«Dal Sinodo un grande sì alla famiglia»

La notizia più importante del Sinodo non è nella Relazione finale, è nel Sinodo stesso. Il fatto cioè che oltre 300 esponenti di rilievo della Chiesa, tra cardinali, vescovi, esperti, famiglie, abbiamo discusso per due anni di matrimonio e famiglia.

Una istituzione come la Chiesa, che ha nel mondo un miliardo e duecentomila fedeli, ha dedicato gran parte dell’ultimo biennio a riflettere su come dare forza all’istituto familiare, architrave della Chiesa e della società. Quale altra realtà diffusa su scala mondiale dedica tante energie a un obiettivo così importante per il bene comune?

Il messaggio chiaro, indiscutibile, che arriva al mondo è «un grande sì alla famiglia. È la dimostrazione che la famiglia non è un modello del passato, non è superata». Anzi, è la struttura che rappresenta le radici e il futuro di tutti noi. L’ha spiegato il cardinale Christoph Schoenborn che sabato promeriggio è intervenuto all’ultimo briefing di questo Sinodo. «La famiglia – ha osservato l’arcivescovo di Vienna – è la più importante delle “reti”, è una rete formidabile, anche quella ferita, come posso testimoniare per la mia esperienza familiare. La famiglia non è un modello del passato, non è superata».

E ha citato il giornalista ateo Frank Schirrmacher, editore della Frankfurter Allgemeine Zeitung, morto recentemente, e il suo libro “Minimum”, “un best seller in Germania – ha detto il porporato austriaco – ebbene, non c’è nel libro traccia di religione, ma c’è un sì formidabile alla famiglia».

E se questa sottolineatura forte della centralità della famiglia, evidente a tutti, è il primo e più eclatante dato che emerge da queste tre settimane di Sinodo, la Relatio finalis non è altro che un tentativo da parte della Chiesa di leggere – anzi di rileggere – il suo impegno al fianco della famiglia. E questo impegno nasce innanzi tutto dal dovere di definire la famiglia, nella confusione culturale che segna i nostri giorni: «È fatta di un uomo e una donna e della loro vita insieme fedele e aperta alla vita – ha detto ancora Schoenborn – e papa Francesco con il suo buonumore ci ha ricordato che quando due persone si sposano appaiono anche due suocere cioè ci sono due famiglie coinvolte, ma la definizione della famiglia è chiara, come si legge nel primo capitolo della Bibbia, la Genesi, “maschio e femmina li creo”, e disse loro “siate fecondi e moltiplicatevi”. Ma questa definizione – ha fatto notare il cardinale teologo – non esclude situazioni di ricomposizione di famiglie, patchwork, anche se alla base c’è sempre il nucleo uomo-donna e l’apertura alla vita».

In questa attenzione alla famiglia la Chiesa, come emerge nella Relatio finalis, chiede anche alle istituzioni un impegno chiaro, con leggi che agevolino il compito sociale ed educativo degli sposi: «C’è un punto molto chiaro nella Relazione – ha proseguito l’arcivescovo di Vienna – sui doveri della politica per favorire la famiglia sotto tutti i punti di vista, vi sono anche dei passaggi specifici per quanto riguarda l’Africa e i Paesi emergenti che protestano contro questo effetto combinato di intenzioni ideologiche e di aiuti finanziari, un passaggio molto chiaro nel documento finale per le istituzioni internazionali, che non devono imporre agli Stati delle politiche famigliari che gli Stati stessi rifiutano, collegandoli o definendoli come condizioni per la concessione di crediti».

«Il documento – ha detto a questo proposito l’arcivescovo brasiliano di Aparecida, Raymund Damasceno Assis – propone che le associazioni di famiglie abbiano un ruolo perché la famiglia da sola può fare ben poco. È importante aprirsi alla comunione con altre famiglie, anche per avere voce al momento di decidere le politiche pubbliche, e bisogna incoraggiare la formazione di queste associazioni, a tutti i livelli».

Durante il briefing spazio anche al tema della comunione ai divorziati risposati che però nella Relazione finale è affrontato solo in modo indiretto, perché l’obiettivo è quello di lasciare al Papa ampia possibilità di intervenire per la definizione concreta di questo aspetto: «La Relatio come ci è stata presentata stamattina tocca la questione dei sacramenti ai divorziati risposati non in modo diretto, cioè – ha spiegato ancora Schoenborn – offre i criteri fondamentali del discernimento delle situazioni». Una scelta importante, ha fatto notare il cardinale, «perché supera l’attesa di una risposta “sì” o “no”, che è una falsa domanda, perché ogni situazione è diversa dall’altra».

«Come ha spiegato il card. Cottier, che era il teologo di Giovanni Paolo II, nell’intervista al direttore di Civiltà Cattolica padre Spadaro – ha aggiunto il porporato – la definizione divorziati risposati è troppo univoca, perché le situazione sono talmente diverse e dobbiamo guardarle tutte da vicino, discernere e accompagnare le situazioni. Il documento finale dà i criteri non solo per l’accesso ai sacramenti ma anche per le situazioni che il catechismo della Chiesa cattolica chiama “irregolari”».

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Sinodo 2015 Rilanciare la buona novella della famiglia

La dottrina del matrimonio e della famiglia è un dono prezioso non solo per la Chiesa, ma per l’umanità intera. Oggi però questa verità è appannata, non riusciamo più ad esprimerla nel modo più credibile, la forza della nostra testimonianza rischia di risultare meno efficace. Lo dimostra, tra gli altri dati, la diffusa sfiducia dei giovani nel matrimonio che, soprattutto in Occidente, fa registrare numeri in pesante declino. Nelle grandi metropoli d’Europa i matrimoni religiosi sono in caduta libera, mai così pochi dalla Seconda guerra mondiale.

Come reagire? Innanzi tutto trovando modalità più efficaci per ridire la bellezza del matrimonio e della famiglia in modo agevole e comprensibile a tutti gli uomini, anche – e forse soprattutto – ai non credenti. E poi tornando alla radice del Vangelo della famiglia, che è la Parola di Dio, Antico e Nuovo Testamento, padri della Chiesa, magistero. Ecco, la capacità di riaffermare in modo più fresco e accattivante il collegamento tra la missione della famiglia e «la sorgente zampillante» del messaggio di Gesù deve diventare «il cuore palpitante del Sinodo.

Una sfida impossibile? «No, se facciamo eco alla parola di Gesù e se la attuiamo con uno sguardo di tenerezza misericordiosa sulla stagioni della vita familiare». Lo scrivono i padri sinodali del “circolo italiano C” – moderatore il cardinale Angelo Bagnasco, relatore il vescovo Franco Giulio Brambilla – che questa mattina, come gli altri dodici “circoli minori”, hanno consegnato alla Segreteria del Sinodo la relazione con le proposte di modifica per la seconda parte dell’Instrumentum laboris.

Il richiamo a un maggior radicamento nella Scrittura per aiutare la società dei nostri giorni, giovani naturalmente in testa, a comprendere le buone ragioni del matrimonio cristiano, si ritrova un po’ in tutte le relazioni. «Non si tratta di rifare tutta la teologia del matrimonio e della famiglia – annotano i padri sinodali del “circolo francese A“, moderatore il cardinale Gerald Lacroix, relatore l’arcivescovo Laurent Ulrich – ma è necessario che il Sinodo esprima gli aspetti più salienti e più urgenti di questa buona novella che non è riservata ai soli cattolici».

Se la misericordia è la chiave per rileggere tanti aspetti della vita matrimoniale e familiare, si rende allora necessaria «una nuova definizione di famiglia», come fu per la Gaudium et Spes o la Familiaris consortio. La richiesta arriva dal “circolo spagnolo A” – relatore il cardinale Rodriguez Maradiaga, relatore il cardinale Lacunza Maestrojuan – che sottolineano a questo proposito la necessità di ribadire, in modo rinnovato, l’analogia tra Chiesa e famiglia.

Ma l’urgenza di una nuova definizione di famiglia è un dato che si ritrova in varie relazioni. I padri del “circolo italiano B” – moderatore il cardinaleEdoardo Menichelli, relatore il cardinale Mauro Piacenza – lo scrivono in modo esplicito: «Emerge la necessità di domandare un documento magisteriale» che possa riordinare la complessa e diversificata dottrina sul matrimonio e sulla famiglia. E, allo stesso tempo, «verificare i risvolti pastorali attinenti alla tematica».

Chiarezza di linguaggio, maggior radicamento biblico e un esplicito collegamento tra il Sinodo e l’anno giubilare della misericordia sono anche le richieste che arrivano dai padri del “circolo italiano A” – moderatore il cardinale Francesco Montenegro, relatore padre Manuel Jesus Arroba Conde – che chiedono anche di ampliare i testi dottrinali, «inserendovi la dimensione spirituale e pneumologica, accogliendo la sensibilità più propria della tradizione orientale».

Nel “circolo francese C” – moderatore il vescovo Maurice Plat, relatore il vescovo Paul André Durocher – si è invece invitato a superare le «opposizioni implicite» che sono contenute dell’Instrumentum Laboris, il testo base sul quale sta lavorando il Sinodo. Occorre «un approccio più unificato: per esempio tra teologia e pastorale, tra verità e misericordia. Non lasciamoci intrappolare in false opposizioni e concessioni – che generano solo confusione».

Il “circolo inglese A” – moderatore il cardinale George Pell, relatore l’arcivescovo Joseph Kurtz – indica invece delle “buone prassi” sul matrimonio che la Chiesa dovrebbe promuovere. Una di queste è la preghiera all’interno della famiglia.

Nel “gruppo inglese B” – moderatore il cardinale Vincent Nichols, relatore Diarmuid Martin è stato poi sottolineato che anche la terminologia della Chiesa dovrebbe scegliere parole «più accessibili agli uomini e alle donne del nostro tempo». Per esempio, invece che usare la parola “indissolubilità”, sarebbe opportuno «un linguaggio meno legale che mostri meglio il mistero dell’amore di Dio, parlando dunque del matrimonio come grazia, benedizione e come patto d’amore per tutta la vita».

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Un gruppo di famiglie giovani può essere un piccolo miracolo, se la parrocchia non è solo un’agenzia di erogazione di servizi, sacri e profani

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È successo in un weekend di luglio: una decina di famiglie, relativamente giovani, in trasferta, da una parrocchia di Molfetta a Nardò. Un programma tutto sommato semplice, socializzazione e formazione: una mattinata allegra sulla spiaggia di Sant’Isidoro, un pomeriggio di riflessione, una visita alla tomba di don Tonino ad Alessano. E, per non farsi mancare niente, un paio di passeggiate culturali, nelle cittadine vicine.

La cronaca si sbriga in poche righe, ma, se uno sa guardare bene, queste quarantott’ore possono innescare qualche riflessione, qualcosa che spesso viene detto ma che, altrettanto spesso, rimane privo di ricadute concrete. E, per guardare, iniziamo ad aprire una finestra su un momento per molti aspetti rivelatore, quello dei pasti.

Che cosa succede con una decina di famiglie riunite per i pasti, con una ventina abbondante di bambini? Succede quello che succede ogni giorno nelle nostre case. C’è quello che non vuole proprio sedersi a tavola e accanto c’è quello che non ha pazienza di aspettare; ci sarà sicuramente qualcuno a cui quella minestra proprio non va giù, e bisogna ingegnarsi per fargli mangiare qualcosa. Ci sono i mille espedienti per tenere i bambini a tavola; non può mancare qualche bicchiere che si versa… e poi la tipica fuga a metà del pasto. E tutto questo proviamo ad immaginarlo con l’effetto moltiplicativo ed esplosivo della comitiva. I genitori si scoprono tutti sulla stessa barca, a combattere con le stesse situazioni; ci si consola guardando i ragazzini più grandicelli, ormai autonomi, a tavola con il parroco.

Ora apriamo un’altra finestra e questa comitiva di famiglie osserviamola riunita intorno ad un’altra tavola, la Mensa Eucaristica. Non ci sono bicchieri che si versano, ma la scena è più o meno la stessa… e pure il parroco fatica un pochino a mantenere la concentrazione. E, osservando questa scena, ce ne vengono in mente molte altre, vissute in passato. Quella volta che avevamo fatto i salti mortali per partecipare insieme alla Messa domenicale e il piccolo o la piccola non è stato fermo e zitto per più di un minuto. In un banco accanto è potuta capitare anche una signora poco comprensiva: i genitori, senza perdere troppo tempo, hanno dovuto decidere chi rimane e chi esce. Alle preghiere del rito, tipicamente se ne aggiunge un’altra “fa’ che finisca al più presto!”.

Questi episodi di ordinario manicomio, vissuti in un micro-campo parrocchiale, valgono più di mille parole. Se vogliamo parlare di famiglie, se vogliamo fare proposte alle famiglie, dobbiamo tenere in mente queste scene, entrambe le scene.

Tolta l’allegria della comitiva, la prima scena la conserviamo per ricordarci di tutti i motivi che possono mettere una famiglia in affanno, spesso ben più seri dei capricci dei bambini a tavola.

E se l’equilibrio delle giornate delle famiglie è sempre precario, la seconda scena dobbiamo tenerla a mente quando parliamo di partecipazione alla vita comunitaria. La teniamo a mente per ricordare che, quando passiamo dalla teoria alla pratica, diventa tutto così complicato. E fortissima è la tentazione di rinunciare, lasciar perdere la Messa domenicale, gli incontri e tutto il resto. Tentazione da entrambe le parti, famiglie ed operatori pastorali.

Assenti oggi, assenti domani, ci si abitua all’assenza di famiglie, bambini, ragazzi; ci si rassegna. E le famiglie tornano in parrocchia solo quando i figli possono essere inseriti (o scaricati?) nelle attività formative (o di intrattenimento?); con la preoccupazione che la proposta sia sufficientemente attrattiva, per rinviare, indefinitamente, la fatica più grossa, che sarà quella di chiamare in causa le convinzioni, intime e profonde.

Allora un gruppo di famiglie giovani può essere un piccolo miracolo. Un piccolo miracolo se la parrocchia non è solo un’agenzia di erogazione di servizi, sacri e profani. Un piccolo miracolo se, con presa di coscienza collettiva, si riesce a prendere in carico qualche servizio in favore di altre famiglie e del territorio. Un piccolo miracolo se la rete di relazioni continua ad allargarsi, senza troppi vincoli, condividendo esperienze e speranze. Un miracolo se riesce a far circolare una parola, una parola sola, purché di Vangelo, che vada da cuore a cuore.

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Sinodo Vescovi: dinamiche vive e reali delle nostre famiglie

Come sarebbe bello se i vescovi che al Sinodo in ottobre parleranno ancora della famiglia passassero qualche giorno sulle spiagge…

Un buon cattolico d’estate va in montagna, non al mare. Nessuno me lo ha mai detto esplicitamente. Nemmeno l’ho mai letto. Ma da giovane questa idea faceva quasi parte strutturale dell’essenza della fede. Poi, quando 15 anni fa, per la prima volta ho avuto il coraggio di mettere maschera e pinne e guardare sotto ho capito che cercare di salire, di innalzarsi ai cieli, non è l’unico modo per “ascoltare” Dio. E forse nemmeno quello più “incarnato”. Guardare in basso, guardare dentro, nell’abisso da cui siamo sorti, parla altrettanto di Dio, ma da una prospettiva diversa.

Da bravo trasgressore oggi sono in spiaggia. E mentre mi cuocio leggo quello che papa Francesco ha detto qualche giorno fa a Guayaquil, commentando del nozze di Cana e parlando alle famiglie. E mi guardo attorno.

Davanti a me, a chiudermi la bellezza di questo mare, una donna e una bimba. Una decina d’anni la piccola e oltre i sessanta la grande. “Eleonora, vieni qua che ti metto la crema!” La bimba senza farsi pregare rientra saltellante dalla battigia. E mentre si lascia accarezzare protetta, dice: “Papà ha chiamato?”. “No, non ancora. Ma lo sai che lo fa quando può.” “Sì, lo so, nonna!” Quanta nostalgia in queste parole e nei suoi occhietti vispi e feriti. C’è un’assenza, una mancanza, nonostante l’allegria con cui scappa via. Manca la parola mamma.

Di lato a pochi metri, quasi dentro al timpano sinistro, è appena arrivata la parlata toscana di una donna che catechizza suo marito, e non la smette mai. “Ma se te tu lo pianti così il vento lo porta via. Mettilo inclinato!” Il marito esegue, non fiata, mentre lei dirige e sovrintende. “Gianluca! Gianluca, oh bischero! Vieni qua! Adesso l’è presto per andare in acqua”. “Perché mamma?” “Perché te tu lo fai quando lo dico io”. Anche il bambino tace e si adegua. “Amore, te tu hai preso la borsa dei giochi?”. “Sì. Sta li dietro a te” risponde il marito, mentre apre l’ombrellone. “Oh, attento!”, gli grida lei. “Te tu non mi vedi? Ormai mi infilavi l’occhio! Te tu proprio non guardi mai dove sono io. Ché son trasparente?” Lui tace, non la guarda, ormai sa già che non conviene reagire.

A destra, prima ancora che arrivassi, si sono accampati in tre ombrelloni. Il padre non finisce mai di sistemare i fili dei tiranti. Ha una laura in “ingegneria da spiaggia”. La figlia grande, Lucy, sui sedici anni, cuffiette nelle orecchie, spalmata sul telo, col sole che le brucia la schiena, non fiata e non guarda. Il figlio piccolo, Andrea, non arriva a tre anni. Incuriosito dalla buca che la madre gli sta scavando, è perso nelle parole della storia che lei gli inventa, fatta di un castello, di un fossato, dei coccodrilli e di una regina da salvare.

Il papa dice: “Questa è la buona notizia: il vino migliore è quello che sta per essere bevuto, la realtà più amabile, la più profonda e la più bella per la famiglia deve ancora arrivare (…) Gesù ha una preferenza per versare il migliore dei vini a quelli che per una ragione o per l’altra ormai sentono di avere rotto tutte le anfore“.

Eleonora gioca. Da sola ovviamente. Con un bastone cammina, saltella e corre sulla battigia, fino all’estremità della spiaggia. E la nonna, stesa a prendere il sole non la perde un istante. La testa tirata su e gli occhi incollati a quel costumino giallo fiorato. La riconoscerebbe anche a distanza di chilometri. Con tutto l’amore che ci mette, con tutta la responsabilità che si sente addosso. E adesso si ferma, Eleonora. Scrive qualcosa col bastone, ma le onde lo cancellano subito. La nonna si alza appoggiandosi su un gomito. Sarebbe bello sapere cosa ha scritto. Ma forse le basta vedere che nonostante tutto Eleonora vuole lasciare traccia di sé. Sorride, si mette giù e chiude gli occhi. Forse il vino migliore per Eleonora è che un giorno qualcuno arrivi, o ritorni, e dia pienezza a quel desiderio di vivere che il suo corpo di bimba non sa ancora trattenere.

“Oh Gianluca!! Già te l’ho detto: non andare in acqua! Che poi c’è un vento da impazzire. Amore, ma ché, ci stiamo davvero qui?” Non è passata nemmeno un’ora da quando sono arrivati. “E perché non andiamo nella spiaggia di ieri? Là c’era meno vento, meno sassi… dai che là si sta meglio tutti. Non ti pare, amore?” Lui non fiata. Continua a far finta di leggere il giornale. Ma sa già come andranno le cose. “Dai Giangi, vieni su che andiamo! Amore, non ti scoccia vero se cambiamo spiaggia? Te tu sei così bravo!” E a questo punto lui chiude il giornale e inizia rimettere dentro i giochi, appena sparsi. Ecco, il vino migliore per questa donna sarebbe un bel no, secco e deciso, senza ripensamenti. Perché si renda conto che le regine esistono solo nelle favole. Nella realtà sono un delirio.

La mamma di Lucy le batte sulla spalla. Lei si gira e si toglie le cuffiette. “Io e papà andiamo al bar per un caffè. Andrea è con te. Veniamo subito”. Non risponde e si rimette giù. Ma tempo due secondi Lucy si rialza, spegne l’iPod e si siede sul telo di Andrea. Sfodera un sorriso impensabile e dice: “Nano… ci hanno lasciati soli! E allora adesso finiamo il castello. Dove sta la regina?” E mentre loro giocano, mamma e babbo arrivano, in silenzio. E in un secondo, con telecamera e cellulare e immortalano la scena. Sicuramente insolita e inattesa. Ecco forse il vino migliore per Lucy è accettare questo fratellino, forse arrivato fuori tempo massimo, che complica le cose, ma che glene insegna anche tante altre.

Come sarebbe bello se i vescovi che andranno al Sinodo in ottobre passassero qualche giorno sulle spiagge. E’ uno dei pochi posti in cui le dinamiche vive e reali delle nostre famiglie sono esposte a tutti. Anche al Vangelo, se si vuole.

 

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L’udienza Papa: Sinodo preghiere, non chiacchiere. Ecco la preghiera del Sinodo

Papa Francesco, all’udienza generale di oggi, ha prima salutato i malati fatti radunare nell’Aula Paolo VI a causa della pioggia, e poi ha tenuto in Piazza San Pietro la catechesi. Nella sua riflessione sulla famiglia, ha detto che quella di oggi è “una tappa un po’ speciale”, “una sosta di preghiera. Il 25 marzo infatti nella Chiesa celebriamo solennemente l’Annunciazione, inizio del mistero dell’Incarnazione.

L’Arcangelo Gabriele visita l’umile ragazza di Nazaret e le annuncia che concepirà e partorirà il Figlio di Dio. Con questo Annuncio il Signore illumina e rafforza la fede di Maria, come poi farà anche per il suo sposo Giuseppe, affinché Gesù possa nascere in una famiglia umana. Questo è molto bello: ci mostra quanto profondamente il mistero dell’Incarnazione, così come Dio l’ha voluto, comprenda non soltanto il concepimento nel grembo della madre, ma anche l’accoglienza in una vera famiglia.

Oggi vorrei contemplare con voi la bellezza di questo legame, la bellezza di questa condiscendenza di Dio; e possiamo farlo recitando insieme l’Ave Maria, che nella prima parte riprende proprio le parole che l’Angelo, quelle che rivolse alla Vergine. Vi invito a pregare insieme”: (Recita Ave Maria in italiano) Quindi ha meditato su un secondo aspetto: “il 25 marzo, solennità dell’Annunciazione, in molti Paesi si celebra la Giornata per la Vita.

Per questo, vent’anni fa, san Giovanni Paolo II in questa data firmò l’Enciclica Evangelium vitae. Per ricordare tale anniversario oggi sono presenti in Piazza molti aderenti al Movimento per la Vita. Nella Evangelium vitae la famiglia occupa un posto centrale, in quanto è il grembo della vita umana. La parola del mio venerato Predecessore ci ricorda che la coppia umana è stata benedetta da Dio fin dal principio per formare una comunità di amore e di vita, a cui è affidata la missione della procreazione. Gli sposi cristiani, celebrando il sacramento del Matrimonio, si rendono disponibili ad onorare questa benedizione, con la grazia di Cristo, per tutta la vita. La Chiesa, da parte sua, si impegna solennemente a prendersi cura della famiglia che ne nasce, come dono di Dio per la sua stessa vita, nella buona e nella cattiva sorte: il legame tra Chiesa e famiglia è sacro ed inviolabile. La Chiesa, come madre, non abbandona mai la famiglia, anche quando essa è avvilita, ferita e in tanti modi mortificata. Neppure quando cade nel peccato, oppure si allontana dalla Chiesa; sempre farà di tutto per cercare di curarla e di guarirla, di invitarla a conversione e di riconciliarla con il Signore”.

“Ebbene, se questo è il compito, appare chiaro di quanta preghiera abbia bisogno la Chiesa per essere in grado, in ogni tempo, di compiere questa missione! Una preghiera piena di amore per la famiglia e per la vita. Una preghiera che sa gioire con chi gioisce e soffrire con chi soffre. Ecco allora insieme con i miei collaboratori, abbiamo pensato di proporre oggi: di rinnovare la preghiera per il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia. Rilanciamo questo impegno fino al prossimo ottobre, quando avrà luogo l’Assemblea sinodale ordinaria dedicata alla famiglia. Vorrei che questa preghiera, come tutto il cammino sinodale, sia animata dalla compassione del Buon Pastore per il suo gregge, specialmente per le persone e le famiglie che per diversi motivi sono «stanche e sfinite, come pecore che non hanno pastore» (Mt 9,36).

Così, sostenuta e animata dalla grazia di Dio, la Chiesa potrà essere ancora più impegnata, e ancora più unita, nella testimonianza della verità dell’amore di Dio e della sua misericordia per le famiglie del mondo, nessuna esclusa, sia dentro che fuori l’ovile”. “Vi chiedo per favore – è stato il suo invito – di non far mancare la vostra preghiera. Tutti – Papa, Cardinali, Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, fedeli laici – tutti siamo chiamati a pregare per il Sinodo. Di questo c’è bisogno, non di chiacchiere! Invito a pregare anche quanti si sentono lontani, o che non sono più abituati a farlo. Questa preghiera per il Sinodo sulla famiglia è per il bene di tutti. So che stamattina vi è stata data su un’immaginetta, e che l’avete tra le mani. Forse sarà un po’ bagnata. Vi invito a conservarla e a portarla con voi, così che nei prossimi mesi possiate recitarla spesso, con santa insistenza, come ci ha chiesto Gesù.

Ora la recitiamo insieme:

Gesù, Maria e Giuseppe, in voi contempliamo lo splendore dell’amore vero, a voi con fiducia ci rivolgiamo. Santa Famiglia di Nazareth, rendi anche le nostre famiglie luoghi di comunione e cenacoli di preghiera, autentiche scuole del Vangelo e piccole Chiese domestiche. Santa Famiglia di Nazareth, mai più nelle famiglie si faccia esperienza di violenza, chiusura e divisione: chiunque è stato ferito o scandalizzato conosca presto consolazione e guarigione. Santa Famiglia di Nazareth, il prossimo Sinodo dei Vescovi possa ridestare in tutti la consapevolezza del carattere sacro e inviolabile della famiglia, la sua bellezza nel progetto di Dio. Gesù, Maria e Giuseppe, ascoltate, esaudite la nostra supplica. Amen”.

MATRIMONIO E FAMIGLIA, DOPO IL SINODO

In un paio di recenti occasioni, prima all’Università di Vienna (15 ottobre 2014) e poi alla Catholic University of America di Washington (6 novembre 2014), il cardinal Kasper ha pubblicamente ribadito che gli schemi correnti del tipo “progressista/conservatore” male si applicano a papa Francesco. Non classificabile all’interno di una qualche scuola accademica di teologia, uomo pratico che all’astrazione delle idee preferisce l’incontro diretto con le persone, il papa argentino sfugge a simili catalogazioni. Per quanto immediate ed efficaci sul piano giornalistico, quelle semplificazioni risultano ingannevoli quando applicate tout court alla sua figura di pastore o al suo pensiero teologico.

1. Un papa radicale per una chiesa radicale?

Si vede confermato questo convincimento specie se si volge retrospettivamente lo sguardo alla condotta – silente, ma nient’affatto indifferente – del vescovo di Roma nei giorni del sinodo straordinario. Oppure se si rilegge il suo discorso per la conclusione dell’assemblea sinodale, discorso che qualcuno ha giudicato «uno dei più importanti del suo pontificato», fino ad oggi.

In quest’ultimo testo papa Bergoglio sottolinea, riguardo al processo sinodale, la positività del cammino compiuto insieme, ora con momenti di entusiasmo, ora con segni di affaticamento (quando, precisa, il più forte si è sentito in dovere di aiutare il meno forte). E nondimeno stigmatizza le opposte tentazioni – pure verificatesi, inutile nasconderlo – di irrigidirsi in una chiusura a riccio o di annacquare il vangelo della croce, vuoi per assecondare le proprie paure di cambiamento, vuoi per coprire le ferite sanguinanti con falsa pietà, senza guarirle. Cecità nei confronti della realtà, cecità nei confronti della verità. Pane trasformato in pietra, pietra trasformata in pane, dice il papa. Rifiutando queste secche alternative, conclude, la chiesa si dovrà sforzare di essere fedele al suo Sposo, senza paura di sedere a mensa con pubblicani e prostitute. Invocando su se stessa il dono di quella misericordia che è proprietà fondamentale di Dio, la saprà esercitare non come cedimento populista né come debolezza pastorale nei confronti dei fratelli caduti.

In definitiva, puntualizzava Kasper nella sua lecture per la consegna della medaglia intitolata al patrologo Johannes Quasten (1900-1997), se una scelta di campo va individuata, di papa Francesco si deve dire che «egli non rappresenta una posizione liberale, ma una posizione radicale, intesa – nell’accezione originale della parola – come un ricollegarsi alle radici, alla radix», nella convinzione che questo ritorno alle fonti dell’esperienza cristiana è, di fatto, aprire nuove strade, scorgere possibilità impensate, «costruire un ponte verso il futuro».

Ai lettori più attenti non sarà sfuggito che, così dicendo, Kasper a Washington riprendeva esattamente una formulazione retorica dall’Introduzione del suo Il vangelo della famiglia, qui riferita ai compiti della chiesa cattolica oggi 1, là applicata al pontefice che ne regge le sorti. Tradizione sì, senza tradizionalismi. Radicalità sì, senza radicalismi.

Ma allora, possiamo chiederci, che spazio hanno ottenuto, a posteriori, le tesi del «teologo del papa» su matrimonio e famiglia, nella Relatio synodi finale? Il «papa delle sorprese» può dirsi rappresentato, come asseriscono i media, dai passi indicati come necessari dalla «teologia in ginocchio» del cardinale tedesco e/o dalla sintesi cui è provvisoriamente approdata l’assise conciliare? Si è trattato lì di radicalità evangelica o di cosmesi superficiale?

Non possiamo in questo breve spazio approntare un confronto sistematico che espliciti punto per punto contatti e differenze, elaborando un giudizio circostanziato e definitivo sugli effetti del discorso kasperiano sul Sinodo 2. Ci limiteremo invece a uno sguardo a volo d’uccello (§ 2), individuando qualche linea di tendenza, e poi (§ 3) indagheremo che cosa ne è stato, al Sinodo, dei «quattro passi» elencati da Kasper nell’Epilogo de Il vangelo della famiglia. Ci condurranno nel breve percorso anche i testi de Il matrimonio cristiano: di questo vero e proprio trattatello sistematico la relazione introduttiva al concistoro dello scorso febbraio rappresenta, se vogliamo, l’estrema sintesi.

2. Percorsi paralleli sul vangelo della famiglia

L’impianto complessivo dell’argomentazione, tanto nei testi di Kasper quanto nella Relatio synodi, segue una identica triplice scansione: 1) ascolto/sguardo sulla situazione attuale, specialmente sulle sue criticità; 2) ascolto/sguardo sul dato della rivelazione cristiana; 3) confronto fra le due prospettive per discernere nuove vie.

Il primo passaggio di questa rodata metodologia, ossia l’istantanea sociologico-psicologica della realtà di matrimonio e famiglia così come si lascia fotografare oggi, è molto più elaborato e complesso nella relazione conclusiva sinodale che nella relazione introduttiva kasperiana. Nondimeno, il Kasper de Il matrimonio cristiano si dilunga in proposito in una analisi molto più sviluppata, che mantiene – a distanza di quasi quarant’anni – una sua sorprendente attualità.

Quando volge lo sguardo al dato neotestamentario, secondo dei tre passaggi, il documento sinodale richiama la paradigmaticità dell’atteggiamento di Gesù (n. 14) e distingue, nella pedagogia divina, tre (meglio: quattro) tappe fondamentali: l’alleanza sponsale inaugurata nella creazione, poi rivelata nella storia di Israele, riceve la pienezza del suo significato salvifico in Cristo e si compirà definitivamente nelle nozze escatologiche dell’Agnello (nn. 15s.). Queste stesse scansioni storiche appaiono organizzate in modo lievemente diverso ne Il vangelo della famiglia: l’ordine del creato e la ferita del peccato sono pensati già in prospettiva anticotestamentaria, l’ordine della redenzione in Cristo muove dal dettato dei vangeli spingendosi fino agli apporti dell’epistolario paolino, l’accenno alla simbologia escatologica di Apocalisse si allarga sul tema del celibato per il regno, toccando il tópos della famiglia come chiesa domestica, cui è dedicata un’intera sezione 3.

Dato che non costituisce un trattato né un saggio di teologia, è comprensibile che la Relatio synodi – a differenza degli scritti di Kasper – non si incarichi di scorrere lo sviluppo della riflessione e della statuizione dogmatica nei diciannove secoli che intercorrono fra l’epoca apostolica e il Vaticano II. Di fatto, si concentra esclusivamente sui documenti magisteriali emanati dall’ultimo concilio e dagli ultimi pontefici. Riassume poi il “vangelo della famiglia” nel votatissimo n. 21 (con 181 placet di approvazione), cui fa seguire immediatamente il più controverso n. 22 (22 anche i non placet) sugli elementi validi e positivi presenti nel matrimonio naturale (sotto tale dicitura sono incluse in senso lato unioni civili, matrimoni tradizionali, convivenze) concependolo, nonostante limiti e insufficienze, come orientato ovvero orientabile a uno sviluppo, cioè alla pienezza del matrimonio cristiano (cfr. anche il n. 27). Vi si individua così una capacità di evoluzione, un divenire potenzialmente positivo. Infine, nei nn. 23-25, dopo aver ribadito la bellezza e la positività maturante dell’esperienza e della testimonianza dei matrimoni riusciti, per i casi di fragilità e di fallimento il Sinodo individua un approccio pastorale e misericordioso.

Esplicitando prospettive propriamente pastorali (è il terzo passaggio), il documento riassuntivo dell’assemblea dei vescovi cattolici – qui davvero ricalcando da vicino le posizioni del cardinale tedesco – individua l’urgenza e la necessità di scelte coraggiose, di cammini pastorali nuovi che partano dalla realtà effettiva, di uno sguardo differenziato sulle diverse situazioni concrete (n. 45), per far incontrare innanzitutto il volto misericordioso di Dio e la carità materna della chiesa, che si traducono in esperienze di riconciliazione e di aiuto (n. 44). Citando Evangelii gaudium, viene lanciato l’appello ad ascoltare con rispetto, facendosi prossimo e diventando compagni di cammino (n. 46). Si richiama altresì a un discernimento particolare per accompagnare i divorziati risposati (n. 47) e si individua il bisogno di procedure canoniche più accessibili e agili, oltre che gratuite, per il riconoscimento dei casi di nullità – non senza citare la possibilità di dare rilevanza al ruolo della fede dei nubendi in ordine alla validità del sacramento (n. 48) 4. Si promuovono infine il discernimento e la cura pastorale nei confronti dei divorziati risposati, favorendo una qualche loro partecipazione alla vita della comunità ecclesiale (n. 51).

Ad uno sguardo di massima, i punti di contatto fra il pensiero di Kasper e le riflessioni condotte dai padri sinodali sembrano dunque configurare, pur con innegabili differenze di visuale e di approccio, un sostanziale parallelismo di percorsi. Cerchiamo ora di precisare, seppur di poco, il confronto.

3. Il peso della storia sulla teoria del vincolo

Quale accoglienza hanno ricevuto i passi che il cardinale suggeriva di compiere nell’Epilogo del suo Il vangelo della famiglia? Erano quattro i passi auspicati: possiamo seguirli uno a uno, nella loro esatta successione, concatenati come sono fra di loro 5.

1) Nella prima delle due tappe del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, quella straordinaria celebrata lo scorso ottobre, si è senz’altro cercato un linguaggio nuovo che, accantonando sia toni catastrofici e pessimistici sia la presunzione di giudicare prima ancora di capire, smuovesse dall’immobilismo miope di chi finge di non vedere i problemi sul tappeto. A favore di una spiritualità dell’amore coniugale, un amore che trova la sua massima espressione incarnata nell’intimità sessuale – questa la sua specificità –, si sono levate voci nel corso dell’assemblea sinodale e si trovano accenni positivi nel “lessico familiare” del documento conclusivo. E, con questo, si può dire compiuto il primo passo.

2) Il tono generale di quel documento riassuntivo, prima ancora di affermazioni di singoli, attesta di un profilo pastorale profondo, più integrato nello stile ecclesiale, sulla scia del Vaticano II: accantonate considerazioni rigoriste e legaliste, ha la meglio un atteggiamento di accompagnamento solidale, sostanziato per così dire di “pazienza ed empatia”. Consapevoli del tesoro loro affidato ma anche dei propri limiti, i pastori sono chiamati a compiere un cammino (anche di conversione, perché no?) accanto ai coniugi, guidando ma facendosi aiutare da (alcuni di) loro, in spirito di corresponsabilità, e altresì a rivolgersi con sguardo aperto anche alle persone che hanno visto tristemente fallire il loro progetto di vita insieme. Nel testo non fa la sua comparsa il termine oikonomía, forse troppo caratterizzato dalla tradizione bizantino-ortodossa, ma la sostanza del concetto così come inteso da Kasper nel secondo passo proposto – il superamento di una manicheistica alternativa fra rigorismo e lassismo – pare esserci tutta.

3) E quanto al bisogno di riorientare in senso spirituale e pastorale i procedimenti canonici su questioni matrimoniali? Abbiamo già visto che nella Relatio synodi gli accenni in questa direzione non mancano. Altra cosa è dire se siano sufficienti, dal momento che nelle parole di Kasper si potrebbe leggere una più sottile provocazione a riequilibrare, appunto in termini spirituali e pastorali, esigenze istituzionali e giuridiche con dimensioni individuali e private. Alcuni osservatori appuntano che la materia in oggetto – cioè matrimonio e famiglia – ingloba un insieme di questioni che non sono riducibili né alla ferrea logica oggettiva del dato istituzionale (il vincolo matrimoniale stabilito dal sacramento), né alla magmatica sensibilità affettiva-emozionale dei singoli (il soggetto autonomo e autodeterminantesi), ma casomai a un campo di compresenza e di tensione fra questi due ambiti. Potremmo dire: il campo della intersoggettività.

Le categorie e i capisaldi di riferimento – teologici, canonistici, pastorali – che una secolare tradizione ci ha consegnato per dire e praticare il vangelo della famiglia propendono per una intangibilità dell’aspetto istituzionale. Come ricorda lo stesso Kasper ne Il matrimonio cristiano, questo rivestimento culturale del dato evangelico era perfettamente funzionale a una famiglia centrata sulla sua vocazione pubblica e sociale: quale comunità economica e centro di produzione di beni e servizi, come spiegano storici e sociologi. Alla sensibilità occidentale contemporanea che, al contrario, esalta la libera scelta sovrana del soggetto, si attaglia maggiormente un modello di famiglia imperniato sulla sua vocazione privata e personale (l’integrazione affettivo-personale, anziché la vita professionale e la funzione produttiva). Il distacco lacerante fra le due prospettive storico-culturali – che si traduce in uno scacco, direbbe qualcuno, per la comunità ecclesiale – appare a prima vista incolmabile 6. Fra le due c’è un abisso, riconosce Kasper: da una parte una comprensione naturale-statica, dall’altra una di tipo più personale-storico-dinamico 7. Per esemplificare: di fronte a una crisi matrimoniale, la Relatio synodi sembrerebbe vedere solo la fragilità dei soggetti implicati e del loro cammino di fede, mai una criticità del vincolo, un suo divenire, una sua dinamica storica (cfr. n. 24) 8.

La teologia kasperiana ci sembra invece più propensa a individuare elementi di gradualità: una legge di crescita, di sempre maggiore comprensione e realizzazione dell’ideale, di approfondimento, che conosce le dimensioni della conversione e del rinnovamento 9. Nelle posizioni espresse dai padri sinodali, così come riassunte nella relazione finale, parrebbe invece prevalere ancora la logica precedente, che sgancia il matrimonio dalla fragilità delle sue connessioni a parametri privati, egoistici (strutturalmente instabili e non vincolanti), ma per converso non si cura davvero della qualità relazionale, dell’intensità affettiva nella sfera intima, della ricchezza emotiva della vita di coppia, liberata oggi dalle determinanti sociali, economiche e biologiche di un tempo.

4) Se il passo precedente rimane incompiuto, ne risulta pregiudicato anche il passo successivo, il quarto e ultimo. È riferito a uno dei temi più scottanti sul tappeto: la possibilità per i divorziati (risposati e non) di accedere – a precise condizioni e dopo un periodo di riorientamento – ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia, al di là di prassi tacite e ufficiose localmente tollerate: il documento sinodale ne tratta ex professo al n. 52 (che ha ricevuto peraltro il più ingente numero di non placet: ben 74!). Dopo aver sunteggiato le opposte posizioni in campo, si conclude in modo asettico che la questione attende ulteriori approfondimenti (come per l’escamotage della comunione spirituale, di cui si occupa il n. 53): segno che il coraggioso affondo di Kasper non ha convinto molti esponenti dell’episcopato.

4. Per concludere

C’è ancora tutto un lavoro da svolgere: parliamo di quel lavoro mai esaurito di inculturazione, che risponde alla logica della incarnazione.

Non è questione di annacquare un vangelo esigente, di istituzionalizzare gratuiti sotterfugi rispetto ai rigori della legge ecclesiastica, di prendere alla leggera l’impegno di tutta una vita, di escogitare ingannevoli sofismi e comode scorciatoie, magari esponendo i più deboli – basti pensare ai bambini – al capriccio della volubilità altrui, in un gioco autoassolutorio.

No, la questione è un’altra. La questione è, a nostro avviso, assumere responsabilmente l’umano così come si autocomprende oggi – non un humanum atemporale, astratto, immaginario, pretenzioso – e portarlo a contatto con il messaggio evangelico di sempre. Quindi il lavoro da svolgere è far risuonare credibilmente quel messaggio lungo la direttrice che incrocia tanto le opportunità reali (non sempre valorizzate) quanto i pericoli veri (questi ultimi più spesso lamentati e condannati) degli sviluppi postmoderni intervenuti nel costume, nell’antropologia, nella cultura, quando si tratta di vita di coppia, di matrimonio, di famiglia. Deve ancora generarsi in forma convincente, dicevamo, una nuova consapevolezza – dottrinale, giuridica, pastorale – della intersoggettività di quel quid che è la famiglia. Si potrebbe forse parlare di inter-relazionalità, riformulando Kasper: oggi l’essenza della persona e del matrimonio «non deve essere definita in modo naturale, ma in modo relazionale» 10. Dello svolgimento di questo incarico, che nel 1977 l’allora professore di dogmatica a Tubinga assegnava alla teologia, compaiono solo timide tracce nella Relatio synodi.

Del resto – e lo indicava lo stesso Francesco nel suo discorso conclusivo – era precedentemente stabilito che quello di trovare soluzioni concrete e di dare risposte praticabili è il lavoro che resta da fare da qui alla prossima assemblea sinodale: un percorso di discernimento e maturazione dovrà portare lì.

Fa ben sperare il fatto che i (nuovi) metodi di lavoro sinodali, messi in atto sotto la regia del papa in questa esperienza di dialogo ecclesiale ai massimi livelli, hanno consentito un effettivo esercizio di responsabilità collettiva da parte dei rappresentanti dell’episcopato mondiale. Quei metodi si sono dimostrati sufficientemente capaci di suscitare un franco dialogo e un confronto serrato che, sulla base di un insegnamento tradizionale riletto alla luce della realtà contemporanea, hanno gettato sul terreno nuovi semi di riflessione, che attendono di germogliare. Per inaugurare davvero un vissuto ecclesiale di incarnata radicalità evangelica.

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Note

1. «La nostra posizione oggi non può essere un adattamento liberale allo status quo, ma una posizione radicale, che va alle radici, cioè al vangelo, e di là dà uno sguardo in avanti»: W. KASPER, Il vangelo della famiglia, Queriniana, Brescia 2014, 9.

2. La disomogeneità – anche solo di genere letterario e di finalità – dei diversi testi in campo, ovvero la relazione introduttiva di Kasper al concistoro del 20-21 febbraio 2014 e la relazione finale della IIIa Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, induce alla massima cautela chi volesse operare un confronto ponderato.

3. Anche qui, la periodizzazione storica è ancor più organica e dettagliata ne Il matrimonio cristiano (Queriniana, Brescia 2014). Si veda per esempio l’intera Appendice I per l’articolazione dell’inserimento del matrimonio tanto nell’ordine della creazione quanto nell’ordine della redenzione; o si veda l’Appendice II per il doppio tema della sacramentalità del matrimonio cristiano e della famiglia come chiesa domestica.

4. In realtà, lo diciamo per inciso, il tema della fede (meglio: di una iniziazione alla fede cristiana, da viversi con consapevolezza, libertà, maturità umana) ci pare l’articolo dirimente dell’intera questione, non solo del suo aspetto canonico: viene spesso presupposto, ma con esso sta o cade l’intero edificio del matrimonio sacramento.

5. Cfr. KASPER, Il vangelo della famiglia, cit., 71-76.

6. La distinzione, da cui poi sviluppa la contrapposizione, fra sfera pubblica e sfera privata, così come la sentiamo noi oggi, è caratteristica di un’epoca piuttosto recente. Per un esempio concreto, si pensi solo a quell’epifenomeno che è la casa moderna, lo spazio abitativo della famiglia così come lo intendiamo noi: esso è sconosciuto al mondo antico. Fino a tutto il Medioevo la casa era costituita fondamentalmente da un unico vano, più o meno ampio, scarnamente arredato, nel quale vivevano insieme non solo i membri del gruppo familiare, ma anche i collaboratori e gli apprendisti coinvolti nelle attività commerciali o artigianali del capofamiglia, che ivi si svolgevano (con una assoluta promiscuità di persone – e, se del caso, persino di animali). Solo nell’Olanda rinascimentale, cioè a partire dal XVII secolo, cominciano a realizzarsi abitazioni in cui l’attività lavorativa (configurandosi come questione pubblica) non si svolge più all’interno della dimora familiare (che tende a specializzarsi in focolare degli affetti, regno della privacy). «Ha origine qui la storia di una doppia privatizzazione: quella della famiglia rispetto alla società e quella, all’interno della famiglia stessa, tra i suoi membri» (G. Postiglione).

7. ID., Il matrimonio cristiano, cit., 19.

8. Fa eccezione il n. 59, che all’affettività e all’amore riconosce una capacità di crescita nel tempo e un percorso di maturazione progressiva – senza che questo però venga detto del legame coniugale in quanto tale. Anzi, il testo in alcune sue forme dà l’impressione di un certo imbarazzo nel dover riconoscere che anche all’interno del legame coniugale, e non solo prima di esso, l’affettività non si dà a vivere se non come dinamica di maturazione!

9. «Questa legge della gradualità mi pare una cosa importantissima per la vita e per la pastorale matrimoniale e familiare»: KASPER, Il vangelo della famiglia, cit., 31.

10. ID., Il matrimonio cristiano, cit., 21.

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Colloquio interreligioso su complementarietà uomo-donna

Inizia lunedì 17 novembre, in Vaticano, con l’intervento di Papa Francesco, il Colloquio interreligioso internazionale sul tema “La complementarietà dell’uomo e della donna”. Il servizio di Sergio Centofanti  – radiovaticana

L’importante evento durerà tre giorni ed è promosso da ben quattro dicasteri vaticani: la Congregazione per la Dottrina della Fede e i Pontifici Consigli per la Famiglia, Dialogo Interreligioso e Unità dei Cristiani. Introdurrà i lavori il cardinale Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Si tratta di un raduno di studiosi e leader religiosi, ebrei, cristiani, musulmani e di altre confessioni – afferma un comunicato degli organizzatori – “al fine di proporre di nuovo la bellezza della naturale unione dell’uomo e della donna nel matrimonio”. I relatori svilupperanno vari aspetti di questa complementarità “per sostenere e rinvigorire il matrimonio e la vita familiare”. Ci saranno anche dei testimoni che “attingeranno alla saggezza della loro tradizione religiosa e dall’esperienza culturale per dare testimonianza alla forza e alla vitalità della complementarità dell’uomo e della donna”.

Papa Francesco era intervenuto sul tema della complementarietà uomo-donna l’11 aprile scorso, incontrando la Delegazione dell’Ufficio internazionale cattolico dell’infanzia (Bice). In quell’occasione, il Pontefice aveva ribadito “il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva. Continuando a maturare nella relazione, nel confronto con ciò che è la mascolinità e la femminilità di un padre e di una madre, e così preparando la maturità affettiva”.

“Ciò comporta al tempo stesso – aveva proseguito – sostenere il diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli”. E a questo proposito aveva espresso il suo “rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani – aveva esclamato – non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio! Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX – aveva detto con forza – non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del ‘pensiero unico’”. E citando la frase di un grande educatore, che si riferiva a progetti concreti di educazione, concludeva: “A volte, non si sa se con questi progetti … si mandi un bambino a scuola o in un campo di rieducazione”.

Il cardinale Gerhard Müller – di cui l’Osservatore Romano anticipa alcuni stralci della sua relazione al Colloquio – afferma che “il maschile ha bisogno del femminile per essere compreso, e così è per il femminile”. “Dalla presenza del figlio – osserva il porporato – proviene una luce che ci può aiutare a descrivere la complementarità dell’uomo e della donna. Il rapporto dei genitori con il bambino, dove ambedue si aprono al di là di se stessi, è un modo privilegiato per capire la differenza tra l’uomo e la donna, nel loro ruolo di padre e madre. La complementarità non si comprende, allora, quando guardiamo all’uomo e alla donna in modo isolato, ma quando li consideriamo nella prospettiva del mistero verso cui la loro unione si apre e, in modo concreto, quando guardiamo il maschile e il femminile alla luce del rapporto con il figlio”.

“Si potrebbe aggiungere – prosegue il cardinale Müller – che il femminile si caratterizza per una presenza costante, che sempre accompagna il figlio. In tedesco, infatti, quando una donna è incinta, si dice che porta un bambino sotto il cuore (dass sie ein Kind unter dem Herzen trägt). La filosofia contemporanea ha parlato del femminile come dimora, come presenza che avvolge l’uomo dall’inizio e l’accompagna sulla strada, come sensibilità singolare per la persona come dono e per la sua affermazione. D’altra parte, il maschile è caratterizzato, riguardo al figlio, come la presenza di qualcuno ‘nella distanza’, in una distanza che attira e, così, aiuta a percorrere il cammino della vita. Ambedue, maschile e femminile, sono necessari per trasmettere al figlio la presenza del Creatore, sia come amore che avvolge e conferma la bontà dell’esistenza malgrado tutto, sia come chiamata che da lontano invita a crescere. Il primo luogo in cui la differenza sessuale appare nella vita delle persone è appunto l’esperienza di filiazione. La nostra origine, il nostro primo luogo di contatto con il mistero, si rivela nell’unione dei nostri genitori, da cui ci proviene la vita. Il maschile e il femminile rendono visibile per ogni bambino che viene a questo mondo, in modo sacramentale, la presenza del Creatore. Il bene di questa differenza è la grammatica essenziale perché il bambino possa essere educato come uomo aperto al mistero di Dio”.

Giornata diocesana della famiglia. Domenica 12 ottobre a Baragalla

La Pastorale Familiare organizza la Giornata diocesana della Famiglia il 12 ottobre alle ore 16 a Baragalla presso il Centro Pastorale Sacro Cuore.
È un appuntamento che quest’anno viene reso ancora più interessante per la presenza del vescovo Massimo che guiderà nella riflessione sul tema: Il Matrimonio, via per vivere il battesimo.

In questa circostanza saranno anche presentate le schede per i Gruppi Sposi, già da ora presenti sul  sito www.diocesi.re.it/famiglia, con tutte le proposte del nuovo anno pastorale.

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