Pasqua di Risurrezione (anno B) – Domenica 31 marzo 2024

Vita piena, il kerigma della Redenzione

Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare
a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole.

Marco 16,1-2

Apre la liturgia della Parola del Giorno di Pasqua la proclamazione del kerigma integrale del cristianesimo, annuncio della «salvezza potente suscitata per noi nella casa di Davide, servo» del Signore (Luca 1,69), pronunciato dall’apostolo Pietro di fronte alla famiglia del pagano Cornelio, nel contesto del trittico battesimale dei capitoli 8-10 degli Atti degli Apostoli: «Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni, come Dio ha consacrato in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, che passò beneficando e sanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con Lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose da Lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Lo uccisero, appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato il terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con Lui dopo la sua Risurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A Lui tutti i profeti danno testimonianza: chiunque crede in Lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome» (Atti 10,37-43, I lettura del giorno).

Nella notte della Veglia, dopo le otto letture uguali tutti gli anni, in questo anno B siamo accompagnati alla scoperta della tomba vuota dal Vangelo di Marco, che si ispira direttamente a Pietro e ripercorre con essenzialità, “dal battesimo di Giovanni alla Resurrezione”, le tappe di questo kerigma, che ha fondato la predicazione dei primi secoli invitando al Battesimo della salvezza, nel quale «siamo morti con Cristo e crediamo che anche vivremo con Lui» (Epistola della Veglia, Romani 6).

Le donne, che hanno seguito con fedeltà il Salvatore e «hanno osservato», con uno sguardo di amore e di tenerezza, «dove veniva posto», sono le prime che, «passato il sabato», «di buon mattino, il primo giorno della settimana» si recano al sepolcro al levar del sole. Abbondano i dati temporali e geografici a dire che la Risurrezione non è un’idea astratta, ma un fatto avvenuto nel tempo e nello spazio, là dove si dispiega la vita fisica di ogni persona umana, unità di spirito e corpo, creata «a immagine e somiglianza» di Dio (Genesi 1,26, I lettura della Veglia). Guida le donne un amore grande, che è la virtù che resta (1Corinzi 13): pur nel dubbio su «chi possa far rotolare via per loro la pietra all’ingresso del sepolcro», esse camminano con perseveranza e fede, come avevano fatto Abramo nella prova (Genesi 22, II lettura della Veglia) e il popolo nella Pasqua antica (Esodo 14, III lettura della Veglia), incontro allo Sposo vero descritto dai profeti (Isaia 54, IV lettura della Veglia), Colui che per primo ama e compie le sue promesse (V-VII lettura della Veglia).

La speranza di vedere il Signore, che è nel cuore di ogni credente (Salmo 26) da Abramo a Simeone, a Pietro e Giovanni (Vangelo del giorno, Giovanni 20), a ciascuno di noi, è coronata oltre ogni attesa: l’Amato non si cerca tra i morti, ma tra i vivi, perché l’Amore non muore! È questa la gioia della Risurrezione: in ogni notte, in ogni alba, Egli, vivens, sempre ci aspetta e si fa vedere nella nostra «Galilea», luogo del lavoro quotidiano, dell’infedeltà e della rivelazione, là dove ci ha chiamati, dove ce ne siamo innamorati, per una Vita che non ha fine, perché è eterna in Lui. Buona Pasqua!

Famiglia Cristiana

II Domenica di Quaresima (anno B) – 25 febbraio 2024

Trasfigurati con Gesù sul Monte

Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù.

Marco 9,2-4

La liturgia di oggi, II domenica di Quaresima, mette al centro il mistero di Cristo, Figlio amato, offerto in sacrificio puro e santo per la salvezza del mondo: protagonista della I lettura (Genesi 22) è il patriarca Abramo, invitato a offrire a Dio «in olocausto il suo figlio, l’unigenito, l’amato» (cfr. Genesi 22,2). Isacco è figura cristologica potentissima: Egli è figlio, è l’unigenito di Abramo e Sara, è l’amato di suo padre e di sua madre, è colui nel quale è posto il loro compiacimento.

È chiesto al padre, Abramo, cui Isacco è stato dato da Dio, «dal quale ha origine ogni paternità in cielo e in terra» (Efesini 3,15), come dono e compimento della promessa di fecondità (Genesi 12; Genesi 15; Genesi 17-18), di “sacrificare” questo figlio, nel quale risiede ogni sua speranza: Abramo non capisce, ma sa che Dio è fedele e si fida; vive la notte della passione e del non senso, cammina per tre giorni (cfr. Genesi 22,4) finché «da lontano vede il luogo» indicato da Dio per l’offerta. Isacco è legato come «agnello» immolato, collocato sull’altare, offerto in sacrificio: ma proprio in quel «terzo giorno», dalla potenza di Dio, da Colui che è la Vita, dà la vita e ama la vita, è restituito a suo padre vivo, risorto per una fecondità innumerevole, «come le stelle e come la sabbia» (Genesi 22,17).

“Sacrificare” vuol dire, in ogni tempo e condizione dell’esistenza, vedere e riconoscere la presenza di Dio, anche nel dolore; significa “rendere sacro”, cioè offrire a Dio, ciò che viviamo: la notte della sofferenza e della morte non è mai l’ultima parola, ma è via arcana per la Vita senza fine, nella quale risplende la gioia e la gloria piena cui siamo chiamati fin dalle origini del mondo. Il credente ha questa certezza nel cuore, capace di illuminare le tenebre: «Ho creduto anche quando dicevo “sono troppo infelice”» (Salmo 115, Responsorio); Cristo, «risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi» (II lettura, Romani 8). L’esperienza della Trasfigurazione (Vangelo, Marco 9) dice ai tre discepoli chiamati da Gesù, «loro soli, in disparte su un alto monte», quello che l’esperienza del Monte Moria aveva detto ad Abramo: Dio si fa vedere, si manifesta quale è, Egli vince la morte! Immediatamente prima Gesù aveva annunciato la sua passione, preludio della Risurrezione; Pietro aveva dichiarato di non accettare quella verità e il Maestro lo aveva rimproverato, invitando ciascuno a prendere la sua croce, perdendo anche la vita per Lui, unica via per salvarla (Marco 8,32 ss.).

Di fronte alla paura degli apostoli Dio manifesta l’amore grande e il compiacimento che ha posto nel suo Figlio, compimento di tutte le promesse e pienezza delle Scritture, con le quali, nelle persone di Mosè (la Legge) ed Elia (i Profeti), Gesù dialoga: è una carezza per Pietro, Giacomo e Giovanni, che in quel momento di rivelazione sono confermati nella fede e rinsaldati nella sequela! Pietro definisce «bello» quello che vede e che vive, specialmente l’essere insieme ai suoi fratelli con Gesù, in compagnia della Scrittura, «nell’intimità» (è questo il senso dell’essere “in disparte”) con lo Sposo; ancora una volta egli vorrebbe evitare di scendere giù, di affrontare la sofferenza e la quotidianità, ma è proprio lì che deve seminare, anche tra le lacrime, il Vangelo della salvezza. Così per noi: discesi dal monte, dove «il Signore si è fatto vedere», siamo inviati a testimoniare la Vita che ci ha dato!

Famiglia Cristiana

Convertirsi ovvero seguire Gesù. Commento alle letture della prima domenica di Quaresima

L’arcivescovo Giacomo Morandi commenta le letture della prima domenica di Quaresima (18 febbraio 2024):

Il Figlio di Dio affronta la tentazione come una tappa del proprio cammino e combatte nel deserto per vincere lo spirito del male. La Sua vittoria riconcilia il mondo a Dio Padre.
Quale atteggiamento è richiesto all’uomo davanti al compiersi del Regno di Dio? Cosa significa convertirsi?

“Vangelo e vita” è una produzione del Centro Comunicazioni sociali della Diocesi di Reggio Emilia – Guastalla

Coordinamento: Edoardo Tincani
Responsabile di produzione: Emanuele Borghi
Immagini: Massimo Ballabeni
Voce: diacono Antonio Burani
Ha collaborato: Matteo Ferrari

laliberta.info

Commento al Vangelo della prossima Domenica. Gesù, “felice rovina” di ciò che non è amore

IV Domenica del Tempo ordinario Anno B

Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, a Cafàrnao, insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento (…). Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». (…)

Ed erano stupiti del suo insegnamento. Lo stupore: esperienza felice che ci sorprende e scardina gli schemi, che si inserisce come una lama di libertà in tutto ciò che ci saturava: rumori, parole, schemi mentali, abitudini, che ci fa entrare nella dimensione creativa della meraviglia che re-incanta la vita. La nostra capacità di provare gioia è direttamente proporzionale alla nostra capacità di meravigliarci. Salviamo allora lo stupore, la capacità di incantarci ogni volta che incontriamo qualcuno che ha parole che trasmettono la sapienza del vivere, che toccano il nervo delle cose, perché nate dal silenzio, dal dolore, dal profondo, dalla vicinanza al Roveto di fuoco.

Gesù insegnava come uno che ha autorità. Autorevoli sono soltanto le parole che alimentano la vita e la portano avanti; Gesù ha autorità perché non è mai contro ma sempre in favore dell’umano. E qualcosa, dentro chi lo ascolta, lo avverte subito: è amico della vita. Autorevoli e vere sono soltanto le parole diventate carne e sangue, come in Gesù, in cui messaggio e messaggero coincidono. La sua persona è il messaggio.

L’autorità di Gesù è ribellione e liberazione da tutto ciò che fa male: C’era là un uomo posseduto da uno spirito impuro. Il primo sguardo di Gesù si posa sempre sulla sofferenza dell’uomo, vede che è un “posseduto”, prigioniero e ostaggio di uno più forte di lui. E Gesù interviene: non fa discorsi su Dio, non inanella spiegazioni sul male, si immerge nelle ferite di quell’uomo come liberatore, entra nelle strettoie, nelle paludi di quella vita ferita, e mostra che “il Vangelo non è una morale, ma una sconvolgente liberazione” (G. Vannucci).

Lui è il Dio il cui nome è gioia, libertà e pienezza (M. Marcolini) e si oppone a tutto ciò che è diminuzione d’umano. I demoni se ne accorgono: che c’è fra noi e te Gesù di Nazaret? Sei venuto a rovinarci? Sì, Gesù è venuto a rovinare tutto ciò che rovina l’uomo, a spezzare catene; a portare spada e fuoco, per separare e consumare tutto ciò che amore non è; a rovinare i desideri sbagliati da cui siamo “posseduti”: denaro, successo, potere, competizione invece di fratellanza. Ai desideri padroni dell’anima, Gesù dice due sole parole: taci, esci da lui. Taci, non parlare più al cuore dell’uomo, non sedurlo. Esci dalle costellazioni del suo cielo.

Un mondo sbagliato va in rovina: vanno in rovina le spade e diventano falci (Isaia), si spezza la conchiglia e appare la perla. Perla della creazione è un uomo libero e amante. Lo sarò anch’io, se il Vangelo diventerà per me passione e incanto, patimento e parto. Allora scoprirò “ Cristo, mia dolce rovina” (D.M. Turoldo), felice rovina di tutto ciò che amore non è.

(Letture: Deuteronomio 18,15-20; Salmo 94; Prima Lettera ai Corinzi 7,32-35; Marco 1,21-28)

di Ermes Ronchi – avvenire.it