Papa: “Diamoci da fare per costruire un avvenire di pace”

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AGI – “Diamoci da fare insieme per costruire un avvenire di pace”. E’ l’appello di Papa Francesco lanciato nel discorso alle autorità, la società civile e il Corpo diplomatico della Mongolia. “Nei secoli, l’abbracciare terre lontane e tanto diverse mise in risalto la non comune capacità dei vostri antenati di riconoscere le eccellenze dei popoli che componevano l’immenso territorio imperiale e di porle al servizio dello sviluppo comune”, ha sottolineato il Pontefice che ha definito questo “un esempio da valorizzare e da riproporre ai nostri giorni”.

“Voglia il Cielo che sulla terra, devastata da troppi conflitti, si ricreino anche oggi, nel rispetto delle leggi internazionali, le condizioni di quella che un tempo fu la pax mongolica, ossia l’assenza di conflitti”. “Come dice un vostro proverbio – ha aggiunto Francesco -, ‘le nuvole passano, il cielo resta’: passino le nuvole oscure della guerra, vengano spazzate via dalla volontà ferma di una fraternità universale in cui le tensioni siano risolte sulla base dell’incontro e del dialogo, e a tutti vengano garantiti i diritti fondamentali!”.

“Qui, nel vostro Paese ricco di storia e di cielo, imploriamo questo dono dall’Alto e diamoci da fare insieme per costruire un avvenire di pace”.

Giornata per la pace 1 Gennaio 2024. Papa: l’intelligenza artificiale non porti più disuguaglianza

Anticipato il tema del Messaggio per la Giornata della pace (1 gennaio 2024): l’utilizzo della IA tuteli la casa comune. Argomento già toccato dal Pontefice: gli algoritmi non decidano la vita
Un'immagine emblematica dell'intelligenza artificiale

Un’immagine emblematica dell’intelligenza artificiale – IMAGOECONOMICA

Un tema inedito e molto attuale per la prossima Giornata mondiale della Pace, la 57.ma. “Intelligenze artificiali e Pace”. Lo ha scelto il Papa per la tradizionale ricorrenza del 1° gennaio. Anche quest’anno, dunque, l’argomento del Messaggio è stato annunciato con largo anticipo, mentre il testo papale sarà pubblicato all’inizio di dicembre. La notizia è stata comunicata dalla Sala Stampa vaticana, che ha diffuso un comunicato del Dicastero per lo sviluppo umano integrale. Immediato l’interesse dei media e dell’opinione pubblica. La prospettiva indicata, si inserisce infatti nel dibattito che ha trovato largo spazio sui media negli ultimi tempi: sia per gli aspetti legati più direttamente all’impiego dell’intelligenza artificiale negli scenari di guerra (e lo constatiamo ad esempio nel conflitto russo-ucraino), sia per le ricadute di carattere antropologico, che potrebbero avere un grande impatto sulla vita delle nostre società. Si pensi solo alla questione del digital divide tra ricchi e poveri. Infatti una delle preoccupazioni al centro del Messaggio, sarà proprio quella di un utilizzo distorto di questa risorsa, che porti ad aumentare le disuguaglianze e quindi a generare conflitti.

«I notevoli progressi compiuti nel campo delle intelligenze artificiali – si legge nella nota del Dicastero vaticano – hanno un impatto sempre più profondo sull’attività umana, sulla vita personale e sociale, sulla politica e l’economia. Papa Francesco sollecita un dialogo aperto sul significato di queste nuove tecnologie, dotate di potenzialità dirompenti e di effetti ambivalenti. Egli richiama la necessità di vigilare e di operare affinché non attecchisca una logica di violenza e di discriminazione nel produrre e nell’usare tali dispositivi, a spese dei più fragili e degli esclusi».

Ingiustizia e disuguaglianze alimentano infatti conflitti e antagonismi, fa notare il Dicastero vaticano per lo sviluppo umano integrale. «L’urgenza di orientare la concezione e l’utilizzo delle intelligenze artificiali in modo responsabile – prosegue il comunicato -, perché siano al servizio dell’umanità e della protezione della nostra casa comune, esige di estendere la riflessione etica all’ambito dell’educazione e del diritto». Infine, «la tutela della dignità della persona e la cura per una fraternità effettivamente aperta all’intera famiglia umana – conclude la nota – sono condizioni imprescindibili perché lo sviluppo tecnologico possa contribuire alla promozione della giustizia e della pace nel mondo».

Il breve intervento fornisce di fatto una prima spina dorsale del Messaggio di Francesco. Il quale, ricevendo il 10 gennaio di quest’anno i partecipanti all’Incontro “Rome call” promosso dalla Fondazione Renaissance, sottolineò: «La vita non può deciderla un algoritmo, servono etica e rispetto». In effetti quella dell’algoretica – cioè la riflessione etica sull’uso degli algoritmi nell’orizzonte dell’intelligenza artificiale – è una materia già ben presente nel panorama della riflessione della Santa Sede. Se ne è occupata ad esempio la Pontificia Accademia per la vita e il suo presidente, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, in un recente intervento ha rimarcato che «queste nuove tecnologie possono portare a uno sviluppo enorme, ma anche a una tragedia altrettanto enorme, perché rischiano di sopprimere l’umano in una sorta di dittatura della tecnica». Proprio il Papa, nel suo messaggio alla plenaria del dicastero, già nel 2020 notava: “Dalle tracce digitali disseminate in internet, gli algoritmi estraggono dati che consentono di controllare abitudini mentali e relazionali, per fini commerciali o politici, spesso a nostra insaputa. Questa asimmetria, per cui alcuni pochi sanno tutto di noi, mentre noi non sappiamo nulla di loro, intorpidisce il pensiero critico e l’esercizio consapevole della libertà. Le disuguaglianze si amplificano a dismisura, la conoscenza e la ricchezza si accumulano in poche mani, con gravi rischi per le società democratiche». Un concetto che il Messaggio per la pace dovrebbe ora sviluppare.

avvenire.it

Lo scrittore. Shpëtim Selmani: «Il mio Kosovo in lotta per la pace»

Si definisce «figlio della guerra» e nel suo ultimo romanzo “Ballata dello scarafaggio” intreccia vita quotidiana e violenza della storia
Lo scrittore e attore kosovaro Shpëtim Selmani

Lo scrittore e attore kosovaro Shpëtim Selmani – Blerta Hoçia/Crocetti

Quello dei Balcani è un passato che sembra non passare mai. Mentre non si sono ancora spenti gli echi del conflitto in Kosovo, che chiuse nel modo peggiore il XX secolo, c’è chi con quel terribile fardello è stato costretto a crescere e a diventare adulto. Lo scrittore e attore kosovaro Shpëtim Selmani si definisce «un figlio di quella guerra», che iniziò quando lui aveva appena dodici anni. Crescendo ha cercato di rielaborare quell’esperienza anche con l’aiuto della letteratura e del teatro. Ma ammette di non esserci riuscito. «Non ho ancora fatto pace con il mio passato. Spero di potermi almeno riconciliare con il futuro», confessa in questa intervista che ci ha rilasciato in occasione dell’uscita di Ballata dello scarafaggio (traduzione di Fatjona Lamce, Crocetti, pagine 160, euro 17,00), un libro in cui intreccia il suo quotidiano di scrittore, attore, padre e marito con la violenza della storia.

Nato a Pristina nel 1986, vincitore del premio dell’Unione Europea per la letteratura nel 2020, Selmani è autore di opere in prosa e in poesia già tradotte in molte lingue, nelle quali ha cercato di riflettere sul dolore e sull’umiliazione subita durante la guerra dalla sua famiglia e dal suo popolo. È lui lo scarafaggio del titolo, «piccolo ma carico di orgoglio e con una profonda dignità», tiene a precisare, sostenendo che «tutti i conflitti scoppiano laddove non c’è conoscenza, né comprensione nei confronti delle piccole nazioni». Con una lingua cruda e spigolosa che a tratti dà spazio a lirismi improvvisi (e può ricordare quella di un altro scrittore di origini balcaniche, il bosniaco Aleksandar Hemon), Selmani ricostruisce il proprio vissuto, le emozioni che ha provato in questi anni e il suo punto di vista sulla vita attraverso una serie di brevi paragrafi autobiografici.

Elenca storie, ricordi e aneddoti come pezzi di un mosaico, nel tentativo di ricomporre la sua anima violata e di confrontarsi con il proprio passato. I suoi traumi personali, le difficoltà del dopoguerra, la ricostruzione del suo Paese. Fino ad arrivare alla realtà odierna di un Paese che vede ancora divisioni profonde tra serbi e albanesi, politici corrotti e uomini d’affari senza scrupoli. La letteratura, però, può essere un antidoto a tanti mali, come spiega in una parte centrale del libro, dedicata al suo incontro con una giovane scrittrice serba intenta a negare il genocidio di Srebrenica.

La letteratura può essere anche uno strumento per combattere il negazionismo e il revisionismo?

Direi proprio di sì. Anzi penso che dovrebbe essere una delle ragioni principali della sua esistenza. Una vera letteratura deve essere raffinata, originale, autentica. E servire sempre il bene. Non può e non deve avere bisogno di mentire, di diffondere odio o propaganda. Potrebbe davvero essere il rimedio contro tanti mali del mondo, ad esempio favorendo una riflessione sulle identità collettive, anche se viviamo dentro una grande scatola politica nella quale la letteratura è come un luogo perduto, alla ricerca della propria vera funzione. In un’epoca come quella attuale, in cui le identità personali possono anche essere fluide, l’identità nazionale è sempre più forte. E da questo derivano molti dei problemi del mondo. La vera letteratura è fatta invece da identità universali ed è proprio per questo che spesso la politica si scontra con la letteratura. Penso inoltre che ci sia una linea molto sottile tra la letteratura e la vita. Poiché tutto ciò che è vissuto è letteratura.

Quali sono i principali elementi di ispirazione per le sue opere?

Ne ho molti, a partire dalla mia vita, dal luogo in cui vivo. E anche dalle nostre identità. Molte cose della vita sono in armonia nel loro caos e talvolta è difficile comprenderle. I popoli, ad esempio, sono entità molto complesse. Non mi piace affatto che le persone siano felici a causa del loro potere. Un tema molto importante nel mio lavoro letterario è anche l’amore. Ma la vita mi fornisce molti spunti dei quali sono pronto a parlare con sincerità, per quello che posso.

Neanche con l’aiuto della letteratura è riuscito a far pace con il suo passato?

Purtroppo no. L’esperienza della guerra, che ho vissuto da bambino, ha determinato molte delle mie percezioni di adulto. Stiamo ancora lottando per trovare la pace ma pare ancora molto difficile, perché siamo un piccolo stato e siamo manipolati dal potere politico. Non possiamo costruire il nostro futuro senza il sostegno di Stati potenti. Certe narrazioni politiche hanno ricominciato a parlare della guerra ed è davvero assurdo che gli esseri umani possano ancora contemplare l’esistenza di qualcosa che è profondamente primitivo e stupido. Io posso riuscire a fare la pace almeno con il futuro. Questo, sì, credo sia fondamentale.
Cosa significa, per lei, resistere alla guerra? Essere un fanatico della pace. Odiare i confini. Amare gli esseri umani. Per rispettarli. Per proteggere l’amore. Pensare al mondo come a casa nostra. Comprendere gli altri e osteggiare sempre quei leader politici che sono capaci di solo di distruggere.

Lei è anche poeta e drammaturgo. Cos’è la scrittura per lei?

È stata un modo per rimanere in vita. Ma trovo molta difficoltà a spiegare cosa sia davvero per me. Scrivere è sempre stato un modo di comunicare con me stesso. È un modo per tenermi sotto controllo, di capire me stesso. Continuo a non capire perché lo faccio. È come una specie di autoriparazione. Ma anche una malattia, un impulso infantile, qualcosa di cui ho bisogno.

Quali sono i suoi sentimenti nel vedere i recenti scontri nel nord del Kosovo? È una sorta di storia che non finisce mai?

Un senso di incredulità. È pazzesco che dopo tanti anni esista ancora tutto questo odio. La storia non ci ha insegnato niente. Ma la gente comune è davvero molto stanca e non ne può proprio più del patriottismo, della propaganda, delle minacce, del sangue. Dobbiamo dare tutti il nostro contributo per creare un futuro privo di odio.

avvenire.it

 

Marco Mengoni, ‘dall’Eurovision arrivi un messaggio di pace’

 © ANSA

“Mi sarebbe piaciuto andare a Kiev: avrebbe voluto dire che la guerra era finita.

La musica a suo modo è un mezzo di pace e amore ed essere uniti qui significa comunque mandare un messaggio di pace.

Io sono contrario a qualsiasi guerra in atto nel mondo”. Marco Mengoni, con il brano vincitore al festival di Sanremo Due Vite (appena certificato triplo platino), è pronto a salire sul palco della Liverpool Arena dove rappresenterà l’Italia per l’Eurovision Song Contest al via martedì con le semifinali (l’Italia ha di diritto accesso alla finale in programma sabato 13). La manifestazione è trasmessa dalla Rai. Mengoni è alla sua seconda partecipazione dopo quella del 2013 con L’Essenziale. “Rispetto a dieci anni fa – racconta – mi sto divertendo di più. La sto vivendo meglio, con meno pressione e più voglia di godermela. Ora c’è più esperienza e so gestire meglio l’emotività”.
Del voto e della gara, del resto, dice di non preoccuparsi molto. “Mi interessa relativamente. La gara è qualcosa che considero un po’ in maniera negativa, mentre cantare non lo è mai”.
Per portare sul palco della Liverpool Arena il suo mondo Marco Mengoni ha scelto l’arte di Yoann Borgeois, artista internazionale (di recente ha collaborato con Harry Styles, con Pink!, e ancora con Coldplay, Serena Gomez, Missy Elliot and FKA Twig), un performer, coreografo, direttore artistico, acrobata.
L’Eurovision sarà occasione per l’artista di allargare il suo pubblico anche in vista di un tour europeo di otto date in autunno che toccherà Spagna, Belgio, Olanda, Francia, Germania, Austria, Svizzera. (ANSA).

ansa.it

Preghiera. Il 10 marzo Messe in tutta Europa per la pace e le vittime della guerra

Una chiesa nel villaggio di Mala Komyshuvakha, vicino a Kharkiv, dalla quale è passata più volte la linea del fronte

Una Messa per la pace in Ucraina e per le vittime della guerra: all’invito a celebrarla venerdì 10 marzo in tutte le chiese arrivato dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), alla vigilia dell’anniversario dell’invasione russa il 24 febbraio, la Cei ha risposto con la sua adesione rilanciando l’appello alla preghiera con una nota diffusa il 21 febbraio. Oggi dunque in tutta Europa si celebreranno liturgie eucaristiche per invocare pace attraverso la partecipazione al sacrificio dell’altare, una vera mobilitazione popolare dei cattolici europei che possono mostrare così di sentire come loro la ferita della guerra abbracciando chi ne ha sofferto e ne patisce le terribili conseguenze. Una grande preghiera di tutto il continente, celebrata all’interno della Messa che rende presente il Signore nella sua Chiesa, stringe la comunità attorno al suo fondamento vivo, forma il centro e la radice stessa della vita cristiana. Una giornata dunque che per intensità spirituale ricorda quella nella quale il 25 marzo 2022 il Papa consacrò Ucraina e Russia al Cuore Immacolato di Maria con una memorabile preghiera mariana (alla quale possiamo tornare oggi).

Molte diocesi hanno a loro volta chiesto alle parrocchie di celebrare una Messa il 10 marzo secondo le intenzioni proposte da vescovi europei e italiani: «Sarà un’occasione per rinnovare la nostra vicinanza alla popolazione e per affidare al Signore il nostro desiderio di pace – si legge nella nota della Presidenza Cei –. Chiedere la conversione del cuore, affinché si costruisca una rinnovata cultura di pace, sarà il modo in cui porteremo nel mondo quei germogli della Pasqua a cui ci prepariamo». La Conferenza episcopale italiana faceva eco al «grido accorato di papa Francesco» che «scuote le coscienze e chiede un impegno forte a favore della pace: è tempo di trovare spazi di dialogo per porre fine a una crisi internazionale aggravata dalla minaccia nucleare. A un anno dall’invasione russa di uno Stato indipendente, l’Ucraina, vogliamo tornare a ripetere il nostro “no” deciso a tutte le forme di violenza e di sopraffazione, il nostro “mai più” alla guerra. Per questo, invitiamo le comunità ecclesiali ad unirsi in preghiera per invocare il dono della pace nel mondo. In Ucraina, così come in tanti (troppi) angoli della terra – prosegue la Cei – risuona infatti l’assordante rumore delle armi che soffoca gli aneliti di speranza e di sviluppo, causando sofferenza, morte e distruzione e negando alle popolazioni ogni possibilità di futuro. Sentiamo come attuale l’appello lanciato sessant’anni fa da san Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in terris: “Al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può ricostruire nella vicendevole fiducia” (n.39). Se da una parte è urgente un’azione diplomatica capace di spezzare la sterile logica della contrapposizione, dall’altra tutti i credenti devono sentirsi coinvolti nella costruzione di un mondo pacificato, giusto e solidale. Il tempo di Quaresima ci ricorda il valore della preghiera, del digiuno e della carità, le uniche vere armi capaci di trasformare i cuori delle persone e di renderci “fratelli tutti”».

avvenire.it

Perugia-Assisi, la notte della marcia: «La politica può fermare la guerra»

La marcia si concluderà con una preghiera per la pace sulla tomba di san Francesco

La lunga notte della pace inizierà questa sera alle ore 21 a Perugia e si concluderà domani mattina ad Assisi, alle ore 6, quando è atteso l’arrivo della marcia straordinaria, convocata dal mondo pacifista in corrispondenza del primo anniversario del conflitto in Ucraina. Nove ore ininterrotte per discutere, confrontarsi, camminare e testimoniare, con i fatti, la scelta profetica della nonviolenza.

«Ecco cosa può fare la politica» dicono i promotori della mobilitazione, nell’appello condiviso sui social. Bastano i primi tre punti per chiarire che cosa si aspetta la società civile. «La politica deve riconoscere che è interesse degli ucraini, ma anche dei russi e nostro, che la guerra finisca al più presto e che si cominci a costruire la pace con “soluzioni concordate, giuste e stabili”». In secondo luogo, è necessario ammettere che « la “guerra alla guerra” di Putin non lo sta fermando» e che, punto numero tre, «l’invio nel campo di battaglia di armi sempre più potenti e sofisticate alimenta l’escalation militare, moltiplica gli orrori e innalza il livello dello scontro».

Il prologo e il cammino

Alle ore 21, i partecipanti alla marcia straordinaria Perugia-Assisi si incontreranno nella Sala dei Notari del Palazzo dei Priori per un” incontro di riflessione e proposta” contro tutte le guerre. Tra gli altri, interverranno l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, Ivan Maffeis, Mario Giro, della Comunità di Sant’Egidio, Stefania Proietti, sindaca di Assisi e presidente della Provincia di Perugia, Marco Tarquinio, direttore di Avvenire e Flavio Lotti, coordinatore della Marcia.

È proprio Lotti a raccontare le ore che precedono la mobilitazione, che comincerà a mezzanotte. «Si tratta di un’assoluta prima volta – spiega -. Perché abbiamo deciso di testimoniare il nostro “sì” alla pace nel buio della notte: è un gesto radicale, in una fase storica che richiede gesti simbolici radicali». Anche logisticamente, organizzare il percorso in notturna tra i borghi umbri non è cosa banale, ma è significativo che più di 700 persone si siano già iscritte alla marcia, pagandosi il viaggio e le altre spese. «Colpisce che due partecipanti su tre, tra quanti verranno, non fanno parte di associazioni coinvolte nella mobilitazione iniziale – continua Lotti -. È semplicemente gente preoccupata per l’abisso in cui stiamo cadendo, nel silenzio del mondo».

Per il resto, il variegato mondo pacifista, riunito ancora una volta sotto il cartello di Europe for peace, comprende il mondo laico e il mondo cattolico, «l’Anpi e i salesiani» esemplifica Lotti. Per ogni persona che sarà presente, stimano gli organizzatori, ce ne saranno «tante altre che avrebbero voluto esserci e non ci saranno, per ragioni contingenti. Marceremo anche per loro, ben sapendo che la maggioranza dell’opinione pubblica è stufa di bombe e carri armati».

La conclusione, la mattina presto ad Assisi, sarà ancora più simbolica, con la preghiera per la pace sulla tomba di san Francesco, la lettura di un brano della “Pacem in Terris” e la ripresa dell’appello per il cessate il fuoco pronunciato dal Papa lo scorso 2 ottobre.

Le condizioni per la tregua

La giornata di riflessione prevede nella mattinata odierna anche un incontro pubblico organizzato da Articolo 21 sull’informazione di guerra. Il peso della propaganda bellica e la necessità di cambiare linguaggio sono tra i punti-chiave della svolta in senso diplomatico richiesta dai manifestanti. «Ottenere il cessate il fuoco vuol dire fermare i combattimenti e promuovere la de-escalation militare. Sappiamo che è difficile, ma è necessario. Per questo dobbiamo fare ogni sforzo per ottenerlo – si legge nella piattaforma di proposta alla politica -. Servono autorità, visione, volontà di collaborare e potere persuasivo. Sarà necessaria la pressione di molti».

In questo senso, la notte della marcia è un altro passo, il più emblematico forse, del lungo cammino intrapreso quasi un anno fa. Un segnale rivolto all’Italia e all’Europa, in attesa dell’alba.

avvenire.it

Veglia di preghiera per la pace in Ucraina 23-24 Febbraio 2023 a Reggio Emilia

laliberta.info

Nella notte tra il 23 e il 24 febbraio dell’anno scorso, il presidente Putin diede l’ordine di invadere l’Ucraina. Contro ogni aspettativa, l’aggressore venne prima contenuto, poi ricacciato verso le zone occupate dal 2014. Tuttavia, non si contano più i morti dall’una e dall’altra parte e le distruzioni delle case e delle infrastrutture sono tali che milioni di ucraini sono fuggiti verso le città dell’ovest, sradicati dalle loro case, che spesso non esistono più, e senza prospettive.

Gravissime sono le macerie spirituali.
Due popoli, quello ucraino e quello russo, che si consideravano fratelli, sono ora divisi da un odio mortale.
Le dichiarazioni del patriarca di Mosca, Kirill, hanno santificato la guerra e scavato una voragine per le prospettive dell’unità dei cristiani.

Dalla parte degli aggrediti, si sta rafforzando, anzi, ormai è una voce unica, quella che identifica la pace con la vittoria militare. La conseguenza è, che lo spazio per il negoziato si è ormai ristretto al punto da sembrare inesistente.

La prospettiva è quella di una guerra che continui per anni, magari “a bassa intensità”, ma senza escludere esiti catastrofici.

La posizione dei governi che appoggiano l’Ucraina non è per niente chiara. Non c’è veramente null’altro da fare, se non fornire armi e proclamare un sostegno illimitato?
Che spazio può avere il Vangelo? In queste domeniche, leggiamo il Discorso della Montagna e Gesù dice: “Se tu presenti la tua offerta all’altare e ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” (Mt 5,23s.). Il comportamento dei cristiani sembra dare ragione a coloro che giudicano il Vangelo bello, ma irrealizzabile.

A noi resta la preghiera: preghiera per le vittime e gli aggressori, per i morti e coloro che sono dolorosamente vivi; per i governanti e per coloro che vedono lacerarsi le loro carni e le loro speranze. Per noi e per tutti.

Pensiamo così di passare in preghiera la notte dell’anniversario, tra giovedì 23 e venerdì 24 febbraio, nella chiesa del Buon Pastore, in viale Umberto I. Inizieremo con la celebrazione della santa Messa alle ore 18.30 e concluderemo con un’altra celebrazione eucaristica alle ore 8. Ciascuno sceglierà orario e durata della sua preghiera.
Unico sussidio, la Parola di Dio, in particolare Vangelo e Salmi.

Giuseppe Dossetti

Sanremo. Tananai, un Tango di guerra per cantare la pace

Tananai, un Tango di guerra per cantare la pace

Nel video del brano di Tananai i filmati scambiati da una coppia ucraina, con una figlia, separata dal conflitto. E la canzone decolla sui social «Lancio un messaggio di umanità e di amore»

«Amore tra le palazzine a fuoco / la tua voce riconosco / noi non siamo come loro» canta Tananai mentre le bombe colpiscono i palazzi in Ucraina e si vede un uomo al fronte che carica un mitra, «è quello che sono, e non volevo esserlo». Lascia a bocca aperta il video di Tango, il brano che il cantante 27enne, vero nome Alberto Cotta Ramusino, ha portato in gara al Festival di Sanremo e che alla luce di queste immagini rivela tutto un altro significato, commuovendo davvero. E punta dritto al podio nella finalissima di stasera l’outsider che non ti aspettavi, arrivato ultimo l’anno scorso al Festival con la giocosa Sesso occasionale per poi diventare invece presto una star delle classifiche (lo vedremo da maggio in tour nei palazzetti). Dall’anno scorso ha messo la testa a posto, ha preso lezioni di canto e ha deciso di affrontare questo mestiere in modo più professionale, come dimostra questo brano che vede tra gli autori, oltre a Tananai, Paolo Antonacci e Davide Simonetta. Diretto da Olmo Parenti per la produzione di A Thing By, il video racconta la storia a distanza di Olga e Maxim, due ragazzi di 35 anni provenienti da Smolino, una cittadina in Ucraina nella provincia di Kirovohrag, che insieme hanno una figlia di 14 anni, Liza. Ed è già diventato virale sui social. Immagini girate dai protagonisti stessi con il loro cellulare e inviate l’uno all’altra raccontano nel video la nuova realtà della coppia e della famiglia separata dalla guerra. Prima dell’inizio del conflitto, Olga faceva la segretaria in una clinica, Maxim è un militare e combatte al fronte fin dal febbraio 2022. Olga e la figlia Liza sono scappate in Italia il 28 marzo 2022, circa un mese dopo l’inizio dell’invasione russa.

Scusi Alberto, come mai sino ad ora non aveva mai rivelato il contenuto reale del suo brano?
Non volevo banalizzare o strumentalizzare la loro storia. Volevo che arrivasse prima la canzone sul palco, ma ora ci tengo a raccontare questa storia e al messaggio. Era difficile veicolarlo nel modo corretto senza avere visto prima il video che è uscito due giorni fa.

Come è venuto a conoscenza della storia di Olga e Maxim?
Ero impegnato nella scrittura di Tango quando mi è stata raccontata dal mio amico Olmo, il regista del video, la storia di Olga e Maxim e sono stato subito travolto da emozioni forti e contrastanti. Mi sono reso conto che il brano su un amore a distanza parla anche di loro e ho continuato a scriverlo pensando alla loro storia. Olmo poi si è fatto dare da loro i video girati coi telefonini, da quando erano felici ai video toccanti che si scambiano oggi dal fronte.

Lei ha avuto occasione di conoscere Olga e parlarle?
Purtroppo no. Olga e sua figlia quando sono arrivate in Italia hanno passato qualche giorno nelle strutture statali di prima accoglienza ma dopo poco hanno dovuto cercarsi una stanza dove stare, trovando ospitalità nella casa di un signore italiano nel quartiere Isola di Milano. Lei ora è dovuta tornare in Ucraina perché non ce la faceva a restare. Ma lei e suo marito sono ancora divisi perché lui è al fronte.

Quale messaggio vuole fare passare attraverso questo brano e video?
L’obiettivo della mia musica è sempre stato quello di arrivare a più persone possibili e mi sembrava giusto, visto il tema della canzone, dare voce e immagini alla testimonianza di questi due ragazzi ucraini, rappresentando una delle tipologie di relazione a distanza, quella a cui non penseremmo mai: la separazione forzata a causa di una guerra. È passato un anno dall’inizio di questo conflitto e forse ci siamo dimenticati che non si tratta solo di strategia e politica ma di quotidianità che si sfaldano e si riadattano per non far svanire ogni traccia di umanità, di amore.

Un messaggio di pace inaspettato all’Ariston, soprattutto da un cantante noto per la sua immagine allegra e scanzonata.
A Sanremo ho portato un altro lato di me e questo momento lo sto vivendo molto fieramente: sono sicuro che sto facendo una cosa bella che può veicolare un messaggio di pace e umanità. E’ chiaro che pochi possono cambiare la situazione, ma questo video nel suo piccolo forse può aiutare a cambiare qualcosa. A ricordarci quanto siamo fortunati, ad essere grati di quello che abbiamo. Quando sei grato e soddisfatto sei portato più a fare del bene che del male.

Questo brano sarebbe perfetto per gareggiare ad Eurovision, che si terrà dal 9 all’11 maggio a Liverpool invece che in Ucraina. Le piacerebbe cantarlo là?
Innanzitutto in gara a Sanremo, che dà l’accesso a Eurovision, ci sono degli artisti tostissimi… Io porto sul palco che reputo migliore quello che desidero esprimere in quel momento. L’anno scorso ho portato al Festival l’allegria, quest’anno un messaggio di pace. Certo, andare a Eurovision sarebbe bellissimo soprattutto perché il mio sogno sarebbe portare il video di Tango a più persone nel mondo.

Questa sera, poco prima della proclamazione del vincitore, Amadeus leggerà una lettera del presidente ucraino Zelensky, dopoché vi erano state alcune polemiche sull’opportunità di trasmettere un videomessaggio al Festival. Che ne pensa?
Vorrei specificare che il mio messaggio è apolitico, è un puro parlare della storia di due ragazzi, delle avversità che affrontano e di quanto le guerre siano una schifezza. Non ho una idea sulla questione, so solo che io ho fatto il mio.

Anche questo brano fa parte della sua maturazione umana e artistica?
Nell’ultimo anno ho vissuto esperienze incredibili, ho fatto tanti concerti e conosciuto professionisti del settore. E ho capito che mi piace parlare di tutto quello che sento vicino a me oltre, parlando con più persone, aprendomi di più al mondo. E poi resta sempre anche la mia parte allegra. Nel tour vorrei venisse più gente possibile a cantare Tango e anche le altre canzoni, quelle che fanno ballare e divertire. Sarà una festa, una celebrazione pura della musica.
avvenire

Quali vie per una pace giusta in Ucraina? “Avvenire” pubblica l’appello della PerugiAssisi

Quali vie per una pace giusta in Ucraina?

Avvenire ospita l’appello del Comitato Promotore della Marcia PerugiAssisi per invitare alla mobilitazione contro la guerra, in solidarietà con il popolo ucraino e per u a ripresa dei negoziati a partire dall’immediato cessate il fuoco. La pace è interesse di tutti, russi, ucraini, italiani ed europei, sostiene l’appello, il quale al contempo riconosce che «la guerra alla guerra di Putin non lo sta fermando» e che «l’invio nel campo di battaglia di armi sempre più potenti e sofisticate alimenta l’escalation militare, moltiplica gli orrori e innalza il livello dello scontro». Cosa che, nella prospettiva di un allargamento del conflitto Russia-NATO, arriverebbe a coinvolgere anche noi italiani, con il suo portato di distruzione, morte e impoverimento.

Il tempo della pace è ora, afferma l’appello, e la via maestra non può essere militare ma politica: «La politica ha il dovere (anche costituzionale) di assicurare la pace e di proteggere i cittadini; gli Stati democratici devono contrastare la barbarie con il diritto e non avvallarne la distruzione; la nostra Costituzione ripudia la guerra e impegna l’Italia a promuovere un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni e a favorire le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo; la Carta delle Nazioni Unite vieta la guerra e obbliga gli Stati e risolvere pacificamente le controversie internazionali».

Cosa può fare dunque la politica? «Aiutare l’Ucraina è giusto ma lo stiamo facendo nel modo giusto?», si chiede la il Comitato Promotore della Marcia. Alla politica si chiede un lavoro di pace che sia «serio, ampio e intenso» e «lungimirante»: bisogna promuovere «il ritiro dell’esercito russo», «il ripristino della legalità internazionale; il rispetto del diritto all’autodeterminazione dei popoli; il riconoscimento e rispetto dei diritti delle minoranze in Ucraina». In Ucraina occorre poi dispiegare una forza di pace e di interposizione dell’Onu, in grado di «monitorare la cessazione delle ostilità, verificare il ritiro delle truppe russe, assicurare l’accesso umanitario alle popolazioni civili e il volontario e sicuro ritorno delle persone sfollate». La Marcia propone anche «la fine della corsa al riarmo e del traffico di armi», nonché «il disarmo generalizzato», in particolar modo nucleare. Propone anche che il governo ucraino si impegni a ristrutturare il Paese «sulla base di uno Stato federale rispettoso delle culture locali».

Primo passo necessario, «ottenere il “cessate-ilfuoco”» per fermare i combattimenti e «promuovere la de-escalation militare». Obiettivo ambizioso, raggiungibile solo con la cooperazione di tutti, russi, ucraini e comunità internazionale. Per raggiungere questo importante risultato, le nostre istituzioni possono promuovere un’iniziativa a ogni livello: nazionale, europeo, nell’Osce, all’Onu, ecc., e magari anche in accordo con la Cina. LE iniziative percorribili sono molte: è possibile per esempio «costruire una coalizione internazionale di “Costruttori di Pace” con i Paesi che intendono ottenere il cessate-il-fuoco», oppure convocare tavoli di leader, premi Nobel, esperti, mediatori internazionali ecc. «per ricercare, con creatività, soluzioni».

Nel frattempo, si chiede retoricamente l’appello, che facciamo? Continuiamo a inviare armi? «Il continuo invio di armi occidentali (insieme a una vasta assistenza militare) all’Ucraina – è la risposta – ha contribuito a contenere l’avanzata dell’esercito russo, ma è un’illusione pensare che basterà a respingerlo oltre i confini. Le armi che inviamo non bastano mai. Ora siamo arrivati ai carri armati. Ma gli ucraini già chiedono i cacciabombardieri, i missili a lungo raggio… Quali altre armi siamo disponibili a inviare? Per quanto tempo ancora? Quale strategia politica e militare sta guidando i nostri invii di armi? Quanti soldi siamo pronti a spendere ancora? Quanti ne abbiamo spesi sino a oggi? A quali servizi pubblici abbiamo sottratto questi fondi? A quali urgenze locali, nazionali o mondiali?». Il Comitato promotore Marcia PerugiAssisi lascia aperte queste domande, consapevole che «la ricerca della via della pace è un processo collettivo, un cammino da fare in tanti».

E proprio in cammino si metteranno tanti promotori di pace il prossimo 24 febbraio, in occasione dell’anniversario della guerra all’Ucraina.
adista.it

Ucraina. «Fermiamo la guerra o saremo coinvolti. In marcia ad Assisi per la pace»

Lotti (Tavola per la pace) spiega la scelta di una Perugia-Assisi straordinaria il 24 febbraio: la situazione si è aggravata, va rilanciata urgentemente l’azione diplomatica
Per la pace in Ucraina e non solo

Per la pace in Ucraina e non solo – Siciliani

La guerra in Ucraina, senza una drastica sterzata verso la via diplomatica, rischia di dilagare. Allargandosi agli stati vicini, ma anche ai paesi europei fornitori di armi. A pochi giorni dal primo anniversario dell’invasione russa, il coordinatore della Perugia-Assisi Flavio Lotti mette in guardia: «Continuando così, il pericolo più grande è quello di essere costretti tra non molto a scegliere tra inviare i nostri soldati o lasciare che la Russia prosegua l’invasione». Per questo il 24 febbraio ci sarà una Marcia della pace straordinaria e in notturna: «Come il buio che angoscia i civili Ucraini. E in cui brancolano anche i leader politici»

Dopo le due manifestazioni nazionali a Roma, 5 marzo 2021 e 5 novembre 2022, e la Perugia Assisi straordinaria del 24 aprile scorso, il popolo della pace manifesta ancora.

C’è l’urgenza pressante di un rilancio dell’azione diplomatica. L’aggravarsi della situazione impone una nuova mobilitazione popolare. Il vortice della guerra sta risucchiando tutto, il problema non è più solo di quante armi inviare in Ucraina, ma di come scongiurare il coinvolgimento diretto dei nostri Paesi. Siamo vicini al punto di non ritorno.

Sul piano militare lo scontro è sempre più violento.

Quello che accadrà nelle prossime settimane sarà sempre meno controllabile. Il massacro delle persone aumenterà. L’Ucraina rischia moltissimo. Lo ripeto, siamo a un bivio. O fermiamo la guerra, o rischiamo di esserne coinvolti. Bisogna chiedere l’immediato cessate il fuoco, prima che Zelensky si trovi nella condizione di perdere tutto quello che ha difeso finora. Ci troviamo davanti all’angosciante dilemma di smettere di aiutare l’Ucraina o accettare di entrare materialmente nel campo di battaglia. Serve un’altra via.

Senza dimenticare che la Russia è una potenza nucleare. Un rischio che si sta sdoganando, con definizioni normalizzanti come “armi tattiche”. Cade anche il tabù della guerra atomica?

Il cammino della distruzione totale cammina di pari passo col pericolo di allargamento della guerra. Il potenziale militare usato finora dai russi è solo una parte di quello di cui dispongono. Prima del rischio del nucleare ce ne sono altri, col coinvolgimento nella guerra nostro malgrado. Il pericolo più grande è quello di essere costretti a scegliere: mandiamo i nostri soldati o lasciamo che la Russia prosegua l’invasione? Non possiamo permettercelo. È una follia.

Un altro scenario possibile è una “afganistanizzazione” dell’Ucraina, con un conflitto di decenni.

In Afghanistan la guerra restò circoscritta. In Ucraina rischia di espandersi, coinvolgendo Polonia, Finlandia, Moldavia, Lituania. E se le armi Nato dovessero colpire obiettivi in territorio russo, Putin si sentirebbe legittimato a colpire chi invia quelle armi. Una catena da fermare con urgenza.

Anche con una marcia Perugia-Assisi di notte, prima dell’alba del 24 febbraio.

Per dare il senso del dramma delle vittime, di questa come di tutte le altre guerre dimenticate. Ma è anche il buio in cui brancola la politica, paralizzata dagli invii continui di armi, l’unica cosa che i governi sembrano in grado di fare.

L’unico “leader politico” che ha una visione chiara dall’inizio sembra Papa Francesco.

Lo sta facendo da più di un anno, anche quando la guerra era confinata al Dombass. Ma la sua voce si scontra con la sordità della politica, prigioniera dello schema della guerra.

È un problema culturale, o di cinici interessi economici di alcuni settori produttivi?

Entrambi. La macchina della guerra è in grado condizionare tante cancellerie. Ma c’è anche una debolezza del pensiero politico che in questi anni ha perso capacità di visione. L’Europa è nata come progetto di pace ed è cresciuta quando quel progetto è stato coltivato. Da anni invece non si è perseguito il benessere e la sicurezza degli europei e non si è colta l’occasione data dalla caduta del Muro di Berlino. L’Europa è rimasta prigioniera di logiche di competizione economica. Adesso è tutto più difficile. Andava costruito allora un sistema di sicurezza dall’Atlantico agli Urali, includendo la Russia. Invece ha prevalso la miopia ed stata foraggiata la Russia comprando gas a buon prezzo.

avvenire.it

Preghiera per la pace Domenica 29 Gennaio 2023 in S. Francesco a Reggio Emilia ore 17

Papa Francesco, la presenza oggi più autorevole contro la guerra, ci chiede costantemente di “aiutarlo e accompagnarlo nella profezia della pace, che annuncia la presenza di Dio in ogni nazione e cultura, andando incontro alle aspirazioni di amore e verità, di giustizia e felicità che appartengono al cuore umano e che palpitano nella vita dei popoli.

Da ogni terra si levi un’unica voce: no alla guerra, no alla violenza, sì al dialogo, sì alla pace! Il desiderio di pace, di sicurezza e di stabilità è uno dei desideri più profondi del cuore umano, poiché esso è radicato nel Creatore, che fa membri della famiglia umana tutti i popoli”.

Nello spirito indicato da Papa Francesco, siamo invitati a partecipare a un momento di preghiera per la pace, proposto dal Movimento di Comunione e Liberazione, Azione Cattolica, Movimento Familiaris Consortio, Movimento dei Focolari, Rinnovamento nello Spirito, e con la partecipazione della Comunità greco cattolica e delle Chiese ortodosse presenti nella nostra città, che si svolgerà domenica 29 gennaio alle 17 nella chiesa di San Francesco a Reggio Emilia.

laliberta.info

Mons. Gallagher, per ora Papa non andrà a Kiev

 © ANSA

(ANSA) – ROMA, 20 GEN – “No, il Papa tiene sempre presente questo invito ma il Papa vorrebbe compiere questa visita al momento opportuno e non sembra che sia questo”.

Così, in modo tranchant, monsignor Paul Gallagher, ‘ministro degli Esteri’ del Vaticano ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano, a margine di un dibattito sulla pace, se sia giunto il momento per Papa Francesco di recarsi in visita a Kiev.

Il 1º gennaio si celebra la Giornata mondiale della pace. Il messaggio di Papa Francesco per la 56esima edizione della celebrazione

Le più belle frasi sulla Pace di Papa Francesco - Holyblog

“Nessuno può salvarsi da solo”. Nel testo del pontefice anche un riferimento al periodo buio del Covid e una riflessione sulla guerra in Ucraina.
“Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace”. Ripercorre uno dei periodi più bui della storia recente il messaggio che Papa Francesco ha letto in occasione della presentazione della 56esima edizione della Giornata mondiale della pace. L’evento si è svolto lo scorso 16 dicembre nella Sala San Pio X. All’appuntamento anche il cantautore italiano Simone Cristicchi.

La Giornata mondiale della pace viene istituita nel 1967
La Giornata mondiale della pace è stata istituita l’8 dicembre del 1967 e celebrata il 1º gennaio dell’anno successivo. A volere questa ricorrenza, con lo scopo di dedicare il primo giorno dell’anno alla riflessione e alla preghiera, è stato Papa Paolo VI. “Sarebbe Nostro desiderio che poi, ogni anno, questa celebrazione si ripetesse come augurio e come promessa – all’inizio del calendario che misura e descrive il cammino della vita umana nel tempo – che sia la pace con il suo giusto e benefico equilibrio a dominare lo svolgimento della storia avvenire” erano le parole del pontefice all’epoca.

Nel corso degli anni, tanti i temi raccontati in questa giornata. Ne citiamo alcuni: “Ogni uomo è mio fratello” del 1971, “Se vuoi la pace, difendi la vita” del ’77 e ancora, per ricordarne tra i più recenti: “Nel rispetto dei diritti umani il segreto della pace vera” (1999) e “Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace” (2018).

Il messaggio del Papa per la pace
Un messaggio forte e intenso quello di Papa Francesco che non dimentica gli ultimi e pone l’accento sulla solidarietà. Dal testo integrale, come riporta Vatican News, alcuni stralci. “Assieme alle manifestazioni fisiche il Covid-19 ha provocato, anche con effetti a lungo termine, un malessere generale che si è concentrato nel cuore di tante persone e famiglie, con risvolti non trascurabili, alimentati dai lunghi periodi di isolamento e da diverse limitazioni di libertà”. Inoltre, “Non possiamo dimenticare come la pandemia abbia toccato alcuni nervi scoperti dell’assetto sociale ed economico, facendo emergere contraddizioni e disuguaglianze. Ha minacciato la sicurezza lavorativa di tanti e aggravato la solitudine sempre più diffusa nelle nostre società, in particolare quella dei più deboli e dei poveri”.

Un riferimento anche al conflitto ancora in corso: “La guerra in Ucraina miete vittime innocenti e diffonde incertezza, non solo per chi ne viene direttamente colpito, ma in modo diffuso e indiscriminato per tutti, anche per quanti, a migliaia di chilometri di distanza, ne soffrono gli effetti collaterali, basti solo pensare ai problemi del grano e ai prezzi del carburante”.

All’evento anche il cantautore Simone Cristicchi
“Ho avuto il grande privilegio di commentare il messaggio per la Pace scritto da Papa Francesco, e di realizzare il sogno di cantare per lui “Abbi cura di me”, canzone che amo profondamente. Grazie a Mauricio Lopez, Suor Alessandra Smerilli e al cardinale Czerny per avermi voluto con loro in una giornata così importante, che porterò nel cuore. Nessuno può salvarsi da solo”. È questo il commento che Simone Cristicchi, cantautore italiano ha scritto sulle sue pagine Facebook a margine dell’evento in Vaticano. Cristicchi è noto per essere da tempo vicino alle tematiche sociali.

spazio50.org

Auguri «L’anno nuovo ci renda capaci di essere artigiani di pace»

Il testo integrale del messaggio di fra Marco Moroni, OFMConv, custode del Sacro Convento di San Francesco in Assisi. Un invito alla speranza e all’impegno in questo tempo di violenza e ingiustizia

Auguri da Assisi

Auguri da Assisi – Ansa – da avvrnire.it

Viviamo dei giorni, un tempo, contraddittori. Siamo nei giorni di Natale, la festa dell’incontro tra Dio e il suo popolo, la festa della fraternità fra gli uomini, la festa delle luci che risplendono nella notte, simbolo di quella luce – Cristo – che illumina ogni uomo e che per sempre ha donato a tutti quelli che lo accolgono nel cuore il calore e la gioia di scoprirsi amati, perdonati, in maniera incondizionata e infinita, come veri figli di quel Padre che sempre tutto dona e tutti accoglie. Eppure sono i giorni della guerra, delle città e dei villaggi dell’Ucraina in blackout per i continui bombardamenti delle infrastrutture energetiche; dell’odio fratricida che nell’est europeo come in tante altre parti del mondo continua a diffondere l’efficacia di quell’assioma tanto antico quanto crudele: mors tua, vita mea. Tra l’altro tanta ferocia è possibile anche perché in fondo gli artefici di queste continue distruzioni non hanno nessuna esperienza del dolore dei feriti, delle lacrime dei bambini, dello strazio dei morenti e dei superstiti dei bombardamenti. Non possiamo poi dimenticare la barbarie degli abusi sui bambini, della sistematica violenza sulle donne (e non solo purtroppo dove c’è la guerra, ma anche nelle nostre “pacifiche” città e campagne…) e l’aggressività fisica e verbale con cui siamo confrontati ogni giorno, nelle famiglie, come nel vicinato, nei condomini, nelle relazioni professionali, familiari, istituzionali, ecc. Questa non è pace, questo non è Natale, questa non è la promessa di Dio per l’umanità.

La cosa tuttavia che però più di tutte ci rattrista è assistere al contagio del male che – come, anzi peggio del pernicioso virus covid-19 – si diffonde e mette radici nei cuori e nelle menti delle persone, perfino di quelle comuni, delle vittime come anche dei soli spettatori, più o meno conquistati alla causa di una parte… La guerra infatti spegne l’amore nel cuore e lo sostituisce con il rifiuto e con la convinzione che – grazie all’eliminazione dell’altro – saremo più felici, la nostra vita sarà migliore, perché è l’altro il nemico, il cattivo, colui che ha tutti i torti e le colpe… E si tratta di un’esperienza che molti di noi fanno, anche se siamo lontani migliaia di km dalle bombe e dai missili. Cominciamo anche noi facilmente a sognare che quelli che riteniamo cattivi debbano in qualche modo essere umiliati, eliminati, resi impotenti e pensiamo che tutto questo alla fine lo si possa chiamare giustizia.

Questa invasione dell’Ucraina in particolare è una cosa tanto complessa; come ci ha detto papa Francesco, è la guerra mondiale a pezzi. E una guerra mondiale non finisce in pochi mesi purtroppo. Chissà cosa ci aspetta, cosa aspetta il nostro mondo nei prossimi mesi, nei prossimi anni… A cosa dovremo assistere ancora prima che gli uomini abbiano il coraggio di fermarsi e di dire: è troppo, non ha più nessun senso…

Ora, di fronte a tutto ciò sembra che il Natale non sia che una fiaba, che lascia buoni sentimenti e invita a essere più buoni, accoglienti, pazienti o piuttosto un mito, che serve a spiegare l’origine della festa – pressoché commerciale e culinaria.

Oppure il Natale – ed è ciò che la fede ci comunica – è festa perché ci fa fare ancora una volta esperienza che Dio non smette mai di credere in noi, nell’umanità, al punto di farsi uno di noi per essere il fermento di queste donne e uomini che si rinnovano non in base alle loro capacità individuali, ma riconoscendo di essere perduti senza gli altri, senza ogni altro. Il punto di partenza che il Natale di Gesù ci apre è proprio il riconoscimento che abbiamo un grande desiderio – sincero – di amicizia, pace, intesa, ma non siamo capaci, non ci riusciamo, ricadiamo sempre – in un modo o nell’altro, qualche volta in modo molto violenti – nell’esclusione, nel dire: “…senza di lui, senza di lei, senza di loro…, contro di lui, contro di lei, contro di loro”. Riconoscere questa realtà è l’inizio del grido della salvezza, che si accoglie e non si fa. Un grido che – se credenti – rivolgiamo a Dio e – insieme a ogni altro uomo e donna di buona volontà – ci rivolgiamo reciprocamente, perché la pace è artigianale – non ci sono ricette – e si edifica solo insieme, camminando insieme. E paradossalmente da questo punto di vista il cammino stesso è quasi più importante della meta, perché senza cammino non si raggiungerà mai la meta.

San Francesco, in questo senso, è una grande fonte di ispirazione, perché è stato un grande artigiano di pace e riconciliazione nei suoi incontri e nei viaggi. Le fonti, per esempio, lo ricordano predicare il perdono nelle città del suo tempo, travagliate spesso da faide familiari o da conflitti politici intestini. Egli sapeva però che accanto alla preghiera e alla predicazione era poi spesso necessario offrire anche lo spazio per il dialogo, il confronto, che trasformasse le iniziali disponibilità di rappacificazione in un cammino comune di alleanza e sostegno reciproci: un cammino insieme. Ispirandoci proprio a san Francesco, noi frati desideriamo continuare a camminare come fraternità e come fratelli di ogni uomo e donna di buona volontà, che desiderano pace, riconciliazione, giustizia, per sostenerli con la nostra preghiera e soprattutto con la nostra amicizia. Nessuno – e men che meno noi frati – pare abbia la soluzione ai grandi e piccoli (ma talora non meno crudeli) drammi della convivenza umana, dalla violenza domestica – fisica e psicologica – alla ferocia della guerra. Possiamo e desideriamo però condividere con tutti il tesoro che la storia e la provvidenza ci ha affidato: san Francesco stesso, fratello universale, colui che per primo ha fatto la pace mettendo a tacere i demoni del suo cuore, proprio attraverso l’incontro con gli altri, soprattutto con gli scartati, e si è messo a servizio della riconciliazione ponendosi all’ultimo posto, senza rivendicare privilegi, vantaggi o ricompense.

Questa guerra mondiale è una realtà complessa in cui vediamo da un lato anche tanta luce di eroismo, forza, resilienza, onestà, ma anche fitte tenebre di bassezza, crudeltà, barbarie. Ha un’origine lontana e la sua stessa genesi è stata molto articolata. Certo coinvolge – magari anche solo per le sue conseguenze economiche – anche la vita delle nostre città e famiglie; tuttavia peggio ancora è il rischio di abituarci anche alla guerra, limitandoci a dire di tanto in tanto: “poveri bimbi!”…

Dio ce ne scampi! Che non piombi su di noi – come singoli e come società – la disgrazia dell’indifferenza e della superficialità!

Aiutiamoci insieme, piuttosto, nel nome di san Francesco – colui nel cui volto vediamo riflessa l’immagine della bontà stessa di Gesù, nato per noi – a non abituarci al male, all’ingiustizia, alla crudeltà. Si tratta di custodire il cuore inquieto, desideroso di pace vera – che è inseparabile dalla giustizia, diceva san Giovanni Paolo II – per tutti, per le vittime come anche per i responsabili, e di non perdere nessuna occasione. Non perdere l’occasione di condividere in solidarietà – con chi ha bisogno, con chi piange, con chi ha perso la speranza… –, di chiedere allo Spirito santo di continuare – tenacemente e magari per lo più invisibilmente – a operare nelle coscienze delle persone e, soprattutto, di cercare di vivere in prima persona la pace come stile.

Aiutiamoci insieme a cercare di resistere alla tentazione dell’offesa facile e gratuita (perché non c’è nulla che giustifichi il calpestare la dignità altrui) e della menzogna utile a proteggere i propri interessi (perché gli altri hanno diritto a poter credere alla nostra parola); aiutiamoci a essere gentili (perché la cortesia è il calore che riscalda ogni situazione difficile), a compiere gesti di servizio e attenzione gratuita verso chi ci è accanto o entra in qualche modo in relazione con noi.

Non possiamo “spegnere” la guerra con un pulsante, ma possiamo allenarci a vivere la pace e favorire il buon contagio che – speriamo – con il tempo arrivi lontano. Il vaccino contro la guerra siamo noi, se crederemo in ogni uomo e donna come fa lo stesso Dio, come ha fatto san Francesco.

Di cuore, allora, da parte di noi frati della basilica di Assisi, a voi sorelle e fratelli tutti, un felice anno nuovo riscaldato dall’amore e dall’attenzione che ognuno di noi saprà investire nelle relazioni che vive.

Auguri

Buon anno

fra Marco Moroni, OFMConv, custode del Sacro Convento di San Francesco in Assisi

 

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