All’Istituto comprensivo 10 di Vicenza nessuno è straniero

L'articolo 34 della Costituzione, "La scuola è aperta a tutti" stampato sul banco

L’articolo 34 della Costituzione, “La scuola è aperta a tutti” stampato sul banco

All’Istituto comprensivo 10 di Vicenza, gli alunni sono 636; il 48 per cento è straniero. «Anche se “straniero” è una categoria generica» sottolinea la dirigente Maria Chiara Porretti. «Il 90%, infatti, è nato a Vicenza. Bisogna distinguere tra gli alunni “con cognome straniero” e i NAI, ovvero gli appena arrivati in Italia che in tutto l’istituto sono una ventina. Ne arrivano due al mese: loro sono gli unici veri stranieri perché non parlano italiano».

Che, poi, a ben vedere questa necessità di entrare nei particolari linguistici della vicenda si è posta solo dopo che il vicepremier Matteo Salvini, alla luce della chiusura della scuola di Pioltello il 10 aprile scorso per permettere ai ragazzi di partecipare alla festa di fine Ramadan, ha chiesto di mettere un tetto del 20 per cento di alunni stranieri nelle classi. Seguito a poca distanza dal ministro dell’Istruzione, Giuseppe Validatara che ha twittato così: “Se si è d’accordo che gli stranieri si assimilino sui valori fondamentali iscritti nella Costituzione ciò avverrà più facilmente se nelle classi la maggioranza sarà di italiani”.

Ebbene, nell’IC 10 vicentino quello della Costituzione non è uno studio, «la Costituzione» ci spiega la vicaria Laura Trentin, «vive tra i banchi, è stampata sui banchi. Abbiamo scelto più di 20 articoli che sono sempre sotto gli occhi dei nostri alunni, vengono discussi, approfonditi e argomentati con i docenti. Valori che non studiamo in astratto, ma che cerchiamo di mettere in pratica». Oltre a tante altre scelte di responsabilizzazione che hanno fatto: «in primis quella delle aule disciplinari. Ogni classe non ha la sua aula, ma alla secondaria di primo grado – le vecchie medie per capirci – lavoriamo sugli ambienti di apprendimento. I ragazzi, così, sono responsabili delle ore che frequentano e imparano, mettendola in pratica, l’educazione civica. Già dalla secondaria di primo grado, poi, abbiamo introdotto i rappresentanti di classe. Ogni mese c’è un’assemblea di classe. Un modo per responsabilizzarli e dar loro fiducia».

All’esterno dell’istituto, sarà un caso o forse no, campeggia un murales dedicato ad Antenore, esule da un altro Paese, a cui è intitolata la scuola: «ecco perché abbiamo implementato il progetto musicale di alfabetizzazione per superare le differenze linguistiche. Ma, poi, diciamolo i problemi li creiamo noi adulti. Per i nostri alunni i compagni sono compagni e basta, italiani e stranieri che siano. Ed ecco perché il discorso di un tetto massimo non esiste: che fai l’alunno del palazzo a fianco lo mandi in un’altra scuola? Oltretutto è proprio grazie ai pari che nel giro di poco imparano l’italiano».

Certo una realtà così internazionale comporta un’organizzazione ferrea e delle risorse dedicate che nelle ristrettezze fanno i conti con lo scenario. «Per esempio i fondi del Pnrr per il potenziamento linguistico li dividiamo a metà tra l’inglese e potenziamento della lingua italiana». E un maggior lavoro dei docenti: «ma il viceversa di questo discorso è che il corpo insegnante è stabile. Perché chi è qui lo sceglie. È una realtà molto stimolante».

Famiglia Cristiana

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