nazionalista, il 31 luglio 1914, disse: « L’Europa si dibatte come in un incubo. Spero ancora, nonostante tutto, che proprio a causa dell’enormità del disastro che ci minaccia, all’ultimo minuto i governi si riprendano e che non dovremo tremare di orrore al pensiero del cataclisma che una guerra europea comporterebbe oggi per gli uomini. Pensate a quale sarebbe il disastro per l’Europa: non sarebbe più, come nei Balcani, un esercito di trecentomila uomini, ma quattro, cinque, sei eserciti di due milioni di uomini. Che massacro, che rovina, che barbarie!».

Se Jaurès è pacifista per ragioni ideologiche (« Il capitalismo porta la guerra come la nuvola porta la tempesta »), Bloch è un pragmatico. Il suo interesse deriva dalle osservazioni raccolte durante la guerra russo-turca del 1877-1878 e dalla sua esperienza professionale. Dopo aver divorato numerosi testi di tecnica militare dell’epoca, Bloch si convinse che, impiegando le moderne tecnologie, una nuova guerra si sarebbe risolta in uno scontro senza vincitori, ma con enormi perdite (vite umane e risorse economiche) per tutti. Scrive: « L’aspetto tecnico della guerra non è più quello di un tempo; i cambiamenti che ha subito sono grandi quanto quelli che il vapore ha determinato nel traffico interoceanico. Da un punto di vista tecnico, spero quindi di dimostrare che la guerra, come mezzo per risolvere le controversie tra nazioni, non è più efficace. Ma anche se le ragioni tecniche fossero meno convincenti, le considerazioni economiche sarebbero comunque decisive. La macchina militare non è più isolata come un tempo.

È strettamente connessa con le macchine finanziarie ed economiche non solo dei Paesi in guerra, ma di tutte le altre nazioni». Benché si sia convertito al calvinismo e successivamente al cattolicesimo, Bloch non poggia i suoi ragionamenti su basi etiche o religiose, ma su calcoli matematici e valutazioni economiche. È un uomo d’affari, del resto: comincia come modesto impiegato di banca, ma poi farà i soldi buttandosi nella costruzione della ferrovia russa. Si compra una banca, sposa Emilia Kronemberg, nipote di un ricco finanziere del Regno di Polonia, fonda una società per azioni per amministrare le ferrovie nella parte europea della Russia, fino a diventare presidente della Borsa di Varsavia dal 1873 al 1885.
Una brillante carriera, al culmine della quale Bloch decide di indagare i meccanismi che portano alla guerra e studiare le conseguenze dei mezzi di combattimento nei conflitti armati. « La scienza militare – denuncia è stata da tempo immemorabile un libro con sette sigilli, che solo gli iniziati erano ritenuti degni di aprire». Dopo un tenace lavoro di documentazione, il frutto dei suoi pensieri esce, a puntate su una rivista polacca, tra il 1893 e il 1894 col titolo Il futuro della guerra nelle sue relazioni tecniche, economiche e politiche: negli anni successivi la versione ampliata diverrà un libro in sei tomi, diffuso in inglese, polacco, russo, francese, tedesco e olandese.
Nel periodo passato alla storia come “Belle Époque” Bloch, in sostanza, rappresenta una sorta di guastafeste, di profeta di sventura. E, si sa, i potenti (sia politici che militari) dei profeti non sanno che farsene. Scrive Agnieszka Janiak-Jasiñska, studiosa dell’Università di Varsavia, nell’Enciclopedia internazionale della Prima guerra mondiale: « Bloch cercò di convincere i suoi contemporanei, principalmente politici europei e l’opinione pubblica, che di fronte alla corsa agli armamenti imperante l’aggressore non sarebbe stato in grado di giocare la carta vincente della sorpresa e che spezzare la resistenza dell’avversario avrebbe richiesto una guerra lunga e costosa ». Pur sottovalutando il ruolo che avrebbe poi giocato l’artiglieria (e non potendo prevedere l’invenzione dei carri armati o degli aerei da combattimento), Bloch aveva comunque compreso lo scenario totalmente nuovo e allarmante che andava profilandosi. Per questo, continua Janiak-Jasiñska, «l’autore credeva nella logica alla base delle decisioni e delle azioni individuali e concluse quindi che non si potesse giungere a uno scoppio di guerra che avrebbe messo in pericolo l’umanità». Ma, come sappiamo, gli eventi presero un’altra direzione.
Gli scritti di Bloch fecero storcere il naso ai militari, ma riscossero un certo interesse negli ambienti intellettuali, tant’è che nel 1899 venne convocata la Conferenza di pace dell’Aia, alla quale Bloch fu invitato come osservatore. Insieme alla baronessa austriaca Bertha von Suttner (prima donna a vincere il Premio Nobel per la Pace nel 1905), Bloch fece pressione perché fosse raggiunto un accordo sul disarmo. Bloch consegnò copie del suo libro La guerra futura a politici di molti Paesi e ad altri opinion leader, ma la maggior parte degli interlocutori si dimostrò fredda, ad eccezione del giornalista britannico William Thomas Stead che contribuì a diffondere le idee di Bloch firmando una prefazione al volume. Nel 1914 The World Peace Foundation pubblicò il libro negli Usa, a Boston. Ma, come detto, le profezie di Bloch rimasero sostanzialmente lettera morta. Eppure, leggendo i suoi testi, infatti, si resta colpiti dalla lucidità delle analisi e dalla verve polemica dell’imprenditore-saggista. Un esempio? «Gli eserciti di oggi non sono composti da cavalieri galanti e gioviali, ma da interi popoli che maledicono il destino che li costringe ad abbandonare le loro professioni, privando così le loro famiglie di un aiuto e gettando un enorme peso supplementare sullo Stato. L’aspetto economico della questione è diventato formidabile, perché internazionale».
Bloch dedicò gli ultimi anni della sua vita alla promozione del pacifismo e all’istituzione del Museo della Guerra e della Pace a Lucerna. Inaugurato sei mesi dopo la morte del suo fondatore, venne chiuso dopo la Prima guerra mondiale. Su Bloch e il suo messaggio calò un silenzio che sarebbe durato lunghi decenni. Solo di recente sembra che il mondo si stia accorgendo della straordinarietà di questa figura. Nel 2010 è apparsa una traduzione in inglese del suo libro; nel 1993 era stata ristampata un’antologia di suoi scritti. Per paradosso, è un militare, il colonello statunitense Richard M. Swain, a firmarne la prefazione, in cui dichiara: «Questi saggi sono stati ristampati nella speranza che possano incoraggiare i professionisti dell’esercito di oggi a sviluppare una lungimiranza pari a quella del più grande dilettante del XIX secolo».

Mediterranea presenta il rapporto sulla Masafer Yatta: «Contro i palestinesi circa 7 violazioni dei diritti umani ogni giorno»

Mediterranea presenta il rapporto sulla Masafer Yatta: «Contro i palestinesi circa 7 violazioni dei diritti umani ogni giorno»
ROMA-ADISTA. L’ong Mediterranea Saving Humans, presente in Cisgiordania dal 2024 con il progetto Mediterranea with Palestine, ha pubblicato oggi il suo Rapporto, frutto di 129 giorni di monitoraggio continuativo sul campo nei villaggi palestinesi della regione di Masafer Yatta, tra gennaio e maggio 2025.
Nonostante l’attenzione mediatica su Masafer Yatta seguita all’uscita del documentario No Other Land, vincitore dell’Oscar, le violazioni contro la popolazione palestinese non si sono fermate, confermando la natura sistemica e quotidiana dell’oppressione nei territori occupati.
Il rapporto documenta 838 violazioni dei diritti umani avvenute in 27 villaggi palestinesi dell’Area C da parte delle forze di occupazione israeliane e dei coloni. Questi dati, raccolti attraverso la presenza costante e l’interposizione nonviolenta degli attivisti di Mediterranea, mostrano un chiaro disegno sistemico: una strategia centralizzata e deliberata di pulizia etnica, attuata attraverso la cooperazione tra esercito, polizia e coloni israeliani.
«Ognuno di questi atti di violenza è rivolto contro civili inermi, che esercitano il diritto di vivere e coltivare le proprie terre. Pertanto i dati contenuti in questo report non sono uno strumento di documentazione, ma un atto d’accusa che impone obblighi e responsabilità giuridiche chiare: siamo complici di violazioni del diritto internazionale – afferma Damiano Censi, tra i coordinatori del progetto Mediterranea with Palestine -. L’Unione Europea è il primo partner commerciale di Israele, l’Italia solo a dicembre 2023, nel pieno dei bombardamenti da parte dell’esercito israeliano sulla Striscia di Gaza, ha esportato armi e munizioni verso Israele per un valore pari a 1,3 milioni di euro, facendo segnare così il picco del periodo. Serve che tutta la società civile, ciascuna di noi, trovi la dignità di prendersi carico delle proprie responsabilità».
Le aree maggiormente colpite sono i villaggi di Susiya, Tuwani, Umm Dhorit e Khallet Athaba, che da soli concentrano il 49% delle violazioni registrate. Si tratta di località strategiche per l’espansione coloniale israeliana, spesso situate all’interno della Firing Zone 918 o lungo assi viari di collegamento tra comunità palestinesi.
L’invasione delle proprietà palestinesi a scopo intimidatorio da parte dei coloni rappresenta la violazione più frequente, con 409 episodi documentati, spesso accompagnati da aggressioni, arresti arbitrari, danneggiamenti e presenza delle forze di polizia israeliane, che in nessun caso hanno sanzionato gli aggressori. Al contrario, in numerosi episodi, le stesse forze dell’ordine si sono rese direttamente o indirettamente responsabili di violenza contro la popolazione civile.
Nel periodo di monitoraggio sono stati arrestati 80 palestinesi e 30 attivisti internazionali, a conferma del clima di repressione sistematica nei confronti sia della popolazione locale che della solidarietà internazionale.
Altri segnali dell’avanzamento del progetto coloniale sono la creazione di nuovi avamposti illegali e l’imposizione di blocchi stradali, strumenti che limitano ulteriormente la libertà di movimento e consolidano un sistema di apartheid.
Il rapporto presenta anche quattro casi emblematici di violazioni sistematiche: a Tuba, la violenza dei coloni si è accompagnata alla targettizzazione degli attivisti internazionali per eliminare testimoni scomodi; a Khallet Athaba sono stati demoliti 31 edifici lasciando solo 2 case integre; ad Ar Rakeez, le violenze contro i civili da parte dei coloni hanno visto l’uso di armi da guerra come i proiettili a grappolo; a Jinba, si è documentato il coordinamento diretto tra coloni ed esercito per cancellare il villaggio, prima i coloni hanno aggredito con spranghe e bastoni la popolazione civile, successivamente l’esercito, dopo aver arrestato gran parte degli uomini del villaggio, ha completato la distruzione all’interno delle case, colpendo provviste, elettrodomestici e suppellettili.
In un contesto di crescente violenza, la resistenza quotidiana delle comunità locali diventa l’unica forma possibile di sopravvivenza. Come nel caso di Ali, 86 anni, abitante di Khallet Athaba, che ogni giorno si siede di fronte alle macerie della sua casa demolita: «Sono nato qui prima che Israele esistesse. La mia famiglia possiede questa terra da generazioni. Ora come possono cercare di cacciarmi, dicendomi che non è più mia?».
Mediterranea with Palestine conferma il proprio impegno al fianco delle comunità palestinesi di Masafer Yatta, denunciando l’illegalità dell’occupazione e documentando, giorno dopo giorno, la resistenza nonviolenta di un popolo che continua a lottare per il diritto a vivere sulla propria terra.
Il rapporto è stato presentato in Senato, in sala caduti di Nassyria, questa mattina, con la presenza dei parlamentari Giuseppe De Cristofaro (Avs), Arturo Scotto (Pd), Rachele Scarpa (Pd), Dario Carotenuto (M5S) e del giurista Luigi Daniele, che ha curato la nota giuridica al rapporto.
«Il nostro rapporto raccoglie dati statistici e testimonianze fondamentali che documentano l’oppressione esercitata da Israele sulla popolazione palestinese in un’area che da decenni è teatro di attacchi quotidiani, volti esplicitamente a eliminare la presenza palestinese in area C. Mostra come leggi e politiche siano state sistematicamente concepite per sottrarre ai palestinesi ogni diritto, in ogni aspetto della loro vita, dal più evidente al più quotidiano – sottolinea Denny Castiglione, tra i coordinatori del progetto Mediterranea with Palestine -. Questo report nasce per raccontare e denunciare un sistema di apartheid messo in atto contro i palestinesi, documentando con dati e testimonianze le politiche israeliane di cancellazione e oppressione. Serve a lasciare una traccia scritta e indelebile di una comunità che resiste con la non violenza, e vogliamo portarlo in Senato, al Parlamento europeo e ovunque possibile, affinché nessuno possa dire di non sapere».

Attacco alla parrocchia di Gaza. Azione Cattolica: “Atto vile e ignobile” in un quadro che chiede “giustizia, subito”

Attacco alla parrocchia di Gaza. Azione Cattolica:

«La guerra non giustifica tutto. Il diritto di Israele a esistere non può mai significare il diritto a distruggere tutto e tutti. Serve un sussulto morale. Serve giustizia. Subito». È questo l’appello dell’Azione Cattolica diffuso oggi in occasione del raid israeliano alla Chiesa della Sacra Famiglia a Gaza che ha tra l’altro ferito p. Gabriel Romanelli, il parroco che quotidianamente informava papa Francesco sulla terribile situazione nella sua terra.

Di seguito il testo integrale dell’Azione Cattolica.

«Atto vile e ignobile.

Il raid israeliano che ha colpito la Chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, causando due morti e sei feriti gravi, tra cui il parroco padre Gabriel Romanelli, ferito alla gamba, è un atto vile e ignobile, ma è anche l’ennesimo episodio di una campagna militare che ha da tempo smesso di distinguere tra obiettivi bellici e vite innocenti. La giustificazione fornita – “errore di tiro” – è un insulto all’intelligenza e al dolore di chi ancora piange i propri morti. Proprio come il presunto “malfunzionamento” dietro la strage di bambini in fila per l’acqua.

Non si può più parlare di incidenti isolati, né di danni collaterali. La sistematicità di questi attacchi contro scuole, ospedali, campi profughi, e ora una chiesa cattolica – l’unica di Gaza, rifugio per cristiani e musulmani – testimonia un disprezzo crescente verso ogni principio di umanità e diritto internazionale.

Persino chi fino a ieri taceva o balbettava oggi è costretto a parlare. Giorgia Meloni ammette finalmente che “nessuna azione militare può giustificare un tale atteggiamento”. Tajani parla di “atto grave contro un luogo di culto cristiano”. Parole tardive, ma necessarie.

Se la comunità internazionale non avrà il coraggio di fermare questa spirale di brutalità, sarà complice. Chi continua a coprire l’operato del governo israeliano, chi rifiuta di pronunciare la parola “crimine”, dovrà guardare in faccia le vittime – oggi cristiane, ieri musulmane, tutte umane – e spiegare perché il loro sangue non vale quanto quello di altri.

La guerra non giustifica tutto. Il diritto di Israele a esistere non può mai significare il diritto a distruggere tutto e tutti. Serve un sussulto morale. Serve giustizia. Subito.

L’Azione cattolica italiana, nell’esprimere vicinanza alla comunità parrocchiale di Gaza, con un particolare pensiero a coloro che soffrono, ai feriti, a padre Gabriel Romanelli, fa sue le parole dei vescovi italiani nel “condannare fermamente le violenze che continuano a seminare distruzione e morte tra la popolazione della Striscia, duramente provata da mesi di guerra”, e rivolge “un appello alle parti coinvolte e alla comunità internazionale affinché tacciano le armi e si avvii un negoziato, unica strada possibile per giungere alla pace”».