In mostra Gregorio Preti “Pittore di buon nome”

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Messo immeritatamente in ombra, per secoli, dalla fama del più giovane fratello, Gregorio Preti (1603-1672), sta vivendo da qualche anno una stagione di vera e propria riscoperta. In questo filone, avviato negli anni scorsi soprattutto grazie in gran parte all’opera di John T.

Spike, critico e storico dell’arte tra i maggiori conoscitori dell’arte pretiana e presidente dell’Archivio Pretiano Internazionale che ha sede a Taverna, cittadina della Presila Catanzarese che diede i natali ai due artisti, si inserisce la mostra “Gregorio Preti, pittore di buon nome. Storia di una riscoperta”, curata dallo stesso Spike e da Giuseppe Valentino, direttore del Museo civico di Taverna che sarà inaugurata il prossimo 22 dicembre.
Fratello maggiore e primo maestro nell’arte pittorica del Cavaliere calabrese, Gregorio è stato per almeno un quarantennio accademico di San Luca e appartenente alla Congregazione dei virtuosi del Pantheon.
Malgrado la riconosciuta validità artistica, solo da qualche tempo il più anziano dei fratelli Preti – compartecipi in molte opere pittoriche che impreziosiscono chiese e musei in Italia e nel mondo – ha potuto riacquistare una certa visibilità sebbene sempre in qualche modo condizionata dal genio di Mattia che egli accolse poco più che adolescente, dopo un avventuroso viaggio dalla Calabria a Roma, e avviò all’arte pittorica nella sua bottega della città eterna.
Gregorio Preti, che giunse a Roma nel 1624, fu poi allievo dello Spagnoletto e del Domenichino prima di partire per Napoli nel 1630. Nella città dei Papi ebbe probabilmente la protezione degli Aldobrandini, signori di Rossano, e ciò favorì le sue relazioni con importanti collezionisti. Tra il 1632 e il 1636 visse con il fratello a testimonianza dello stretto legame che li univa. Fu proprio Gregorio, come ha documentato lo storico e critico d’arte Carlo Carlino in un libro, edito da Iiriti, che chiarisce molte vicende ancora non perfettamente studiate, a facilitare al fratello arrivato a Roma poco più che adolescente, i rapporti che questi poi intrattenne con i Rospigliosi, i Borghese, i Pamphilij.
La collaborazione fra i due fratelli si interruppe nel 1642 quando Mattia viene nominato cavaliere dell’Ordine di Malta e iniziò un percorso indipendente. La coppia si ritrovò tuttavia nel 1652 per dipingere a quattro mani la controfacciata di San Carlo ai Catinari. L’anno seguente Mattia lasciò Roma per proseguire a Napoli e a Malta la sua carriera.
La mostra dedicata a Gregorio Preti, ospitata all’interno delle sale del Museo civico di Taverna, rimarrà a disposizione dei visitatori fino al 20 febbraio 2023. (ANSA).

Vogia de Carnoval, Alda Fendi Esperimenti celebra Venezia A Roma dal 15 dicembre caleidoscopio a Palazzo Rhinoceros

Vogia de Carnoval, Alda Fendi Esperimenti celebra Venezia © ANSA

Voglia di giocare, fare festa e immergersi nel caleidoscopio di un Carnevale veneziano di antica memoria per tornare a vivere con gli altri esperienze ed emozioni dopo il lungo isolamento causato dal Covid. C’è tutto questo nell’omaggio alla città dei Dogi che la Fondazione Esperimenti di Alda Fendi propone dal 15 dicembre per questo finale di 2022 e avanti poi fino al 30 aprile nella sede di Palazzo Rhinoceros che offre un impareggiabile colpo d’occhio sul cuore archeologico di Roma tra Campidoglio, Palatino e Circo Massimo.

Il direttore artistico Raffaele Curi ha messo insieme installazioni, performance e sconfinamenti verso nuove tecnologie che aprono possibilità inedite di fruizione dell’arte. Già all’esterno i visitatori avranno la sensazione di immergersi in mare grazie a una grande videoproiezione sulla facciata dell’ edificio. Sogno ad occhi aperti vuole essere questa ‘Vogia de Carnoval’ – festa che nella Serenissima Repubblica cominciava il 27 dicembre – studiata con la collaborazione della Fondazione Querini Stampalia di Venezia. Come nelle proposte recenti quando si sono avvicendate opere d’arte dall’Ermitage, Alda Fendi avrebbe voluto mettere gratuitamente un capolavoro a disposizione del pubblico. Curi aveva puntato a La presentazione al tempio dipinta nel 1460 da Giovanni Bellini, custodita dalla fondazione veneziana, ma il quadro non era pronto per essere concesso e allora Rhinoceros Gallery propone l’opera per la prima volta a Roma attraverso il Daw, il digital art work realizzato grazie a una tecnologia innovativa dalla società Cinello che l’ha brevettato, riproduzione di un dipinto antico creando al tempo stesso una nuova opera digitale. “La sfida del digitale e delle nuove tecnologie amplificano le possibilità dell’opera d’arte – spiega il direttore artistico – . In questo gioco che porta il visitatore dentro e fuori le dimensioni del sogno e dell’illusione, tra la copia e l’originale, si mettono a confronto l’opera di Bellini con l’opera dello stesso soggetto dipinta nel 1455 dal cognato Andrea Mantegna, conservata alla Gemäldegalerie di Berlino”.
C’è spazio anche per un richiamo ai temi dell’attualità con la performace inaugurale ‘Black Venice’: sul dorso del grande rinoceronte che campeggia al piano terra dello spazio espositivo una dama abbigliata in abito settecentesco avrà sulle spalle un foglio termico come quelli distribuiti ai migranti soccorsi in mare. Un ribaltamento di piano tra l’aristocratica naufraga contemporanea soccorsa da chi oggi chiede aiuto, un giovane di colore con un turbante come fosse un sovrano o uno dei Re Magi. Tra richiami al Mose con la videoinstallazione di maree legata alle musiche di Gioachino Rossini, lungo il piano dell’edificio si susseguiranno le citazioni di Carlo Goldoni anche attraverso il volto dell’attore Donald Sutherland, protagonista del Casanova visionario di Federico Fellini.
“Portiamo Venezia a Roma – dice Alda Fendi -. Venezia multiculturale, con la sua storia ci insegna l’apertura nei confronti dell’altro e la convivenza fra i popoli. Venezia misteriosa, con le sue maschere ci invita ad abitare un carnevale senza tempo”.
ansa

Mostra presepi a Gazzano

Domenica mattina a Gazzano sarà ufficialmente inaugurata la stagione natalizia della mostra permanente dei presepi di Antonio Pigozzi, che anche quest’anno presenta alcune importanti novità.

“Sono state allestite due nuove scene. La prima – afferma il sindaco Elio Ivo Sassi – è quella apparsa nel nuovo film dell’attore e regista Leonardo Pieraccioni, mentre la seconda è un dono di un giovane presepista bergamasco”.

Il programma della mattinata prevede, alle 9.30, l’apertura del mercato dei prodotti tipici, alle 10 la celebrazione religiosa officiata dall’arciprete Giuseppe Gobetti e, alle 11, il taglio del nastro alla presenza, fra gli altri, del primo cittadino di Villa Minozzo, del presidente dell’Unione montana dei  Comuni, Vincenzo Volpi, e di Giammaria Manghi, capo della segreteria politica della presidenza della Regione

“La scena utilizzata nella pellicola dell’artista fiorentino – spiega Remo Secchi, presidente della Pro loco gazzanese – intitolata ‘Raggio di luce’ e ambientata nel borgo castelnovese di Pietradura, è stata realizzata da Pigozzi in collaborazione con Silvia Gigli, che con il maestro cura l’esposizione, al cui ingresso sarà possibile acquistare, tra l’altro, il presepe di carta dell’Appennino emiliano creato dai due.

L’opera di Fulvio Pizzagalli, proveniente dalla provincia di Bergamo, è invece una natività popolare ambientata nei borghi delle sue montagne”.

La mostra, che dal giorno di Natale a domenica 8 gennaio sarà aperta al pubblico tutti i pomeriggi, dalle 14.30 alle 18.30, è presente da oltre trent’anni in un edificio dedicato dell’area parrocchiale di Gazzano, recentemente rinnovato, “così come è avvenuta la ristrutturazione completa di tutte le scene create da Antonio Pigozzi – continua il sindaco Sassi – considerato uno dei più importanti presepisti contemporanei, ambasciatore dell’Appennino reggiano in Italia e nel mondo, che ha sviluppato uno stile personale inconfondibile, in cui valorizza da sempre scorci e borghi della nostra amata terra.

Oltre che in diverse località italiane, sue opere sono esposte in Austria, Germania, Spagna e Malta”.

L’esposizione presepistica, visitata da migliaia di persone ogni anno, è comunque ammirabile in ogni stagione, su prenotazione, contattando i numeri telefonici 338 3459222 (Antonio), 349 3802121 (Silvia) e 348 7732579 (Ernestina).

laliberta.info

La mostra a Reggio Emilia. La nave dei folli contro la borsa delle artistar

A Palazzo Magnani una rassegna mischia le carte con artisti celebri “inquieti” e protagonisti della creatività nei luoghi psichiatrici. Ma premia il marketing
Gino Sandri, “Il sacrista Spreafico. Mito beone”, 1932-1939

Gino Sandri, “Il sacrista Spreafico. Mito beone”, 1932-1939

Francamente la mostra L’arte inquieta mi è difficile da capire; o meglio, capisco anche troppo, ma faccio fatica a digerirla. E che cosa mai potrò aver incontrato di tanto indigesto da restarne male impressionato? Il contesto mainstream con cui viene proposta al pubblico, per esempio. Tutto è ribaltato in una logica che serve al marketing. “L’urgenza della creazione”, questa la promessa (il claim come dicono i pubblicitari), prende il posto del vero titolo (l’headline, per restare in tema) che viene sostituito da alcune parole d’ordine: “interiore, mappa, volto”. E dopo aver preso questa strada ecco il colpo conclusivo, “140 opere da Paul Klee ad Alselm Kiefer” che cela il segreto di Pulcinella, è la frase che serve ad accalappiare il pubblico. Insomma, più che una dichiarazione d’intenti culturali, è un titolo non scontato, una promessa pubblicitaria, come spesso ormai accade nell’industria delle esposizioni. Che cosa c’è di trito come l’inquietudine? Non siamo forse ben oltre? Insomma, una operazione di fumo (con tanto di scolaresche e matite colorate) dalla cui nebulosa emerge inquinato quanto di buono poteva esserci in questa rassegna.

Ve lo immaginate l’effetto sul pubblico che doveva arrivare a Reggio Emilia, un messaggio così concepito: “L’arte turbata. Opere dall’ex Ospedale psichiatrico e il Novecento, da Klee a Gervasi, da Zinelli e Sandri a Kiefer”? Non sarebbe stato più fedele al vero? Sicuramente, ma poco pubblicitario. Per carità, niente da insegnare, ma ciò che emerge dal titolo scelto dagli organizzatori di Palazzo Magnani, si riflette anche in “discriminazione” fondata sul diritto d’autore. Le opere dei grandi nomi dell’arte sono quasi tutte vietate alle fotografie, le opere dei “matti” invece sono fotografabili a go-go. La Siae come nuovo tribunale dove si decide il valore delle opere? Mi ricorda un celebre caso degli anni Venti del Novecento legato a una mostra di Brancusi a New York, che arrivò fino in tribunale, perché il funzionario della dogana s’impuntò a tassare Uccello nello spazio come manufatto anziché come opera d’arte (gli sembrava un valore non ben quantificabile), ma i giudici riconobbero in parte la posizione dello scultore sul valore artistico e da quel momento il rapporto fra economia e arte cambiò per sempre. Qui, a pensarci, il rapporto fra arte e denaro sta nel potere auto pubblicitario dell’artista, per cui Klee, Giacometti, Kirchner, Dubuffet (che fu il primo a promuovere l’Art brut), Kiefer, tutti loro portano l’aura anche sui poveri disadattati e trovano nelle loro menti turbate un paradigma nel quale proiettare la propria inquietudine; e le opere dei folli diventano analogamente «tracce impreviste di pensiero automatico». Barlumi d’intuizioni che li avvicinano alla logica degli artisti celebri? Ovvero, cavie di studio per vedere l’origine di certe pulsioni creative dei sani? Questo vien da pensare leggendo il saggio del curatore Giorgio Bedoni che apre il catalogo (Silvana). Non si diceva una volta, quando la psichiatria doveva liberare i matti dalle loro prigioni e dai macchinari disumani, che un germe di schizofrenia c’è in ciascuno di noi? Sì, nessuno è normale, anche questo rientra nella visione basagliana, ma il fatto è che quando il marketing guida le scelte comunicative si perde anche una parte del fine che si doveva realizzare.

Per esempio che cosa ci fa nello spazio d’accesso alle scale la grande figura femminile in bronzo di Giacometti, alta quasi tre metri? L’artista di Stampa, Canton Grigioni, subiva certo la pressione orizzontale del vuoto (le sue statue tendono ad allungarsi e a schiacciarsi quasi venissero stritolate da una forza invisibile; le più piccole si riducono sottili come un filo di tungsteno che si accende nel nulla), così che gli veniva tutto sommato facile e perfetto per la sua epoca di nichilismi esistenziali dire «la scultura posa sul vuoto». Ma, a mio parere, se anche la maladresse – la “goffaggine” che piaceva a Tullio Garbari – di cui parlò Maritain, riguarda sia opere primitive sia moderne, applicata allo schema dell’Art brut e ad altre involontarie creazioni rischia invece di essere un termine “connotante”, ovvero poco calzante. La stessa inquietudine di Giacometti stava proprio nel sapersi cartesianamente troppo vicino alla realtà, laddove gli sarebbe stato più semplice separare le cose dalla loro condizione creata, dalla loro spirituale origine. Sartre, con le sue proiezioni esistenziali non lo aveva spinto più vicino alla verità, lo aveva semplicemente assecondato. Paris sans fin è il testamento di questa distanza fra realismo sartriano e alterità. Persino i ritratti di Lorenzo Viani, i volti ombrosi di vestali che gli venivano incontro come maschere proiettate dagli inferi, hanno una lucidità ben diversa dalle opere degli schizofrenici. La definizione più precisa arriva da Zoran Music quando scrive che mentre sta dipingendo l’Autoritratto, il suo corpo si guarda dentro e non allo specchio, altrimenti vedrebbe soltanto l’aspetto esteriore della sua persona. È in queste manifestazioni che il solco con l’ospedale psichiatrico si allarga e la definizione degli “innocenti dell’arte” rischia allora di essere fuorviante. Persino freudianamente fuorviante. La mostra attualmente in corso, che segue di qualche anno quella su Dubuffet e l’Art brut, non aveva bisogno di una stragrande preponderanza di artisti del mercato (ma le quattro opere di Zavattini valgono la visita), bensì di portare con grande decisione l’accento sul patrimonio custodito dall’Archivio delle collezioni psichiatriche reggiane, cosa che viene fatta però a rimorchio dell’inquieta arte dei ricchi.

L’Archivio di San Lazzaro possiede infatti ventimila fra disegni, dipinti e sculture che in gran parte devono essere ancora esaminati e approfonditi; si potrebbe appunto dire che sia una terra dei dispersi, la memoria di un altro tempo, che proprio per le condizioni degli artefici è, si perdoni il gioco di parole, un “tempo altro”, l’origine stessa della differenza tra questi uomini e donne, e gli artisti blasonati e tutelati dal diritto d’autore. La mente dei disabili creativi viene proiettata, giustamente, sulla “cartografia” come esplorazione di isole interiori. Carlo Zinelli, il cui genio turbato venne alla ribalta già qualche decennio fa in varie mostre, viene paragonato a un “viaggiatore da camera”, ma mentre lo scrittore romantico Xavier de Maistre poteva spingersi con la mente in luoghi dove non sarebbe mai arrivato contento di immaginare viaggi da stanza, Carlo ha fatto della mente un mezzo per evadere dal labirinto dov’era rinchiuso. Se in questi autori – sia pure di un’autorialità intermittente, dove è difficile dire fin dove ci sia un impulso cosciente per la forma – la mappa diventa un simbolo per chi studia le loro produzioni come tentativo di dare un orientamento ai segni, certo i fogli di Federico Saracini a fine XIX secolo o i palazzi fantastici di Giuseppe Righi nella prima metà del XX, possono indurre gli analisti a parlare di ramo italiano dell’Art brut, ma il rischio è di volerli incasellare in un modello molto francese, quando invece per parte italiana potrebbero aprirsi scenari che vanno ben oltre l’automatismo creativo. Entrare nella loro mente, non necessariamente deve servire a sostenere l’analogia fra la loro creatività e l’arte “informale” di tanti nomi che dettano legge sul mercato. Si rischia lo stereotipo.

Uno di loro, Gino Sandri, è esposto con alcuni ritratti a matita e pastello molto incisivi e a loro modo spietatamente reali di persone che l’autore vide in ospedale psichiatrico. La follia la si può raggiungere anche entrando in manicomio. Sandri, genovese d’origine venuto a Milano ancora adolescente nel 1899 e da ragazzo commesso alla Libreria Hoepli con Giovanni Scheiwiller, negli anni collabora al “Corriere dei piccoli” e “Il Guerrin Meschino”; conosce Carrà e Carpi e si fa notare per il talento. Nel 1924 però viene internato per ragioni politiche ed è l’inizio di un andare e venire da una clinica all’altra per il resto della vita. Eppure, è palese dai disegni, la follia non cancella nella sua mente la luce del genio.

Avvenire

Si intitola “Luigi Ghirri e Modena. Inaugura il Festivalfilosofia

Si intitola “Luigi Ghirri e Modena. Un viaggio a ritroso” la mostra che, il 16 settembre negli spazi della Fondazione Modena Arti Visive, inaugura il Festivalfilosofia. La mostra ripercorre la vita e l’attività del fotografo.

 

Pasolini 100: carriera cinematografica in mostra a Montecatini

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MONTECATINI TERME (PISTOIA) – Nel centenario della nascita Fedic (Federazione italiana dei Cineclub) dedica una mostra iconografica a Pier Paolo Pasolini: l’esposizione si terrà alla Terme Tamerici di Montecatini (Pistoia) dal 23 giugno al 31 luglio. Attraverso manifesti, locandine, fotobuste e altro materiale, provenienti dalla collezione privata del giornalista Giuseppe Mallozzi (presidente del cineclub ‘Il Sogno di Ulisse’ di Minturno), sarà tracciato, si spiega, “un percorso espositivo che attraverserà l’intera carriera cinematografica del poeta di Casarsa, da Accattone fino alla sua ultima, dolorosa opera, Salò o le 120 giornate di Sodoma”.

L’iniziativa è promossa all’interno della 72/a edizione di Italia film Fedic, dal 22 al 26 Giugno al Cinema Imperiale di Montecatini.
La mostra, “corredata da ampi apparati informativi sulle opere e sulla biografia di Pasolini, intende portare il pubblico ad affrontare un viaggio nella cinematografia” di Pasolini, con un “focus specifico sulla Trilogia della vita, che comprende Il Decameron, I Racconti di Canterbury e Il Fiore delle mille e una notte, un trittico di pellicole girate tra il 1970 e il 1974 ispirate a tre grandi classici della letteratura mondiale, che l’autore definì ‘una polemica profondamente ideologica contro il mondo moderno così com’è, cioè il mondo del neocapitalismo, della modernità intollerante'”. In esposizione anche cinque fotografie inedite provenienti dall’archivio dello Studio fotografico Rosellini, che documentano la presenza di Pier Paolo Pasolini a Montecatini Terme nel dicembre 1973: il poeta fu ospite nell’ambito del progetto dal titolo ‘Processo allo scrittore’ ideato dall’Amministrazione comunale dell’epoca, a cui aderirono tra gli altri Carlo Cassola e Alberto Moravia. 
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Natale, i miracoli di Gesù (nella sabbia). La mostra è stata inaugurata a Jesolo dal patriarca Moraglia. Scultori in arrivo da tutto il mondo

Jesolo ( Venezia)

Monumentale, all’apparenza granitico, indistruttibile. In realtà costruito con il più effimero e impalpabile dei materiali, la sabbia. Anche quest’anno a Jesolo i più geniali scultori di sabbia sono giunti da tutto il mondo per dare forma al ‘Sand Nativity 2021’, dodici gigantesche composizioni dedicate al Natale e – in questa edizione particolare – ai miracoli di guarigione compiuti da Cristo: dal servo del centurione alla resurrezione di Lazzaro, dal lebbroso al sordomuto, dall’indemoniato al nato cieco… Dodici capolavori, che solo pochi giorni fa erano altrettanti ammassi informi di sabbia scaricati dai Tir nella centrale piazza Trieste. È lì che gli artisti, selezionati in Europa e in America dal direttore artistico, lo statunitense Righard Varano, hanno scolpito per giorni le mille tonnellate di sabbia dorata, la stessa che in estate rende tanto famoso il litorale adriatico.

La storia è affascinante a partire dalla sabbia stessa, nata 25 milioni di anni fa dalle Dolomiti che emersero dal mare, poi nel corso delle ere geologiche i sedimenti marini si compattarono sotto il loro stesso peso e si trasformarono nei Monti Candidi, una roccia unica al mondo per bellezza e colore. La dolòmia nei millenni si sgretolò in ghiaia e viaggiò trasportata dai fiumi fino al mare, diventando sabbia finissima dalle caratteristiche uniche al mondo. «Visti al microscopio, i granelli hanno la forma di triangolini aguzzi estremamente piccoli, che una volta compressi insieme all’acqua si incastrano tra loro marmorizzandosi – spiega Massimo Ambrosin, fin dalla prima edizione del 2002 organizzatore dell’evento –: allo sguardo danno l’impressione di una roccia solida, ma restano sabbia e guai sfidare le leggi della fisica, gli scultori lo sanno bene». Altezze ardite, figure imponenti, elementi architettonici e naturalistici, non manca nulla, ma il tutto è tenuto insieme esclusivamente da acqua e abilità artistica, non una sola goccia di colla viene usata. Eppure i grandi quadri resteranno intatti fino al 6 gennaio, quando le ruspe aggrediranno le sculture facendole franare di nuovo in un milione di chili di sabbia, da ripulire e riutilizzare il prossimo Natale.

Titolo della mostra di quest’anno è ‘I miracoli di sabbia’, dedicati alla pandemia e trasformati in preghiera per la salvezza dell’umanità dal Covid. A inaugurare l’opera è stato il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, che l’8 dicembre l’ha benedetta. Era stato proprio il patriarca ad ottenere che il presepe del Papa a Roma nel 2018 fosse la ‘Sand Nativity’ partita da Jesolo a bordo di numerosi Tir e scolpita in piazza San Pietro dagli stessi scultori ingaggiati da Richard Varano. «La sabbia è qualcosa di evanescente e portentoso», aveva commentato allora Moraglia, «immaginare che per alcune settimane il Mistero eterno vivrà effigiato proprio in miliardi di granelli di sabbia…». Un miracolo d’arte che si ripete anche quest’anno. C’è tutta l’imponenza di Gesù che, severo, guarisce l’orecchio del servo del grande sacerdote, ferito da Pietro durante l’arresto del Messia. C’è la devozione del centurione, che tanto aveva creduto. La pietà per il sordomuto e per il paralitico destano la stessa meraviglia nel pubblico di sabbia, che fa corona ai due scenari, e nel pubblico vero. Un intero scorcio architettonico incornicia la perfezione della ‘Guarigione dell’emorroissa’, impressionante per maestosità e realismo. I drappi e le vesti sembrano vera stoffa nel quadro della ‘Suocera di Simone’ e nel cieco guarito, ma spettacolare è ‘L’indemoniato’ che si contorce negli spasimi mentre i diavoli lo tormentano e Gesù li costringe a una furiosa resa. Di sabbia sono anche le bende che coprono le membra deformi del lebbroso. Infine – e qui hanno lavorato non uno ma tre artisti insieme – al centro della piazza c’è la Natività, capace con la sabbia di sprigionare una luce accecante. Tutto ciò che è ritratto attorno alla Sacra Famiglia raggiunge l’apice del virtuosismo descrittivo, dalla paglia che accoglie la neo mamma al manto dell’asino e del bue, dal vello delle pecore ai volti dei Magi, dal volto innamorato e stanco per il parto di Maria, alla paterna devozione di Giuseppe che bacia la mano del neonato.

Chiude la serie, eccezionalmente, la scultura dedicata a medici, infermieri e forze dell’ordine che in questi due anni tanto hanno fatto per noi contro la pandemia. E, per la prima volta, c’è anche l’angelo monumentale fatto da Marco Martalar, che si definisce ‘scultore del legno e artista del bosco’, con gli abeti abbattuti dalla tempesta ‘Vaia’: «Anche quei legni arrivano da lassù come la sabbia, è l’incontro tra la montagna e il mare». In 18 edizioni (l’anno scorso causa Covid non si è potuto) grazie alle offerte libere dei milioni di visitatori si sono raccolti 750mila euro, interamente devoluti in concrete opere di solidarietà nel mondo povero. Ma per Jesolo il Presepe di Sabbia rappresenta anche un grande investimento sociale: «Una cittadina che viveva solo in estate, ora si risveglia in inverno e attrae un tale numero di visitatori che in quei giorni gli esercenti hanno incassi persino maggiori che nel periodo estivo », commenta il funzionario comunale. Il che in periodo di grande crisi si traduce in posti di lavoro e giovani che ‘la stagione’ la fanno al mare. Il mare d’inverno.

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Dalla guarigione dell’emorroissa alla resurrezione di Lazzaro, la vita di Cristo in piccoli grandi capolavori

La guarigione dell’emorroissa