Prodi. «Il centrosinistra parta dai contenuti. Un’etica profonda per l’Europa»

Intervista al fondatore dell’Ulivo ed ex presidente della Commissione Ue: «Temo per le guerre. L’Unione fondata da tre cattolici. Trump? Un elefante»
undefined

undefined – IMAGOECONOMICA

Di questi tempi, fra guerre sempre più laceranti, e frizioni che non mancano mai nella politica nostrana, Romano Prodi ha quasi un solo motivo di consolazione: i successi calcistici del suo Bologna. «Mi sta facendo gioire come per la vittoria dell’Ulivo», dice al telefono dalla sua casa di via Gerusalemme. Il tempo di un sorriso, poi l’attualità incalza nel dialogo con il fondatore dell’Ulivo, ex premier e presidente della Commissione Europea.

Partiamo dal Pd: Elly Schlein ha rinunciato a mettere il nome nel simbolo. Bene così?

Io non ho affatto toccato questo tasto perché il problema è interno al partito: occorreva riflettere se il nome nel simbolo poteva essere o no un fattore più inclusivo, se evidenziare una storia personale o un fatto politico collettivo. Sarebbe stata una scelta che ritenevo dubbia, ma non ho espresso pareri perché questa scelta è priva di quella valenza etica che hanno invece le candidature plurime di leader che poi non andranno a Bruxelles, al Parlamento Europeo.

Per le candidature dei leader non è eccessivo aver parlato di «ferita alla democrazia»?

No. Perché l’elettore ha il diritto che il suo voto conti e che sia eletto davvero colui a cui accorda la preferenza. Altrimenti è un inganno, che alimenta la disaffezione al voto e l’astensionismo, ormai elevatissimo. È anche così che s’indebolisce la democrazia. Va però detto che mentre a destra sembra quasi naturale che Meloni e Tajani si candidino e tutti applaudono, nel centrosinistra almeno è positivo che si sia aperta una discussione sul punto.

La campagna per le Europee sarà una personalizzazione Schlein contro Meloni?

Questa campagna elettorale si sta palesando purtroppo come una campagna interna italiana. C’è sempre tempo per redimersi, ma la tendenza è questa. Non vedo nei partiti italiani la volontà di mettere al centro un programma europeo meditato, spero che avvenga in questi 50 giorni.

Ha sempre detto che il centrosinistra vince se si unisce e che Conte deve decidere da che parte stare. Ne è un’altra prova la Basilicata, dove c’è stato pure un tonfo di M5s?

I fatti dicono questo. Quanto ai 5 stelle, sono un partito che è nato e ha avuto successo sull’onda di un’emozione, quella di dare una spallata alla cosiddetta politica della “casta”. Oggi, però, di emozioni ne abbiamo anche troppe. Dinnanzi a quel che succede nel mondo, servono al contrario delle rassicurazioni, rispetto a una politica che salvi la sanità, che rimetta al centro la scuola, il problema della casa e del lavoro, che operi per un fisco più equo. Io noto che quando c’è da costruire, da pensare in positivo il Movimento non c’è, ancora latita, diventa forza evanescente. Se il Pd ha dei problemi oggi, M5s ne ha dieci volte di più. Se avessero buon senso, i leader del centrosinistra costituirebbero una comune squadra di lavoro che analizzi i problemi che riguardano tutti i cittadini. Ma non lo si fa.

Non è che per costruire l’alternativa al centrodestra serve anche una figura terza, come fu lei ai tempi dell’Ulivo?

Il problema è così complicato che ci vorrebbe una figura quarta, più che terza… Va detto che anche Calenda e Renzi ci mettono del loro: se una volta guardano a destra e un’altra a sinistra, questo non aiuta la composizione del quadro. Con l’Ulivo si cominciò a lavorare dal programma, nel 2006 fummo anche accusati di averlo fatto troppo lungo. D’altronde i partiti riformisti vivono sulle riforme, che vanno discusse prima. Se non c’è un processo di avvicinamento sui temi, le distanze alla fine restano.

Non c’è anche un problema generale di leadership, di Schlein e Conte?

Io registro solo che finora nessuno è riuscito ad avviare il percorso dei contenuti. Mi colpisce che un programma comune non sia stato neanche messo all’ordine del giorno. La gente attende un anno per un esame medico, nelle città non si trova casa e le persone soffrono per queste cose. Peraltro, sarebbe anche più facile farlo per il centrosinistra, dove ci sono meno legami con le categorie che hanno particolari interessi da tutelare.

Veniamo al caso Scurati, bloccato dalla Rai: rischiamo davvero un nuovo regime o c’è un eccesso di allarmi?

Intendiamoci: l’allarme serve a stare svegli, è la sua funzione. Scurati, poi, non è mica l’ultimo arrivato: il suo testo è perfetto anche se ovviamente qualcuno non riesce a condividerlo, ma non ha nulla di censurabile. C’è da stare preoccupati che abbia creato tutto questo scompiglio in Rai.

È stato un errore cancellarlo?

Ma gli errori non vengono mai per caso. Delle due l’una: o è stato un ordine dall’alto – cosa che non credo – o in quell’azienda è maturata un’attitudine più spiccata all’obbedienza. E questo mi preoccupa molto perché apre spazi a una dialettica impari. Insomma, è stato un evento gravido di pericoli.

Nella prossima Commissione Ue vede ancora un futuro per Ursula von der Leyen alla presidenza? E come valuta l’ipotesi Draghi?

Non faccio previsioni sui nomi. Penso che dalle urne verrà fuori comunque una maggioranza non troppo dissimile dall’attuale. Più che la guida, occorrerà lavorare sulla priorità che è una soltanto: costruire sempre più l’Europa, smettendola col diritto di veto affinché sia sempre più democratica. Occorre lavorare per una politica estera e di difesa comuni, capitoli essenziali anche per costruire quella capacità di mediazione che oggi manca all’Europa.

Eccoci alle due guerre. Non si registrano passi avanti verso una soluzione.

Sì, restano situazioni terribili. Continuo purtroppo a pensare che fino a dopo le elezioni Usa non si vedranno vie d’uscita. La politica estera è sempre frutto anche della politica interna e se poi arriva un elefante…

Si riferisce a Donald Trump?

Vedo che continua a dire, non si sa con quali argomenti, che lui farà la pace in Ucraina. Il conflitto a Gaza è poi, in particolare, un problema serissimo per l’amministrazione Usa. L’America gioca con un doppio pedale: critica Netanyahu e vota contro la nascita dello Stato palestinese. E peraltro nessuno si pone il problema di cosa può succedere dopo Netanyahu, che non è nemmeno classificabile come l’estrema destra in Israele. La società americana si trova divisa da tensioni nuove: i ragazzi delle università manifestano pro Palestina e i genitori degli studenti ebrei minacciano di ritirare i figli dalle stesse università. Il presidente Biden si trova attaccato da due mondi tradizionalmente vicini ai democratici: questo genera una politica estera ancora più oscillante. Così come mi preoccupa che le democrazie si trovino oggi in una situazione più complicata rispetto ai governi autoritari davanti a queste grandi questioni: come sapremo uscirne?

Il 9 maggio, giornata dell’Ue, sarà pubblicata una “Lettera sull’Europa” firmata congiuntamente dal cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, e da monsignor Mariano Crociata, presidente della Comece, l’organismo che raccoglie gli episcopati dell’Unione. Quale contributo si aspetta?

Non sono un cardinale e non so cosa scriveranno, però il loro compito è facilitato dal pensiero che l’Europa è stata creata da tre cattolici che più cattolici non si può: non solo De Gasperi, ma anche Schuman e Adenauer, tutti animati da un’etica comune. L’Europa è nata dal profondo richiamo alla pace che veniva soprattutto dal mondo cattolico. C’era una comunanza di pensiero, che è la stessa che ho poi ritrovato ad esempio nei miei primi colloqui con Helmut Kohl, quando ci ritrovammo, nonostante le diverse appartenenze politiche, a riflettere sulle comuni letture fatte di Romano Guardini, filosofo che sapeva cogliere i legami della vita spirituale con la realtà quotidiana. Essere il lievito nella società è essenziale in questa fase di sbandamento ideologico. E i vescovi possono interpretare al meglio questa missione.

avvenire.it

Il patriarca di Gerusalemme: «Costruire la pace partendo dai popoli»

Il cardinale richiama alla responsabilità internazionale e al ruolo delle comunità locali. Il porporato si era anche offerto in ostaggio in cambio della liberazione dei bambini israeliani
Il cardinale Pizzaballa

Il cardinale Pizzaballa – foto Marco Calvarese

I caccia che fanno rotta sulla “confrontation line” tra Israele e Libano, attraversano il cielo di una Gerusalemme che la guerra sta inesorabilmente cambiando. Le minacce da Nord, gli scontri in Cisgiordania, la campagna militare a Gaza. E’ il tempo del tutti contro tutti. Pochi sembrano guardare al presente tenendo conto di quali ricadute avrà sulle generazioni future.

Incontriamo nella Città Vecchia il cardinale Pierbattista Pizzaballa. Il Patriarca di Gerusalemme si concede alle domande di “Avvenire” e “Osservatore Romano”. Una intervista lunga, in equilibrio tra le emozioni e la razionalità che sono richieste ai leader nei momenti peggiori. Merce rara, da queste parti. E’ il giorno di guerra numero 200 quando nella sede del Patriarcato Latino il porporato ci riceve insieme a Roberto Cetera, l’inviato dell’ “Osservatore” in Terra Santa. Dalle finestre nella penombra del pomeriggio si osservano minareti, campanili, il “Muro del Pianto” caro agli ebrei. E le strade nascoste tutte in salita della Via Crucis.

«Vivo in questa che oramai è la mia terra da 34 anni. Ne abbiamo viste: guerre, intifade, scontri. Ma non ho dubbi: stiamo affrontando la prova più difficile. L’incertezza è quanto durerà ancora la guerra, e cosa succederà dopo, perché una cosa è sicura: nulla sarà più come prima». Il cardinale Pierbattista Pizzaballa si era anche offerto ad Hamas perché lo prendessero in ostaggio in cambio della liberazione dei bambini israeliani. Un gesto che nessuno ha dimenticato

La guerra cosa sta già cambiando?

Non penso solo alla politica. La guerra ci cambierà tutti. Per metabolizzarla ci vorranno tempi lunghi, che tuttavia qui sono l’ordinario. E la pazienza, nel bene e nel male, qui non manca mai. Altrimenti non si spiegherebbe una guerra che in varie forme dura comunque da 76 anni.

Gaza, le tensioni in Cisgiordania, l’intero quadrante Mediorientale in subbuglio, quante possibilità ha il dialogo?

È difficile e soprattutto faticoso. Il dolore tende spesso ad essere egoistico: “È il mio dolore che tu non puoi capire, è il mio dolore che comunque è sempre superiore al tuo”. La fatica allora consiste nel facilitare questo confronto inducendo ognuno a riconoscere il dolore dell’altro. Non lo dico per “buonismo” cristiano, ma perché non vedo alternative: si può uscire da questo dramma in un altro modo?

Perché ogni processo di pace, anche quando costruito dai leader, alla fine si infrange?

In questa terra nel passato qualcuno più coraggioso ha tentato la strada politica della pace. Ma sono sempre stati tentativi dall’alto verso il basso: accordi, negoziati, compromessi. Tutti miseramente falliti. Pensiamo agli accordi di Oslo, per esempio. È il momento di invertire la direzione e avviare un percorso dal basso verso l’alto. Ripeto: sarà faticoso ma non vedo altra strada.

Queste considerazioni ribaltano la lettura che si fa anche in Occidente?

Certamente. Perché fuori da questa terra si offre prevalentemente una lettura tutta polarizzante. Oltre che dannoso, è sciocco. Le ragioni del conflitto sono molto complesse, stratificate nei decenni. Anche in Occidente c’è bisogno di parlarsi, confrontarsi, documentarsi. Oltre ovviamente a pregare insistentemente per la pace.

Si dice che il Patriarca svolga anche una funzione di “relazione con e tra le istituzioni delle due parti”. In cosa consiste?

La Chiesa non svolge un ruolo di mediazione, non è nelle sue funzioni e competenze. La Chiesa può essere di “facilitazione”: facilitare il dialogo e il riconoscimento reciproco. E questo noi lo svolgiamo innanzitutto nella società, e tra le istituzioni in quanto espressioni delle società.

Quali notizie riceve dai rifugiati nella parrocchia di Gaza?

Lunedì sono arrivati due container carichi di cibo e finalmente nella parrocchia possono mangiare qualcosa di più sostanzioso. La situazione rimane difficile per l’equilibrio psicologico, che ovviamente vacilla dopo sei mesi di cattività nei locali della chiesa. Ma tutti loro sono coinvolti in un qualche lavoro per il bene di tutta la comunità, e questo è importante perché così sono distolti dal pensiero fisso sul loro stato attuale, dai pericoli che corrono, e dal ricordo di quelli che non ce l’hanno fatta. Che non sono solo quelli morti ammazzati da bombe e fucili, ma anche quanti non sono sopravvissuti alla mancanza di medicinali e cure.

Lei continua a viaggiare per la Terra Santa. Cosa chiede la gente che incontra?

Sono appena tornato dalla Galilea, da una visita pastorale a Jaffa di Nazareth, dove ho voluto incontrare anche i capi locali delle altre religioni. Ascoltare le loro ragioni non significa necessariamente condividerle. Ma è molto importante, perché se la gente vede che i leader tra di loro si parlano, è portata a fare lo stesso e a vincere le diffidenze. Oggi più che mai la prima forma di carità qui è l’ascolto.

Le religioni non di rado sono però adoperate come arma per perpetuare i contrasti.

È cominciata Pesach (la Pasqua ebraica, ndr), e da poco è terminato il Ramadan: le feste religiose sono un’occasione importante per riconoscersi e per dialogare. Non c’è bisogno di grandi discorsi: insieme consumare un pasto, bere qualcosa, per abbattere i muri che ci separano. Una cena insieme può fare più di un convegno o di un documento sul dialogo interreligioso.

Qui i cristiani sono circa il 3%. Ma le parole del Papa, del Patriarca, del Custode suscitano sempre interesse, anche critiche, ma in generale attenzione sia in Israele che in Palestina.

È vero. Io c’entro poco. Forse proprio il fatto di essere una piccola minoranza che non è arruolabile de facto in nessuno schieramento, ci consegna questo peso specifico superiore alle percentuali. E conta il nostro schierarci sempre e comunque con chi soffre, che fa breccia tra tutti quelli – e sono la maggioranza – che indipendentemente dal credo religioso, si ispirano ai valori dell’umanesimo. E poi c’è Papa Francesco.

In altre parole?

Gli interventi del Papa in questa guerra hanno avuto un grande peso. Anche quando la sua parola è stata oggetto di critiche da entrambi gli schieramenti, anzi forse proprio quando è stata oggetto di critiche, si è manifestata la sua autorevolezza. I ripetuti moniti al rilascio degli ostaggi e per un immediato cessate il fuoco nella Striscia sono entrati di peso nella storia di questa guerra. Oggi in tanti invocano un cessate il fuoco, ma a novembre lo reclamava soltanto la voce solitaria e coraggiosa di papa Francesco.

Cosa le dice il Papa durante i vostri colloqui?

Sono un bergamasco di poche parole, ma sento di doverlo ringraziare dal profondo del cuore, e per la fiducia che mi ha voluto esprimere. Non solo i cristiani di Gaza ma anche il Patriarca ha beneficiato della fattiva presenza del Papa. Non è solo una vicinanza di parole e di affetti quella che papa Francesco ha voluto far giungere alle nostre comunità, ma anche di aiuti concreti che ci sono giunti direttamente e con le visite dei cardinali Krajewski, Filoni e nei giorni scorsi Dolan.

Quali sono stati i suoi momenti più difficili in questi 200 giorni?

Sicuramente i primi. Eravamo scioccati, non riuscivo a mettere a fuoco quale dovesse essere il mio impegno prioritario, perché all’inizio non riuscivamo a capire neanche quale fosse la vera portata degli accadimenti, quale tragedia immane avessimo di fronte. E poi sicuramente i giorni del Natale. La privazione della gioia natalizia, della festa del Cristo che nasce per portare la pace, per i nostri cristiani è stata terribile. Specie per i piccoli. Le immagini della desolazione di Betlemme a Natale non si scorderanno facilmente negli anni a venire. Non rinnego nulla di quello che è stato fatto. Anche gli errori fanno parte della realtà In una vicenda così complessa non puoi non fare errori. Ma penso di poter rivendicare che la nostra posizione sia sempre stata molto chiara, trasparente ed onesta.

Ha scontato momenti di solitudine nel corso di questi mesi?

La preghiera è un grande sollievo alla solitudine perché ti fa sentire la permanente presenza del Signore. Però sarei insincero se lo negassi. Certo, la solitudine è ineliminabile quando hai delle responsabilità, e quando queste sono così gravi da ricadere anche sulla vita della gente che ti è attorno e a cui vuoi bene. Però la solitudine ha anche un vantaggio: quello di preservarti una posizione di libertà. Godo del dono dell’amicizia di molti, ma un certo distacco mi consente di non lasciarmi influenzare anche emotivamente nelle mie decisioni. Anche in questo caso è uno stile che ho mutuato dagli insegnamenti di san Francesco.

Vale anche per i cristiani?

Questo vale per tutti, anche per noi. Dobbiamo ripensare come si abita questa terra da cristiani. Sicuramente da testimoni della storia e della “Geografia della Salvezza”. Ma c’è anche qualcosa di più da comprendere, perché essere cristiani è innanzitutto uno stile di vita. Improntato al Vangelo.

E la Chiesa che lei guida?

Anche noi abbiamo un grande bisogno di parlarci. Ci sono state dopo il 7 ottobre, e ci sono ancora, sensibilità diverse. Anche radicalmente diverse. E non penso che ora sia il momento di portarle a sintesi. E’ il momento di ascoltarle. E di parlarne anche all’interno delle diverse sensibilità e posizioni che sono emerse. Ognuno deve analizzare con sincerità e coraggio la consistenza delle proprie posizioni. E quali sono stati i processi mentali che le hanno indotte. Per fare questo ci vuole coraggio. Il coraggio di ammettere che anche noi siamo cambiati. E capire il come e il perché. E’ un processo che può avvenire – come ci insegna san Francesco- solo attraverso una decisa apertura della mente e del cuore. La mente da sola non basta. E il cuore da solo non basta. E’ solo in una sincera relazione con l’altro che possiamo definirci al meglio e in verità.

A cominciare dal Patriarca?

E’ un processo ovviamente che mi riguarda anche personalmente. Nessuno può avere la presunzione di rimanere lo stesso. In questo senso credo che abbiamo bisogno anche di rivedere un po’ la narrativa cristiana che, come dicevo, può rinascere solo dalla coscienza di cos’è realmente costitutivo della nostra identità, partendo sempre dalla realtà, dall’esperienza concreta, dalla realtà della nostra fede. Che in quintessenza è la speranza che si fonda sull’esperienza della Resurrezione. Possiamo poi definire la costituzione della nostra identità anche guardando alla nostra ricca storia passata.

In che modo?

Nel passato la nostra presenza si è realizzata nella costruzione di chiese, di scuole, di ospedali. Oggi non siamo più chiamati a costruire strutture, ma relazioni. Relazioni con gli “altri” da noi, nella consapevolezza di essere i loro “altri”. Questo con riguardo alle altre religioni, ma anche in relazione alla ricca diversità della composizione della comunità cattolica di Terra Santa, tenendo presente il carattere arabo-cristiano come elemento insostituibile.

E per i cristiani di terra Santa cosa significa?

Se penso in particolare ai cristiani di Gaza. Il sollievo che gli hanno arrecato le telefonate pressoché quotidiane del Papa è stato enorme, ed ha significato molto anche per quelli che fuori di Gaza seguivano e seguono con ansia la loro sorte. E’ commovente il coraggio e la dedizione, in modo particolare delle tre suore di Madre Teresa che non hanno mai smesso di occuparsi dei bambini disabili. Spero che presto ci sia consentito di raggiungere questi nostri fratelli e sorelle e portargli di persona gli aiuti che necessitano.

Anche lei si sente cambiato?

Sicuramente. Sento per esempio molto più che in passato la necessità dell’ascolto. Saper leggere i tempi alla luce del Vangelo è il compito prioritario di un pastore. E questo si può fare solo tramite un ascolto pieno. Sento che la mia gente, e non solo loro, esprime un grande bisogno di ascolto. Ognuno ha una sua narrazione, un suo dolore, una sua sofferenza, che lamenta non essere abbastanza ascoltata, compresa, confortata. Oggi più che mai la prima forma di carità qui è l’ascolto.

La guerra prima o poi dovrà finire. Mentre pensate a come contribuire perché le armi tacciano, come immagina il dopo a Gaza, in Palestina e Israele?

Il dopo sarà difficile, durissimo. Intanto spero che chi è uscito da Gaza possa e voglia ritornare. Ricostruire Gaza richiederà decenni. Non c’è più niente: case, strade, infrastrutture. Occorrerà un enorme sforzo internazionale. Non è immaginabile che la gente dorma in una tenda per anni. Ma credo che, più in generale, tutto dovrà essere rifondato non solo lì, anche in Palestina e in Israele.

In che modo?

Occorre mettere un punto alla storia. E ricominciare tutto daccapo e su basi nuove, diverse dal passato. Intanto penso che tutto quello che è successo in questi sei mesi abbia mostrato in modo evidente l’ineluttabilità della soluzione dei “due stati”. Non c’è alternativa ai “due stati” che non sia il permanere della guerra. Ma i due stati devono cambiarsi dal di dentro. Le due società -che pure negli ultimi anni sono cambiate radicalmente e rapidamente, devono avere il coraggio di ripensarsi. Non sarà facile perché entrambe si presentano con un alto grado di eterogeneità al loro interno, sono poliedriche. Occorre che entrambe le popolazioni si dotino di un nuovo orizzonte di valori, perché non può perpetuarsi l’idea che l’unico collante sociale, per entrambe, sia il difendersi dal “nemico”. Se non lo fanno comprometteranno seriamente il loro futuro.

Servirà una spinta della comunità e delle opinioni pubbliche internazionali?

In tutto il mondo non tira una buona aria, in molti Paesi si vede una parcellizzazione degli interessi, una crescita dell’egoismo sociale, un delirio di potenza e sopraffazione che genera conflitti. Sicuramente questo non aiuta. Mi si accusi pure di partigianeria, ma in senso opposto oggi sento solo la voce di Papa Francesco.

avvenire.it

Liturgia V DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)

Grado della Celebrazione: DOMENICA
Colore liturgico: Bianco

Scarica il foglietto della Messa >
Scarica le Letture del Lezionario >
Scarica il Salmo Responsoriale Cantato >

Nei discorsi di addio del Vangelo secondo san Giovanni (capitoli 13-17) l’evangelista prende spunto dalle parole di Gesù per riflettere, con il carisma che gli è proprio, sulla vita dei credenti dal tempo dell’Ascensione al ritorno del Signore. Egli si riconosce talmente legato al Signore attraverso lo Spirito di Dio che parla ai suoi ascoltatori e ai suoi lettori usando l’“io” di Cristo. Per mezzo della sua voce, il Signore rivela a coloro che credono in lui qual è la loro situazione, ordinando loro di agire in modo giusto.
È durante la festa liturgica delle domeniche che vanno da Pasqua alla Pentecoste che la Chiesa propone alla lettura questi discorsi, per mostrare ai credenti cos’è infine importante per la loro vita. Attraverso un paragone, il Signore ci rivela oggi che tutti quelli che gli sono legati mediante la fede vivono in vera simbiosi. Come i tralci della vite, che sono generati e nutriti dalla vite stessa, noi cristiani siamo legati in modo vitale a Gesù Cristo nella comunità della Chiesa. Vi sono molte condizioni perché la forza vitale e la grazia di Cristo possano portare i loro frutti nella nostra vita: ogni tralcio deve essere liberato dai germogli superflui, deve essere sano e reagire in simbiosi fertile con la vite.
Per mezzo del battesimo, Cristo ci ha accolti nella sua comunità. E noi siamo stati liberati dai nostri peccati dalla parola sacramentale di Cristo. La grazia di Cristo non può agire in noi che nella misura in cui noi la lasciamo agire. La Provvidenza divina veglierà su di noi e si prenderà cura di noi se saremo pronti. Ma noi non daremo molti frutti se non restando attaccati alla vite per tutta la vita. Cioè: se viviamo coscienziosamente la nostra vita come membri della Chiesa di Cristo. Poiché, agli occhi di Dio, ha valore duraturo solo ciò che è compiuto in seno alla comunità, con Gesù Cristo e nel suo Spirito: “Senza di me non potete far nulla”. Chi l’ha riconosciuto, può pregare Dio di aiutarlo affinché la sua vita sia veramente fertile nella fede e nell’amore.

A Exposanità presentato uno studio della Medicina dello Sport di Reggio sul progetto ‘All Inclusive Sport’

Medicina dello sport di Reggio Emilia presenta studio su All Inclusive sport

Exposanità, una ricerca qualitativa dell’Ausl IRCCS di Reggio Emilia in collaborazione con UNIMORE e il progetto “All Inclusive Sport” del Centro di Servizio per il Volontariato (CSV) Emilia su Inclusione sportiva e atleti con disabilità è stata presentata all’evento in corso in questi giorni a Bologna.

A presentarla la dottoressa Michela Compiani, terapista occupazionale della Medicina dello Sport diretta dal dottor Gianni Zobbi, che ha spiegato i risultati dello studio qualitativo. Il lavoro, condotto dalle unità operative della Medicina dello Sport e Prevenzione Cardiovascolare e di Ricerca Qualitativa dell’Ausl, in collaborazione con il corso di laurea in Terapia Occupazionale dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, ha preso in esame le percezioni dei partecipanti a “All Inclusive Sport” progetto reggiano per l’inclusione della disabilità tramite lo sport. Sono state condotte interviste semi-strutturate audio registrate e trascritte, su un campione di 32 persone composte da genitori e figli con disabilità indagando quali siano i facilitatori e quali le barriere all’inclusione sportiva degli atleti con disabilità. All Inclusive Sport è coordinato dal CSV e realizzato grazie alla collaborazione di alcune realtà locali, tra le quali la Medicina dello Sport dell’AUSL di Reggio Emilia e Reggio Emilia Città Senza Barriere.

Nell’ambito della 23esima edizione di Exposanità, la manifestazione nazionale dedicata alle professioni sanitarie e socio-sanitarie, che quest’anno si concentra sull’importanza delle risorse umane e sulla valorizzazione delle competenze come strumento chiave per assicurare qualità e tenuta del Servizio sanitario nazionale, circa cinquanta addetti ai lavori hanno ascoltato l’esposizione di Compiani. Il progetto, tra i pochi nel suo genere nel panorama nazionale, ha incuriosito molto i presenti che hanno applaudito, fatto numerose domande e mostrato apprezzamento. Un meritato successo per il progetto che nell’annata sportiva 2023/24 ha garantito a circa 200 bambini e ragazzi con disabilità la possibilità di vivere un’esperienza all’interno di un’associazione sportiva locale, praticando già la propria disciplina preferita fra oltre 3.000 compagni senza disabilità.

I risultati dello studio evidenziano quanto l’importanza della pratica sportiva con i coetanei rappresenti un confronto positivo per gli atleti con disabilità, per migliorarsi a livello fisico e prestazionale, ma emergono anche aspettative sociali mancate: non sempre sport significa nuove amicizie. Altro aspetto fondamentale che emerge è l’importanza della gratuità di All Inclusive Sport poiché non c’è nessuna barriera economica all’ingresso. Il bambino/ragazzo con disabilità è un atleta iscritto come tutti gli altri, dal primo giorno. Inoltre l’importanza della figura del supertutor, che fornisce un orientamento iniziale alle discipline e garantendo supervisione costante sul percorso sportivo offre ai ragazzi con disabilità la possibilità di scegliere, di provare e di cambiare sport con una guida. Una figura che i bambini senza disabilità non hanno al proprio fianco. Si evince poi l’importanza del tutor, nella metà dei casi (116 su 223) a fianco dell’atleta con disabilità in ogni allenamento. Il tutor dedicato favorisce l’autostima dell’atleta, la consapevolezza dei suoi limiti e delle sue capacità/ potenzialità e facilita l’inclusione, le relazioni con gli allenatori e i compagni. I genitori intervistati hanno sottolineato l’importanza della formazione specifica dei tutor e la loro continuità nell’affiancamento al proprio figlio con disabilità. Infine dallo studio si desume la necessità di un maggiore impatto sul contesto: il rapporto con gli allenatori e la loro preparazione sull’inclusione sono giudicati a volte insoddisfacenti. Il sistema sportivo e i regolamenti delle Federazioni Sportive a volte limitano la partecipazione degli atleti con disabilità alle partite e quindi alla vita della squadra. I genitori intervistati hanno evidenziato la necessità di una maggiore comunicazione di All Inclusive Sport e dei soggetti pubblici/privati che collaborano al progetto.

stampareggiana.it

Reggio Emilia, invecchiare…con arte: se ne parla al ‘Martedì della LUC’

REGGIO EMILIA – Se la prevenzione, se l’alimentazione consapevole sono fondamentali per favorire e migliorare la salute e il benessere psicofisico delle persone, c’è un altro ambito – quello delle arti e della cultura –  che concorre a migliorare la salute e il benessere, come ormai rilevano le sempre più numerose evidenze scientifiche. Sarà il tema del terzo appuntamento, martedì  23 aprile in aula magna Manodori a Palazzo Dossetti, del ciclo su Cultura Salute e benessere promosso dalla LUC, in collaborazione con Unimore e Farmacie Comunali Riunite. Relatrice la sociologa Elisabetta Donati, docente di sociologia presso l’Università degli Studi di Torino che si occupa, tra i molti ambiti di ricerca, del fenomeno dell’invecchiamento e della cultura della longevità, affiancata da Sara Uboldi, ricercatrice di Unimore e del CNR, che si occupa della relazione virtuosa tra cultura, salute e benessere, in particolare sulle persone fragili.

Esiste ormai una solida base di conoscenze ed evidenze del contributo della cultura, delle arti e della danza nell’ambito della prevenzione delle malattie e della promozione della salute e del benessere per tutti, e della capacità di generare / rigenerare una coesione sociale, messa ancora più in crisi in questi anni dal trauma post-pandemico. In una società, poi, in cui è sempre maggiore e generalizzata la longevità delle persone, con la conseguente mutazione della struttura demografica, sociale ed economica, diventa ancora più rilevante il tema della promozione della salute per migliorare la qualità della vita man mano che le persone invecchiano, trasformando l’invecchiamento da passivo in attivo. Come? Offrendo delle opportunità di partecipazione a esperienze creative, a percorsi di apprendimento continuo, a forme di volontariato culturale e sociale …, ma prima di tutto adottando un modello mentale per rimuovere ostacoli e pregiudizi nei confronti dell’età anziana e per ripensare a tutte le età in una prospettiva multigenerazionale.

“Invecchiare Con ….Arte” è il titolo dell’intervento di Elisabetta Donati che, martedì 23 aprile,  proporrà riflessioni sulla cultura della longevità, a partire da due esperienze culturali realizzate dalla Fondazione Ravasi Garzanti di Milano, di cui è segretaria scientifica,  in partnership con due importanti istituzioni culturali: la rassegna teatrale “La grande età” avviata nel 2022 con il Teatro Franco Parenti di Milano e l’articolato progetto  “OverDance” della Fondazione Nazionale  della Danza Aterballetto di Reggio Emilia, in cui è coinvolta anche la LUC con due laboratori per non danzatori over 50/60, “Alla ricerca del gesto perduto”, condotti dal coreografo Arturo Cannistrà, fin dal 2018. Su questa esperienza, in particolare, interverrà Sara Uboldi , che ha seguito  questi laboratori per valutare e misurare l’ impatto sociale sul gruppo delle partecipanti, attraverso un approccio multidisciplinare, qualitativo e computazionale. Nel corso dell’incontro saranno proiettati anche filmati di queste interessanti esperienze.

23 aprile – aula magna Manodori a Palazzo Dossetti – ore 17,30. L’ingresso è libero

stampareggiana.it

Taneto di Gattatico, inaugurata la scuola elementare Idro Artioli dopo i lavori di ristrutturazione

TANETO DI GATTATICO (Reggio Emilia ) – Mattinata di festa per la comunità di Taneto e, per esteso, di tutto il comune di Gattatico. L’amministrazione comunale ha restituito alla comunità scolastica un edificio completamente ristrutturato e funzionale, per quanto riguarda l’adeguamento sismico che, a detta dell’assessore all’urbanistica Carmelo Dipietro, garantirà uno svolgimento delle lezioni e delle attività didattiche, in sicurezza, per i prossimi 50/60 anni.

Numerosa la partecipazione della cittadina insieme al deputato reggiano Andrea Rossi ha speso qualche minuto per ribadire l’impegno del Partito Democratico, in Parlamento, per salvaguardare e tutelare tutto quello che riguarda i servizi per l’individuo. Anche l’assessora alla scuola Giulia Gatti è intervenuta per ribadire l’importanza della partecipazione collettiva e dello sforzo fatto dalle famiglie durante questo anno scolastico.

Entrando nello specifico di quello che sono stati i lavori dentro e fuori il plesso scolastico, l’edificio è stato diviso in quattro zone: complesso scuola, complesso palestra, complesso spogliatoi calcio e complesso ingresso-atrio-locali caldaia e secondo piano. Ogni intervento è stato pensato e realizzato sulla singola zona. Il bando di gara prevedeva l’intervento su: nuove pareti, scala, carpenterie metalliche e sistema di dissipazione, pareti divisorie e tracciamenti, pavimenti, controsoffitti e bagni. Le migliorie offerte in gara hanno interessato: pavimentazione esterna, tinteggio dei setti, tinteggio tralicci di collegamento tra i setti, ringhiere in lamiera microforate e verniciate della scala, rifacimento completo della pavimentazione sportiva della palestra, tinteggio interno delle pareti dell’intera scuola e della palestra. La palestra e i relativi servizi verranno terminati entro il 15/06. Il costo complessivo dell’intervento di ristrutturazione è stato di 2.050.000 euro, di cui 1.7 milioni finanziati con fondi PNRR.

In aggiunta ai lavori sopra citati in gara d’appalto, sono rimasti da completare alcuni aspetti dell’edificio e di essi se ne occuperà il comune. All’interno di queste migliorie, è prevista la sostituzione di tutti i serramenti esterni con altri ecogreen, la sostituzione delle porte d’ingresso delle aule. Inoltre, l’area esterna a nord verrà recintata e contemporaneamente realizzato una passerella pedonale per l’uscita in sicurezza degli studenti.

stampareggiana.it

Il vento sferza la provincia di Reggio Emilia, alberi caduti e disagi

stampareggiana.it

REGGIO EMILIA – Vigili del fuoco al lavoro per le conseguenze del forte vento che nel pomeriggio di sabato ha sferzato la provincia. In particolare nella zona della Bassa reggiana sono stati una ventina gli interventi che hanno visti impegnati gli operatori per alberi pericolanti o caduti sulla sede stradale. Dalle 15,30 le raffiche hanno causato disagi e caduta di piante nei comuni di Novellara, Campegine, Sant’Ilario, Poviglio, Castelnuovo di Sotto, ma anche in città.

Domenica si gioca gara 2 di Coppa Italia al Bigi, per Reggio è dentro o fuori

Domenica si torna al Bigi per disputare Gara 2 degli ottavi di finale di Coppa Italia: il match contro la Consoli Sferc Brescia andrà in scena alle 18:00.

Per acquistare i biglietti basterà andare sul sito www.liveticket.it/volleytricolore; si ricorda che valgono le stesse promozioni sui biglietti della Regular Season, gli abbonati dovranno comunque pagare il biglietto: i possessori dell’abbonamento intero, presentandolo in cassa, pagheranno 6€, mentre i possessori dell’abbonamento ridotto, presentandolo in cassa, pagheranno 4€.

Ancora una domenica all’insegna dello sport al PalaBigi, che prima di ospitare l’importantissima partita di Coppa Italia, che per Reggio significa dentro o fuori, vedrà il derby Under13 Pieve Tricolore contro Under15 Pieve Tricolore alle ore 14:00, proprio sul taraflex.

Se Reggio Emilia vorrà continuare nella serie dovrà per forza vincere per portare Brescia a Gara 3 e giocarsi il tutto per tutto al centro sportivo San Filippo; nel frattempo si è ufficializzato il tabellone dei quarti di finale: Cantù è avanti 1-0 nella serie contro Santa Croce, la vincente affronterà Grottazzolina, Prata di Pordenone arriva da un 3-0 con Aversa, chi vincerà delle due la serie si scontrerà con Ravenna, anche Cuneo ottiene un 3-0 contro Pineto e chi uscirà vincente sfiderà Porto Viro.

Nel frattempo i play off Serie A2 promozione proseguono con l’eliminazione di Porto Viro e Ravenna dalla semifinale, concedendo la sfida finale a Siena e Grottazzolina, che hanno dominato la regular Season piazzandosi rispettivamente terza e prima.

Tommaso Zagni, secondo allenatore di Reggio Emilia, commenta il match alle porte: “Domenica cercheremo di dare il tutto per tutto davanti al nostro pubblico. I ragazzi anche questa settimana si sono impegnati nel lavoro quotidiano sia tattico che tecnico e siamo soddisfatti come staff, perché stanno dimostrando fino all’ultimo la loro serietà ed il loro attaccamento alla maglia.

Dall’altra parte sappiamo bene che c’è una squadra preparata con valori tecnici alti e atleti di categoria superiore, ma noi cercheremo di fare una bella figura per i nostri tifosi, per gli sponsor, per la società e per noi stessi, dimostrando le nostre qualità; sappiamo bene che la palla è rotonda e quindi si vedrà domenica se riusciremo ad accaparrarci gara tre”.

volleytricolore.it