Sempre meno fedeli a Messa. «Ecco da dove possiamo ripartire»

Il calo delle presenze dopo il Covid, l’assenza dei giovani, il disagio per riti “scadenti”. Le diocesi si interrogano sulla partecipazione in crisi alle celebrazioni. Parla il vescovo Busca
La celebrazione della Messa in una parrocchia italiana

La celebrazione della Messa in una parrocchia italiana – Siciliani

Il campanile non chiama più come accadeva fino a pochi anni fa. Invece di un popolo intorno alla mensa eucaristica, c’è un “gregge disperso” che frequenta sempre meno le Messe nelle parrocchie italiane. E qualcuno parla di «chiese vuote». Sintesi semplicistica, a dire il vero, per raccontare il calo della partecipazione alle celebrazioni. Come ha mostrato di recente la testata online dei dehoniani Settimana News.it. Chi prende parte a un rito religioso almeno una volta alla settimana è circa il 19% della popolazione. Una cifra che si è ridotta di un terzo in diciotto anni. «È evidente la diminuzione della pratica della fede. Ma occorre ricordare che l’esperienza ecclesiale non si esaurisce entro i confini del rito. Come narra il Vangelo, Cristo è passato beneficando e risanando tutti quelli che incontrava nei contesti ordinari della vita. Ecco, la Chiesa intercetta non soltanto coloro che si siedono sulle panche ma l’intero popolo di Dio che comprende anche chi si interroga sulla verità e sul bene. Del resto non dobbiamo disconoscere che c’è una diffusa ricerca di spiritualità nel nostro Paese, di cui la Chiesa è chiamata a farsi interprete», spiega il vescovo di Mantova, Gianmarco Busca, presidente della Commissione episcopale Cei per la liturgia. E subito propone una domanda: «Dovremmo chiederci: chi si è allontanato da chi? È la gente che si è allontanata dalla Chiesa o da determinate ritualità; oppure è la Chiesa che si è allontanata dalle persone perdendo in parte la sua capacità di incontro nel nome del Vangelo? Comunque spesso siamo di fronte a comunità con legami fragili, con appartenenze deboli e talvolta anche con uno stile di fraternità a velocità variabile».

Nodi al centro del convegno del Triveneto che si tiene oggi a Verona dove arriveranno 750 rappresentanti delle quindici diocesi del Nordest con i loro pastori. È la fase finale di un itinerario dal basso che già nel titolo racconta della crisi attrattiva delle liturgie: “Ritrovare forza dall’Eucaristia”. «Nelle sintesi diocesane giunte a Roma per il Cammino sinodale della Chiesa italiana – afferma Busca – è emersa una qualità celebrativa un po’ deludente, un anonimato delle liturgie che non può essere trascurato. Si chiede maggiore attenzione da parte di chi presiede e delle assemblee. Oppure di superare una gestione clericale dei riti. Inoltre viene sottolineato un divario fra liturgia e vita che balza agli occhi soprattutto nell’omelia: in molti hanno manifestato il proprio malessere di fronte a riflessioni che non hanno una lingua materna e non riescono a sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda spirituale che si irradia nelle nostre città». Busca sarà uno dei relatori dell’appuntamento di oggi insieme con suor Elena Massimi, religiosa delle Figlie di Maria Ausiliatrice, presidente dell’Associazione professori di liturgia.

Il punto di partenza è proprio l’addio alla Messa. Un distacco che il Covid, complice la serrata nazionale nel 2020, ha amplificato. «Con la pandemia – afferma il presidente della Commissione Cei – la frequenza ai riti domenicali ha subìto un calo sensibile. Tutto ciò ha palesato disagi che erano latenti da tempo. Dopo la ripresa delle celebrazioni comunitarie, un segmento dei fedeli non è tornato. Era la loro una partecipazione abitudinaria e poco motivata? O c’è dell’altro? Qualcuno ha detto che l’emergenza sanitaria è stata un’occasione persa perché non ha contribuito a far comprendere che l’incontro con Dio avviene non soltanto nei riti mediati dal sacerdote e con la comunità, ma che c’è anche una liturgia domestica con la preghiera in famiglia al centro. E c’è un sacerdozio battesimale che andava più valorizzato. Abbiamo affollato il web di pseudo-ritualità. E in alcuni è passata l’idea che la Messa in tv fosse non solo più comoda ma equivalente. Ciò ha alimentato il rischio di una spiritualità fai-da-te che è affine a una certa cultura contemporanea di stampo individualistico. Invece l’esperienza cristiana implica una comunità in carne e ossa, che celebra il mistero attraverso la corporeità, che sta sul territorio, dove ai momenti celebrativi si aggiungono percorsi di fraternità e missione».

La celebrazione della Messa in una parrocchia italiana

La celebrazione della Messa in una parrocchia italiana – Gambassi

All’appello mancano in particolare i ragazzi: i praticanti assidui tra gli adolescenti (14-17 anni) sono passati dal 37% del 2001 al 12% del 2022 e quelli tra i 18 e 19 anni sono scesi dal 23% nel 2001 all’8% nel 2022. «L’estraneità dei giovani alla liturgia è lo specchio di una Chiesa a due velocità: quella degli “over” che vanno a Messa e quella delle nuove generazioni che si ricompattano nei grandi eventi come la Gmg o che ha forme aggregative diverse rispetto a quella liturgica – osserva il vescovo di Mantova –. Non è vero che i giovani peccano di giovanilismo. Le critiche per riti noiosi, indecifrabili, soprattutto poco vivi e coinvolgenti sono da tenere in debito conto. Fa pensare che a Lisbona i giovani abbiano partecipato con entusiasmo ogni giorno all’Eucaristia o che nei campi estivi le celebrazioni siano accolte positivamente. Inoltre sono gli stessi giovani a privilegiare contesti comunitari, come lo sono quelli liturgici».

Allora da dove ripartire? Anzitutto, dagli itinerari di avvicinamento all’Eucaristia. Con la formazione alla liturgia. «Servono proposte per riapprendere questo linguaggio dell’anima – sprona Busca –. Ogni ritualità, come quella sportiva o musicale, ha un linguaggio iniziatico: ci sono parole, gesti, azioni che vengono compresi da chi segue uno sport o la musica perché qualcuno lo ha introdotto. Anche la lingua liturgica ha necessità di essere imparata. E la si apprende frequentandola. Nel celebrare, ad esempio, si coglie il valore del silenzio, si è toccati dalla vicinanza degli altri, si viene catturati dal messaggio di una preghiera, si è aiutati dalla spiegazione della Parola. Ma c’è anche una capacità di adattamento che da sempre la liturgia ha. Essa è un corpo vivo, non un fossile e può ricorrere a parole nuove o a approcci che colgono le sensibilità di oggi. Guai però a scadere in forme di stampo televisivo o all’eccentricità».

Poi c’è la qualità dei riti che può essere riassunta nel motto “Più Messa, meno Messe”. «Succede che si tenga un’Eucaristia domenicale per otto persone e l’ora successiva per altre quindici. Moltiplicare le Messe e smembrare l’assemblea è contrario alla natura dell’Eucaristia che implica il “convergere in uno”. E la quantità rischia di andare a discapito della dignità liturgica». In aiuto possono venire l’arte e il canto. « Non sono elementi accessori ma parte della liturgia stessa – avverte il presidente della Commissione episcopale –. Essi indicano come la lode a Dio si avvalga anche di leve culturali diversificate. Perché culto e cultura vanno di pari passo». E l’altare è sorgente di carità. « Nell’Eucaristia – conclude Busca – Cristo si rende presente per farci dono della sua Pasqua. Un dono ricevuto che diventa dono restituito nel servizio e nell’abbraccio al prossimo. Essere stati alla mensa del Signore apre a una prassi di ospitalità del fratello che è chiamata a farsi annuncio del Risorto. Altrimenti tutto si riduce all’assistenzialismo o alla filantropia».

avvenire.it

Todos!. Il messaggio della Gmg di Lisbona: condividere e scegliere

Il senso di un’esperienza di fede, di relazione, di scoperta, d’incontro, compiuta da tantissimi giovani arrivati da tutto il mondo (65mila dall’Italia) per la Giornata mondiale della gioventù
Giovani alla Gmg di Lisbona salutano papa Francesco

Giovani alla Gmg di Lisbona salutano papa Francesco – Ansa

avvenire.it

Cos’hanno detto alla Chiesa i giovani della Gmg di Lisbona? E cosa si attendono ora? Di quali domande sono portatori? Cosa può fare la Chiesa per tenere viva la speranza che si è accesa in loro? E cosa devono fare genitori ed educatori? Apriamo oggi uno spazio di riflessione a più voci, che proseguirà nei prossimi giorni sulle pagine di Catholica, ispirato a quel «Todos, todos, todos!» di papa Francesco che ai giovani a Lisbona ha detto che «nella Chiesa c’è spazio per tutti. Nessuno è inutile, nessuno è supefluo, c’è spazio per tutti. Così come siamo. Tutti, tutti, tutti». I contributi saranno pubblicati anche su Avvenire.it/giovani. (F.O.)

Alla Giornata mondiale della gioventù di Lisbona i giovani erano davvero tanti, 65mila venivano dall’Italia. Non sono andati in vacanza. Sono stati mossi da alcune motivazioni che dobbiamo cercar di mettere a fuoco.

La prima è che hanno voluto fare un’esperienza. Non un’esperienza qualunque, ma un’esperienza di fede. In Occidente, certo, la fede cristiana è in crisi. Nei giovani di Lisbona la fede c’era, eccome. Non già una fede abitudinaria, espressa con linguaggi e riti che non si comprendono più, bensì la ricerca e l’espressione di modi più consoni alla realtà quotidiana di vivere le relazioni degli esseri umani fra loro, e fra gli esseri umani e il creato, alla luce della relazione con Dio. La scommessa della loro fede è di riuscire a inserire all’interno di tale relazione religiosa ciò che importa davvero della vita quotidiana.

La seconda motivazione è che i nostri ragazzi e le nostre ragazze hanno voluto fare un’esperienza a modo loro. Si è trattato di un’esperienza di relazione, di scoperta, d’incontro. Essa si è inserita naturalmente, nel contesto della Gmg, in parole, gesti, riti – come la confessione e la comunione – centrali nella tradizione cristiana. Tale tradizione è stata in molti casi trasformata in qualcosa di davvero personale.

La terza motivazione, connessa alle prime due, è legata al fatto che l’esperienza di Lisbona è stata il frutto di una scelta. I ragazzi e le ragazze hanno voluto andarci. Sono stati magari sollecitati dalle loro comunità di appartenenza o da qualche adulto di riferimento, ma alla fine sono stati loro a scegliere. Hanno così sperimentato che quando c’è una scelta – in particolare quando c’è una scelta che ha a che fare con la fede – tutto diventa più significativo.

La quarta motivazione, infine, si ricollega al fatto che i nostri ragazzi e le nostre ragazze vogliono fare le cose insieme. Hanno bisogno l’uno dell’altro, forse più che in passato. Le relazioni rafforzano. Le relazioni buone esaltano le esperienze buone. E dunque una fede vissuta comunitariamente permette di fare cose che da soli non si riesce a fare.

Qual è allora l’identikit della fede di questi ragazzi e ragazze? E quali sono i pericoli in cui essa può incorrere? È una fede che fornisce qualcosa di nuovo. È una fede da vivere insieme, che offre orientamento, accogliente, attrattiva se non viene percepita come qualcosa d’imposto. Tutto ciò comporta anche rischi, come accade sempre quando si abbandonano vie consolidate. Il principale sta nel considerare l’esperienza fatta come una semplice emozione, che colpisce e passa. Invece la fede richiede di essere costantemente alimentata e consolidata. Un altro rischio è di scivolare, per aprirsi alle relazioni con gli altri, in una falsa idea di tolleranza, per la quale va bene tutto. Ma i nostri ragazzi e le nostre ragazze non possono rinunciare a quello che sono, tanto più dopo averlo guadagnato con fatica. Un ultimo rischio sta nel modo in cui le relazioni sono vissute. L’esperienza di Lisbona è stata davvero un’esperienza in quanto è stata fatta in presenza, incontrando tante persone, condividendola e non già sostituendola (ecco il rischio), con le connessioni online.

I nostri ragazzi corrono in particolare questi rischi. Ma stanno trovando anche strade nuove. La loro esperienza di fede, ciò che esprimono e ciò che cercano, ci può dire molto. Non resta che stare ad ascoltarli.

di Adriano Fabris,  professore ordinario di Filosofia morale ed Etica della comunicazione – Università di Pisa

Le storie. Perché sei qui? I volti dei ragazzi alla Gmg di Lisbona

Ecco chi sono i giovani arrivati al Campo della grazia per partecipare alla grande Veglia con papa Francesco in riva al Tago
I giovani in marcia verso il Campo della grazia a Lisbona per la Gmg

I giovani in marcia verso il Campo della grazia a Lisbona per la Gmg – Jmj2023

Sono arrivati al Campo della grazia, il nome dato al Parco Tejo di Lisbona per la Gmg, affrontando un lungo cammino sotto un sole cocente e facendo pazientemente lunghe file per entrare. Hanno avuto qualche difficoltà a reperire il kit con i pasti, hanno dovuto adattarsi agli spazi e stringersi per permettere a tutti di stare lì. Ma sono felici di essere assieme ai loro coetanei all’evento più importante della Gmg: la grande Veglia con papa Francesco, la notte all’aperto e poi la Messa con il Pontefice di domenica mattina. Ogni pellegrino ha una storia da raccontare, attese, speranze, desideri e anche paure, preoccupazioni, sofferenze che l’amicizia, la condivisione e la preghiera assieme aiuteranno ad affrontare di certo.

A sinistra, Francesco Margini

A sinistra, Francesco Margini – Zanotti

Francesco Margini, 22 anni, della diocesi di Reggio Emilia, studente di Scienze motorie a Bologna, è alla sua prima Gmg: «È un’esperienza forte, resa tale anche dal fatto che siamo qui assieme a tantissimi altri giovani». «Non possiamo che dire grazie al Papa perché incoraggia la gioia, i sorrisi e la resilienza dei giovani», aggiunge Alessandro Delsante, anche lui di Reggio Emilia, 20 anni, studente di ingegneria gestionale all’Unimore. «Tanti di noi hanno bisogno di uscire, fare nuove esperienze e rialzarsi dopo la pandemia. Non dobbiamo subire questa situazione, ma siamo chiamati ad agire».

Alessandro Delsante

Alessandro Delsante – Zanotti

Luca Del Popolo ha 17 anni ed è alla sua prima Gmg, studente al Classico, viene dalla diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca. «Essere qui è di certo una grande emozione – dice -. La fatica non si sente. Conoscere costumi e tradizioni di altri popoli mi rende partecipe del mondo. Penso che un esperienza così sia un arricchimento per tutti».

Al centro, Eleonora

Al centro, Eleonora – Zanotti

Anche Eleonora, 30 anni, impiegata, è alla sua prima Gmg. Viene dalla diocesi Frascati assieme ad altri 44 ragazze e ragazze. «Essere qui è emozionante – afferma -. Poi bisognerà capire cosa lascia questa esperienza incredibile, ma penso che lo scopriremo solo a casa. Di sicuro è una cosa che se non si vive in prima persona non si può capire».

Alessandro Burello

Alessandro Burello – Zanotti

Alessandro Burello, della diocesi di Alba (Cuneo), è capo scout Agesci, ha 29 anni ed è medico. «Abbiamo sperimentato con mano che qui c’è stato un ottimo servizio di soccorso oggi. Anche per me è la prima Gmg – dice -. È bello, dopo due anni di pandemia, vedere tutti questi giovani assieme: dà una grande gioia. Dopo tutte le limitazioni essere tutti insieme ci fa capire che inizia un nuovo corso, che ci permetterà di avviare un mondo migliore».

A destra, Aurora Savin

A destra, Aurora Savin – Zanotti

Aurora Savin, 21 anni, è studentessa in giurisprudenza della diocesi di Padova: «Sono alla mia prima Gmg – racconta – e devo dire che mi ha sbalordito. Ero partita poco fiduciosa, torno a casa con un’idea ribaltata: è un’esperienza da fare, almeno una volta nella vita. Sentirsi tutti uniti è una sensazione che coinvolge ed entusiasma».

Il vescovo Beschi con i giovani della diocesi di Bergamo

Il vescovo Beschi con i giovani della diocesi di Bergamo – Zanotti

avvenire.it

Gmg. Il Papa confessa tre ragazzi. Ai centri di carità: gli scartati prediletti di Dio

La confessione

Il Papa ha aperto la sua terza giornata di viaggio a Lisbona, dove è in corso la 37.ma Gmg, confessando tre giovani a Praça do Imperio, nel parco “Vasco da Gama” sulle rive del Tago a Belém, dove sono stati allestiti 150 confessionali preparati dai detenuti del carcere di Paços de Ferreira. I tre giovani sono l’italiano Samuel di 19 anni, la guatemalteca Yesvi di 33 anni e lo spagnolo Francisco di 21 anni. I tre, molto emozionati, sono stati messi a loro agio dal Pontefice, che come è noto, sempre raccomanda ai confessori di essere molto misericordiosi e di non trasformare il sacramento della riconciliazione in un interrogatorio.

Anche per questo Francesco non ha usato il confessionale dove era stata sistemata la poltrona bianca a lui riservata, ma un’altra “tenda” più discreta e meno esposta agli sguardi dei presenti, vari gruppetti di giovani e i giornalisti al seguito, tenuti a distanza dietro le transenne. I giovani scandiscono lo slogan affettuoso: “Esa es la juventud del Papa” (questa è la gioventù del Papa). Il primo a confessarsi è stato lo spagnolo, quindi la giovane del Guatemala e infine Samuel. Poco più di cinque minuti per ognuno. Ma sicuramente per i tre ragazzi un ricordo che rimarrà per tutta la vita.

Samuel, che è di Belluno, alla fine confida: “È stata una bellissima esperienza. Il Papa mi ha accolto con affetto e delicatezza. All’inizio mi ha fatto delle domande, poi mi ha lasciato parlare. Conservo nel mio cuore le sue parole. E dico agli altri ragazzi: la confessione è importante. Confessiamoci, anche se non è il Papa a farlo.

In precedenza, prima di lasciare la Nunziatura, Papa Francesco ha incontrato brevemente una signora di 106 anni, Maria da Conceição Brito Mendonça, nata il giorno delle apparizioni di Fatima, il 13 maggio 1917, e la giovane Edna Pina Lopes Rodrigues, che soffre di una grave malattia e alla quale il Papa aveva inviato un messaggio di affetto e di preghiera nel giugno scorso.

La visita ai centri di assistenza e carità

Dopo aver lasciato il luogo delle confessioni, Francesco si è recato all’incontro con i rappresentanti di alcuni centri di assistenza e carità nel Centro parrocchiale di Serafina. Prima di entrare il Pontefice ha saluto un piccolo disabile su una sedia a rotelle. Ha scambiato con lui qualche parola e poi lo ha salutato battendo il cinque con la mano. Poi una volta all’interno, non ha pronunciato tutto il discorso scritto. “Non funzionano i riflettori e non posso leggere bene”, si è giustificato. Il Pontefice ha quindi consegnato il testo preparato per l’occasione e ha pronunciato alcune parole a braccio, chiedendo sostanzialmente quale deve essere l’impegno di un cristiano nei confronti della povertà: “Mi fa schifo la povertà degli altri? Cerco la vita distillata che non esiste? Quante vite distillate inutili”, “tante vite che non lasciano traccia” e invece “questa è una realtà che lascia traccia perché vi sporcate le mani”

Nel discorso scritto invece il Pontefice sottolinea: “Tutti siamo fragili e bisognosi, ma lo sguardo di compassione del Vangelo ci porta a vedere le necessità di chi ha più bisogno. E a servire i poveri, i prediletti di Dio che si è fatto povero per noi: gli esclusi, gli emarginati, gli scartati, i piccoli, gli indifesi. Sono loro il tesoro della Chiesa, sono i preferiti di Dio”. E ancora: “Ricordiamoci di non fare differenze. Per un cristiano non ci sono preferenze di fronte a chi bussa bisognoso alla porta: connazionali o stranieri, appartenenti a un gruppo o a un altro, giovani o anziani, simpatici o antipatici…”. Poi il Papa ricorda nel testo la storia di un giovane portoghese, Giovanni Ciudad. Per la Chiesa è San Giovanni di Dio che fondò i Fratelli Ospedalieri. Dal suo motto – “Fate del bene fratelli” – l’ospedale romano “Fatebenefratelli”. “Che bel nome, che insegnamento importante!”, commenta il Papa.
La chiesa e il Centro Social Paroquial São Vicente de Paulo, visitati questa mattina dal Papa, si trovano nel cuore del quartiere periferico e problematico di Serafina, a Lisbona. Il Centro, sorto dove prima c’erano baracche e persone che viveno sostanzialmente abbandonate, impiega circa 170 persone che, nelle più diverse funzioni, si occupano, tra le altre cose, di un asilo nido, di una scuola per l’infanzia, delle attività per il tempo libero dei bambini e dei ragazzi, di una casa di riposo per anziani, di un centro diurno per anziani e disabili e del sostegno domiciliare. La parrocchia è stata istituita il 25 marzo 1959 dal cardinale patriarca Dom Manuel Gonçalves Cerejeira e affidata ai Padri Missionari della Consolata insieme a quelli di Santo António de Campolide.

​Il prosieguo della giornata

Alle 13 il pranzo con i giovani in nunziatura, con il patriarca di Lisbona, card. Manuel Clemente, e 10 giovani di varie nazionalità: tre portoghesi, uno rispettivamente dal Perù, dalla Colombia, dal Brasile, dalle Filippine, dagli Stati uniti, dalla Palestina e dalla Guinea Equatoriale. Alle 18 (19) uno dei momenti più attesi di ogni Gmg: la Via Crucis con i giovani nel Parque Eduardo VII, stesso luogo della cerimonia di accoglienza di ieri, alla quale hanno partecipato 500 mila giovani. Alle 19.30 (20.30) il ritorno nella nunziatura apostolica, per la cena in privato.

Al rientro in Nunziatura, al termine della mattinata, papa Francesco ha ricevuto la visita di una delegazione del centro internazionale di dialogo KAICIID, accompagnata dal Card. Ayuso. Nel salutarla, ha espresso la sua gratitudine per la visita e rivolto ai presenti alcune parole sul valore della fraternità e del dialogo e il pericolo del monologo e del proselitismo.

Successivamente papa Francesco si è intrattenuto in conversazione con Rahim Aga Khan, figlio della guida della comunità ismaelita, che ha il suo centro a Lisbona. Infine, il Papa ha ricevuto un gruppo di religiosi e persone di diverse fedi e confessioni cristiane coinvolte nell’impegno ecumenico ed interreligioso della Chiesa portoghese. Papa Francesco ha ringraziato i presenti per la fraternità vissuta, per gli sforzi di dialogo, raccomandando loro di prendersi cura dei giovani, che “sono allegri, ma non superficiali”, e rischiano di essere “anestetizzati” dal mondo che li circonda. Prima del pranzo con i giovani, inoltre, papa Francesco ha incontrato brevemente il giornalista israeliano Henrique Cymerman.

avvenire.it

 

GMG, i giovani reggiani pellegrini verso Lisbona

Dei 1950 giovani della Diocesi di Reggio Emilia – Guastalla che parteciperanno alla Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona, in 1650 hanno scelto il pacchetto B ovvero il pellegrinaggio da Reggio Emilia alla capitale portoghese con tappe di avvicinamento a Barcellona e Toledo. Al viaggio, preparato dalla équipe del Servizio di Pastorale Giovanile guidato da don Carlo Pagliari, partecipa anche il vescovo Giacomo Morandi.

I giovani sono partiti sabato 29 luglio da Reggio Emilia per Barcellona. Nella capoluogo catalano i ragazzi hanno trascorso due notti. La giornata di domenica 30 luglio è stata dedicata alla figura dell’architetto spagnolo Antoni Gaudì, alla Sagrada Familia e alla visita della città di Barcellona.

Giovani di Correggio a Barcellona. Complessivamente dalle unità pastorali di Correggio sono partiti per Lisbona oltre 200 giovani.

I pellegrini hanno compiuto – a gruppi – un affascinante itinerario artistico e spirituale accompagnati da un sussidio preparato dalla équipe del Servizio di Pastorale giovanile guidata da don Carlo Pagliari.
Quanto a Gaudí e alla Sagrada Familia il gesuita Jean-Paul Hernandez, autore di “Antoní Gaudí: la parola nella pietra. I simboli e lo spirito della Sagrada Familia” ha introdotto i reggiani alla visita della Basilica e alla interpretazione dei segni e della simbologia dell’edificio. I giovani sono entrati nella Sagrada Familia alle ore 20 per partecipare all’Eucarestia presieduta dal vescovo Giacomo Morandi. In via eccezionale la basilica è rimasta aperta solo per i pellegrini della nostra Diocesi. La Messa è stata animata da un coro di 100 giovani canotori della Diocesi accompagnati da dieci musicisti e diretto da Samuele Gozzi.

Il coro di giovani della Diocesi di Reggio Emilia – Guastalla che ha animato la Messa di domenica 30 luglio nella Sagrada Familia di Barcellona

Lunedì 31 luglio giornata dedicata al viaggio verso Toledo, città nel centro-sud della Spagna. All’arrivo i pellegrini sono stati accolti con una cena e una serata di festa. A dare il benvenuto nella città capoluogo della Castiglia – La Mancia sarà lo spettacolo dedicato a Don Chisciotte, un sognatore visionario contro tutto e contro tutti, ideato dal professore reggiano Daniele Castellari. A seguire serata di musica con Dj Bego.

Martedì 1° agosto, secondo giorno a Toledo, i giovani pellegrini visiteranno la città e ascoltaranno la testimonianza dei coetanei di Giordania e Turchia accolti a Reggio Emilia il 27 luglio e compagni di pellegrinaggio verso Lisbona.
Attività per gruppo durante la visita della città di Toledo. Alla sera grande veglia penitenziale con confessioni nella suggestiva piazza della Cattedrale.

Il 2 agosto i giovani reggiani partiranno per Lisbona dove si uniranno ai coetanei di tutto il mondo per vivere la Giornata Mondiale della Gioventù insieme a Papa Francesco.

Il pellegrinaggio da Reggio Emilia a Lisbona non è l’unico gruppo di giovani reggiani partiti per la Gmg di Lisbona. Il 25 luglio sono partiti 96 ragazzi per Aveiro (nel nord del Portogallo) dove è in corso un gemellaggio. Anche 150 giovani del movimento “Familiaris Consortio” sono in viaggio per Lisbona. Sosteranno a Madrid fino al 1 agosto in attesa di ricongiungersi a Lisbona agli altri gruppi della Diocesi.

laliberta.info

Gmg, i giovani reggiani in viaggio verso Toledo

Giovani di Correggio a Barcellona. Complessivamente dalle unità pastorali di Correggio sono partiti per Lisbona oltre 200 giovani.

Prosegue il pellegrinaggio dei 1650 giovani della Diocesi di Reggio Emilia – Guastalla verso Lisbona per partecipare alla Giornata Mondiale della Gioventù.

I giovani sono partiti sabato 29 luglio da Reggio Emilia per Barcellona. Nella capoluogo catalani i ragazzi hanno trascorso due notti. Domenica 30 luglio la giornata è stata dedicata alla figura dell’architetto spagnolo Antoni Gaudì e alla Sagrada Familia e alla visita della città di Barcellona. I giovani hanno così compiuto – a gruppi – un affascinante itinerario artistico e spirituale accompagnati da un sussidio preparato dalla equipe di pastorale giovanile.
Dopo la catechesi del gesuita Jean-Paul Hernandez nella chiesa di santa Maria del Mar, i giovani hanno visitato la città di Barcellona e partecipato all’Eucarestia presieduta dal vescovo Giacomo Morandi alle ore 20.00 nella basilica della Sagrada Familia, aperta solo per i pellegrini della nostra Diocesi. La Messa è stata animata da un coro di giovani della Diocesi.

Il coro di giovani della Diocesi di Reggio Emilia – Guastalla che ha animato la Messa di domenica 30 luglio nella Sagrada Familia di Barcellona

Lunedì 31 luglio giornata dedicata al viaggio verso Toledo, città nel centro-sud della Spagna. All’arrivo i pellegrini saranno accolti da una cena e una serata di festa. A dare il benvenuto nella città capoluogo della Castiglia – La Mancia sarà lo spettacolo dedicato a Don Chisciotte, un sognatore visionario contro tutto e contro tutti, ideato dal professore reggiano Daniele Castellari. A seguire serata di musica con Dj Bego.
Martedì 1° agosto, secondo giorno a Toledo, i giovani pellegrini avranno tempo per visitare la città e ascoltare la testimonianza dei giovani di Giordania e Turchia accolti a Reggio Emilia il 27 luglio e compagni di pellegrinaggio dei reggiani verso Lisbona.
Attività per gruppo durante la visita della città di Toledo. Alla sera grande veglia penitenziale con confessioni nella suggestiva piazza della Cattedrale.

Il 2 agosto i giovani reggiani partiranno per Lisbona dove si uniranno ai coetanei di tutto il mondo per vivere la Giornata Mondiale della Gioventù insieme a Papa Francesco.

Il pellegrinaggio da Reggio Emilia a Lisbona non è l’unico gruppo di giovani reggiani partiti per la Gmg di Lisbona. Il 25 luglio sono partiti 96 ragazzi per Aveiro (nel nord del Portogallo) dove è in corso un gemellaggio. Anche 150 giovani del movimento “Familiaris Consortio” sono in viaggio per Lisbona. Sosteranno a Madrid fino al 1 agosto in attesa di ricongiungersi a Lisbona agli altri gruppi della Diocesi.

Attraverso Avvenire, il videomessaggio di papa Francesco ai partecipanti alla prossima Giornata mondiale della gioventù

Solo dopo si è compreso che il nuovo incontro con il Papa è stato un piccolo prologo della Gmg, ed è proprio ai giovani italiani che stanno per mettersi in cammino che Papa Francesco ha voluto rivolgersi con un inatteso messaggio attraverso Avvenire. Ad occhi chiusi, scegliendo le parole una ad una, il Pontefice parla del senso della «strada», di quel «andare avanti», del «coraggio» e della «gioia» necessari, e dello stare «non da soli».

Un messaggio spontaneo, che è frutto di un incontro. Già dall’inizio comprendiamo che Papa Francesco ha desiderato e atteso questo momento. Voleva vedere e ascoltare Bentolo, il giovane Camerunense sfuggito alle torture in Libia e che nel campo di prigionia si era fatto da tramite con don Mattia Ferrari, per pregare di nascosto in videochiamata insieme agli altri prigionieri cristiani dei guardacoste libici. «Benvenuti, vi aspettavo!». Papa Francesco invece era già lì ad attendere. Ed è anche per questa ragione che al termine dell’incontro, dopo uno scambio di idee durato oltre un’ora, in uno slancio spontaneo, mentre guarda l’amico profugo camerunense, il Papa chiede di tirar fuori i telefoni: «Si, facciamolo perché voglio dire alcune cose». È arrivato così il messaggio di Papa Francesco in video e audio per i giovani italiani che stanno per mettersi in cammino verso il Portogallo.

«A voi giovani che siete in partenza per Lisbona per la Giornata della Gioventù auguro una buona strada. E vi auguro di arrivare con gioia a quell’incontro». La strada per Francesco non è mai stata solo un luogo fisico, celebrato dalla letteratura e raccontato dalla cronaca, ma una metafora e un orizzonte. Lo spiega lui stesso: «Fare questa strada è mettersi in cammino. La vita è così: mettersi in cammino e i giovani hanno la vocazione a mettersi in cammino». Non è facile e neanche scontato. E servono alcune qualità per saper stare “sulla strada” per come la intende il Pontefice: «Andate avanti, coraggiosamente, guardando sempre dove voi volete arrivare». Senza paura, dunque, ma con la determinazione di chi vuole e deve proseguire. Difficile non vedere in queste parole il riferimento a quanti, per desiderio o per necessità, intraprendono percorsi tra pericoli e speranze.

Il sentiero percorso dagli ultimi, dagli scartati, dalle vittime di quelle che Papa Francesco chiama «globalizzazine dell’indifferenza», richiama perciò alla necessità di un diverso saper percorrere insieme «la strada». E ai giovani che si recano alla Giornata mondiale della Gioventù suggerisce di mettersi in viaggio, verso Lisbona come verso la vita di ogni giorno, «con quella mistica del cammino che è sempre vicino agli altri e non da soli».

avvenire.it

Giovani. I luoghi della Gmg. Appuntamento a Casa Italia, dove ne vedremo di tutti i colori

Una ricostruzione digitale della facciata di Casa Italia a Lisbona con l'allestimento preparata dall'Accademia della Grafica di Bergamo

avvenire.it

Il vestito di Casa Italia è finalmente pronto. Chi passerà dalla scuola delle Dorotee di Lisbona, durante la Gmg, troverà un “quartier generale” coloratissimo, pensato per esaltare al massimo la gioia di incontrarsi nuovamente dopo i duri anni della pandemia. Idea e realizzazione sono griffati dagli studenti dell’Accademia di arti grafiche del Patronato San Vincenzo di Bergamo.

Il professor Herbert Bussini, che ha orientato la loro ispirazione, spiega: “La possibilità di potersi vedere, abbracciare e salutare dal vivo è al centro del nostro progetto. Proprio questi e altri verbi ne rappresentano i tratti distintivi, anche graficamente. Le lettere si avvicinano tra loro fino a sovrapporsi. Essendo di colori diversi, creano nuove sfumature e tonalità. Esattamente quello che accadrà durante la Gmg: conoscersi e confrontarsi darà vita a nuove idee, relazioni e amicizie”.

 

I pannelli copriranno la facciata dell’edificio delle Dorotee, ma il tocco dei ragazzi del Patronato raggiungerà anche l’interno. Il salone adibito a mensa, ad esempio, sarà impreziosito con slogan che invitano a “condividere” il pasto e il piacere di sedersi in compagnia. Cibo per il corpo, ma che possa fare bene anche allo spirito.

 

La parola d’ordine sarà “insieme”, un filo comune che unirà ogni tipo di attività e che sarà rappresentato graficamente sopra il logo Casa Italia, come un ideale srotolarsi di un gomitolo che tutto lega e unisce. Infine, nel cortile ci saranno grandi pannelli dove tutti saranno chiamati a lasciare un “segno”, scrivendo una frase o un pensiero su quello che la Gmg avrà lasciato, sugli incontri fatti, sulle suggestioni e le riflessioni ricavate dalla partecipazione al grande evento.

Non poteva mancare un riferimento alle bellezze artistiche delle città italiane, con le sagome del Duomo di Milano, del Colosseo e della Torre di Pisa ad accompagnare i passi lungo un corridoio. Da apprezzare anche l’omaggio all’Emilia Romagna ferita: “Lontan da te non si può stare….” è la citazione della celebre canzone dedicata alla regione che si sta rialzando dall’alluvione di maggio.

Altre frasi celebri, tratte dalla letteratura e dalla musica, spunteranno qua e là per condire al meglio l’esperienza culturale (e sociale) che si vivrà negli spazi di Casa Italia. “La difficoltà è stata trovare l’idea comune – spiega Egle, una dei magnifici sette creativi che hanno realizzato il progetto – ci abbiamo messo un po’ ma una volta trovata siamo partiti con convinzione e abbiamo messo a punto tutte le grafiche necessarie”. Tra poco più di un mese il “filo” passerà nelle mani dei visitatori: toccherà a loro usarlo per tessere relazioni.

«Bisogna rimettere i giovani al centro». Primi segnali da Europa e Italia

Giovani

avvenire.it

Dare voce ai giovani è possibile? In che modo? Se la domanda che emerge dal “Rapporto Giovani 2023” dell’Istituto Toniolo è quella di una maggiore partecipazione, allora è necessario prendere sul serio il grido d’aiuto di una generazione che si sente isolata e individuare percorsi subito.

È come se i giovani avessero difese immunitarie sociali più basse dopo la pandemia – riflette Valerio Martinelli, 29 anni, ricercatore presso la Fondazione Bruno Visentini -. La svolta potrebbe arrivare dall’attivazione di politiche a impatto generazionale. Lo ha chiesto due giorni fa, sia pure in modo non vincolante, un documento approvato dal Cese, il Comitato economico e sociale europeo, in vista anche del prossimo semestre di presidenza spagnola dell’Unione: qualsiasi legge venga varata, vanno implementati meccanismi di valutazione sugli effetti che gli interventi previsti hanno sui più giovani. Lo stesso ministro dello Sport, Andrea Abodi, ha promesso alcuni mesi fa una legge quadro per i giovani nel nostro Paese».

Lavori in corso, dunque. Sullo sfondo, c’è lo storico “divario” che gli under 30 mantengono nei confronti di genitori e nonni. In Italia, quasi un cittadino su quattro tra i 15 e i 29 anni dispone di un reddito netto al di sotto del 60% della media nazionale. Un dato rilevante, se si pensa che il gap a livello europeo si assesta soltanto intorno al 20%. Non solo: la maggior parte dei 900mila posti di lavoro persi nel 2021 a causa dell’effetto Covid, riguardava proprio i nostri 20-30enni, così come l’enorme quantità di dimissioni registrare durante l’anno successivo.

Michele Bellini ha 31 anni, ha collaborato con Enrico Letta quando l’ex segretario del Pd insegnava a Sciences Po a Parigi ed è stato successivamente capo della segreteria del Partito democratico. «Per prima cosa dobbiamo intenderci bene su cosa sono i giovani oggi – osserva Bellini -. Non si tratta di un insieme omogeneo e indistinto, ma di un universo che al proprio interno tiene dentro necessità e aspirazioni diverse tra loro, che non possono essere semplificate. Avere 18 anni o averne 30 non è la stessa cosa, così come vivere a Milano oppure in provincia. Il problema delle politiche giovanili di questi anni è stato proprio quello di disegnarle ignorando troppo spesso la complessità e l’eterogeneità di questo mondo» dice Bellini.

Sulla diagnosi l’accordo tra i ricercatori è unanime, sul percorso da fare le risposte divergono.

Secondo Martinelli, «occorrerebbe un piano nazionale per i giovani, su base quinquennale. È necessario coinvolgere soggetti cruciali come il Terzo settore, che sta portando avanti progetti molto efficaci sul territorio, il Consiglio nazionale dei giovani e l’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, che potrebbe essere valorizzato nell’analisi dell’impatto generazionale relativo agli interventi legislativi». E poi, sullo sfondo, resta il Pnrr, che «non prevede nulla in particolare per i giovani».

Secondo Bellini, invece, «mettere i giovani al centro delle politiche pubbliche non significa fare misure a favore di una “specie protetta”, ma significa fare interventi che, dando priorità alle loro difficoltà, ambiscano a correggere le storture di un intero sistema». Il ricercatore cita come «esemplificativa l’esperienza francese, dove si tentò di creare un contratto specifico per i giovani; progetto naufragato perché non serviva un contratto specifico, ma (semplicemente) occorreva che ai giovani fossero date le medesime tutele e opportunità retributive presenti in un “normale” contratto di lavoro».

Resta poi l’ultimo aspetto, che in realtà è prioritario nella vita dei ragazzi: il desiderio di felicità, la propria realizzazione personale e la partecipazione alla vita della comunità. Inutile nascondere che l’aspetto più preoccupante resta quello della salute mentale, con un disagio segnalato in crescita dal 13,8% del 2019 al 20,9% del 2021, secondo i dati elaborati da Istat: sono circa 220mila gli adolescenti che si dichiarano «insoddisfatti» della propria vita e questo è un dato che si riflette anche sull’isolamento sociale, sulla progressiva chiusura all’esterno.

È quel sentimento di rassegnazione e scoraggiamento evocato dal rapporto del Toniolo, che si riflette, dal punto di vista socio-politico, in un progressivo straniamento verso la cosa pubblica: il 42% dei giovani tra i 18 e i 34 anni non ha votato alle ultime Politiche, sei punti in più rispetto al già altissimo tasso di astensione nazionale. Per questo, occorre rimettere questo universo dimenticato al centro del villaggio: per farlo, però, deve cambiare anche l’agenda della politica.

Parco accessibile a portatori di handicap

Una iniziativa di quelle che scaldano il cuore, dove anche una sola immagine racconta tutto. Con “Un Parco per tutti” torna il progetto a favore di giovani con disabilità e le loro famiglie. Un centinaio i ragazzi coinvolti.
“È sicuramente questo uno dei progetti più coinvolgenti e dei quali siamo orgogliosi – afferma Fausto Giovanelli, presidente del Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano – perché consente a tutte le persone di potere cogliere le eccellenze di un areale unico, cerniera tra Europa e Mediterraneo, tra Toscana ed Emilia. Grazie a questo percorso, per altro, diamo attuazione anche a quanto previsto dalla legge quadro sulle aree protette, la 394 del 1991, che chiede i parchi facciano il possibile per aprirsi all’accessibilità da parte di tutti. Ringrazio tutte le persone e i volontari coinvolti”.

Si inizia il 13 giugno a Ventasso, e i giovani coinvolti potranno ammirare, sino ad agosto, Pradarena, Succiso, la Pietra di Bismantova, Monteorsaro, il Rifugio Segheria, Cerreto e il Lago Pranda. Sono già alcuni anni che il Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano collabora con l’associazione Gast onlus attraverso diversi progetti (Gastoutdoor, Skigast, Summer Camp) a favore di persone disabili e delle loro famiglie che svolgono attività all’interno del territorio di tanti Comuni del Parco e della Riserva di Biosfera Mab Appennino.
L’associazione Gast onlus è dotata di ausili che permettono la fruizione dell’ambiente a persone con disabilità motorie per attività come trekking (grazie a due particolari attrezzature Joelette Ferriol-Matrat), ma anche ski – sci alpino per la stagione invernale.

“La nostra finalità principale – spiega Giacomo Cibelli presidente dell’associazione Gast onlus – è quella di rendere l’esperienza fruibile, e un’occasione di crescita personale delle attività in ambiente naturale. Infatti quando l’esperienza è positiva e adeguata, risulta determinante per incrementare l’autostima e fiducia delle persone sia nei propri mezzi che nel benessere psico-fisico e di apprendimento. Queste attività sono importati vettori di relazioni sociali intra e extra gruppo, oltre che occasione di sensibilizzazione e cultura delle differenze per gli operatori e abitanti dei luoghi coinvolti”.

Quest’anno le iniziative si svolgeranno il martedì e i protagonisti saranno i Centri Visita del Parco, i Rifugi e le Guide ambientali escursionistiche che grazie alla loro disponibilità e collaborazione accompagneranno gratuitamente oltre 100 ragazzi con disabilità fisica, intellettiva, relazionale, comportamentale e psichica alla scoperta dell’Appennino. Otto sono, pertanto, gli appuntamenti che si svolgeranno nell’estate in Appennino tra Emilia e Toscana cui si aggiungerà una giornata al mare. Inoltre, Gast onlus propone direttamente anche altre attività in collaborazione con i diversi operatori turistici del territorio del Parco. Per partecipare è possibile contattare l’associazione Gast onlus sul sito (gastonlus.org).
laliberta.info 

Chiesa e Università, ascoltare i giovani

Gli anni dell’Università sono un tempo decisivo, fatto di incontri, esperienze, responsabilità, scelte. Un tempo in cui prende forma la vocazione personale, l’orientamento di fondo della propria vita.

In questo contesto si è tenuto l’Incontro nazionale degli studenti e dei ricercatori universitari che l’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università e l’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni della Cei hanno promosso dal 10 al 12 marzo ad Assisi, sul tema “Dove lo Spirito è di casa”.

L’appuntamento ha offerto un’occasione di fraternità e di ricerca comune, in cui ascoltare la Parola, la vita, le persone. Un passo importante anche per il Cammino sinodale della Chiesa italiana. A partire dall’Incontro di Assisi, abbiamo chiesto a Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università, quali sono le prospettive future della pastorale universitaria.

Ernesto Diaco

Perché è stato importante l’appuntamento di Assisi?

L’Incontro nazionale di Assisi è stato importante per almeno due ragioni: la prima, perché, a differenza delle iniziative promosse negli anni scorsi, non ci siamo rivolti ai responsabili diocesani o ai cappellani universitari, ma direttamente agli studenti e ai ricercatori universitari, per i quali il convegno è stato pensato e strutturato.

La seconda ragione è che l’abbiamo esplicitamente collegato al Cammino sinodale della Chiesa italiana e, in particolare, al primo dei “Cantieri di Betania”, quello “della strada e del villaggio”, che prevede l’ascolto dei “mondi vitali” e dei contesti sociali e culturali in cui i credenti operano accanto alle altre persone.

Quali sono gli obiettivi di questo rinnovato interesse per il mondo universitario?

Il primo obiettivo è lo stesso del Cammino sinodale: avere occasioni di ascolto, di dialogo e di riflessione comune per cogliere le domande e i bisogni, ma soprattutto i contributi positivi, gli apporti che arrivano dai giovani stessi e le provocazioni emergenti dall’esperienza che loro fanno nel mondo della ricerca e della cultura. Inoltre, vogliamo mandare un segnale di attenzione non solo nei confronti dell’Università come struttura, ma delle persone che la abitano e la costruiscono ogni giorno.

La pastorale universitaria non è solo rapporto fra istituzioni, ma relazioni tra giovani e adulti, consacrati e laici, credenti e non credenti. Il dialogo tra Chiesa e l’Università avviene soprattutto nei territori, dove si promuovono momenti di approfondimento, di studio, di scambio reciproco. È importante dunque conoscere e sostenere tutte quelle occasioni che vedono le comunità ecclesiali e le Università incontrarsi in vari modi.

Nel dialogo riavviato con i giovani ad Assisi quali richieste sono emerse da parte loro?

Sia il dialogo in assemblea sia i laboratori sono stati molto partecipati e vivaci. Prendendo spunto dai “Cantieri” sinodali, abbiamo chiesto quando si sentono a casa nella comunità cristiana e come l’esperienza universitaria può provocare la pastorale della Chiesa. Nelle loro risposte i giovani hanno evidenziato il bisogno di essere accolti e ascoltati senza venire prima giudicati, l’importanza di essere accompagnati e valorizzati senza essere sfruttati e anche di essere presi sul serio. In una parola, di sentirsi amati. Di percepire l’abbraccio di Dio. C’è una grande richiesta di condivisione e di comunità, a volte si sentono anonimi anche nei luoghi ecclesiali.

Molti di loro esprimono delusione per quanto offre il mondo di oggi; per questo si aspettano proposte diverse e testimoni credibili. Ci chiedono sincerità e coerenza, una Chiesa che vada al senso delle cose, calandosi nella quotidianità e dando a tutti la possibilità di esprimere il proprio pensiero. Dal loro vissuto universitario traggono la proposta di incrementare il confronto della Chiesa con la scienza, l’economia, la cultura. Occorre “parlarsi di più”, insistono molto su questo punto. Personalmente, ho raccolto un forte bisogno di speranza, insieme alla disponibilità a essere loro stessi protagonisti di questa speranza.

L’appuntamento di Assisi è stato organizzato da due Uffici Cei…

Sì, l’Incontro nazionale è stato promosso insieme dall’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università e dall’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni. Non possiamo più lavorare da soli. A maggior ragione nel contesto della sinodalità e dopo il Sinodo dedicato ai giovani, che ha evidenziato come ogni esperienza formativa abbia una forte valenza vocazionale e di discernimento esistenziale.

Ad Assisi abbiamo pregato nei luoghi di San Francesco e Santa Chiara e riflettuto sulle parole della “Christus vivit”, dove il Papa scrive: “Tante volte, nella vita, perdiamo tempo a domandarci: ‘Ma chi sono io?’. Tu puoi domandarti chi sei tu e fare tutta una vita cercando chi sei tu. Ma domandati: ‘Per chi sono io?’”. Rispetto a questa domanda si apre un ventaglio molto ampio di risposte, che comprende sì la strada verso il sacerdozio e la vita consacrata, ma anche quella che passa dal matrimonio, dal modo di vivere lo studio e la professione, dall’impegno nella società… Una vita donata secondo le mille forme che la realtà provoca e che lo Spirito suscita nella vita quotidiana di ciascuno.

Dopo Assisi come proseguirete il cammino?

Abbiamo davanti diversi impegni. Il primo è quello di far arrivare al Comitato nazionale del Cammino sinodale il frutto di questo ascolto e dialogo con gli studenti universitari, cosicché la loro voce possa arrivare a chi elabora gli strumenti e le proposte per il prosieguo del Cammino sinodale. Una seconda direzione di lavoro l’hanno data i ragazzi stessi al termine dell’Incontro di Assisi, con la loro proposta di creare un’équipe nazionale per la pastorale universitaria che comprenda anche studenti universitari. Esiste già una Consulta nazionale che però non si dedica solo alla pastorale universitaria perché comprende tutto il mondo dell’educazione e della scuola. L’invito che ci viene dai ragazzi ci spinge a studiare le forme attraverso le quali, oltre a quanto già esiste, si possa realizzare un coinvolgimento diretto degli universitari anche a livello nazionale. Una terza linea da approfondire è quella di proseguire nella collaborazione tra i nostri due Uffici, in tutte le occasioni possibili, in modo che dall’Incontro di Assisi possa emergere qualcosa di nuovo sia per noi sia per le diocesi.

Come la Chiesa italiana può essere vicina gli universitari?

La Chiesa può essere vicina alle persone mettendo a loro disposizione altre persone. I nostri luoghi e ambienti, come possono essere le cappellanie, i collegi universitari e i centri pastorali diocesani, esistono per educare e accompagnare, ossia generare relazioni e momenti di incontro. Non è scontato far sì che, attraverso questi spazi e strumenti, i giovani possano incontrare adulti o altri giovani come loro con cui entrare in dialogo, instaurare amicizie significative e con cui condividere esperienze di formazione, di spiritualità e di condivisione, di riflessione sulle sfide culturali che l’esperienza in Università provoca nel mondo di oggi e in ciascuno di loro.

laliberta.info

Domenica 2 aprile, dalle ore 15.30, alcuni giovani di tutta la diocesi pronunceranno la Professione di Fede alla presenza del vescovo Giacomo in Cattedrale

Sarà un’occasione per ciascuno di noi di fare memoria della nostra storia personale e cercare in essa le occasioni, gli eventi, le parole, gli incontri e i testimoni attraverso cui Dio ci ha mostrato la sua cura e la sua presenza, riconoscendolo come Signore della nostra vita. Questo appuntamento, ormai diventato tradizione decennale per la nostra Chiesa diocesana, quest’anno si arricchisce dell’icona della Visitazione di Maria ad Elisabetta, scelta da Papa Francesco come tema della GMG. In quest’ottica, la Professione di Fede diventerà quindi l’occasione per scrivere e cantare insieme il nostro Magnificat sulla via verso Lisbona, scoprendo che la storia di ciascuno di noi, per quanto piccola, è dentro ad una più grande storia di salvezza.

Il tema scelto per quest’anno riprende il percorso di preparazione alla Giornata Mondiale dei Giovani: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente“. L’incontro è aperto a tutti i giovani dai 14 anni in su.

diocesi.re.it

 

In 1.800 verso Lisbona dalla diocesi di Reggio Emilia

Siamo milleottocento. Risale a pochi giorni fa la notizia aggiornata sul numero di iscrizioni alla Giornata Mondiale della Gioventù giunte nella nostra diocesi, e il numero è ancora in crescita verso i 1.900. Una cifra altissima e inaspettata, tra le più alte di tutta Italia, che non può non provocare un brivido di vertigine al pensiero di quando saremo tutti riuniti davanti al Santo Padre a Lisbona.

Concretezza, ascolto, credibilità: sono le richieste dei giovani alla Chiesa

Concretezza, ascolto, credibilità: sono queste le richieste principali emerse dai giovani nel dialogo dello scorso 4 febbraio con il vescovo Erio Castellucci, vicepresidente della Conferenza episcopale italiana, e Paola Bignardi, già coordinatrice dell’Osservatorio giovani del Centro Toniolo. Tre ore intense di confronto online, promosso dal ciclo di licenza della Facoltà teologica del Triveneto, sul tema «Serve la Chiesa?».

La voce delle giovani generazioni
Un gruppo di sei giovani – di età compresa fra 25 e 35 anni, provenienti dal Triveneto e dall’Emilia-Romagna – hanno riportato le domande elaborate nei focus group che hanno preceduto l’incontro. E sulle quali hanno sollecitato ripetutamente i relatori in un esercizio di teologia che ha voluto avviare un corso nuovo nell’approccio alle questioni.

Ministeri reali nei quali coinvolgere i laici; linguaggi adeguati al nostro tempo per comunicare il messaggio del vangelo; assenza dei giovani dalla vita della Chiesa; autenticità dell’annuncio; credibilità nelle parole e nei gesti concreti; attualità dei gesti del rito e della liturgia…

Le questioni, enormi, sollevate dai giovani non si sono potute contenere nello spazio di una mattinata, ma certamente hanno ottenuto il risultato di far comprendere alle istituzioni della Chiesa (accademiche e non) che non è più differibile l’ascolto di generazioni che cercano una Chiesa con il coraggio di esporsi sulle questioni che interpellano il mondo d’oggi, dall’omosessualità alla questione ecologica, tanto per citarne un paio.

I relatori hanno legato con alcuni fili le domande, provando a offrire un quadro di riferimento e alcune chiavi di lettura. In una Chiesa dove non si possono negare reti di abuso coperte e gestioni economiche sconsiderate, mons. Castellucci ha richiamato il punto chiave del rapporto fra identità cristiana e vocazione al dialogo, assieme al cardine della relazione: la pastorale più adeguata per la Chiesa è una rete di incontri.

Allacciandosi alla chiave della relazione, con cui molti giovani affermano di avere sostituito Dio e la Chiesa, Paola Bignardi ha esplorato la loro ricerca esistenziale e spirituale, fra una grande solitudine e un’inquieta ricerca del proprio io più profondo. Il viaggio verso Dio è originale, talvolta stravagante, certo non canonico, cioè basato su quanto ricevuto da catechisti ed educatori che avrebbero bisogno, a loro volta, di essere ri-formati. È forte e chiara la necessità di un passaggio da una formazione sostanzialmente trasmissiva a un’idea generativa della formazione.

Se la realtà è più importante dell’idea – ha ripreso Castellucci citando papa Francesco –, allora dobbiamo fare nostra un’ermeneutica pellegrina e un pensiero incompleto, concedendo il primato alla relazione sull’organizzazione, all’incontro sul programma, al volto sul comandamento.

La fatica della relazione chiede di rinunciare alle comodità del rigorismo e del relativismo: «Prendiamo ad esempio il caso dell’omosessualità. Fra la condanna e l’estrema libertà c’è la via, forse scomoda ma necessaria, dell’ascoltare e del camminare con le persone che vivono questa condizione, con le loro famiglie e chi li accompagna. Questo atteggiamento aiuterà ad approfondire anche la dottrina, per arrivare a una nuova sintesi».

Il ministero dell’ascolto
Il ministero dell’ascolto, aggiunge Bignardi, è una delle esperienze che potrebbero vedere il protagonismo e la creatività del mondo laicale, che ne fa già tanta pratica nella propria quotidianità.

Certo appare che il cambiamento difficilmente potrà venire dalle strutture gerarchiche della Chiesa, prosegue Bignardi. Verosimilmente si svilupperà piuttosto a partire da esperienze marginali ma vive che, moltiplicandosi, riusciranno a dare risposte vere ai problemi reali. E magari a esercitare una pressione sui livelli più alti, così da generare cambiamenti «normativi» per tutti.

Nuovi accessi alla fede e accompagnamento sono i termini inderogabili se si vuole contrastare il processo di allontanamento dei giovani, sempre più massiccio e accelerato. «Occorre studiare i fenomeni, ma anche accettare di stare dentro la provvisorietà e avere il coraggio di navigare a vista nell’attivare processi pur senza avere ben chiaro del tutto dove arriveremo. Anche questa è fede».

Ripartire dalle riflessioni maturate e riascoltare le domande dei giovani è la consegna che il dialogo ha lasciato ai partecipanti. La Facoltà intende ora proseguire il lavoro avviato, per andare più in profondità nella ricerca di mettere a fuoco l’idea di Chiesa dentro la quale le giovani generazioni desiderano stare.
settimananews.it 

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