Manovra. È pioggia di bonus ma non per i bebè

«Inumeri ci saranno», assicura Paolo Gentiloni da Abu Dhabi. Al momento, però, l’unica certezza sono le questioni politiche e di merito che la manovra sta sollevando. Ieri ad alzare la voce Alternativa popolare, Gianluigi Gigli e Mario Sberna di Des-Cd («Ancora una volta la famiglia non è piorità ») e i cattodem. I quali denunciano la «sparizione » del bonus bebè dalla legge di bilancio e chiedono di iniziare subito un negoziato per reintrodurre la misura nel primo passaggio al Senato. Dal presidente della commissione Bilancio, il dem Giorgio Tonini, arriva una prudente disponibilità al dialogo.

«I NOSTRI VOTI NON SONO SICURI»
A dare l’allarme sul bonus bebè i capigruppo di Ap alla Camera e al Senato, Maurizio Lupi e Laura Bianconi: «Così la famiglia viene bistrattata e vengono tolte le risorse che noi avevamo contribuito a inserire negli anni scorsi, la misura sia reintrodotta già al Senato o i nostri voti alla manovra non sono sicuri». La «spiacevole sorpresa» (solo in parte mitigata dalla conferma dei 100 milioni per il Fondo famiglia) scatena una reazione vibrante anche tra i cattodem. Il senatore Stefano Lepri è lapidario: «Sono scelte non condivisibili, per di più non sono state accolte le nostre proposte di raddoppiare il contributo alle famiglie numerose e di innalzare a 5mila euro la soglia sopra la quale si considera un figlio ‘non a carico’. Tutto ciò proprio mentre il segretario Renzi dice che il Pd riparte dalle famiglie. Il governo torni sui propri passi, credo che diversi senatori dem ad ora non approverebbero la finanziaria».

CACCIA AI FONDI, PARTE LA TRATTATIVA
Il bonus bebè è stato varato dal governo Renzi con la manovra 2015, quando ministro della Famiglia era Enrico Costa, ora uscito dal governo e anche da Ap. Prevedeva, per tutti i nati dall’1 gennaio 2015 al 31 dicembre 2017, un assegno triennale da 80 euro mensili (l’intervento non era cumulabile con il bonus-nido). La dotazione finanziaria del vecchio bonus do- vrebbe garantire la copertura per i bimbi che verranno alla luce entro la fine di quest’anno, mentre al momento non ne godranno sicuramente le famiglie che avranno o adotteranno bambini dall’1 gennaio 2018. Facendo riferimento allo stanziamento del 2015, primo anno di applicazione della misura, per rifinanziare l’intervento almeno per i nati nel 2018 servirebbero circa 200 milioni aggiuntivi. Per replicare il bonus triennale varato nel 2015, invece, servono circa 3,5 miliardi distribuiti in 5 anni. Secondo Lupi e Bianconi, sono soldi che si possono recuperare eliminando «gli enti inutili istituiti con questa manovra». Tra questi, la Fondazione per lo sviluppo della cyber-sicurezza, che costa solo un milione ma che assume un valore politico perché proprio su questo tema, la sicurezza 4.0, l’ex premier Matteo Renzi entrò in rotta di collisione con la sua maggioranza. Quanto al bonus bebè, poi, fa fede quanto disse il premier Paolo Gentiloni alla Conferenza sulla famiglia dello scorso settembre: «Alcune misure sono state criticate come estemporanee ma hanno rappresentato una spinta. Se poi riusciamo a rendere queste spinte più strutturali è meglio, se ne abbiamo la forza, la volontà politica e le risorse ». Dal punto di vista po-litico, la sensazione è che la manovra licenziata dal governo e ora al vaglio del Senato sia volutamente ‘monca’ di alcuni pezzi perché su di essi si potrebbero testare le future alleanze politiche. La famiglia potrebbe essere terreno di incontro tra Pd e Ap con uno sguardo rivolto anche all’arrivo in Aula dello ius culturae, aperture sulle pensioni potrebbero aiutare il dialogo tra dem e Mdp.

ETÀ PENSIONABILE, SI VALUTA IL RINVIO
Se dunque la famiglia ‘scopre’ la maggioranza al centro e nell’area cattolica del Pd, le pensioni creano un problema a sinistra. Domani c’è l’atteso incontro tra il premier Paolo Gentiloni e i sindacati sul tema dell’adeguamento automatico dell’età pensionabile che nel 2019 arriva a 67 anni. Un emendamento presentato da Mdp al decreto fiscale chiede di rinviare a giugno la decisione dell’esecutivo. Il premier potrebbe seguire la strada del rinvio per lasciare al prossimo esecutivo lo studio di deroghe sui lavori più gravosi. Anche il ministro del Lavoro Giuliano Poletti lancia segnali ai sindacati: «La riforma Fornero aveva dei difetti molto gravi», tra i quali «il salto secco di età».

Avvenire