Incontrare Gesù con i 5 sensi
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«Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono della Parola della vita […] noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena».
È il prologo della prima lettera di Giovanni (1,1-4).
Lo richiama Luca Pedroli, uno dei più apprezzati esperti della letteratura giovannea e docente stabile al Pontificio Istituto Biblico, in apertura (pp. 16-17) del suo recente saggio Vieni e vedi. I sensi nel Vangelo di Giovanni (Edizioni Messaggero, Padova 2025). Saggio che fa parte della nuova collana Impressioni Bibliche, proposta dalla casa editrice francescana in occasione della Domenica della Parola 2025 e dedicata all’approfondimento rigoroso di alcuni temi biblici ma con taglio divulgativo e sintetico.
Una collana che si prefigge di tenere insieme due dimensioni: il segno che la Parola di Dio imprime in coloro che la ascoltano e, di conseguenza, la rilettura esistenziale che questa suscita. Da qui il titolo, Impressioni bibliche.
Il libro è dedicato agli studenti del Pontificio Istituto Biblico che hanno condiviso con l’autore «la ricerca in questo ambito così suggestivo e appassionante» del Quarto Vangelo.
Come scrive Giovanni Cesare Pagazzi nella Prefazione, si tratta di un «bel libro» che «mostra con competenza e gentilezza, con profondità pensosa e leggerezza piena di affetto» come il Vangelo spirituale per antonomasia, che è quello di Giovanni, «sia particolarmente attento ai sensi di Cristo e dei suoi discepoli» (p. 8).
Obiettivo dello studio
L’obiettivo dello studio del biblista vigevanese è duplice.
In primo luogo, egli intende mostrare la stretta connessione che intercorre nel Quarto Vangelo tra la percezione sensoriale e la testimonianza di Gesù (p. 18). Infatti «i sensi ci permettono di fare esperienza della realtà che ci circonda. Sono loro a fungere da via di conoscenza per eccellenza, per affrontare e decifrare tutto ciò con cui abbiamo a che fare. I sensi funzionano come porte dell’anima, sentinelle, messaggeri, veicoli tramite i quali entriamo in contatto con il mondo circostante e, di conseguenza, impariamo a conoscerlo» (p. 22).
In secondo luogo, l’autore si prefigge di verificare se e «come Giovanni, nel fare ricorso alla sfera sensoriale, riesca a sollecitare i sentimenti e l’immaginazione del lettore, così da permettergli di sperimentare in prima persona la comunione con Cristo che nel testo viene testimoniata e condivisa» (p. 32). Infatti, «gli elementi visivi, uditivi, tattili, gustativi e olfattivi del Vangelo non contribuiscono solamente a rendere la narrazione più viva e a suscitare emozioni, ma permettono al lettore di condividere la percezione di Gesù sperimentata dall’autore e dalla sua comunità e quindi a rafforzare la propria fede» (p. 31).
Per Giovanni, i sensi costituiscono lo strumento privilegiato non solo per esprimere una realtà soprannaturale e spirituale (p. 28), ma per far capire che ciò in cui si crede è qualcosa di reale e di vero (p. 120).
Struttura del saggio
Nella breve ma stimolante Prefazione di Giovanni Cesare Pagazzi si fa notare, tra l’altro, che non esiste alcun pensiero – anche il più segreto e il più astratto – che non abbia un impatto sensoriale (p. 7) e che non a caso gran parte della vita terrena di Gesù di Nazaret fu impegnata a guarire i sensi, dando la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, restituendo la presa e il tatto a mani paralizzate (p. 9).
L’Introduzione evidenzia come l’esperienza sensoriale costituisca davvero una componente fondamentale del Quarto Vangelo, un testo dalla straordinaria profondità e intensità «capace di toccare nel cuore il nostro vissuto e la stessa esperienza di fede» (p. 11) in quanto scritto dal «discepolo amato» (Gv 19,26; 20,2; 21,7.20) che con il Signore Gesù ha instaurato una profonda relazione «fondata su un’autentica reciprocità» (p. 13).
Sei i capitoli del saggio.
Il primo si configura come una riflessione generale sull’efficacia della sfera sensoriale. Il filo rosso e la pietra angolare di tutta la letteratura giovannea sono rinvenibili nel cuore del Prologo del Quarto Vangelo: «E la Parola si fece carne e piantò la sua tenda fra noi» (Gv 1,14).
Condividendo in tutto la nostra condizione umana e le dinamiche che ci contraddistinguono, questa Parola – scrive Luca Pedroli – «si è resa accessibile alla sfera sensoriale, che rappresenta il luogo di acquisizione principale per quanto riguarda l’esperienza cognitiva umana. Il principio che ne consegue è che, per prendere dimestichezza con il mistero di Dio così come si è rivelato in Cristo, è necessario passare attraverso la percezione umana, di cui i cinque sensi costituiscono l’espressione più immediata ed efficace» (p. 21).
Gli altri cinque capitoli si soffermano sul ruolo ricoperto nel Quarto Vangelo dai cinque sensi: la vista (cap. 2 «Venite e vedrete»), l’udito (cap. 3 «Noi stessi abbiamo udito»), il gusto (cap. 4 «Il vino buono»), l’olfatto (cap. 5 «Tutta la casa si riempì dell’aroma») e il tatto (cap. 6 («Tendi la tua mano»).
Nella Conclusione Pedroli ci invita a riflettere sul fatto che è «proprio la maturazione nella nuova sensorialità a permettere di comprendere che Cristo è veramente risorto e cosa questo significa per noi. È così che si impara a percepire e a gustare la sua presenza, a cogliere il vero senso delle sue parole e a riconoscerlo, toccarlo, servirlo nei fratelli che incrociamo ogni giorno sul nostro cammino, a cominciare, come lui stesso ci ha insegnato, dagli ultimi e dai più bisognosi» (pp. 122-123).
«Venite e vedrete»
I commentatori sono concordi nell’evidenziare il ruolo centrale che la vista – intesa sia in senso fisico che in senso figurato – ricopre nel Quarto Vangelo.
Basta pensare che i quattro verbi utilizzati da Giovanni con il significato di vedere ricorrono ben 114 volte: 67 volte il verbo ὁράω (horào); 24 volte il verbo ϑεωρέω (theoréo); 6 volte il verbo ϑεάομαι (theàomai); 17 volte il verbo βλέπω (blépo).
Non per nulla Giovanni è l’evangelista che ha come simbolo l’aquila, un uccello che vola alto e vede in profondità. «Il percorso che porta alla fede, così come viene presentato nel Quarto Vangelo, si delinea quindi nella forma di un vedere che si affina sempre di più e che confluisce nella testimonianza» (p. 48).
«Noi stessi abbiamo udito»
Dopo la vista, il senso che registra più riferimenti è l’udito, espresso nel verbo ἀκούω (akùo) che ricorre più di cento volte negli scritti giovannei, e poco meno di cinquanta volte si trovano nel Quarto Vangelo (p. 49).
Esso ha molteplici significati: dall’avere ed esercitare la facoltà di udire al ricevere notizie o informazioni su qualcosa; dall’ascoltare e comprendere un messaggio al recepirlo trasformandolo in testimonianza di vita e discernendo tra il bene e il male.
L’udito – inteso anch’esso sia in senso fisico che in senso metaforico e spirituale – permea il Vangelo di Giovanni. E lo fa in modo particolarmente intenso quando si tratta di credere (p. 53), tanto che si può convintamente convenire con chi ritiene che «la fede genuina, secondo il Quarto Vangelo, si genera attraverso l’ascolto» (p. 54): un ascolto al quale deve fa seguito il mettere in pratica ciò che si è udito (p. 58). La fede, infatti, consiste «nell’udire la voce o le parole di Gesù, obbedendogli in un ascolto interiore» (p. 58).
«Il vino buono»
Delle quindici ricorrenze del gusto, espresso nel verbo γεύομαι (ghèuomai), che si contano nel Nuovo Testamento, solo due si trovano nel Quarto Vangelo: nel famoso episodio delle nozze di Cana (Gv 2,1-12) e in uno dei frequenti confronti tra Gesù e i giudei rinvenibile in Gv 8,52 («Se uno osserva la mia parola non sperimenterà/gusterà la morte in eterno»).
Si tratta di due «passi dalla forte pregnanza teologica, anche se con prospettive differenti: uno in relazione all’acqua diventata vino (2,9) e l’altro in riferimento alla morte (8,52).
«A Cana l’acqua diventata vino buono non costituisce solo l’inizio dei segni compiuti dal Signore […], ma simboleggia innanzitutto la gioia comunicata dalla Parola, dalla rivelazione e dal Vangelo di Cristo» (p. 70).
«Non gustare la morte in eterno significa, in definitiva, avere la grazia di entrare nella dimensione ultima, escatologica che è donata a chi ascolta la Parola del Signore, la custodisce e la osserva» (p. 74).
Il gusto, chiamato direttamente in causa dai verbi «mangiare» (ἐσθίω, esthìo) e «bere» (πίνω, pìno), «si rivela come luogo privilegiato di esperienza spirituale, che si traduce nel passaggio dalle più elementari azioni di assaggiare, mangiare e bere alla sperimentazione della presenza di Dio e dei segni tangibili del suo amore disseminati nella vita di ogni giorno» (p. 82).
«Tutta la casa si riempì dell’aroma»
Nel Quarto Vangelo si fa riferimento all’olfatto solo in due occasioni: nella prima si utilizza il verbo ὄζω (ozo) che esprime mandare (cattivo) odore; nella seconda si utilizza il sostantivo ὀσμή (osmè) che significa (buon) odore.
Nonostante la scarsa presenza di un vocabolario appartenente in modo stretto al campo lessicale dell’olfatto, quest’ultimo ricopre un ruolo speciale nel Quarto Vangelo in quanto si rivela come chiave di lettura della morte e della risurrezione del Signore Gesù.
La prima ricorrenza dell’olfatto è presente nell’episodio della rianimazione di Lazzaro. A Gesù che chiede di togliere la pietra dall’ingresso del sepolcro dove da quattro giorni giace il corpo di Lazzaro, Marta fa notare che il corpo del fratello, essendo cominciata la fase di decomposizione, già manda cattivo odore (Gv 11,39).
Troviamo la seconda ricorrenza dopo la rianimazione di Lazzaro. A Gesù che siede a tavola con lui a Betania in una cena organizzata in suo onore e servita da Marta, Maria cosparge i piedi con una libbra di olio profumato di puro nardo del valore di «trecento denari», riempiendo dell’aroma di quel profumo tutta la casa (Gv 12,3).
Il fatto che il profumo di puro nardo cosparso da Maria sui piedi di Gesù sia così intenso e buono «lo pone immediatamente in contrapposizione all’odore che avrebbe emanato il cadavere di Lazzaro» (p. 87). Il cattivo odore del cadavere di Lazzaro non si avverte perché Gesù lo riporta in vita. «L’aroma intenso diffuso da Maria sostituisce al dramma della morte la gioia irrefrenabile della vita donata da Gesù» (p. 90), con la conseguenza che la rianimazione di Lazzaro e l’unzione di Betania – episodi collocati da Giovanni prima dei capitoli dedicati alla passione di Gesù – vengono rilette come segno della sua morte e della sua risurrezione (p. 90).
«La casa accogliente e familiare di Betania, con Maria insieme al fratello Lazzaro e alla sorella Marta, diventa simbolo della nuova famiglia instaurata da Cristo nello scenario nuziale della Pasqua, costituita da tutti coloro che aderiscono pienamente a lui nella fede e che, per questo, si riconoscono rigenerati nella vita che non ha più fine» (p. 106).
«Tendi la tua mano»
Anche le radici verbali del campo semantico del tatto non sono molto presenti nell’opera giovannea. Il verbo tecnico greco che significa «toccare» (ἅπτομαι, hàptomai) è presente nel Quarto Vangelo solo una volta, nell’episodio dell’incontro tra il Cristo Risorto e Maria di Magdala (Gv 20,17).
Nel momento in cui si rende conto che il «giardiniere» è in realtà Gesù risorto, Maria è mossa dal desiderio di «stringere saldamente» il suo Signore e di non lasciarlo più. La richiesta di Gesù «non mi toccare» (μή μου ἅπτου, me mu hàptu), «è formulata in greco da Giovanni all’imperativo presente, indicando così non tanto il comando di fare qualcosa, ma l’interruzione brusca di un’azione prolungata, già in atto, per cui andrebbe intesa come: Ora basta, non continuare a tenermi. L’idea allora è che la Maddalena l’avesse abbracciato, lo stesse stringendo forte e non lo volesse più lasciare» (p. 112).
La dimensione tattile è, però, presente nel Vangelo di Giovanni in altre modalità. Ed è comunicata soprattutto grazie al termine mano (χείρ, chèir) che nel Quarto Vangelo compare 15 volte (p. 102).
Basta prendere in esame l’episodio che vede come protagonista Tommaso, il quale, per credere che Gesù, nonostante la morte in croce, è vivo, vuole mettere il dito nel segno dei chiodi e la mano nel segno della ferita del costato (Gv 20,25). Gesù lo asseconda e, quando riappare nuovamente, presente Tommaso, gli dice: «metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco e non essere incredulo, ma credente» (Gv 20,27).
«Il tatto, con tutta la sua carica di fisicità che comporta, si rivela quindi come via ideale per trasformare il cuore dell’uomo incredulo, rendendolo libero dalle proprie preclusioni e dai limiti dovuti alla visione puramente umana, alla propria carne» (p. 115).
«Occhi, orecchie, bocca, mani, naso» della comunità credente di ogni tempo
Il prezioso saggio di Luca Pedroli ci permette «di rilevare come l’esperienza sensoriale costituisca davvero una componente fondamentale dello stile, della modalità di trasmissione e del messaggio stesso del Quarto Vangelo.
È come se Giovanni facesse intendere che è sempre attraverso i cinque sensi che costituiscono la modalità di conoscenza empirica di cui siamo dotati, che siamo chiamati a entrare in relazione con Cristo e a riconoscerlo presente nella storia e nella nostra vita. E questo in forza del mistero dell’incarnazione, il mistero di un Dio che si fa uomo, che si rende accessibile, tangibile.
Gli occhi, le orecchie, la bocca, le mani e il naso dei personaggi e dello stesso autore devono diventare quelli del lettore e della comunità di ogni tempo, così che ognuno possa sentirsi coinvolto con tutto sé stesso in questo processo graduale di discernimento, di rivelazione, di interazione» (p. 117).