La visita. Meloni “scopre” l’Albania, Rama la saluta: un’amica non un pericolo fascista

La premier dal primo ministro albanese: Giorgia politica concreta. Ora il ritorno in Puglia per l’ultimo pezzo di vacanze. «Sto ricaricando le energie, sarà un autunno impegnativo»
Lo scatto pubblicato su Instagram dal premier albanese Edi Rama dopo i quattro giorni di vacanza di Meloni oltre Adriatico

Lo scatto pubblicato su Instagram dal premier albanese Edi Rama dopo i quattro giorni di vacanza di Meloni oltre Adriatico

avvenire.it

«Giorgia è incredibile. Possiamo dire che è nata un’amicizia. Ma soprattutto, che lei è una politica concreta, altro che pericolo fascista». Edi Rama, il primo ministro dell’Albania racconta così la premier italiana.

«Giorgia voleva riposarsi», racconta ancora Rama continuando a chiamare Meloni solo con il nome. Un incontro denso di spunti. «Abbiamo parlato a lungo di relazioni internazionali e di integrazione europea, che lei definisce come riunificazione…», ovvero dell’ingresso dei Balcani nella Ue. «Giorgia pensa che sia ora di andare al sodo», dice il premier albanese. Giorni intensi. Un dialogo che cresce. «Abbiamo parlato del progetto dell’acquedotto, che volevano già Andreotti e Berlusconi, dall’Albania alla Puglia… Lei è una che può smuovere le cose, ho tanta fiducia». La stima viene messa nero su bianco. «Hanno detto che Meloni era un mostro fascista che avrebbe marciato su Bruxelles. Invece, dal primo giorno, non ne ha sbagliata una sulla linea della politica internazionale», insiste Rama che posta una foto dell’incontro con meloni e la saluta: «Sorella d’Albania, fratello d’Italia, Grazie Giorgia è stato un onore».

La risposta di Giorgia Meloni è altrettanto affettuosa: «Grazie per avermi ospitata nella vostra terra e per la calorosa accoglienza ricevuta, Edi. Ti aspetto in Italia!», scrive su Facebook la nostra premier.

Dall’Albania alla Puglia. «Anche quest’anno ho scelto di passare qui, con la mia famiglia, qualche giorno di agosto per ricaricare le energie in vista di un autunno che sarà molto impegnativo e importante per l’Italia. Ma tornerò presto: è infatti proprio la Puglia la sede scelta dal governo per il G7 2024», dice Meloni che sottolinea la bellezza della regione: «È straordinaria. Una perla italiana nella quale cultura e storia si fondono alle bellezze della natura, tra ulivi secolari e spiagge mozzafiato».

Parole che non sfuggonoi al governatore Michele Emiliano. «Grazie a nome di tutti i pugliesi Presidente, da vent’anni ce la mettiamo tutta per dare il nostro contributo all’Italia che ha molto da guadagnare continuando a sostenerci». Qualche giorno di vacanza ancora per Meloni in una masseria del brindino. E intanto sui media rimbalza un episodio.

Nei giorni scorsi sui media albanesi si parlava di un gruppo di italiani scappati da un ristorante a Berat senza pagare il conto. Meloni ha chiamato l’ambasciatore: «Vada a pagare il conto di questi imbecilli, per favore, e faccia un comunicato! L’Italia non può perdere il rispetto così».

Meloni è in Albania per una visita informale

Il presidente del Consiglio ha lasciato la Puglia, dove sta trascorrendo le vacanze, con un traghetto di linea. Previsto un incontro con l’omologo Edi Rama

meloni in albania edi rama

AGI – Giorgia Meloni ha raggiunto stamane l’Albania, a bordo di un traghetto di linea partito da Brindisi, per una breve visita che, a quanto si apprende, dovrebbe comprendere un incontro informale con l’omologo del Paese delle Aquile, Edi Rama.

Il presidente del Consiglio sta trascorrendo un periodo di vacanze in Puglia, in una struttura a Ceglie Messapica, insieme ad alcuni familiari.

Meloni, informano i media locali, è arrivata a Valona nel pomeriggio. Accompagnata, tra gli altri, dal compagno e dalla figlia, la presidente del Consiglio, sempre secondo le stesse fonti, dovrebbe trattenersi in Albania almeno fino a domani.

Non sarebbe peraltro da escludere che la breve trasferta sull’altra sponda dell’Adriatico possa avere un’ulteriore ‘coda’.

Lo scrittore. Shpëtim Selmani: «Il mio Kosovo in lotta per la pace»

Si definisce «figlio della guerra» e nel suo ultimo romanzo “Ballata dello scarafaggio” intreccia vita quotidiana e violenza della storia
Lo scrittore e attore kosovaro Shpëtim Selmani

Lo scrittore e attore kosovaro Shpëtim Selmani – Blerta Hoçia/Crocetti

Quello dei Balcani è un passato che sembra non passare mai. Mentre non si sono ancora spenti gli echi del conflitto in Kosovo, che chiuse nel modo peggiore il XX secolo, c’è chi con quel terribile fardello è stato costretto a crescere e a diventare adulto. Lo scrittore e attore kosovaro Shpëtim Selmani si definisce «un figlio di quella guerra», che iniziò quando lui aveva appena dodici anni. Crescendo ha cercato di rielaborare quell’esperienza anche con l’aiuto della letteratura e del teatro. Ma ammette di non esserci riuscito. «Non ho ancora fatto pace con il mio passato. Spero di potermi almeno riconciliare con il futuro», confessa in questa intervista che ci ha rilasciato in occasione dell’uscita di Ballata dello scarafaggio (traduzione di Fatjona Lamce, Crocetti, pagine 160, euro 17,00), un libro in cui intreccia il suo quotidiano di scrittore, attore, padre e marito con la violenza della storia.

Nato a Pristina nel 1986, vincitore del premio dell’Unione Europea per la letteratura nel 2020, Selmani è autore di opere in prosa e in poesia già tradotte in molte lingue, nelle quali ha cercato di riflettere sul dolore e sull’umiliazione subita durante la guerra dalla sua famiglia e dal suo popolo. È lui lo scarafaggio del titolo, «piccolo ma carico di orgoglio e con una profonda dignità», tiene a precisare, sostenendo che «tutti i conflitti scoppiano laddove non c’è conoscenza, né comprensione nei confronti delle piccole nazioni». Con una lingua cruda e spigolosa che a tratti dà spazio a lirismi improvvisi (e può ricordare quella di un altro scrittore di origini balcaniche, il bosniaco Aleksandar Hemon), Selmani ricostruisce il proprio vissuto, le emozioni che ha provato in questi anni e il suo punto di vista sulla vita attraverso una serie di brevi paragrafi autobiografici.

Elenca storie, ricordi e aneddoti come pezzi di un mosaico, nel tentativo di ricomporre la sua anima violata e di confrontarsi con il proprio passato. I suoi traumi personali, le difficoltà del dopoguerra, la ricostruzione del suo Paese. Fino ad arrivare alla realtà odierna di un Paese che vede ancora divisioni profonde tra serbi e albanesi, politici corrotti e uomini d’affari senza scrupoli. La letteratura, però, può essere un antidoto a tanti mali, come spiega in una parte centrale del libro, dedicata al suo incontro con una giovane scrittrice serba intenta a negare il genocidio di Srebrenica.

La letteratura può essere anche uno strumento per combattere il negazionismo e il revisionismo?

Direi proprio di sì. Anzi penso che dovrebbe essere una delle ragioni principali della sua esistenza. Una vera letteratura deve essere raffinata, originale, autentica. E servire sempre il bene. Non può e non deve avere bisogno di mentire, di diffondere odio o propaganda. Potrebbe davvero essere il rimedio contro tanti mali del mondo, ad esempio favorendo una riflessione sulle identità collettive, anche se viviamo dentro una grande scatola politica nella quale la letteratura è come un luogo perduto, alla ricerca della propria vera funzione. In un’epoca come quella attuale, in cui le identità personali possono anche essere fluide, l’identità nazionale è sempre più forte. E da questo derivano molti dei problemi del mondo. La vera letteratura è fatta invece da identità universali ed è proprio per questo che spesso la politica si scontra con la letteratura. Penso inoltre che ci sia una linea molto sottile tra la letteratura e la vita. Poiché tutto ciò che è vissuto è letteratura.

Quali sono i principali elementi di ispirazione per le sue opere?

Ne ho molti, a partire dalla mia vita, dal luogo in cui vivo. E anche dalle nostre identità. Molte cose della vita sono in armonia nel loro caos e talvolta è difficile comprenderle. I popoli, ad esempio, sono entità molto complesse. Non mi piace affatto che le persone siano felici a causa del loro potere. Un tema molto importante nel mio lavoro letterario è anche l’amore. Ma la vita mi fornisce molti spunti dei quali sono pronto a parlare con sincerità, per quello che posso.

Neanche con l’aiuto della letteratura è riuscito a far pace con il suo passato?

Purtroppo no. L’esperienza della guerra, che ho vissuto da bambino, ha determinato molte delle mie percezioni di adulto. Stiamo ancora lottando per trovare la pace ma pare ancora molto difficile, perché siamo un piccolo stato e siamo manipolati dal potere politico. Non possiamo costruire il nostro futuro senza il sostegno di Stati potenti. Certe narrazioni politiche hanno ricominciato a parlare della guerra ed è davvero assurdo che gli esseri umani possano ancora contemplare l’esistenza di qualcosa che è profondamente primitivo e stupido. Io posso riuscire a fare la pace almeno con il futuro. Questo, sì, credo sia fondamentale.
Cosa significa, per lei, resistere alla guerra? Essere un fanatico della pace. Odiare i confini. Amare gli esseri umani. Per rispettarli. Per proteggere l’amore. Pensare al mondo come a casa nostra. Comprendere gli altri e osteggiare sempre quei leader politici che sono capaci di solo di distruggere.

Lei è anche poeta e drammaturgo. Cos’è la scrittura per lei?

È stata un modo per rimanere in vita. Ma trovo molta difficoltà a spiegare cosa sia davvero per me. Scrivere è sempre stato un modo di comunicare con me stesso. È un modo per tenermi sotto controllo, di capire me stesso. Continuo a non capire perché lo faccio. È come una specie di autoriparazione. Ma anche una malattia, un impulso infantile, qualcosa di cui ho bisogno.

Quali sono i suoi sentimenti nel vedere i recenti scontri nel nord del Kosovo? È una sorta di storia che non finisce mai?

Un senso di incredulità. È pazzesco che dopo tanti anni esista ancora tutto questo odio. La storia non ci ha insegnato niente. Ma la gente comune è davvero molto stanca e non ne può proprio più del patriottismo, della propaganda, delle minacce, del sangue. Dobbiamo dare tutti il nostro contributo per creare un futuro privo di odio.

avvenire.it

 

Sarà una Pasqua indimenticabile per il cardinale Ernest Simoni, 94 anni, sacerdote perseguitato dal regime comunista albanese

Simoni ormai da anni è stato adottato da Firenze, città che gli ha fatto dono del Sigillo della pace. Domenica mattina sarà con Papa Francesco affacciato alla loggia di San Pietro per la benedizione Urbi et Orbi, alla città e al mondo. “E’ già una grande emozione aver appreso la notizia di accompagnare il Santo Padre per la benedizione Urbi et Orbi come cardinale diacono – sorride il cardinale – figuriamoci nella domenica della Santa Pasqua stare su quel balcone dal quale nella storia della Chiesa tanti Pontefici hanno rivolto preghiere e benedizioni”.
E’ un’esperienza che l’anziano prelato, creato cardinale dal Papa venuto dalla fine del mondo, proprio per la testimonianza di fede resa durante 28 anni di prigionia e lavori forzati dal 1963 al 1991, come “nemico del popolo“ con l’accusa di aver celebrato messe in suffragio del presidente John Fitzgerald Kenney, assassinato a Dallas nel ’63, come indicato da Papa Paolo VI e in più perché aveva predicato che valeva la pena, all’occorrenza, dare la vita per Gesù .

“Quando ero in prigione – ricorda – all’alba non sapevamo se avremmo rivisto il tramontare del sole dopo giornate scandite da torture, vessazioni, violenze ed interrogatori – dove i carcerieri volevano addirittura che rivelassimo il contenuto delle confessioni -. – prosegue il cardinale – Durante la detenzione nei campi di lavoro, nelle miniere dove estraevamo rame e pirite se una sola pietra si fosse staccata nei cunicoli, cadendoci addosso saremmo volati in Cielo tutti, visto le condizioni precarie nelle quali lavoravamo senza nessuna sicurezza e protezione”.
Eppure non ha mai perso la speranza: “Mai avrei creduto dopo i tanti calci presi, l’atroce dolore delle catene che mi stringevano tremendamente i polsi, dopo avermi privato della libertà sopratutto senza poter esercitare il ministero di sacerdote senza poter servire il popolo ed annunciare la salvifica Buona Novella, vivere ora dei giorni così belli, ricchi di doni spirituali a servizio dei fedeli per la salvezza delle anime. Mai avrei creduto di ricevere la berretta cardinalizia grande dono inaspettato, veramente un grande dono di cui mai smetterò con tutto il cuore di ringraziare Papa Francesco; preghiamo per il Santo Padre affinché il Signore possa donargli forza e salute nel suo universale ministero petrino”.

lanazione.it

Staffetta missionaria per l’Albania

Al via un progetto d’accompagnamento per sostenere la missione in Albania. Non sarà inviato un sacerdote, ma cinque unità pastorali si alterneranno per conoscere e camminare insieme alla Diocesi di Sapë e la Casa della Carità di Laç Vau-Dejës.

laliberta.info

Albania “Quella albanese è una Chiesa di martiri e che intende vivere insieme a tutta la Chiesa universale nella dimensione missionaria e sinodale”

Monsignor Gjergj Meta, vescovo di Rreshen e segretario della Conferenza Episcopale d'Albania
Gallagher in Albania, il vescovo Meta: segno di cura per il nostro Paese
Il pastore di Rrëshen e segretario della locale Conferenza episcopale commenta il viaggio al via oggi del segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati: “Quella albanese è una Chiesa di martiri e che intende vivere insieme a tutta la Chiesa universale nella dimensione missionaria e sinodale”
Don Davide Djudjaj – Città del Vaticano

Giunge oggi in Albania il segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali, monsignor Paul R. Gallagher. Il significato di questo viaggio lo illustra monsignor Gjergj Meta, vescovo di Rrëshen e segretario della Conferenza episcopale dell’Albania.
vaticannews

Quelli che hanno scoperto Lamerica: «L’Albania ora si merita l’Europa»

Quelli che hanno scoperto Lamerica: «L’Albania ora si merita l’Europa»

«L’Albania, per me, è la ventunesima regione italiana. E quando farà parte dell’Unione Europea sarà per l’Italia una testa di ponte verso i Balcani occidentali. Cioè un mercato da quasi 30 milioni di abitanti». Fabrizio Bucci, ambasciatore italiano in Albania, non ha dubbi. Nella luminosa sede dell’ambasciata a Tirana, in rruga Papa Gjon Pali II, Bucci racconta perché il via libera ai negoziati di adesione all’Unione Europea del 19 luglio scorso costituisce «un’occasione imperdibile, per noi e per loro. Perché questo è un Paese che ha tantissime potenzialità. E la cooperazione ha un ruolo importantissimo».

«Italia e Albania – spiega l’ambasciatore italiano a Tirana – condividono una storia millenaria. Nel 44 A.C. Ottaviano Augusto seppe dell’assassinio dello zio Giulio Cesare qui in Albania, ad Apollonia, centro di studi mediterraneo. Nel 1.400 gli albanesi in fuga dagli ottomani arrivarono in Calabria e Sicilia. E i loro discendenti, gli arbereshe, ancora oggi riescono a intendersi con gli albanesi contemporanei. Anche se è come se oggi ci parlasse Dante Alighieri… A Cosenza c’è il loro Eparca, sono cattolici di rito orientale. Insomma, Italia e Albania hanno sempre avuto rapporti. Perfino nell’era stalinista di Enver Hoxha».

L’Italia, dopo il crollo di quel regime nel ‘91, è stata meta per tanti emigranti. Gli albanesi in Italia oggi cosa fanno?

Oggi ce ne sono 700 mila, molti col doppio passaporto. È la seconda comunità straniera in Italia. Ma i giornali, diversamente che in passato, ne parlano poco, perché sono ben integrati: imprenditori, medici, architetti. Sono circa 50 mila le aziende di albanesi. Si sono affermati anche nell’arte. Vede questo quadro qui nel mio ufficio? Acciaio e smalto blu, è opera di Helidon Xhixha, artista di Durazzo. Da ragazzo salì sulla Vlora con migliaia di connazionali. Sbarcò a Bari senza nemmeno le scarpe. Lavorando e studiando si è diplomato a Brera. Oggi ha lo studio vicino Novara, torna spesso in patria, ha esposto agli Uffizi e alla Biennale di Venezia, la moglie ha una galleria a Dubai. Una bella storia di integrazione e successo. L’immigrazione può portare benefici sia al Paese che la genera che al Paese che la riceve. Poi c’è anche una piccola minoranza dedita al crimine, ma abbiamo gli strumenti per combatterla.

Dopo l’implosione del regime, la cooperazione italiana ha portato aiuti di emergenza. Poi infrastrutture: ospedali, strade, acquedotti. Ora che il Paese ha uno sviluppo economico importante, ma disordinato, qual è il supporto dell’Italia?

Ci siamo fatti carico dell’Albania più di tutti e prima di tutti. Arrivai a Tirana da giovane diplomatico nel 1992 e ogni giorno a Durazzo arrivavano mercantili italiani di generi alimentari e medicinali. Fino al 1993 abbiamo letteralmente sfamato l’Albania che sembrava uscita da una guerra. L’Italia ha accompagnato questo Paese in un percorso trentennale. E nel 2019, quando sono tornato, ho trovato una nazione irriconoscibile: Tirana ha un milione di abitanti, infrastrutture e palazzi moderni. Ma questa crescita ha avuto i suoi costi: come spesso accade nelle democrazie post-regime, buona parte della popolazione non ha goduto dello sviluppo. Il reddito annuo medio pro capite è attorno ai 5.500 euro, gli stipendi 4 o 500 euro, le pensioni 100. La ricchezza è stata ridistribuita in maniera ineguale. La democrazia è in fase di consolidamento, un cantiere aperto.

L’Albania il 19 luglio 2022 ha avuto finalmente il via libera ai negoziati di adesione all’Unione Europea…

Sì, e la Commissione Europea ha stanziato per i sei Paesi dei Balcani occidentali fondi europei di preadesione: solo per connettività e infrastrutture 9 miliardi di euro. L’economia deve crescere perché aumenti il gettito fiscale e ci siano più fondi per lo stato sociale. Ma noi nel frattempo stiamo intervenendo in settori delicati: imprenditorialità giovanile e femminile, equilibrio di genere contro la discriminazione femminile. Con lo Iadsa sosteniamo iniziative sui territori. Senza dimenticare il ruolo fondamentale dei tanti ordini religiosi italiani presenti qui: due o trecento missionari che animano scuole, mense, orfanotrofi.

L’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics) nei Balcani Occidentali, guidata da Stefania Vizzaccaro, l’anno scorso ha investito in Albania 243 milioni di euro in 36 progetti. Soprattutto nell’area culturale, per rafforzare i valori europei di democrazia, diritti umani, convivenza religiosa. La cooperazione italiana sostiene il progresso sociale?

È così. Con le ong, ad esempio, lavoriamo molto anche sui diritti di genere. Se dal punto di vista normativo l’Albania ha recepito tutte le direttive europee in tema – su 15 ministri del governo, 12 sono donne – nelle aree montuose sembra di stare nell’Italia degli anni ‘30. Ci vorrà tempo, ma il percorso è segnato e io sono fiducioso.

L’ingresso nell’Ue quindi è l’occasione preziosa per “costringere” l’Albania a fare il salto di qualità?

È il punto centrale. L’Italia ne ha sempre sostenuto l’ingresso nell’Ue. Ora Tirana è guidata da Bruxelles per il processo di recepimento di norme, procedure, regolamenti, standard europei. E si comincerà con la giustizia, la libertà di stampa, i diritti. I tecnici Ue stanno radiografando tutte le leggi, il Parlamento dovrà riformarle, da qui a una decina d’anni. Ma non si discute più se l’Albania farà parte dell’Ue, ma quando. L’Ue, prima di essere un mercato da mezzo miliardo di consumatori – che offre finanziamenti per infrastrutture e crea libertà di movimento per le persone, le merci, i servizi – è una comunità di principi e di valori democratici.

Quali sono i rapporti economici tra il nostro Paese e l’Albania?

L’interscambio tra Italia e Albania vale quasi un terzo di tutto l’interscambio albanese col mondo. Cioè il 20% di tutto il Pil dell’Albania, 3 miliardi di euro. Siamo il primo fornitore e il primo cliente. Qui ci sono 2.600 aziende italiane, la metà di tutte le aziende internazionali. Questo Paese è un pezzo di Italia. E c’è ancora tanto interesse di aziende italiane.

Perché investire in questo piccolo Paese?

Perché adesso comincia un’altra storia, quella dell’ingresso dell’Albania nell’Ue. Questo piccolo Paese può diventare per l’Italia la porta per verso i Paesi dei Balcani occidentali, con una popolazione che tra qualche anno raggiungerà i 30 milioni: Serbia, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia, Montenegro. L’Ue ha stanziato per questi sei Paesi complessivamente quasi 30 miliardi di fondi di pre-adesione. Investirà soprattutto su le infrastrutture, i collegamenti ferroviari e stradali, le reti energetiche e i servizi digitali. Attraverso i Balcani passano le reti che portano energia da Est, dall’Azerbaijan verso il Mediterraneo. Il Tap passa in Albania. E altri gasdotti sono in progetto. Con queste reti, avere base in Albania significa essere presenti ed esportare in tutti i Paesi della regione. È una grande occasione. Tra 10 anni questa sarà una nazione europea. Io scherzando dico spesso che in Albania gli americani siamo noi. Nessuno qui fa quello che fa l’Italia. Siamo un paese leader e di riferimento. E qui c’è molta voglia di Italia.

avvenire.it

Wizz Air lancia una nuova rotta tra Trieste e Tirana

La compagnia aerea Wizz Air ha annunciato una nuova rotta tra Trieste e la capitale dell’Albania, Tirana, a partire dal 3 luglio 2023, e i cui biglietti sono già disponibili (sito Wizz Air e app WIZZ), a partire da 24,99 euro. Il volo sarà operato due volte a settimana, lunedì e venerdì, effettuati con un Airbus A321neo, tra i più sostenibili aeromobili, da 239 posti.

Trieste diventa così la 27/a destinazione di Wizz Air in Italia, mercato sul quale si rafforza. La compagnia offre anche un servizio WIZZ Flex che garantisce possibilità di cancellare o cambiare volo fino a 3 ore prima.

Evelin Jeckel, Acting Network Officer di Wizz Air, ha precisato che la tratta è indicata per “scoprire una città dalle mille identità e godere del crogiolo di cultura, arte e architettura, nonché una nuova alternativa di viaggio per visitare amici e familiari all’estero”.

Marco Consalvo, a.d. dell’aeroporto di Trieste ha sottolineato che “Wizz Air è una delle maggiori low cost europee e la prima sui mercati dell’est Europa” e che “non ha mai operato nel nostro scalo. Il nuovo collegamento con Tirana è l’avvio di una importante partnership di lungo periodo”. La comunità albanese presente in regione è la seconda per numero di residenti. (ANSA).

Prodi, allargare Ue a ex Jugoslavia e Albania

– “Bisogna fare presto ad allargare i confini della Ue a tutti i Paesi dell’ex Jugoslavia più l’Albania”: è l’appello lanciato da Romano Prodi, a Gorizia, a margine di un evento dell’Università di Trieste, con il sostegno della Regione Friuli Venezia Giulia, cui ha partecipato anche l’ex Presidente della Repubblica di Slovenia, Danilo Türk.

“Facciamo presto perché non comporta alcun problema economico – ha precisato -: tutte assieme, queste nazioni rappresentano meno del 2% del Pil dell’intera Unione. Qui ci vuole una volontà politica, perché fare presto obbligherebbe anche a una riforma delle istituzioni europee, in quanto bisogna cambiare i processi decisionali, ma è giunta l’ora che lo si faccia”.

Prodi ha poi parlato del conflitto in Ucraina: “finirà solo con un accordo Stati Uniti-Cina”, ha detto. “Questo perché l’Europa è nelle mani degli Stati Uniti per il suo potere decisionale, e per l’aspetto militare, finché non si farà un esercito europeo”.

Infine, riferendosi al fenomeno migratorio, “o c’è un’unità a livello europeo – ha osservato l’ex presidente della Commissione europea – oppure non si potrà trovare una soluzione adeguata, perché l’accordo di Dublino, che dice che ci pensi il Paese dove arrivano i migranti, è un’autentica follia”. (ANSA).

L’inferno nero dei vecchi giacimenti petroliferi albanesi Ha portato milioni di dollari ma per i residenti pochi benefici

(ANSA-AFP) – ZHARREZ, 19 GEN – Gli abitanti di Zharrez, nell’Albania centrale, vivono in un paesaggio apocalittico e puzzolente, fatto di pozzi petroliferi che perdono e di serbatoi di stoccaggio arrugginiti, con il suolo annerito dalle fuoriuscite di greggio che si infiltrano nell’acqua.

“Abbiamo tutti problemi di salute”, ha detto Milita Vrapi, una dei 2.000 abitanti del villaggio che vivono a stretto contatto con l’industria petrolifera, in gran parte non regolamentata, della nazione balcanica. “L’aria è molto pesante.

Mi sento spesso stordita e nauseata, con mal di testa e stanchezza persistente”, ha detto la madre 49enne mentre un impianto sgangherato prendeva vita a soli quattro metri da casa sua. L’acqua non è potabile e le verdure del suo orto non crescono più, ha detto. Pozzi e serbatoi di stoccaggio abbandonati e oleodotti arrugginiti e perdenti sono disseminati nell’area di Patos-Marinza, ricca di petrolio, dove paludi e piccoli laghi di greggio nero segnano il paesaggio. Gran parte delle attrezzature dei campi petroliferi non sono state sottoposte a manutenzione da quasi tre decenni.

– Aria puzzolente – “L’oro nero ha portato milioni di dollari dal sottosuolo, ma i residenti locali non ne hanno quasi beneficiato”, ha detto l’abitante del villaggio Marsilin Senka, mentre stringeva il suo bambino di due mesi, affetto da bronchite acuta. L’aria puzza di vecchi pozzi lasciati aperti e di greggio lasciato marcire in cisterne fatiscenti e fosse a cielo aperto. In estate alcuni abitanti dicono che è irrespirabile. Nella sola Zharrez ci sono circa una dozzina di pozzi gestiti dall’Albpetrol, di proprietà dello Stato, la maggior parte dei quali ha mezzo secolo, a pochi passi dalle case. Altri nella zona sono gestiti dal gruppo cinese Bankers Petroleum.

“L’inquinamento non è una priorità per le compagnie petrolifere”, ha aggiunto Senka. “Più di 18.000 metri quadrati sono pesantemente inquinati dal greggio perché le infrastrutture sono state lasciate abbandonate per più di 25 anni, con effetti dannosi sull’ambiente e sulla salute degli abitanti”, ha detto Qani Rredhi, capo del gruppo ambientalista del villaggio. Anche i gruppi per i diritti umani hanno condannato la situazione, con il Comitato albanese di Helsinki che, nel suo ultimo rapporto, ha affermato che “la vicinanza delle aree residenziali e delle serre ai campi petroliferi e ai vecchi pozzi… e la mancanza di misure di sicurezza e di riabilitazione sono molto preoccupanti”.

– Malattie – Gli abitanti del luogo affermano che i campi petroliferi possono essere responsabili di una miriade di problemi di salute che colpiscono i residenti. “Il numero di abitanti che lamentano problemi respiratori, alte concentrazioni di anidride carbonica nel sangue o che soffrono di malattie legate alle attività industriali è molto alto”, ha dichiarato Adriatik Golemi, un altro ambientalista locale. Sotto la dittatura comunista di Enver Hoxha alla gente era per lo più impedito di vivere nell’area. Ma dopo la caduta del regime, le autorità hanno tollerato il ritorno di un piccolo numero di residenti impoveriti e di altre persone che si sono stabilite nella zona. I gruppi ambientalisti hanno anche collegato l’inquinamento ai tumori che hanno causato la morte di diversi abitanti della zona. Tuttavia, Fatjon Shehu – il responsabile del centro sanitario del villaggio – ha affermato che è difficile stabilire un collegamento in assenza di studi adeguati, soprattutto con l’aumento delle malattie respiratorie causate dal Covid-19. Oltre ai problemi di salute, la gente del posto lamenta anche il rischio di lesioni o di morte per incidenti legati all’industria.

– Annegamenti – “Tre anni fa, una donna è annegata in un pozzo di petrolio mentre andava a caccia di galline”, ha detto Golemi all’AFP, affermando che il villaggio ha almeno cinque aree simili dove il petrolio è immagazzinato in pozzi. Ci sono stati anche “casi di annegamento di bestiame e uccelli nel petrolio”, ha aggiunto Redhi, che si è anche lamentato delle “forti esalazioni di gas” che fuoriescono dai pozzi abbandonati.

Nonostante i danni provocati dall’industria petrolifera, l’Albania produce solo 4,6 milioni di barili di greggio all’anno, utilizzati per produrre bitume per le strade.

Tuttavia, l’Albania dispone di grandi riserve, stimate in quasi tre miliardi di barili, anche se deve importare tutta la benzina da quando la sua unica raffineria è stata chiusa nel 2019. Nel frattempo, la Shell ha annunciato una “significativa scoperta di greggio leggero” a Shpirag, nel sud dell’Albania.

Il Ministero dell’Energia del Paese ha dichiarato che le autorità sono determinate a risolvere i problemi ambientali posti dall’industria petrolifera. “Le compagnie che lavorano nei giacimenti petroliferi di Patos-Marinza stanno mettendo in atto piani d’azione per la riabilitazione di tutte le infrastrutture fatiscenti”, ha dichiarato all’AFP. Ma la gente del posto vuole agire subito. Artemisa Vrapi, figlia sedicenne di Milita, ha dichiarato che la situazione è inaccettabile.

“Non dovremmo pensare solo all’economia e all’estrazione del petrolio, ma a salvare vite umane, a salvare il nostro ambiente e il nostro pianeta”, ha detto Vrapi all’AFP. Nel frattempo, il traballante impianto di perforazione vicino alla loro casa è in panne da una settimana e l’operaio petrolifero Kadri Shahu, 58 anni, sta cercando di ripararlo. Senza i bonus di rendimento, il suo stipendio di 540 euro al mese non è sufficiente a sfamare la sua famiglia di sei persone.

Vučić: “L’Unione Europea ci sostenga nel dialogo con l’Albania”

presidente serbo vucic auspica colloqui albania
AGI – “Ci sono stati diversi momenti critici nel corso di dicembre nel nord del Kosovo, ora mi auguro che quella situazione sia superata e che inizi un dialogo con la controparte albanese sulle questioni da affrontare sotto i buoni auspici dell’Ue e spero che saremo in grado di mantenere la stabilità e la pace nella regione”. Lo ha detto all’AGI il presidente serbo Aleksandar Vučić , a margine dei lavori del World Economic Forum di Davos.
E non è vero che la Russia sta arruolando cittadini serbi per combattere in Ucraina, ha spiegato Vucic, “perché non lo permettiamo, è vietato nel nostro Paese e non è conforme alle nostre leggi”

Usanze e destinazioni per vivere la mezzanotte di festa per tutto il 2023

Non per tutte le culture la mezzanotte più famosa scocca il 31 dicembre.

ansa.it

Ecco cinque luoghi e date da appuntarsi per un nuovo anno di scoperta e di meraviglia, 5 destinazioni da eDreams in cui assaporare nuove usanze e vivere questa festa per tutto il 2023.
In Marocco per festeggiare Yennayer, il Capodanno berbero, a metà gennaio
Cade il 12 gennaio 2023 il giorno in cui il popolo Amazigh, nome arabo del popolo berbero, festeggerà Yennayer, il nuovo anno 2973.

Il calendario berbero, infatti, nonostante sia il più simile a quello gregoriano, eredita questa festa dagli antichi cicli agrari berberi, e inizia nel 950 a.c., ai tempi dei faraoni nella regione nordafricana. Yennayer è celebrato in diverse zone del Maghreb e di riflesso ci sono eventi in molti Paesi europei che ospitano queste comunità. Un modo originale e unico per viverlo, però, può essere andare a Marrakech in questi giorni. Oltre alla possibilità di visitare una meta dal clima temperato nella rigidità delle settimane di gennaio, questa zona del Marocco è un’occasione per chi ama cimentarsi nel surf, ma anche nello sci, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare. Per chi preferisce invece la cultura, in città si svolgono festeggiamenti a base di spettacoli, balli tradizionali e degustazioni di street food passeggiando per i souk. Un dettaglio ancora più significativo per cogliere l’identità del Paese: quest’anno Yennayer sarà all’indomani del giorno del Manifesto dell’Indipendenza del Marocco, festività nazionale.
A New York per il Capodanno cinese, tra gennaio e febbraio. Benvenuti nell’anno del Coniglio
Ormai celeberrimo, il Capodanno cinese, conosciuto anche come Festa di primavera, quest’anno inizierà con la vigilia del nuovo anno, la sera del 21 gennaio 2023 con la Firecracker Ceremony, per terminare il 5 febbraio con la Festa delle lanterne. Il 22 gennaio le popolazioni cinesi di tutto il mondo saluteranno quindi l’anno del Coniglio d’acqua, che secondo l’oroscopo del Dragone è portatore di pace, tranquillità e responsabilità. Una destinazione da considerare per questo appuntamento è la Grande Mela, che, tra Soho e il ponte di Brooklyn, ospita una delle più grandi Chinatown al mondo. Le strade di questi quartieri per l’occasione si tingeranno di rosso, con 15 giorni di celebrazioni, parate, fuochi d’artificio, con l’Empire State Building illuminata di rosso e di giallo. Il momento più atteso ed emozionante è la Lunar Year Parade, durante la quale lunghe sagome di leoni e dragoni danzano per le strade.

Nowruz, il Capodanno persiano, da scoprire a Tirana a marzo
Una delle feste più antiche del mondo, Nowruz deriva dalla fusione delle parole persiane No (nuovo) e rouz (giorno) e secondo la mitologia affonda le sue radici nello zoroastrismo, decine di migliaia di anni fa. Il re persiano Yima, narra la leggenda, è il padre di questa ricorrenza, che corrisponde all’equinozio di primavera. Le usanze di Nowruz vanno dal riordino e pulizia della casa alcune settimane prima del nuovo anno, all’organizzazione di una cena che prevede Samanu, un budino di farina di grano, con zucchero e noci e somagh, sommacco essiccato. Nowruz si festeggia in primo luogo in Iran, ma anche in tutti i Paesi dove è arrivato l’impero Persiano. Ecco perché una delle mete emergenti e da tenere in considerazione per quest’affascinante festività è Tirana, dove risiedono alcuni credenti Bektashi, un ordine di dervisci. Un’ottima occasione, quindi, per visitare questa città in continuo rinnovamento, in un periodo che è di per sé sinonimo di novità e speranza. Una tappa fuori città consentirà inoltre di ammirare l’architettura della tekke, il luogo di culto del centro mondiale dei Bektashi e il suo museo.
Songkran, il Capodanno thailandese, metà aprile
Tra il 13 e il 15 aprile di ogni anno si svolge il Songkran, Capodanno celebrato in diversi Paesi buddhisti, molto sentito e legato all’idea di purificazione e ai ringraziamenti per la fine della stagione secca, che supera i 30 gradi in Thailandia. La ricorrenza è infatti conosciuta anche come Festa dell’acqua. I festeggiamenti, che seguono un periodo di particolare cura per i templi religiosi, variano a seconda della zona del Paese e prevedono, molto spesso, il lancio di secchiate d’acqua e gavettoni, a simboleggiare l’inizio della stagione delle piogge o anche di talco bianco, contro gli spiriti maligni. In diverse regioni, poi, si tengono parate con costumi tradizionali e floreali.
Rosh Hashanah, il Capodanno ebraico da vivere a settembre
Il Capodanno ebraico è un momento religioso e di riflessione. Oltre alla preghiera, i rituali che fanno da cornice a questa festività sono legati al rinnovamento e alla sensazione di liberazione. In questi giorni, si usa ad esempio intraprendere un nuovo hobby. Un’altra tradizione è quella del tashlik, ovvero entrare in uno specchio d’acqua e gettare briciole di pane o sassi, che rappresentano i peccati e gli sbagli. Anche il menu della cena di Capodanno prevede alimenti simbolici, come l’agnello, ma anche le mele o i datteri insieme a ingredienti legati all’idea di buona fortuna, come il miele e, in assoluto, il melograno. Una visita in Israele in questo periodo non solo permette di godere delle sue bellezze naturali e culturali con un clima mite, ma anche di scoprire il lato più spirituale e riflessivo di questa destinazione unica e di sé stessi.

Liberazione dell’Albania mercoledì 29 novembre 1944

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Il 29 novembre 1944, i partigiani albanesi prendono il controllo di Tirana e di quasi tutte le maggiori città del paese. Questa data rappresenta la conclusione della guerra di liberazione albanese contro i nazisti e i fascisti.

Con la vittoria dei partigiani, l’Albania diventa una repubblica socialista. Il processo di liberazione e resistenziale albanese vede fin dal principio, oltre alla contrapposizione a fascisti italiani e tedeschi, anche uno scontro fra partigiani comunisti e nazionalisti fedeli al deposto re albanese. Sin dall’occupazione italiana del ’39 la resistenza del popolo albanese si fa sentire. Anche se l’occupazione avviene con successo, principalmente a causa della superiorità militare dell’esercito italiano, numerosi sono gli scioperi operai e le manifestazioni contro gli occupanti.

Dal ’41 sotto la direzione del partito comunista albanese, in stretti rapporti con quello jugoslavo e dell’URSS, vengono create le prime divisioni partigiane che per un periodo iniziale fecero un’alleanza strategica con le brigate partigiane nazionaliste. Le azioni militari dei due anni di resistenza armata, portano alla liberazione di alcune città, nell’ottobre del ’44 di Valona, e alla liberazione definitiva in novembre. In questo contesto si inserisce il ruolo dei soldati italiani di stanza in Albania, che dopo l’8 settembre, ricevono l’ordine di arrendersi alla resistenza Albanese ormai riconosciuta anche dagli Alleati. Il comandante in capo, Renzo Dalmazo, residente a Tirana, non accetta e ordina alle sue truppe di arrendersi soltanto alle truppe tedesche. Quindici mila soldati, in maggioranza della divisione “Firenze”, non accettano di arrendersi ai nazisti, 1500 di questi si aggregano all’esercito per la liberazione nazionale albanese formando il battaglione “Antonio Gramsci”. Un’altra parte molto consistente, quasi 20 000, si nascosero protetti dalla popolazione albanese nelle campagne. Il popolo albanese seppe fare la distinzione tra fascisti e soldati inviati li dal regime. Il contributo dei soldati che divennero partigiani in albania fu importante e riconosciuto dalla Resistenza albanese. In seguito alla liberazione, nel fronte partigiano prevalgono i comunisti guidati da Enver Hoxha, e l’11 gennaio 1946 nasce la Repubblica Popolare Albanese.

infoaut.org

 

Cadavere a pezzi nel canale, arrestata la moglie Albanese di 72 anni ripescato a fine luglio nell’Adigetto

 © ANSA

I Carabinieri di Rovigo hanno arrestato oggi la moglie di Shefki Kurti, il cittadino albanese di 72 anni residente a Badia Polesine (Rovigo), il cui corpo tagliato a pezzi era stato recuperato nelle acque del canale Adigetto, nei pressi di Villanova del Ghebbo (Rovigo).    I pezzi di corpo, a eccezione del cranio dell’uomo, erano stati chiusi in alcuni sacchi per l’immondizia e ripescati, tra il 28 e 30 luglio scorsi.

(ANSA).

L’Arcivescovo Morandi a settembre in Albania

Il prossimo 5 settembre l’arcivescovo Giacomo Morandi e una delegazione del Centro Missionario Diocesano saranno a Laç Vau-Dejës. Per mons. Morandi sarà la prima visita pastorale ad una missione diocesana.

Nel 1992 don Luigi Guglielmi, nominato direttore della Caritas diocesana dal vescovo Giovanni Paolo Gibertini, compiva un viaggio pastorale in Albania; visita drammatica, perché in quell’occasione fu colpito a Scutari da un proiettile sparato da un giovane, a cui poi diede il perdono. Il proiettile gli rimase conficcato nel corpo fino alla morte.

Da allora il legame tra la Chiesa reggiano–guastallese e quelle albanese non si è mai interrotto; è un rapporto che dura da trent’anni, in particolare con la diocesi di Sapa, guidata dal 2007 al maggio 2016 dal vescovo Lucjan Avgustini, a cui è succeduto mons. Simone Kulli.

Il vescovo Lucjan Avgustini, nato nel 1963 in Kossovo, ordinato sacerdote nel 1993, nel 2012 venne in visita a Reggio Emilia e incontrò il vescovo Adriano Caprioli e don Carlo Fantini, già missionario “fidei donum” in Albania.

Nell’intervista concessami presso la Casa della Carità di San Girolamo affermò: “Mi sono innamorato delle Case della carità e del carisma di don Mario Prandi nel giugno 2007”, nel corso di una visita compiuta qualche mese dopo la sua consacrazione episcopale alla nostra diocesi, raggiungendo anche Fontanaluccia. “E’ importante, ribadiva sempre mons. Avgustini, mantenere vivo e consolidare questo legame tra le Chiese sorelle di Reggio Emilia-Guastalla e di Sapa”.

Nel settembre 2012 è stata inaugurata nella sua diocesi a Laç Vau-Dejës una Casa della Carità per 16 ospiti con la presenza di due suore carmelitane minori: suor Rita Ferrari e suor Maria Angelica Borracino. Un’attenzione particolare è riservata alle povertà estreme, ai disabili, ai bambini e agli anziani. Ora a settembre la visita dell’Arcivescovo Morandi celebrerà il decennale dell’apertura della Casa.

La cattedrale di Sapa, la prima intitolata a Madre Teresa di Calcutta, venne inaugurata il 6 settembre 2008 e per l’occasione l’ausiliare Lorenzo Ghizzoni portò in dono le reliquie dei Santi Grisanto e Daria e della beata Scopelli.

Nel maggio 2016 mons. Augustini si è spento a soli 53 anni stroncato da una breve e dolorosa malattia. Il 25 maggio Papa Francesco ha nominato nuovo vescovo di Sapa (Sapë) don Simon Kulli, finora Amministratore diocesano della medesima diocesi. Nato il 14 febbraio 1973 nel villaggio Pistull (nella diocesi di Sapë), dopo aver frequentato le scuole primaria e secondaria, è entrato nel Seminario interdiocesano albanese “Madre del Buon Consiglio” a Shkodër. Il 29 giugno 2000 don Simon Kulli è stato ordinato sacerdote nella Cattedrale di Shkodër, assieme ad altri quattro diaconi albanesi. Si è trattato delle prime ordinazioni sacerdotali in Albania dopo la fine del regime comunista. Successivamente, è stato nominato vicario parrocchiale a Dajç di Zadrima e Segretario del Vescovo di Sapë. Nel 2002 è divenuto cancelliere della curia. Nel 2006 divenne parroco della cattedrale “Santa Teresa di Calcutta” a Vau Dejës. Dal 2009 fino al 2012, è stato direttore della Caritas diocesana di Sapë. E’ stato vicario generale ed economo diocesano.

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