Novara. Gara di solidarietà per la bimba etiope che rischia la cecità

«Guardate il Natale con gli occhi di Raffaella». È l’ultima storia di fine anno. Arriva da una strada di periferia di Novara. La cupola della basilica di San Gaudenzio è sullo sfondo, ma lontana. Tutt’intorno nell’Istituto Comprensivo Duca d’Aosta c’è l’erba stanca di un parco. Le auto scorrono via veloci, papà e mamme con i bambini entrano in questo edificio che è ciò che di meglio gli anni Novanta hanno dato alla città. S’odono voci, giochi, gioia. In un’aula al pian terreno, in fondo al corridoio, ha mosso i primi passi una storia che è insieme un abbraccio tra generazioni e continenti. «Raffaella ha nove anni – racconta la maestra Elena Colombo – vive nella periferia di Addis Abeba. Una casa poverissima, come quelle delle favelas brasiliane. Sono in sette ma sorridono, nonostante tutto alla vita». «Le nostre vite s’incrociano quasi per caso – aggiunge Anna Piccinelli – io insegnavo in Africa. Attraverso una piattaforma di contatti, in qualche modo legata a Expo 2015, le nostre giornate s’incontrano. Raffaella arriva a Novara in quei giorni mondiali. Qualcuno capisce che ha una malattia agli occhi». È vero. La bimba soffre di una malattia degenerativa e rischia la cecità. A Novara scatta quindi una corsa contro il tempo per raccogliere i fondi per il soggiorno e salvarle la vita.

Legge della vicenda Mariella Enoc, chiamata da papa Francesco a presiedere il Bambino Gesù. È novarese, imprenditrice e manager illuminata, ha presieduto anche gli industriali del Piemonte. È colpita dalla spontaneità, anticipa tutti: «La operiamo noi, a nostre spese».

A febbraio 2016 Raffaella è in Italia, ospite del Bambino Gesù. Subisce l’intervento, riuscito alla perfezione, raggiunge gli amici a Novara, poi riparte per l’Etiopia con mamma Elisa. A un anno dall’operazione viene di nuovo accompagnata a Roma per un primi controllo di routine, tutto bene. Ma al secondo step c’è la brutta sorpresa. «Purtroppo sarà che Raffaella vive in una casa con pareti di fango – spiega la maestra Colombo – e l’umidità è alta, ma la condizione degli occhi è peggiorata. Per il sinistro serve un altro intervento di cross linking , per il destro un trapianto di cornea». Il Bambino Gesù replica: faremo noi gratuitamente. Si tratta di pensare al resto.

È così che la fiaba si trasforma in un racconto della fantasia della misericordia. Raffaella arriva in Italia e viene operata. Mentre gli alberi bellissimi lasciano e perdono le foglie, attorno alla scuola Giovanni XXIII, la vita continua e, come una sorgente, silenziosamente s’arricchisce di altri capitoli.

Raffaella torna in Etiopia, ma le servono altri due interventi per evitare di non vedere più per sempre. «Questa è la cattiva notizia – continua ora raggiante Elena Colombo –. La buona è che siamo stati chiamati dal Bambino Gesù e ci hanno detto che possono di nuovo operarla gratuitamente. Non finiremo mai di ringraziarli». E così scatta uno straordinario slancio di solidarietà. Non c’è da pagare l’operazione, c’è il viaggio e un contributo perché Raffaella possa vivere meglio nel suo Paese. «Devo dire – sottolinea Ornella Porzio, dirigente – che si è sviluppata un’azione di solidarietà incredibile che ha coinvolto i ragazzi e i genitori e che continua».

«Guardate il Natale con gli occhi di Raffaella», è lo slogan azzeccatissimo per raccogliere i fondi. È scritto sui volantini appiccicati alle vetrate d’ingresso, alle pareti, su piccoli depliant. Perché quando la scintilla scocca, provoca mille idee e molte altre scintille. Raffaella è di nuovo in Africa ma torna a gennaio. Verrà di nuovo operata all’occhio sinistro e sarà in lista d’attesa per una cornea compatibile con il destro. «Non sappiamo quanto tempo servirà. Rimarrà a Casa Ronald, dove alloggiano famiglie di piccoli pazienti dell’ospedale». Ma c’è il viaggio e soprattutto c’è il “dopo”.

Su Facebook s’apre una pagina, «Guardiamo il Natale con gli occhi di Raffaella ». Il resto è quotidiana cronaca di un gesto bello, genuino, trasparente, caldo. «Aiutate Raffaella», ripetono in coro, esattamente come fanno i bambini, i suoi amici. Amici che si sono aggiunti via via, perché quelli che l’hanno aiutata la prima volta sono passati ad altre classi, ma l’entusiasmo e la spontaneità dei nuovi sono contagiosi. Sulle pareti le fotografie dei loro incontri. Così anche sulla porta d’ingresso dell’aula. È vero. Bambini insieme a genitori, famiglie che affrontano con tutte le fatiche che sappiamo la vita, ma con il sorriso di chi dona con gioia. «Vivi, canta, sogna», ripete spesso papa Francesco. Loro lo fanno, di cuore. E sarà un Natale caldissimo.

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