Sami Modiano testimone degli orrori di Auschwitz

MATTARELLA NOMINA CAVALIERE DI GRAN CROCE SAMI MODIANO

FU TESTIMONE DEGLI ORRORI DI AUSCHWITZ Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha nominato Sami Modiano, testimone diretto degli orrori di Auschwitz, Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica. In occasione del suo 90º compleanno, che cade oggi, il presidente Mattarella ha fatto pervenire a Sami Modiano i suoi auguri più sentiti. (ANSA).

Padre Massimiliano Kolbe, il cielo che illuminò il bunker

È una delle storie di eroismo cristiano più limpide quella di San Massimiliano Kolbe, il religioso polacco che la Chiesa ricorda alla vigilia della Festa dell’Assunta, giorno in cui nel 1941 fu ucciso nel campo di concentramento di Auschwitz. Paolo VI lo beatificò il 17 ottobre 1971 e il suo connazionale, San Giovanni Paolo II, lo proclamò Santo il 10 ottobre 1982.

da Radio Vaticana

“Il Cavaliere dell’Immacolata”. Un uomo dall’animo nobile come il suo non poteva concepire altro titolo per la sua piccola rivista dedicata alla Mamma celeste, che fin da bambino aveva imparato ad amare. Massimiliano Kolbe fu un cavaliere nel senso più alto del termine e fino all’ultimo respiro.

Cavaliere all’avanguardia
Cavaliere nel creare sotto il nome e la protezione dell’Immacolata la sua “Milizia”, in un tempo in cui – era il 1917 – l’Europa era attraversata dagli eserciti della Prima Guerra mondiale. Massimiliano, carattere socievole e ottimista, capisce che per bilanciare la propaganda totalitaristica che nel primo dopoguerra sta sviluppandosi è necessario che l’impegno pastorale dei Francescani, tra i quali è entrato, sia sostenuto, per una maggiore diffusione e presa sulla gente, dall’uso della tecnologia a disposizione, che a quell’epoca voleva dire stampa e radio.

Miliziani di Maria
Massimiliano è intelligente, bravo nello studio ma la tubercolosi che lo mina fin ragazzo gli impedisce di predicare e insegnare. I superiori gli permettono allora di dedicarsi alla sua “Milizia”, che non smette di raccogliere adepti ovunque venga conosciuta e conosciuto e stimato il suo propagatore, dai professori in cattedra agli studenti, da contadini semianalfabeti ai professionisti. Ed è a questo punto che il religioso polacco impianta una stamperia e nel 1921 esce il primo numero del “Cavaliere”.

Dal Giappone all’India
Rapidamente tutto diventa grande. Un altro nobile per titolo, un conte, gli dona un terreno e lui lo utilizza per fondare “Niepokalanow”, la “Città di Maria”, mentre le spartane capanne diventano edifici in muratura e la vecchia macchina stampatrice sin evolve in una moderna tipografia. Padre Kolbe si spinge a radicare i “Cavalieri” della sua Milizia fino in Giappone e in India, ma la malattia lo riporta in Polonia proprio quando l’esercito di Hitler sta per invadere la Polonia. I nazisti fanno terra bruciata della pubblicazione e soprattutto si scagliano contro i francescani che danno accoglienza a 2.500 rifugiati, 1.500 dei quali ebrei. Il 17 febbraio 1941, padre Massimiliano viene arrestato e il 28 maggio per lui si aprono i cancelli di Auschwitz.

Principe tra gli orrori
In quella gabbia degli orrori, il Cavaliere vive la sua ultima e più nobile fase della sua esistenza. Perde nome e abito, diventa un numero, il 16670, subisce violenze e viene assegnato al trasporto dei cadaveri nel crematorio. Ma in un luogo dove l’arte della crudeltà è affinata per abbrutire, la grande dignità di sacerdote e uomo di padre Massimiliano spicca come un diamante. “Kolbe era un principe in mezzo a noi”, racconterà un superstite.

“Solo l’amore crea”
La fine è nota. Trasferito alla fine di luglio al Blocco 14, dove i prigionieri erano addetti alla mietitura nei campi, quando uno di loro riesce a scappare, per rappresaglia in dieci finiscono in un bunker condannati a morire di fame. Uno dei prescelti è un giovane sergente polacco, Francesco Gajowniezek, che scoppia in lacrime e supplica il lagherfurher di risparmiarlo perché ha moglie e figli. A quel punto, padre Kolbe si fa avanti e chiede di scendere nel bunker al posto suo, tra lo stupore dei soldati. Il martirio è lentissimo. Consolati dall’incoraggiamento e dalle preghiere intonate da padre Massimiliano, le voci si affievoliscono e spengono una dopo l’altra. Dopo due settimane in quattro ancora resistono, uno è padre Kolbe. Le SS decidono di toglierli di mezzo con una iniezione di acido fenico. Tendendo il braccio al medico che sta per ucciderlo gli dice: “Lei non ha capito nulla della vita. L’odio non serve a niente. Solo l’amore crea”. Le sue ultime parole sono “Ave Maria”. E’ il 14 agosto 1941. Il corpo del Cavaliere viene cremato il giorno dopo, festa dell’Assunta.

Auschwitz e la Giornata della Memoria. Vigile attenzione

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Vigile attenzione

 

 

“È fuor di dubbio – scrive Cristiana Dobner – che Auschwitz è una sorta di monumento, nel senso che raccoglie e testimonia l’efferatezza nazista e il dolore patito da Israele e da chi con Israele condivise il destino di non essere nazista o di essersi opposto al regime dominante. Però se fosse solo così, sarebbe ancora troppo poco, le ceneri sarebbero inerti. Auschwitz è ben di più, è memoria attiva, zikkaron, fertile, è cenere calda che trasmette vita. Non nel paradosso poetico che da morte dona vita, ma nella concezione biblica che conosce per esperienza che il Creatore vigila come sentinella e non dimentica il suo popolo. La sua è una memoria sempre attuale”.
E se l’interrogativo immediato è “dov’era questo Creatore quando Israele subiva lo sterminio nazista?”, esso però nella sua angoscia risulta monco, perché carente di una seconda parte: “Io, dov’ero, quando Israele subiva lo sterminio nazista?”. Io non c’ero è risposta fasulla, perché il mio legame con tutta la storia mi interpella e mi pone su di un terreno che richiede risposta. Io, oggi, dove sono? Da che parte sto? Abito Auschwitz e mi proietto sulla storia oppure lo lascio al suo passato e così dono fertilizzante ai pregiudizi che hanno lastricato la strada che conduce ad Auschwitz? Ecco allora la necessità della memoria viva, palpitante. Uno zikkaron che attivi richiami e generi sempre rapporti chiari, liberi, di autentico apprezzamento.

(©L’Osservatore Romano 26 gennaio 2014)