“El Pastor”, il libro dei giornalisti Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, in uscita in questi giorni in Argentina

Il libro di Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, frutto di varie conversazioni con il Papa nel corso dei suoi dieci anni di pontificato
Dalla politica all’economia, dalle riforme nella Curia romana alle minacce alla “casa comune”. Spazio anche ad alcuni aspetti personali, riguardo ad un viaggio in Argentina Francesco afferma che “è ingiusto dire che non voglio andare”
Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Da “El jesuita”, scritto nel 2010, a “Il Pastor”, volume in uscita in Argentina. Francesca Ambrogetti, ex responsabile dell’Ansa nel Paese sudamericano, e Sergio Rubin, del quotidiano El Clarin, tornano sulla figura di Jorge Mario Bergoglio. Nel primo libro avevano raccolto il pensiero del cardinale arcivescovo di Buenos Aires, in questo secondo l’approccio riguarda il magistero di Papa Francesco: le sfide affrontate nei dieci anni di Pontificato e le prospettive future come “rivitalizzare l’annuncio del Vangelo, – afferma il Pontefice – ridurre il centralismo vaticano, bandire la pedofilia…e combattere la corruzione economica”. Un programma di governo, sottolinea, che “è quello di eseguire quanto dichiarato dai cardinali nelle congregazioni generali alla vigilia del conclave”.

Diciannove capitoli in 346 pagine divise in un prologo firmato dal Papa nel quale, scrive, “devo riconoscere una virtù a Francesca e Sergio: la loro perseveranza”. I giornalisti offrono un’analisi del magistero attraverso periodiche interviste condotte nell’arco di 10 anni. Molti i temi affrontati: dalle questioni relative agli immigrati, la difesa della vita, l’impatto delle riforme della Curia romana, gli abusi sui minori. Su questo punto Francesco sottolinea che il suo pontificato “sarà valutato in gran parte da come ha affrontato questo flagello”. Poi il matrimonio e la famiglia, la “casa comune” minacciata, il “genio femminile”, il “carrierismo” nella Chiesa. Sull’omosessualità, sottolinea che “coloro che hanno subito un rifiuto da parte della Chiesa, vorrei far sapere che si tratta di persone nella Chiesa”.

Il Vangelo per convertire una mentalità
La politica è uno dei temi centrali. “Sì, faccio politica – risponde il Papa – perché tutti devono fare politica. E cos’è la politica? Uno stile di vita per la polis, per la città. Quello che non faccio io, né dovrebbe fare la Chiesa, è la politica dei partiti. Ma il Vangelo ha una dimensione politica, che è quella di trasformare la mentalità sociale, anche religiosa, delle persone” perché sia indirizzata al bene comune. Altro tema forte riguarda l’economia, Francesco ribadisce che il faro da seguire è la Dottrina sociale della Chiesa, che la sua non è una condanna al capitalismo ma è necessario, come indicava Giovanni Paolo II, seguire una “economia sociale di mercato”. Oggi, aggiunge, prevale la finanza e la ricchezza è sempre meno partecipativa. “Quello su cui possiamo essere tutti d’accordo è che la concentrazione della ricchezza e la disuguaglianza sono aumentate. E che ci sono molte persone che muoiono di fame”.

Chiarezza nelle finanze vaticane
Francesco si sofferma poi sulle vicende economiche vaticane, difendendo la buona fede della “stragrande maggioranza” dei membri della Chiesa, “ma non si può negare – afferma – che alcuni ecclesiastici e tanti, direi, falsi ‘amici’ laici della Chiesa abbiano contribuito ad appropriarsi indebitamente del patrimonio mobile e immobile, non del Vaticano, ma dei fedeli”. Riferendosi poi alla vicenda dell’immobile di Londra, sottolinea che proprio in Vaticano si è rilevato “l’acquisto sospetto”. “Io mi sono rallegrato – dice il Papa – perché significa che oggi l’amministrazione vaticana ha le risorse per fare chiarezza sulle cose brutte che accadono all’interno”. Sui rapporti Stato-Chiesa, poi, afferma di difendere “la laicità dello Stato, non il laicismo che, ad esempio, non ammette immagini religiose negli spazi pubblici”.

Pronto ad andare in Cina
Riguardo l’Argentina, il Papa sottolinea che “sono un luogo comune” le accuse di peronismo, invita i sindacati a difendere la dignità dei lavoratori e i loro diritti. Inoltre sostiene che la sua intenzione di recarsi nel Paese “rimane valida”. “È ingiusto dire che non voglio andare”. Riguardo l’accordo tra Santa Sede e Cina, il Papa afferma di conoscere i problemi e le sofferenze, mostrandosi disposto ad andare nel Paese asiatico: “Domani stesso, se fosse possibile!”.

La Chiesa non è una mamma “per corrispondenza”
Il Papa infine confessa di aver avuto crisi di fede, superate con l’aiuto di Dio. “In ogni caso – aggiunge una fede che non ci mette in crisi è una fede in crisi. Così come una fede che non ci fa crescere è una fede che deve crescere”. Sulla Chiesa del futuro spiega che la vicinanza è la chiave di tutto. La Chiesa è madre, e io non conosco nessuna mamma ‘per corrispondenza’. La madre dà affetto, tocca, bacia, ama. Quando la Chiesa non è vicina ai suoi figli perché è impegnata in mille cose o comunica con loro attraverso i documenti, è come se una madre comunicasse con i suoi figli per lettera”.
vatican news

Giornata Mondiale del Malato

Pubblichiamo il testo integrale del messaggio di Papa Francesco per la 31a Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio 2023). Nei prossimi numeri de La Libertà daremo spazio alle iniziative in diocesi.

Cari fratelli e sorelle!
La malattia fa parte della nostra esperienza umana. Ma essa può diventare disumana se è vissuta nell’isolamento e nell’abbandono, se non è accompagnata dalla cura e dalla compassione. Quando si cammina insieme, è normale che qualcuno si senta male, debba fermarsi per la stanchezza o per qualche incidente di percorso. È lì, in quei momenti, che si vede come stiamo camminando: se è veramente un camminare insieme, o se si sta sulla stessa strada ma ciascuno per conto proprio, badando ai propri interessi e lasciando che gli altri “si arrangino”. Perciò, in questa XXXI Giornata Mondiale del Malato, nel pieno di un percorso sinodale, vi invito a riflettere sul fatto che proprio attraverso l’esperienza della fragilità e della malattia possiamo imparare a camminare insieme secondo lo stile di Dio, che è vicinanza, compassione e tenerezza.

Nel Libro del profeta Ezechiele, in un grande oracolo che costituisce uno dei punti culminanti di tutta la Rivelazione, il Signore parla così: “Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, […] le pascerò con giustizia” (34,15-16). L’esperienza dello smarrimento, della malattia e della debolezza fanno naturalmente parte del nostro cammino: non ci escludono dal popolo di Dio, anzi, ci portano al centro dell’attenzione del Signore, che è Padre e non vuole perdere per strada nemmeno uno dei suoi figli. Si tratta dunque di imparare da Lui, per essere davvero una comunità che cammina insieme, capace di non lasciarsi contagiare dalla cultura dello scarto.

L’Enciclica Fratelli tutti, come sapete, propone una lettura attualizzata della parabola del Buon Samaritano. L’ho scelta come cardine, come punto di svolta, per poter uscire dalle “ombre di un mondo chiuso” e “pensare e generare un mondo aperto” (cfr n. 56). C’è infatti una connessione profonda tra questa parabola di Gesù e i molti modi in cui oggi la fraternità è negata. In particolare, il fatto che la persona malmenata e derubata viene abbandonata lungo la strada, rappresenta la condizione in cui sono lasciati troppi nostri fratelli e sorelle nel momento in cui hanno più bisogno di aiuto. Distinguere quali assalti alla vita e alla sua dignità provengano da cause naturali e quali invece siano causati da ingiustizie e violenze non è facile. In realtà, il livello delle disuguaglianze e il prevalere degli interessi di pochi incidono ormai su ogni ambiente umano in modo tale, che risulta difficile considerare “naturale” qualunque esperienza. Ogni sofferenza si realizza in una “cultura” e fra le sue contraddizioni.

Ciò che qui importa, però, è riconoscere la condizione di solitudine, di abbandono. Si tratta di un’atrocità che può essere superata prima di qualsiasi altra ingiustizia, perché – come racconta la parabola – a eliminarla basta un attimo di attenzione, il movimento interiore della compassione. Due passanti, considerati religiosi, vedono il ferito e non si fermano. Il terzo, invece, un samaritano, uno che è oggetto di disprezzo, è mosso a compassione e si prende cura di quell’estraneo lungo la strada, trattandolo da fratello. Così facendo, senza nemmeno pensarci, cambia le cose, genera un mondo più fraterno.

Fratelli, sorelle, non siamo mai pronti per la malattia. E spesso nemmeno per ammettere l’avanzare dell’età. Temiamo la vulnerabilità e la pervasiva cultura del mercato ci spinge a negarla. Per la fragilità non c’è spazio. E così il male, quando irrompe e ci assale, ci lascia a terra tramortiti. Può accadere, allora, che gli altri ci abbandonino, o che paia a noi di doverli abbandonare, per non sentirci un peso nei loro confronti. Così inizia la solitudine, e ci avvelena il senso amaro di un’ingiustizia per cui sembra chiudersi anche il Cielo. Fatichiamo infatti a rimanere in pace con Dio, quando si rovina il rapporto con gli altri e con noi stessi. Ecco perché è così importante, anche riguardo alla malattia, che la Chiesa intera si misuri con l’esempio evangelico del buon samaritano, per diventare un valido “ospedale da campo”: la sua missione, infatti, particolarmente nelle circostanze storiche che attraversiamo, si esprime nell’esercizio della cura. Tutti siamo fragili e vulnerabili; tutti abbiamo bisogno di quell’attenzione compassionevole che sa fermarsi, avvicinarsi, curare e sollevare. La condizione degli infermi è quindi un appello che interrompe l’indifferenza e frena il passo di chi avanza come se non avesse sorelle e fratelli.

La Giornata Mondiale del Malato, in effetti, non invita soltanto alla preghiera e alla prossimità verso i sofferenti; essa, nello stesso tempo, mira a sensibilizzare il popolo di Dio, le istituzioni sanitarie e la società civile a un nuovo modo di avanzare insieme. La profezia di Ezechiele citata all’inizio contiene un giudizio molto duro sulle priorità di coloro che esercitano sul popolo un potere economico, culturale e di governo: “Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso forti le pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza” (34,3-4). La Parola di Dio è sempre illuminante e contemporanea. Non solo nella denuncia, ma anche nella proposta. La conclusione della parabola del Buon Samaritano, infatti, ci suggerisce come l’esercizio della fraternità, iniziato da un incontro a tu per tu, si possa allargare a una cura organizzata. La locanda, l’albergatore, il denaro, la promessa di tenersi informati a vicenda (cfr Lc 10,34-35): tutto questo fa pensare al ministero di sacerdoti, al lavoro di operatori sanitari e sociali, all’impegno di familiari e volontari grazie ai quali ogni giorno, in ogni parte di mondo, il bene si oppone al male.

Gli anni della pandemia hanno aumentato il nostro senso di gratitudine per chi opera ogni giorno per la salute e la ricerca. Ma da una così grande tragedia collettiva non basta uscire onorando degli eroi. Il Covid-19 ha messo a dura prova questa grande rete di competenze e di solidarietà e ha mostrato i limiti strutturali dei sistemi di welfare esistenti. Occorre pertanto che alla gratitudine corrisponda il ricercare attivamente, in ogni Paese, le strategie e le risorse perché ad ogni essere umano sia garantito l’accesso alle cure e il diritto fondamentale alla salute.

“Abbi cura di lui” (Lc 10,35) è la raccomandazione del Samaritano all’albergatore. Gesù la rilancia anche ad ognuno di noi, e alla fine ci esorta: “Va’ e anche tu fa’ così”. Come ho sottolineato in Fratelli tutti, “la parabola ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune” (n. 67). Infatti, “siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore. Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile” (n. 68).

Anche l’11 febbraio 2023, guardiamo al Santuario di Lourdes come a una profezia, una lezione affidata alla Chiesa nel cuore della modernità. Non vale solo ciò che funziona e non conta solo chi produce. Le persone malate sono al centro del popolo di Dio, che avanza insieme a loro come profezia di un’umanità in cui ciascuno è prezioso e nessuno è da scartare.
All’intercessione di Maria, Salute degli infermi, affido ognuno di voi, che siete malati; voi che ve ne prendete cura in famiglia, con il lavoro, la ricerca e il volontariato; e voi che vi impegnate a tessere legami personali, ecclesiali e civili di fraternità. A tutti invio di cuore la mia benedizione apostolica.

Francesco

laliberta.info

Una lettera speciale dal Vaticano: Papa Francesco scrive a Reggio Ricama

Il Pontefice ha ringraziato le volontarie del circolo reggiano per le tovaglie donate alla Basilica Vaticana e ha benedetto i nuovi corsi per le donne non italiane a lui intitolati

REGGIO EMILIA – Una emozionante sorpresa per Reggio Ricama e le sue volontarie, che hanno ricevuto una lettera di ringraziamento firmata da Papa Francesco. Il motivo? Non solo le tovaglie donate nel tempo al Pontefice, e già oggetto di sentiti abbracci di ringraziamento, ma anche l’aver indetto quattro borse di studio – intitolate proprio al Papa anche alla luce dell’enciclica Fratelli Tutti che ha richiamato i valori dell’accoglienza – per un corso di ricamo, destinato a donne di nazionalità non italiana.

Ricevuta la notizia con gli auguri di Natale, il Papa ha risposto personalmente ribandendo la gratitudine per le preziose tovaglie già realizzate, ed esprimento apprezzamento per le borse di studio con tanto di benedizione. La lettera, indirizzata “come a una sorella” alla presidente di Reggio Ricama, e firmata “fraternamente” da Francesco, è datata 20 dicembre, ma è pervenuta solo in questi giorni evidentemente a causa delle incombenze legate alla morte e ai funerali del Papa Emerito.

reggionline.com

Il 1º gennaio si celebra la Giornata mondiale della pace. Il messaggio di Papa Francesco per la 56esima edizione della celebrazione

Le più belle frasi sulla Pace di Papa Francesco - Holyblog

“Nessuno può salvarsi da solo”. Nel testo del pontefice anche un riferimento al periodo buio del Covid e una riflessione sulla guerra in Ucraina.
“Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace”. Ripercorre uno dei periodi più bui della storia recente il messaggio che Papa Francesco ha letto in occasione della presentazione della 56esima edizione della Giornata mondiale della pace. L’evento si è svolto lo scorso 16 dicembre nella Sala San Pio X. All’appuntamento anche il cantautore italiano Simone Cristicchi.

La Giornata mondiale della pace viene istituita nel 1967
La Giornata mondiale della pace è stata istituita l’8 dicembre del 1967 e celebrata il 1º gennaio dell’anno successivo. A volere questa ricorrenza, con lo scopo di dedicare il primo giorno dell’anno alla riflessione e alla preghiera, è stato Papa Paolo VI. “Sarebbe Nostro desiderio che poi, ogni anno, questa celebrazione si ripetesse come augurio e come promessa – all’inizio del calendario che misura e descrive il cammino della vita umana nel tempo – che sia la pace con il suo giusto e benefico equilibrio a dominare lo svolgimento della storia avvenire” erano le parole del pontefice all’epoca.

Nel corso degli anni, tanti i temi raccontati in questa giornata. Ne citiamo alcuni: “Ogni uomo è mio fratello” del 1971, “Se vuoi la pace, difendi la vita” del ’77 e ancora, per ricordarne tra i più recenti: “Nel rispetto dei diritti umani il segreto della pace vera” (1999) e “Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace” (2018).

Il messaggio del Papa per la pace
Un messaggio forte e intenso quello di Papa Francesco che non dimentica gli ultimi e pone l’accento sulla solidarietà. Dal testo integrale, come riporta Vatican News, alcuni stralci. “Assieme alle manifestazioni fisiche il Covid-19 ha provocato, anche con effetti a lungo termine, un malessere generale che si è concentrato nel cuore di tante persone e famiglie, con risvolti non trascurabili, alimentati dai lunghi periodi di isolamento e da diverse limitazioni di libertà”. Inoltre, “Non possiamo dimenticare come la pandemia abbia toccato alcuni nervi scoperti dell’assetto sociale ed economico, facendo emergere contraddizioni e disuguaglianze. Ha minacciato la sicurezza lavorativa di tanti e aggravato la solitudine sempre più diffusa nelle nostre società, in particolare quella dei più deboli e dei poveri”.

Un riferimento anche al conflitto ancora in corso: “La guerra in Ucraina miete vittime innocenti e diffonde incertezza, non solo per chi ne viene direttamente colpito, ma in modo diffuso e indiscriminato per tutti, anche per quanti, a migliaia di chilometri di distanza, ne soffrono gli effetti collaterali, basti solo pensare ai problemi del grano e ai prezzi del carburante”.

All’evento anche il cantautore Simone Cristicchi
“Ho avuto il grande privilegio di commentare il messaggio per la Pace scritto da Papa Francesco, e di realizzare il sogno di cantare per lui “Abbi cura di me”, canzone che amo profondamente. Grazie a Mauricio Lopez, Suor Alessandra Smerilli e al cardinale Czerny per avermi voluto con loro in una giornata così importante, che porterò nel cuore. Nessuno può salvarsi da solo”. È questo il commento che Simone Cristicchi, cantautore italiano ha scritto sulle sue pagine Facebook a margine dell’evento in Vaticano. Cristicchi è noto per essere da tempo vicino alle tematiche sociali.

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Benedetto XVI isolato nel monastero con padre Georg e quattro «memores». Da mesi non parla più

I misteri e i veleni sul dualismo con Bergoglio: nonostante la lealtà e il rispetto reciproco tra predecessore e successore, la sua longevità ha nutrito per quasi un decennio la leggenda destabilizzante dei «due Papi»

 Benedetto XVI isolato nel monastero con padre Georg e quattro «memores». Da mesi non parla più

Sembra una notizia che filtra da un altro mondo, sideralmente remoto da quello reale. E in qualche modo lo è. Forse perché quel Monastero nascosto nei giardini vaticani, dove Benedetto XVI si è ritirato da quasi dieci anni, è ad appena tre minuti di auto da Porta Sant’Anna, quella da cui si entra in Vaticano per andare alla farmacia, allo Ior, all’Archivio segreto; ma arrivarci significa compiere un viaggio mentale che fa perdere la nozione dello spazio e del tempo, tra viali deserti, altari, fontane, cactus enormi e improbabili, che spuntano tra le garitte di gendarmi vaticani in allerta davanti a qualunque viso sconosciuto. Le condizioni del papa emerito Benedetto si sono aggravate, Francesco ha chiesto di pregare per lui, e lo è anche andato a trovare: sono queste le notizie convulse di ieri.

Ma Joseph Ratzinger è ancora, disperatamente, vivo. Anche se con i suoi quasi 96 anni potrebbe spegnersi da un momento all’altro. Anche se pensava di morire sei mesi dopo la rinuncia del febbraio del 2013, e il fatto di essere sopravvissuto così a lungo ha alimentato il mistero sulle vere ragioni delle sue «dimissioni» epocali. Nonostante la lealtà e il rispetto reciproco tra predecessore e successore, la sua longevità ha nutrito per quasi un decennio la leggenda destabilizzante dei «due Papi»: benché Benedetto abbia fatto di tutto per ridimensionarla e smentirla. D’altronde, Ratzinger è stato «emerito» più a lungo che «regnante»: eletto nel 2005, ha lasciato nel 2013. Otto anni contro quasi dieci. Ad ogni occasione ha cercato di ribadire che «il Papa è uno solo». Ma i tradizionalisti che pure lo hanno sempre considerato una propria icona non si sono rassegnati.

Si è dato corpo al fantasma, se non alla realtà di «due Chiese». Benedetto è stato strumentalizzato di volta in volta da anti bergogliani e bergogliani, per motivi opposti. E non è stato mai chiaro fino in fondo quanto il pontificato emerito abbia influenzato e condizionato quello del papa argentino; e quanto il Monastero Mater Ecclesiae, la «Madre della Chiesa», abbia segnato alcune mosse di Bergoglio e della sua corte di Casa Santa Marta, l’hotel dentro le mura vaticane dove vive dal giorno dell’elezione. Una tesi sostiene che finché le riforme di Francesco sono andate avanti spedite, la sintonia con Benedetto è stata totale. Ma quando si è capito che arrancavano, che apparivano troppo visionarie, è cresciuta la tentazione di vedere nella filiera dei nostalgici di Ratzinger i frenatori, e nel Monastero una sorta di contropotere allo stato latente.

Negli ultimi anni si è assistito a uno scontro neanche troppo larvato tra le frange più estreme dei «tifosi» dell’uno e dell’altro. Contro, va sottolineato, la volontà di Francesco e Benedetto. È un conflitto che negli ultimi mesi si è in qualche maniera quietato, o almeno diplomatizzato. Forse perché la voce del papa emerito si è affievolita fino a spegnersi: da alcuni mesi non riesce più a articolare le parole. O magari perché il rischio di una rottura troppo vistosa nella Chiesa cattolica ha suggerito una tregua di fatto tra fazioni. Ma difficilmente la dicotomia verrà archiviata o si spegnerà quando Benedetto morirà. Anzi, per paradosso potrebbe ravvivarsi, sommandosi alle voci di dimissioni dello stesso Francesco, che emergono a intermittenza per bocca dello stesso papa argentino.

Da mesi, ormai, la domanda che si insinua nelle file vaticane non è se ma quando e come Francesco potrebbe rinunciare, una volta scomparso il papa emerito: perché due papi dimissionari sarebbero troppo, e una delle ragioni che finora hanno impedito una nuova scelta traumatica risiede proprio nel fatto che c’è ancora «l’uomo del Monastero». In questi anni è stata una figura ingombrante non solo per le sue rare prese di posizione ma per i suoi silenzi. In fondo, il solo fatto di esistere rappresentava una sorta di assenza-presenza che il mondo ecclesiastico ha sentito molto più dell’opinione pubblica. «Il Monastero» è diventato un modo per definire uno stile di papato complementare o perfino, nell’uso strumentale che ne hanno fatto gli avversari, alternativo a quello bergogliano: con Benedetto dedito a una vita monastica, assistito e protetto dalla sua «famiglia pontificia» composta dall’arcivescovo e prefetto Georg Gaenswein e dalle quattro «memores», le donne consacrate di Comunione e liberazione che hanno vissuto con loro in quell’edificio.

Non è chiaro se l’allarme che ieri mattina si è propagato dal suo eremo giù nei palazzi vaticani, e poi in tutta Italia, rimbalzando nel mondo, sia solo l’eco ricorrente di altri annunci funesti, smentiti dall’attaccamento alla vita di Joseph Ratzinger. Oppure se sia il presagio che l’esistenza di questo pontefice e fine teologo è davvero agli sgoccioli; che il suo «pellegrinaggio verso Casa», come scrisse in una lettera al Corriere nel febbraio del 2018, sta veramente arrivando al punto di non ritorno. Le voci che arrivano dal Vaticano sono contrastanti, ma le parole pronunciate ieri in udienza da Jorge Mario Bergoglio hanno conferito drammaticità alle voci sullo stato di salute di Benedetto. D’altronde, il silenzio intorno e dentro il Monastero è diventato pesante da mesi, ormai.

Si sapeva da tempo che Benedetto non riusciva più a parlare, a dispetto di una stupefacente lucidità. Le visite si erano diradate, come i suoi articoli di teologia. Si è creata una barriera invisibile di riserbo e di laconicità, aggiuntasi a quella che già circondava la costruzione di mattoni chiari protetta da un cancello di ferro elettrico schermato, e affiancata da un piccolo orto. Foto col contagocce, seduto in poltrona nel salotto al primo piano: l’ultima il 1° dicembre scorso. Frammenti di notizie arrivate da visitatori obbligati alla riservatezza. E una coltre di mistero così fitta che non si capiva dove finisse la volontà di isolare il papa emerito nel suo mondo rarefatto, e cominciasse la sua volontà di autoisolarsi. Di certo, senza di lui il Monastero diventerà altro. Eppure, si è impresso nella memoria collettiva come il luogo-simbolo di una delle stagioni più sconcertanti e insieme intriganti di una Chiesa in bilico: messa alla prova non dai suoi nemici ma dai suoi papi.

di Massimo Franco in https://www.corriere.it/cronache/22_dicembre_28/benedetto-xvi-isolato-monastero-padre-georg-quattro-memores-mesi-non-parla-piu-6ac67f20-86f0-11ed-95ee-af8dc55ce986.shtml

 

Domenica 18 dicembre, alle 20.35 su Canale 5, “Il Natale che vorrei”, l’intervista esclusiva a Papa Francesco

Papa Francesco, intervista esclusiva su Canale 5

(DIRE) Roma, 16 dic. – Domenica 18 dicembre, alle 20.35 su Canale 5, “Il Natale che vorrei”, l’intervista esclusiva a Papa Francesco.
Da Casa Santa Marta, la residenza di Papa Francesco, un’intervista con il Santo Padre che toccherà i temi più caldi d’attualità.
A dialogare con il Papa sarà il vaticanista Fabio Marchese Ragona che, in occasione di questo Natale, al termine di un anno denso di avvenimenti spesso dolorosi, porgerà al Pontefice alcune domande su argomenti come la guerra, il caro energia, la denatalità, lo sport, i poveri e la politica. Nell’intervista ci sarà spazio anche per argomenti più intimi che riguardano la vita di Papa Francesco e il suo pontificato che nel marzo del 2023 raggiungerà il traguardo dei dieci anni.
Il tono della conversazione è quello tipico del Pontefice: di grande spiritualità, caldo e informale, per raggiungere nelle proprie case tutti i fedeli che attendono il Santo Natale.
L’intervista a Papa Francesco è prodotta da Officina della Comunicazione in collaborazione con RTI.

Libro “La spiritualità nella cura – Dialoghi tra clinica, psicologia e pastorale”

Paglia: la spiritualità nella cura non è un generico sentimento ma prossimità concreta
Presentato il libro del dottor Carlo Alfredo Clerici e di don Tullio Proserpio, cappellano all’Istituto di Tumori di Milano. Nella prefazione firmata dal Papa, l’urgenza di un’adeguata formazione sul campo, al capezzale di chi soffre, “per muoversi in profonda sinergia con l’intera comunità curante”. Per il presidente dell’Accademia per la Vita si tratta di compere una vera “rivoluzione culturale”

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Spiritualità della cura è amare

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Esiste la possibilità di un’alleanza tra medicina e spiritualità, in una realtà sanitaria sempre più tecnologica e standardizzata su grandi numeri ed efficienza delle prestazioni? È l’interrogativo centrale su cui si è incentrata nel pomeriggio di ieri, 21 ottobre, la presentazione del libro “La spiritualità nella cura – Dialoghi tra clinica, psicologia e pastorale”, di Carlo Alfredo Clerici, associato di Psicologia clinica dell’Università degli Studi di Milano e Tullio Proserpio, cappellano presso l’Istituto dei Tumori di Milano. A firmarne la prefazione, Papa Francesco.

Il Papa: l’aspetto spirituale della cura è stato trascurato
Francesco elogia la scelta del tema scelto per questo libro, la spiritualità nel momento della malattia, considerandolo “particolarmente delicato e importante”. Sottolinea anche come l’aiuto spirituale – riconosciuto da parte della comunità scientifica importante per il bene di pazienti, familiari, personale – “forse in questi ultimi anni è stato un po’ trascurato”. Il pontefice inoltre rimarca, come evidenziato nel volume, che “occorre un’adeguata preparazione e formazione sul campo, cioè concretamente vicino al letto delle persone ammalate, per essere in grado di muoversi in profonda sinergia con l’intera comunità curante”.

Guardare la condizione umana dalla ‘periferia’ della vita è un’opportunità
Nelle sue parole introduttive al testo, il Papa torna poi a ribadire che la pandemia ha mostrato di dover necessariamente porsi in una prospettiva non settoriale per valutare e rispondere ai profondi bisogni dell’uomo. Non bisogna lasciarsi trascinare, ripete Francesco, da sole logiche economiche. Bisogna assumere “lo sguardo dalla periferia della condizione umana, segnata dalla precarietà dell’esistenza”: è quello che infatti “favorisce la costruzione di quei ponti necessari – dice – a non dimenticare l’umano che ci caratterizza e a individuare sempre nuovi, spesso imprevisti percorsi”. L’auspicio è che si generi una sempre maggiore efficacia nel dialogo tra l’ambito teologico-pastorale e quello clinico-psicologico.

Paglia: prendersi cura vuol dire amare
Aprendo gli interventi di presentazione del libro, monsignor Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha scandito che prendersi cura vuol dire amare. “L’altro ha diritto ad essere amato. Esiste in ogni religione l’indispensabilità di prendersi cura dell’altro. Spiritualità vuol dire non vivere solo per sé stessi”, ha affermato.

Vatican News

L’incontro. Papa Francesco alle suore: aiutate le famiglie ad avere figli

«In Europa invece dei figli preferiscono avere i cani, i gatti… ». E alle religiose canossiane: attente alla crisi di mezza età, non scivolate nell’attivismo: allora non si è più donne della Parola
Papa Francesco all'incontro con le suore canossiane

Papa Francesco all’incontro con le suore canossiane – Vatican Media

Papa Francesco mette in guardia le religiose dalle crisi di mezza età perché è la “fase delle maggiori responsabilità” ma è più facile “scivolare nell’attivismo”, diventando non più “donne della Parola” ma “donne del computer, donne del telefono, donne dell’agenda, e così via”. Ricevendo in udienza le partecipanti al Capitolo Generale delle Figlie della Carità Canossiane, il Pontefice ha spiegato che le suore “anziane possono testimoniare alle giovani uno stupore che non viene meno, una riconoscenza che cresce con l’età, un’accoglienza della Parola che si fa sempre più piena, più concreta, più incarnata nella vita. E le giovani possono
testimoniare alle anziane l’entusiasmo delle scoperte, gli slanci del cuore che, nel silenzio, impara a risuonare con la Parola, a lasciarsi sorprendere, anche mettere in discussione, per crescere alla scuola del Maestro”. (IL TESTO)

“E quelle di mezza età? Sono più a rischio”, ha sottolineato Francesco. “Sia perché quella è un’età di passaggio, con alcune insidie; le crisi dei 40-45, le conoscete”, ma “soprattutto perché è la fase delle maggiori responsabilità ed è facile scivolare nell’attivismo, anche senza accorgersi. E allora non si è più donne della Parola, ma donne del computer, donne del telefono, donne dell’agenda, e così via”.

“Dunque, ben venga questo motto per tutte! Per mettersi nuovamente alla scuola di Maria, ri-centrarsi sulla Parola ed essere donne ‘che amano senza misura’. La parola al centro, non l’attivismo”, ha aggiunto a braccio. “Parola e non chiacchiericcio”, ha precisato ricordando il rimedio per non cadere nel chiacchiericcio che “uccide le comunità”: “Se hai tentazione di chiacchierare delle altre, morditi la lingua, la lingua si gonfia e non potrai parlare…”.

Il Papa è tornato a porre l’attenzione anche sulla crisi demografica, con un appello pronunciato a braccio al termine dell’incontro: “Per favore, aiutate le famiglie ad avere figli“. Il Pontefice ha parlato dell’inverno demografico in Europa, “invece dei figli preferiscono avere i cani, i gatti. È un po’ un affetto programmato”, ha sottolineato, “un affetto senza problemi”. “Questa è una cosa brutta. Per favore aiutate le famiglie ad avere dei figli. È un problema umano ma è anche un problema patriottico”.

Da Avvenire