Vangelo del giorno

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 20,24-29

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

8xmille, far star bene con una firma

È stata presentata in anteprima alle testate della Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici), nella mattinata del 20 aprile scorso, la nuova campagna di comunicazione 8xmille della Conferenza Episcopale Italiana.

Aprendo l’incontro online, il segretario generale della CEI, l’arcivescovo di Cagliari monsignor Giuseppe Andrea Salvatore Baturi, ha sottolineato come l’8xmille sia stato l’ambito che già dal 1988 ha permesso alla Chiesa italiana di mettere in circolo le parole della sinodalità – “comunione, corresponsabilità e partecipazione” – citate dal titolo di un fondamentale documento dell’episcopato italiano. Il fattore economico, ha aggiunto monsignor Baturi, non è solo un fattore strumentale, ma etico ed ecclesiale e i beni temporali rientrano nella nostra sequela del Signore testimoniando una logica diversa da quella del profitto o della sopraffazione. Per questo far bene il bene rende beati e l’8xmille giova a tutto lo Stato, è uno strumento di democrazia.

“On air” dal 2 maggio, la nuova campagna di comunicazione – fin dallo slogan “Se fare un gesto d’amore ti fa sentire bene, immagina farne migliaia” – evidenzia il significato profondo di una semplice azione che permette ogni anno la realizzazione di migliaia di progetti in Italia e nei Paesi in via di sviluppo; inoltre mette in luce la relazione forte e significativa tra la vita quotidiana dei cittadini e le opere della Chiesa, attraverso la metafora dei “gesti d’amore”: piccoli o grandi segni di altruismo che capita di compiere nella vita e che non fanno sentire bene solo chi li riceve, ma anche chi li compie.

Attraverso una semplice firma, quella per l’8xmille, è dunque possibile moltiplicare la sensazione di benessere che si prova quando si fa un gesto d’amore. Come fa la Chiesa ogni giorno con i suoi interventi arrivando capillarmente sul territorio a sostenere e aiutare chi ne ha più bisogno: poveri, senzatetto, immigrati, ma anche italiani che attraversano momenti di difficoltà.

“L’obiettivo della campagna 2023 – ha detto il responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica, Massimo Monzio Compagnoni – è far comprendere il valore di un gesto molto semplice come una firma, abbinandolo a momenti della vita di tutti i giorni. Gli spot ruotano intorno al concetto del ‘sentirsi bene’ prendendosi cura del prossimo grazie ad un’opzione, nella propria dichiarazione dei redditi, che si traduce in migliaia di progetti. Chi firma è protagonista di un cambiamento ed è autore di una scelta solidale, frutto di una decisione consapevole, da rinnovare ogni anno. In ogni iniziativa le risorse economiche sono messe a frutto da sacerdoti, suore, operatori e dai tantissimi volontari che, con le nostre sottoscrizioni, sono il vero motore dei progetti realizzati”.

La nuova campagna è ideata dall’agenzia Wunderman Thompson Italia che si è aggiudicata la gara indetta dal Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica: creatività di Massimiliano Traschitti e Antonio Codina, regia di Edoardo Lugari; le foto sono di Francesco Zizola; la casa di produzione è Casta Diva/Masi Film.

Sul sito www.8xmille.it sono disponibili anche i filmati di approfondimento sulle singole opere mentre un’intera sezione è dedicata al rendiconto storico della ripartizione 8xmille a livello nazionale e diocesano.

Nell’area Mappa 8xmille sono geolocalizzati e documentati migliaia di interventi già realizzati, in Italia e nel mondo. Una geografia di opere in aggiornamento, nel segno della rendicontazione e della trasparenza verso chi ha generato con la firma opere di fraternità secondo tre direttrici fondamentali di spesa: culto e pastorale, sostentamento dei sacerdoti diocesani, carità in Italia e nei Paesi in via di sviluppo.

Nella campagna 2023 la Chiesa si racconta attraverso otto storie di speranza e di coraggio. Gli spot mettono in luce il valore della gratuità e gli sforzi di una Chiesa in uscita, che si prende costantemente cura dei più deboli, donando opportunità e fiducia, intervenendo con discrezione e rispetto, operando con creatività e positività.

Dalla Casa della Carità che a Seregno offre ospitalità ai più fragili senza fissa dimora, alla mensa delle Parrocchie solidali di Brindisi, una mano tesa rivolta a quanti sono a rischio di esclusione sociale. Dalla Casa Santa Elisabetta, un condominio solidale nel cuore di Verona per donne sole con minori ad Opera Seme Farm, una filiera etica che, nel Salento, promuove i prodotti del territorio generando valore ed occupazione, passando per il Centro di ascolto diocesano di Albano, un luogo accogliente e familiare per chi ha bisogno di assistenza alimentare e non solo. Farsi prossimo con l’accoglienza ed il primo soccorso è la mission del progetto “Un popolo per tutti” che, a Roccella Jonica, rappresenta un approdo sicuro per i migranti in fuga e in cerca di un futuro migliore.

Grazie alle firme, ogni anno, vengono restituiti a fedeli e visitatori molti tesori dimenticati. Come ad Ancona, dove la chiesa di Santa Maria della Piazza, gioiello romanico, è sottoposta ad un intervento di restauro conservativo per continuare a tramandare arte e fede alle generazioni future.

Dopo gli anni difficili della pandemia la campagna, quest’anno, vola all’estero per documentare come a Tosamaganga, in Tanzania, con il supporto delle firme la speranza sia giunta in aula e in corsia. Qui i medici del Cuamm, la prima organizzazione italiana per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni africane, sono presenti da oltre 50 anni e si prendono cura delle persone più vulnerabili, soprattutto delle mamme e dei bambini, fin dai primi attimi di vita.

La Chiesa cattolica ogni anno si affida alla libertà e alla corresponsabilità di fedeli e contribuenti per rinnovare la firma che si concretizza in risorse per la realizzazione di opere dove tanti, ogni giorno, trovano porte aperte e speranza restituita.

laliberta.info

Dolore e preoccupazione per la sofferenza della Chiesa del Nicaragua

Cei: Dolore e preoccupazione per la sofferenza della Chiesa del Nicaragua

ROMA-ADISTA. «Esprimiamo preoccupazione per la situazione di prova e persecuzione che sta vivendo la Chiesa del Nicaragua. Preghiamo, in particolare, per il Vescovo Rolando Álvarez, condannato a 26 anni di carcere in base a un procedimento del tutto arbitrario e ingiusto, e per quanti sono sottoposti a qualsiasi forma di restrizione della libertà o sono stati deportati negli Stati Uniti. Con grande dolore denunciamo questa grave ferita per lo Stato di diritto». Lo dichiara la Cei in una nota. «Unendoci alla preghiera di papa Francesco e, in comunione con gli Episcopati europei, portiamo alla comunità ecclesiale del Nicaragua la solidarietà e la vicinanza della Chiesa in Italia, sentimenti che estendiamo a tutto il popolo privato da tempo dei propri diritti umani e civili. Con il santo padre chiediamo al Signore di “aprire i cuori dei responsabili politici e di tutti i cittadini alla sincera ricerca della pace che nasce dalla verità, dalla giustizia, dalla libertà e dall’amore” (Angelus, 12 febbraio 2023). Al tempo stesso, auspichiamo che le Istituzioni internazionali e le autorità di tutto il mondo, comprese quelle del nostro Paese, mantengano alta l’attenzione sul Nicaragua e non cessino di far presente in tutte le sedi istituzionali la situazione di compressione delle principali libertà e di persecuzione religiosa, per cercare con tenacia strade di pace e autentico dialogo».

Vaticano Franca Giansoldati: Il cardinale G. Müller “è un uomo di pensiero davvero libero interiormente che ha a cuore l’unità della Chiesa e la figura del Papa al quale è sinceramente leale”

Libro su Amazon a prezzo scontato: In buona fede. La religione nel XXI secolo

(Luis Badilla – a cura Redazione “Il sismografo”) Il libro scritto dal cardinale tedesco, Gerhard Müller (nato il 31 dicembre 1947) , ex Prefetto dell’allora Congregazione per la Dottrina della Fede (oggi Dicastero), insieme con la giornalista de “Il Messaggero”, nonché scrittrice e vaticanista di lungo corso, è sicuramente una delle opere sul pontificato di Jorge Mario Bergoglio più serie, documentate e ben elaborate. Scorrendo le sue pagine e la conversazione tra Müller e Giansoldati, serrata, diretta e incalzante, anche nel disaccordo con le analisi del porporato o della giornalista si prova la soddisfazione di prendere parte a uno scambio di vedute che nella Chiesa manca da molti anni. Un libro per riflettere, farsi domande, cercare risposte, approfondire prospettive. Non è un libro per tifosi, adulatori, contrari a prescindere o partigiani di cordate.
Ora, gentilmente, Franca Giansoldati racconta con schiettezza e trasparenza come e perché è nato questo libro il cui titolo – “In buona fede” (Solferino 2023) – indica da subito un orizzonte rilevante e promettente.
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1) Come nasce il progetto di questo libro e perché? Perché il cardinale accetta il suo invito e perché Lei decide di scrivere questo libro con G. Müller?Grazie per questa domanda perché dalla genesi di questo lavoro fuoriesce una prospettiva che guarda lontano. La casa editrice Solferino, dopo il successo mondiale de Il Monastero di Massimo Franco decise approfondire le riflessioni che quel libro aveva fatto affiorare. La scelta è caduta su di me per la mia totale imparzialità nel raccontare le notizie relative alla Chiesa, cercando di privilegiare in ogni frangente criteri puramente giornalistici: la notizia penso che debba sempre avere la meglio su tutto, senza pregiudizi, gabbie ideologiche, condizionamenti. Quando incontrai il cardinale Muller la prima volta gli ho esposto le mie condizioni. Sapevo che non erano facili. Il cardinale non avrebbe mai cambiato in corso d’opera una sola virgola sia nella stesura, sia nelle domande. Era un prendere o lasciare. Mi ha risposto sinteticamente, da buon tedesco: “Procediamo”. E così è stato. Abbiamo lavorato sodo, circa 75 ore di conversazione libere, serrate, interessantissime a volte ruvide e qualche volta non sono mancate le polemiche tra noi. Muller non si è mai sottratto. E’ un uomo di pensiero davvero libero interiormente che ha a cuore l’unità della Chiesa e la figura del Papa al quale è sinceramente leale. Non ci sono retroscena, non c’è complottismo, non c’è nient’altro. Tutto è filato liscio anche se il lavoro è stato immane, ho sacrificato tutte le mie ferie, il mio tempo libero per interi mesi, ho lavorato anche di notte. Ma ne è valsa la pena.

2) Sul libro si è scritto e discusso moltissimo, in tante lingue. Sostanzialmente la stampa ha interpretato molti passaggi del volume come un attacco a Papa Francesco. A suo avviso perché la stampa ha reagito in questo modo?
E’ assolutamente normale che in un testo anticipato alla stampa si vadano a prelevare le parti che fanno maggiore notizia. Mi sarei stupita del contrario. I contrasti, i giudizi critici o negativi, le riflessioni non positive: sono tutti elementi che offrono formidabili spunti per fare articoli ad effetto. E’ il giornalismo. Tuttavia dopo un primo impatto del genere, molto pirotecnico e teso a mettere in risalto i conflitti sotterranei di una Chiesa che in questi anni si è drammaticamente sfilacciata e indebolita, sono cominciate ad apparire ragionate riflessioni prospettiche. Recentemente chi ha centrato l’argomento di questo lavoro è stato il professor Gian Maria Vian, storico e accademico, conoscitore della Chiesa e già direttore dell’Osservatore Romano che con un approccio sistemico ha inquadrato perfettamente l’orizzonte ultimo: il futuro della Chiesa, il prossimo conclave (quando sarà e speriamo il più tardi possibile), gli interrogativi identitari che prenderanno spazio.

3) Il cardinale Müller conferma il suo spessore teologico nelle risposte a molte delle sue domande. Secondo Lei la dissidenza nei confronti del Papa è una questione solo teologica o ci sono anche altre criticità soprattutto di governance.
Se la Chiesa vuole riprendere il dialogo interno e il tradizionale processo di decision making utilizzato con successo persino durante il Concilio (che implica anche un confronto serrato per poi arrivare ad una sintesi capace di generare unità per una realtà tanto immensa e frastagliata), era necessario un punto di parresia. Una piattaforma. Una bussola. Il cardinale Muller parte da questa base con il desiderio di unità e non di disgregazione. L’ala dei conservatori, in questi ultimi anni è stata innegabilmente silenziata. In un organismo complesso e delicato come la Chiesa questo non poteva che alimentare spinte centrifughe, allontanamenti, criticità varie. Solo una figura autorevole e teologicamente attrezzata come Muller poteva farsi carico di questo tentativo.

4) Nel libro, a più riprese, il porporato tedesco, sotto la pressione delle sue domande parla di odierna “confusione dottrinaria”. Secondo Lei le riflessioni di G. Müller sono un aiuto per far chiarimento in questa confusione o invece potrebbe aumentarla?
E’ una domanda che in vari momenti dei nostri incontri ho fatto anche io al cardinale. Ritengo che sia un aiuto sincero e leale verso la Chiesa e Papa Francesco.

Papa: adoriamo Dio non “io”, male chi diffonde false notizie

 © ANSA

– CITTÀ DEL VATICANO, 06 GEN – “Come i Magi, prostriamoci, arrendiamoci a Dio nello stupore dell’adorazione.

Adoriamo Dio e non il nostro io; adoriamo Dio e non i falsi idoli che ci seducono col fascino del prestigio e del potere, con il fascino delle false notizie.

Adoriamo Dio per non inchinarci davanti alle cose che passano e alle logiche seducenti ma vuote del male”. Lo ha detto il Papa nell’omelia della messa per l’Epifania.
Papa Francesco ha chiesto anche di fare spazio nella vita a Dio che è l’amore vero “che non passa, che non tramonta, che non si spezza neanche dinanzi alle fragilità, ai fallimenti e ai tradimenti”. “Il cammino della fede inizia” quando “smettiamo di conservarci in uno spazio neutrale e decidiamo di abitare gli spazi scomodi della vita” fatti anche “di sofferenze che scavano nella carne”. “In questi momenti si levano dal nostro cuore quelle domande insopprimibili, che ci aprono alla ricerca di Dio” e tra queste: “Dov’è quell’amore che non passa, che non tramonta, che non si spezza neanche dinanzi alle fragilità, ai fallimenti e ai tradimenti?”. (ANSA).

Il dibattito. Comunicare il Vangelo e la Chiesa in Rete: perché è così difficile?

Su Internet bisogna per forza fare i conti con la cultura “orizzontale” che caratterizza oggi tutte le dinamiche sociali e relazionali. Conoscerne le caratteristiche può essere un valido aiuto
Comunicare il Vangelo e la Chiesa in Rete: perché è così difficile?
Avvenire

Chi vuole fare in rete una comunicazione “di contenuti” e non soltanto “di intrattenimento”, si trova a navigare in un mare burrascoso tra Scilla e Cariddi: nel sovraccarico informativo della rete si rischia di essere sommersi, di non riuscire ad ottenere visibilità, ma se si cerca la visibilità con le tecniche e il linguaggio propri della rete, si rischia di rendere la comunicazione poco significativa, omologata alla cultura della rete. Questi temi sono stati tra gli oggetti di una riflessione attenta da parte dell’Ufficio comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana, della Fisc e di WeCa, del Servizio informatico della Cei e di tanti Uffici diocesani, che si sono incontrati in due diverse iniziative di convegno a ottobre e a novembre.

Se l’analisi della situazione è chiara e condivisa, occorre adesso tentare di avviare qualche sperimentazione concreta, che possa diventare indicazione praticabile da tutti. Le modalità di funzionamento della Rete favoriscono una cultura “orizzontale”, in cui ogni opinione ha diritto di cittadinanza con un pari valore di autorevolezza e di verità.

È un effetto del venire meno dei riferimenti oggettivi, dell’affievolirsi del pensiero critico e del discernimento culturale, ma è anche il risultato di caratteristiche specifiche della Rete: l’intercambiabilità di ruoli tra chi produce contenuti e chi li riceve, la progressiva disintermediazione del sapere per cui non ci sono più figure riconosciute con il ruolo di trasmissione delle conoscenze, che viene invece demandato alla rete, ai motori di ricerca, ai social.

La “cultura orizzontale”, tipica del nostro tempo, privilegia l’azione rispetto al pensiero, la decisione basata su reazioni immediate, sul pensiero “veloce”, emotivo, rispetto a quella frutto di riflessione e di razionalità, di pensiero “lento”.

Apparentemente la cultura orizzontale sembra favorire la partecipazione e la condivisione, ma tende piuttosto all’appiattimento, all’omologazione, all’espulsione delle opinioni che si discostano dal pensiero prevalente, indipendentemente dal valore oggettivo che possono avere.

E la Rete, che facilita l’accesso veloce a una grande quantità di informazioni, induce a un certo impoverimento della capacità di cogliere i significati e i collegamenti di senso, con la progressiva incapacità a comprendere e gestire la complessità dei concetti e degli avvenimenti.

La “cultura orizzontale” rischia sempre più diffusamente di trasformarsi in “cultura dell’ignoranza”, caratterizzata dal “sapere tutto e non capire niente”, dal rifiutare ogni parere autorevole per affermare solo le proprie opinioni, confrontandosi con gli altri solo per riceverne conferma. La Rete, ambiente di vita e non più soltanto strumento di comunicazione, diventa costantemente “mediatore culturale”, si interpone tra noi e il nostro stesso pensiero, cambiando le nostre capacità cognitive e le nostre attitudini di apprendimento.

Se a ciò si aggiunge che la Rete è stata anche, in questi ultimi due anni soprattutto, mediatrice di relazioni tra le persone, possiamo intuire quanto l’ambiente di rete sia oggi un potente “filtro” che influenza in profondità la nostra vita. Se nell’era della comunicazione tradizionale, definita da “il mezzo è il messaggio”, bastava apprenderne le tecniche e i linguaggi, nella Rete che “deforma il messaggio” e “inventa l’ambiente” di comunicazione, occorre la capacità di comprendere il contesto e decodificare i messaggi.

Chiesa viva e Chiesa estraniante

Chiesa viva e Chiesa estraniante: Enrico Peyretti sul settimanale diocesano di Torino

Adista
«La Chiesa sa di vecchio, per i giovani, sa di museo». La considerazione è di Enrico Peyretti e compare in un articolo pubblicato sull’edizione stampata del settimanale diocesano di Torino La Voce e il Tempo (4/12/22) con il titolo “Germogli, giovani e Chiesa”. Sono riflessioni critiche– pur nella pacatezza dell’esposizione – della Chiesa istituzione che difficilmente trovano spazio sulla stampa diocesana, sotto stretto controllo episcopale.

«Grandi ricchezze e grandi povertà spaccano la società. Le città sono come formazioni cancerogene nella natura. I giovani portano il peso maggiore di questa situazione», osserva Peyretti. «Le generazioni precedenti crescevano sui libri e sull’esperienza trasmessa, i giovani crescono sugli schermi, irreali. Il villaggio che è necessario per educare un bambino, è imbarbarito. I vicini (genitori, adulti) sono lontani, e tutto ciò che è lontano (social, immagini) è vicino, addosso, senza dimensione temporale. La sua reperibilità continua è irreale. Il compito delle religioni è indicare e ricondurre alle fonti della realtà, alla vita come tempo e cammino e orizzonte».

«Nella chiesa cattolica torinese – seguita l’Autore, venendo alla diocesi della città dove abita – il nuovo vescovo Repole chiede se si vedono germogli nuovi per la chiesa di domani. Su questo ci si interroga nelle realtà ecclesiali locali». «La chiesa è viva in comunità territoriali, nel contatto con altre realtà sociali», è la risposta di Peyretti, come anche «in associazioni e movimenti di scopo, trans-territoriali; la Chiesa vive non solo a opera del clero, ma grazie a sempre più importanti ministeri laicali, grazie alla presenza attiva delle donne, non riconosciute in piena parità, ed è grave inspiegabile danno alla credibilità della Chiesa; è importante l’ecumenismo non diplomatico ma reale, come la più che decennale esperienza torinese della reciproca ospitalità eucaristica tra cattolici e protestanti; molto importante è rinnovare il linguaggio, le modalità di comunicazione, le immagini che la Chiesa dà di sé».

Se «la Chiesa sa di vecchio, per i giovani», nondimeno essi «vedono che su pace e guerra essa parla, anzitutto con papa Francesco, in modo molto più vero e chiaro della politica, di tutta la politica. Così sui gravi problemi dell’ambiente, della giustizia sociale, della selezione mondiale tra ultra-garantiti e sradicati…».

E tuttavia «partecipare alla Chiesa è un’altra cosa. A partire dagli edifici, per lo più monumenti del passato, agli abiti liturgici, strani e teatrali (la mitria vescovile di origine faraonica): sono scene estranianti. Dov’è davvero la chiesa, dove la si trova? Tertulliano (155-230), scrittore cristiano molto severo, ricordava lo stupore dei pagani quando incontravano una comunità cristiana: «Vedete come si vogliono bene?» (Apologetico, 39,7). Non è forse proprio questo il maggiore criterio evangelico per una pur piccola Chiesa? Quanto spesso si verifica? Senza però farsi setta chiusa, ma sempre accogliente, non discriminante».

I giovani non avvicinano più la Chiesa per trasmissione familiare, «le vere scelte interiori avvengono per esperienza personale, non determinate dall’ambiente, sia pure affettivo. (…) È positivo che la fede non sia un’influenza sociologica, ma una vicenda personale autentica. Il fatto conta molto più dei numeri. La Chiesa è minoranza sociale, anche piccola: non coincide più con la “società cristiana”, come si illudeva ieri, a prezzo di conformismi insinceri, una chiesa numerosa, ma non tutta vera. I nuovi “segni dei tempi” spazzano via certe apparenze, e questo è bene, anche se fa soffrire chi si appoggia a forme tramontate, come le belle pietre del tempio, che Gesù vede già rotolate a terra. Il “segno dei tempi” è Cristo Gesù, sempre nuovo e veniente, con la sua parola, con l’offerta totale di sé per ispirare vita buona e vera, che non muore». In questa situazione, aggiunge Peyretti, «la Chiesa – lo ricorda sempre papa Francesco – non ha da fare “proselitismo”, non ha da agitarsi per reclutare, non ha da temere la povertà di presenze. Ha solo da essere viva, da respirare vangelo, che potrà comunicarsi ad altri, per grazia, come la Chiesa l’ha ricevuto».

«Se un ragazzo mi dice», esemplifica infine Peyretti, «“Io non credo in Dio”, posso chiedergli: quale dio? quello lontano, extraterrestre, sorvegliante, legislatore e giudice severo, amministrato da una potenza religiosa? Oppure puoi pensare che quel dio astratto sia un nome improprio ed equivoco del Bene vivente, dell’Amore, del Respiro di cui sentiamo il bisogno, della Bontà ispirata in noi che ci anima alla giustizia, alla dedizione? Puoi pensare che sia il nome popolare della Speranza portata da Cristo che la forza bruta e la morte non regnino sulla vita e sulla giustizia? Se possiamo dire questo a un ragazzo, in modo credibile, abbiamo fatto quanto dovevamo come Chiesa, mi pare».