Ai catechisti: per un annuncio efficace

paganelli-catechesi

Chi è impegnato nella catechesi oggi è invitato a tener conto di alcuni passaggi importanti.

Assistiamo alla suddivisione di troppi incarichi e i impegni. Sono nati tanti uffici dentro la CEI e nelle diocesi, con una moltiplicazione esagerata e frammentata di attori.

In questa situazione occorre recuperare l’unità di una comunità cristiana che, nel suo insieme, torni ad essere generativa.

È vero che si deve definire che cosa deve fare il presbitero, il catechista o l’associazione ecclesiale, ma il problema attualmente è di lavorare insieme.

Segnalo alcuni orizzonti che si intrecciano e che aprono altre prospettive.

Stimolare fiducia
La miglior carta d’identità del cambiamento in corso è il pluralismo. Il Vangelo si deve convertire in una forma di ispirazione creatrice per la cultura e quest’ultima compiere una funzione di criterio interpretativo riguardo alla fede. Vale a dire che il messaggio cristiano dev’essere rivisitato permanentemente, il suo significato non è stato fissato una volta per sempre, ma continua a rivelarsi e a realizzarsi attraverso vie inedite.

Si tratta di qualcosa di più profondo che un semplice adattamento del linguaggio. È un processo che invita a una vera riformulazione della fede a partire dall’identità della cultura nella quale si incarna.

La Chiesa, in tanti frangenti della storia, si è basata sulla convinzione inziale che il momento favorevole (kairòs) era arrivato e che il Regno di Dio era vicino. Nei giorni nostri si è infiltrato un serio dubbio circa il riconoscimento dell’oggi come “kairòs”.

Esitare a formulare una risposta positiva, induce nella tentazione di usare le inchieste sociologiche e le analisi culturali della società odierna per trovare le fessure o crepe attraverso cui infilare la fede tramandataci dalla tradizione. Al contrario, se vengono riletti in una prospettiva di fede, tali risultati possono introdurre in un processo di discernimento e di apprendimento, per stimolare fiducia e non affrontare con superficialità la realtà.

Garantire la partecipazione
È importante considerare che, anche nella cultura attuale, l’immagine di Cristo rimane intatta. Nei nostri contemporanei rimane sempre viva la percezione di Lui come di una figura eccezionale. Non accade così per la Chiesa, sottoposta più facilmente a critiche.

Si vive oggi in una società democratica o, in ogni caso, in una società che è animata da un’idea di democrazia. Ma la democrazia è ben più che un sistema politico, è anche uno spirito, una cultura, una maniera di vivere e di assumere la propria esistenza.

È così che l’esigenza democratica penetra tutte le sfere della società. In famiglia, nella scuola, nelle imprese, nelle associazioni si manifesta un bisogno di dialogo e di partecipazione. Da questo punto di vista, il valore della democrazia è di permettere a ciascuno di non subire la propria esistenza, ma di essere autore della propria vita. Questa aspirazione riguarda la società intera. Di conseguenza, interessa anche la sfera del religioso.

Non va dimenticato che, là dove le aspirazioni democratiche sono più vive, più forte è la contestazione dell’istituzione ecclesiastica, anche da parte dello stesso popolo cristiano.

Alcune modalità di funzionamento del potere della Chiesa e alcune rappresentazioni di Dio che ne legittimano il clericalismo e l’autoritarismo appaiono oggi profondamente obsolete rispetto alle aspirazioni della società.

Il malessere interno alla Chiesa e la presa di distanza di molti nei confronti dell’istituzione ecclesiale manifestano l’intensità del problema.

Ritrovare autorevolezza
Per indicare qualche via di soluzione, è utile distinguere potere da autorità. Il potere può essere preso, anche con la forza. L’autorità, mai. Perché l’autorità è sempre ricevuta, è sempre riconosciuta da un altro. Gesù non aveva, nella società del suo tempo, nessun potere istituzionale. Ma godeva di una grande autorità. E questa autorità, sentita come pericolosa dai poteri del suo tempo, gli era conferita da coloro che lo ascoltavano.

La sfida per la Chiesa di oggi, nella sua missione di evangelizzazione, è quella di ricevere la sua autorità alla maniera di Gesù, prendendo il posto di Colui che serve, rivela, rimette in piedi e fa crescere.

Occorre riscoprire la Chiesa come comunità fraterna di elezione, alla quale si appartiene per scelta. In tal senso, è da prendere sul serio l’équipe pastorale. Questa è una cosa molto concreta, perché parliamo del prete, di educatori alla fede, di associazioni.

Un’équipe pastorale diventa il luogo privilegiato per uscire dai compartimenti stagni, un luogo di ascolto reciproco e, a poco a poco, di connessione delle differenti attività e proposte. Mette gioco tutte le dimensioni.

L’équipe pastorale è un luogo di conversione, dove a ciascuno è chiesto di mettere in discussione i propri progetti parziali, accettare di lavorare in squadra, vivere gli appuntamenti comuni. Le strutture umane servono perché la vita si sviluppi in pienezza.

Dimenticare il sogno della conquista
Non è tramontata l’idea che evangelizzare sia portare agli altri ciò che non hanno, ciò di cui sono privi, un vuoto da riempire. In questa prospettiva, si fa in modo che gli altri cambino, che si convertano alle convinzioni di chi annuncia, che divengano come lui e credano come lui. Così l’evangelizzazione è intesa come conquista dell’altro.

È più giusto scoprire che l’evangelizzazione non consiste nel trasmettere agli altri una buona notizia ben strutturata, di cui si è i detentori sicuri. Consiste, piuttosto, nell’andare con speranza verso gli altri per scoprire con loro, nei loro luoghi di vita, nel cuore della loro esistenza, le tracce del Risorto che sempre precede, che è già là in incognito.

L’arte dell’evangelizzare è favorire questo riconoscimento, di discernere e indicare la presenza del Risorto nelle persone e nelle situazioni, anche dove non si immagina.

Questi atteggiamenti non tolgono nulla alla forza delle proprie convinzioni, ma invitano all’umiltà quando ci accosta agli altri. Ci si avvicina a qualcuno non per guadagnarlo alla propria causa, ma per riconoscere con lui, nella sua vita, la presenza del Risorto in maniera da rimanere sorpresi: “lui ci precede in Galilea … sempre”.

Allora si scopre che l’evangelizzazione è sempre reciproca, è una testimonianza donata che suscita una testimonianza restituita. Si viene evangelizzati dagli stessi che si prova ad evangelizzare.

Nelle comunità cristiane si pensa sovente di doversi mostrare accoglienti. Secondo la logica del vangelo, si dovrebbe rovesciare la prospettiva: non tanto accogliere l’altro, ma lasciarsi accogliere dall’altro, fidandosi delle sue capacità di accoglienza, delle sue risorse e possibilità.

Rischiando l’accoglienza da parte di coloro che sembrano più lontani, si rimarrà stupiti dalla loro capacità di ascolto della buona notizia. Ogni ospitalità donata chiede l’ospitalità resa, ma senza superiorità né inferiorità, poiché gli uni e gli altri danno e ricevono.

Mescolarsi con la gente
Inoltre, essere accolti nella casa dell’altro significa entrare in una conversazione in corso, sull’esempio di Gesù con i pellegrini di Emmaus (Lc 24,17).

La prima capacità dell’evangelizzatore è di mescolarsi alle conversazioni degli uomini, di interessarsi di quanto li interessa, di poter parlare di cose comuni, di lasciarsi anche interrogare.

Il messaggio cristiano invita ad appassionarsi per tutto ciò che è umano, a vivere di simpatia e di compassione immersi nella vita.

La fede, in questa prospettiva, non è tanto questione di scoperta e di affermazione esplicita di Dio, quanto risposta alla realtà umana più intima e radicale. Dio assume ogni “sì” a questa realtà umana come se fosse un “sì” a Lui stesso.

Inoltre, la logica di Dio manifestata in Cristo svela che tutto nella vita è divino quando è veramente umano. La vita non viene data già compiuta, ma piuttosto affidata come un da farsi, in grado di conferire un senso che identifichi e unifichi la persona, nonostante la diversità di spazi, tempi e relazioni che si susseguono lungo la sua esistenza.

Formarsi insieme
La formazione è l’elemento che può cambiare mentalità e stile. Momenti formativi comuni sono un passo concreto. I catechisti hanno la loro formazione, i presbiteri la loro formazione permanente, l’AC la sua proposta per i formatori, l’Agesci forma i suoi animatori. Ognuno ha il suo percorso, magari anche di buon livello.

Occorre che si possano allargare le maglie, accettando di rinunciare a qualcosa e trovare dei momenti dove insieme si ascolta la Parola, si ragiona su quello che il Signore chiede, si fissa qualche obiettivo comune.

Ci devono essere anche i parroci. Perché in Italia il parroco è il collo della bottiglia. Passa tutto da lui: il bene e anche quello che non è bene, perché si ha ancora un impianto fortemente clericale. È inutile continuare su due binari. Esempio: il giovedì mattina i parroci hanno la formazione e, al pomeriggio, i catechisti; ma sono ben pochi i parroci presenti a tutti gli incontri. Normalmente i catechisti lamentano che quanto viene loro proposto dovrebbe essere prima motivo di riflessione per i loro pastori. È necessario uscire da questa forte ambiguità prevedendo all’interno della diocesi momenti comuni.

La formazione dei presbiteri e degli operatori pastorali aiuta a scegliere un modello, a prepararsi bene, ma soprattutto a cambiare mentalità, a lavorare insieme, e a recuperare il desiderio di generare figli insieme nella fede, non è importante definire numeri, conta ridare vita, allora la riprenderanno anche gli operatori pastorali.

Intrecciare relazioni
Proprio in ordine alla formazione, il Signore sta dicendo qualcosa di nuovo. In un contesto non più cristiano occorre ricreare un tessuto iniziatico. Occorre una comunità nella quale si viene gradualmente accompagnati non ad approfondire la fede che si suppone abbiano già, ma a diventare progressivamente cristiani.

Per generare alla fede ci vuole un villaggio, non è più delegabile ai catechisti la generazione alla fede. Occorre partire dalla consapevolezza che, di fatto, è l’intera comunità che genera o non genera alla fede.

Se le persone, fin da piccole, si sentono accolte e guidate da una comunità che le ospita dentro a tutte le proprie esperienze, magari poi prenderanno le distanze, ma conserveranno quella gratitudine sulla quale il Signore, nelle occasioni che lui conosce, potrà innestare un nuovo interesse per la vita di fede.

Rimane vero che i primi destinatari della formazione e della Parola non sono i ragazzi e i genitori. O gli altri in genere. Tocca prima di tutto alla comunità rimettersi insieme in ascolto della Parola e capire che cosa il Signore, attraverso il suo Spirito, sta dicendo nelle situazioni che stanno accadendo.

Il Vangelo non passa agli altri se non viene, in qualche modo, rivisto dagli operatori pastorali. Occorre abbandonare l’idea che la catechesi sia per. La preposizione “per” deve essere sostituita da “con”. Riscoprire il vangelo con i giovani, con i bambini, con i loro occhi.

Sono gli annunciatori che devono reimpostare la lettura del vangelo. Non è un lavoro da fare individualmente, va fatto con tutti quelli e quelle che si incontrano, è insieme a loro che si riscopre il vangelo mentre lo si sta donando. Lo si riceve da loro nello stesso tempo che lo si mette a disposizione.

Richiedere il giusto
Questa attenzione relazionale permette di fare dei passi concreti non con le famiglie che si immaginano, e che non esistono più, ma con genitori precisi.

Va superata quella formula che è una specie di mantra: voi siete i primi educatori della fede! Parola sacrosanta, il problema è che, se i genitori non hanno un percorso di fede, sentono l’inadeguatezza di una richiesta di questo tipo, e recepiscono questa cosa come un giudizio non come un aiuto.

Con qualcuno, certo, è possibile che ci si intenda, perché hanno già fatto un cammino di educazione alla preghiera in casa, si concedono momenti di lettura della parola di Dio, vanno a messa insieme la domenica, ma stanno diventando la minoranza.

È sempre più importante rinviare alle famiglie il compito di educare i figli alla vita, a quello che è la fede elementare, che è entrare nella vita con la speranza. Poi, la fede esplicita sarà la comunità che aiuterà i genitori a recuperarla e a viverla. Alle famiglie spetta dare ai ragazzi la grammatica dell’esistenza umana, su cui la comunità cristiana innesterà la sintesi di una vita cristiana vissuta secondo il vangelo.

Collaborare con i genitori vuol dire restituire loro la fiducia nel compito di generare alla vita, di trasmettere valori, di volersi bene, di perdonarsi, perché questo è già tutto vangelo implicito.

Riscaldare i cuori
Potremmo dire che lì dove una comunità è feconda e generativa sviluppa ministerialità, non compiti da distribuire. L’assemblea liturgica è un grande “noi”, è la famiglia di Dio, e ciò che accomuna questo noi è l’essere parte di uno stesso respiro, che il soffio dello Spirito rivela nel segno povero dell’assemblea liturgica. Piccolo segno, ma grande, perché in quella piccolezza si manifesta la visita di Dio.

Il ministero costituisce una sorta di ponte che va dall’altare alla casa. Dal corpo della comunità adunata, al corpo assente. La comunità cristiana è il luogo della manifestazione del ministero. Una comunità cristiana senza ministeri è una comunità triste, rattrappita, che mostra il volto di una comunità malata.

La celebrazione riunisce, diventa segno e strumento di comunione, unisce gli esseri umani e li stabilisce in relazione reciproca. Il rito raggiunge gli oggetti e i gesti della vita quotidiana per caricarli di un senso che li eleva a simboli dell’esistenza stessa.

La tradizione cristiana offre un ricco e vario dispositivo di celebrazioni liturgiche e di riti. Rimane vero che molte persone se ne sono allontanate perché era diventato il simbolo del potere clericale, trasformato in un dovere, mentre esiste per risvegliare il desiderio e testimonia la gratuità di Dio offerta alla libertà umana.

Oggi, in un mondo che si è fortunatamente emancipato dalla morsa e dalla paura del religioso, il dispositivo rituale cristiano torna a offrirsi dentro uno spazio di libertà in cui può essere colto il suo valore.

Molte persone che si sono allontanate dalla fede, o che la conoscono poco o nulla, si uniscono volentieri alla liturgia dei cristiani in occasione delle grandi feste, di un battesimo, di un matrimonio, di un funerale. Per questo, una delle maggiori sfide per le comunità cristiane di domani sarà da vivere la liturgia non in un atteggiamento di ripiego di identità, ma come un luogo aperto di proposta, di celebrazione e di sperimentazione della fede nel cuore della vita; fare della liturgia non solo e non tanto il luogo dell’incontro dei cristiani, ma anche uno spazio di evangelizzazione di tutti quelli e quelle che passano, nel rispetto della loro condizione di pellegrini. È solo così che ogni idolatria è superata e Dio stesso viene lodato.

Nella celebrazione, Cristo Gesù si riconosce pienamente quando si presenta nella forma del dono, quando si fa pane e si sbriciola per le persone. L’esito del cammino è il suo offrirsi: questa è per lui la meta.

Il traguardo del catechista è che la Parola diventi pane, i discorsi lascino spazio alla vita, e il dialogo diventi testimonianza.

La fede debole, così come la rileviamo oggi, esprime la persistente difficoltà della condizione umana a rapportarsi con un grande messaggio religioso, ma questo non toglie che permane, pur se debole, il brusìo del sacro.
settimananews.it

Orari S. Messe in Parrocchia S. Stefano. S. Agostino e S. Teresa a Reggio Emilia

S. Messe feriali
Lunedì ore 18:30 S. Agostino – Martedì ore 19 S. Agostino
Mercoledì ore 18:30 S. Teresa
Giovedì ore 18:30 S. Agostino
Venerdì ore 19 S. Stefano
Dal lunedì al sabato ore 18 S. Prospero

S. Messa prefestiva

ore 18:30 S. Agostino

S. Messe domenicali
Ore 8:45 S. Agostino
Ore 9 San Prospero
Ore 10 S. Stefano
Ore 11 S. Teresa
Ore 11:30 S. Agostino

Rosario tutti i giorni da lunedì a venerdì, mezz’ora prima della S. Messa

Adorazione Eucaristica
Tutti i giovedì ore 17:30 -18:30 – Sant’Agostino
Tutti i venerdì ore 17:30 – 19 – Santo Stefano

In Sant’Agostino, ogni domenica dalle 15 alle 17
Tombolata per tutti gli anziani

VIA CRUCIS tutti i venerdì di Quaresima
Nella Chiesa di San Girolamo – alle ore 15
Nella Chiesa di Santo Stefano – alle ore 18:30

Celebrazione Sacramento Riconciliazione in Parrocchia S. Agostino, S. Stefano e S. Teresa a Reggio Emilia (Centro)

CELEBRAZIONE SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE
SABATO 9 E 16 MARZO 2024 S. AGOSTINO
DALLE 15.00 ALLE 18.00 D GIANNI MANFREDINI
MERCOLEDÌ 27 MARZO 2024 S. TERESA
DALLE 15.30 ALLE 20.30 D LUCA GRASSI
VENERDÌ 29 MARZO 2024 S. STEFANO
DALLE 07 ALLE 11 D LUCA GRASSI
VENERDÌ 29 MARZO 2024 S. AGOSTINO
DALLE 16.30 ALLE 18.00 D LUCA GRASSI
SABATO 30 MARZO 2024 S. AGOSTINO
DALLE 09.30 ALLE 12.30 D LUCA GRASSI
DALLE 15 ALLE 18 D GIANNI MANFREDINI

Oggi alle ore 19 S. Messa in S. Stefano a Reggio Emilia. Foglietto Letture e Salmo Presentazione del Signore 2 Febbraio

mantegnapresentazione

Grado della Celebrazione: FESTA
Colore liturgico: Bianco 

Antifona
BENEDIZIONE DELLE CANDELE E PROCESSIONE
Mentre si accendono le candele si canta l’antifona:

Ecco, il Signore nostro verrà con potenza,
e illuminerà gli occhi dei suoi servi. Alleluia.
Terminato il canto, il sacerdote, rivolto verso il popolo, dice:

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Dopo aver salutato il popolo, pronuncia una monizione introduttiva per esortare i fedeli a una celebrazione attiva e cosciente del rito che si sta per compiere. Lo può fare con queste o con altre simili parole:

Fratelli e sorelle, sono trascorsi quaranta giorni
dalla gioiosa celebrazione del Natale del Signore.
Oggi ricorre il giorno nel quale Gesù fu presentato al tempio da Maria e Giuseppe.
Con quel rito egli si assoggettava alle prescrizioni della legge,
ma in realtà veniva incontro al suo popolo, che l’attendeva nella fede.
Guidati dallo Spirito Santo,
vennero nel tempio i santi vegliardi Simeone e Anna.
Illuminati dallo stesso Spirito,
riconobbero il Signore e pieni di gioia gli resero testimonianza.
Anche noi, qui riuniti dallo Spirito Santo, andiamo nella casa di Dio incontro a Cristo.
Lo troveremo e lo riconosceremo nello spezzare il pane,
nell’attesa che egli venga e si manifesti nella sua gloria.

Dopo la monizione il sacerdote benedice le candele dicendo, a braccia allargate:

Preghiamo.

O Dio, fonte e principio di ogni luce,
che oggi hai manifestato al giusto Simeone
il Cristo, luce per rivelarti alle genti,
ti supplichiamo di benedire questi ceri
e di ascoltare le preghiere del tuo popolo
che viene incontro a te con questi segni luminosi
e con inni di lode;
guidalo sulla via del bene,
perché giunga alla luce che non ha fine.
Per Cristo nostro Signore.
R/. Amen.

Oppure:

Preghiamo.

O Dio, vera luce, che crei e diffondi la luce eterna,
riempi i cuori dei fedeli del fulgore della luce perenne,
perché quanti nel tuo santo tempio sono illuminati
dalla fiamma di questi ceri
giungano felicemente allo splendore della tua gloria.
Per Cristo nostro Signore.
R/. Amen.

Il sacerdote asperge le candele con l’acqua benedetta e senza dire nulla infonde l’incenso per la processione.

A questo punto il sacerdote riceve dal diacono o da un altro ministro la candela accesa per lui predisposta e comincia la processione, mentre il diacono (o, in sua assenza, lo stesso sacerdote) canta o dice:

Andiamo in pace incontro al Signore.

Oppure:

Andiamo in pace.

Nel qual caso tutti rispondono:

Nel nome di Cristo. Amen.

Ant. d’ingresso
O Dio, accogliamo il tuo amore nel tuo tempio.
Come il tuo nome, o Dio,
così la tua lode si estende sino ai confini della terra;
è piena di giustizia la tua destra.

Si dice il Gloria.

Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
guarda i tuoi fedeli riuniti
nella festa della Presentazione al tempio
del tuo unico Figlio fatto uomo,
e concedi anche a noi di essere presentati a te
purificati nello spirito.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Prima Lettura
Entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate.
Dal libro del profeta Malachìa
Ml 3,1-4

Così dice il Signore Dio:
«Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti.
Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai.
Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia.
Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani».

Parola di Dio.

Salmo Responsoriale

Dal Sal 23 (24)
R. Vieni, Signore, nel tuo tempio santo.
Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria. R.

Chi è questo re della gloria?
Il Signore forte e valoroso,
il Signore valoroso in battaglia. R.

Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria. R.

Chi è mai questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria. R.

Seconda Lettura
Doveva rendersi in tutto simile ai fratelli.
Dalla lettera agli Ebrei
Eb 2,14-18

Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.
Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.
Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.

Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
Alleluia, alleluia.

I miei occhi hanno visto la tua salvezza:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele. (Lc 2,30.32)

Alleluia.

Vangelo
I miei occhi hanno visto la tua salvezza.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 2,22-40

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare,
o Signore, che il tuo servo vada in pace,
secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

Parola del Signore.

Oppure:

I miei occhi hanno visto la tua salvezza.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 2,22-32

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».

Parola del Signore.

Sulle offerte
Accogli i doni della Chiesa in festa, o Padre,
come hai gradito l’offerta del tuo Figlio unigenito,
Agnello senza macchia per la vita del mondo.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.

Antifona alla comunione
I miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli. (Lc 2,30-31)

Dopo la comunione
O Padre, che hai esaudito
l’ardente attesa del santo Simeone,
porta a compimento in noi l’opera della tua misericordia;
tu che gli hai dato la gioia, prima di vedere la morte,
di stringere tra le braccia il Cristo tuo Figlio,
concedi anche a noi, con la forza del pane eucaristico,
di camminare incontro al Signore
per ottenere la vita eterna.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.

Il vecchio Simeone, certo della promessa ricevuta, riconosce Gesù e la salvezza di cui il Cristo è portatore e accetta il compiersi della sua esistenza.
Anche Anna, questa profetessa ormai avanti negli anni, che aveva però passato quasi tutta la sua vita in preghiera e penitenza riconosce Gesù e sa parlare di lui a quanti lo attendono. Anna e Simeone, a differenza di molti altri, capiscono che quel bimbo è il Messia perché i loro occhi sono puri, la loro fede è semplice e perché, vivendo nella preghiera e nell’adesione alla volontà del Padre, hanno conquistato la capacità di riconoscere la ricchezza dei tempi nuovi.
Prima ancora di Simeone e Anna è la fede di Maria che permette all’amore di Dio per noi di tramutarsi nel dono offertoci in Cristo Gesù.
Giovanni Paolo II nella “Redemptoris Mater” ci ricorda che “quello di Simeone appare come un secondo annuncio a Maria, poiché le indica la concreta dimensione storica nella quale il Figlio compirà la sua missione, cioè nell’incomprensione e nel dolore” (n. 16).