«Sinodo, confronto sincero sulla famiglia»

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Festa regionale della famiglia a Parma dal 14 al 18 maggio

Festa regionale della famiglia a Parma dal 14 al 18 maggio

Ripartire dalla famiglia per rilanciarne il valore sociale. Questo il principio alla base della Festa regionale della famiglia presentata dal presidente del Forum delle Associazioni familiari dell’Emilia Romagna Pietro Moggi, il consigliere nazionale dell’Associazione famiglie numerose Alfredo Caltabiano e la presidente di Famiglia Più Margherita Campanini Nicoli. “In un mondo sempre più ostile alla famiglia, è importante riportarne in primo piano i diritti, rilanciando la bellezza della famiglia nei suoi connotati sociali”, sottolinea Moggi.

Una scelta non casuale quella di Parma, per celebrare non solo il trentennale della carta dei diritti della famiglia e il ventennale della proclamazione della giornata mondiale della famiglia da parte dell’Onu, ma anche per festeggiare il decennale della sigla del protocollo tra Forum associazioni familiari e il Comune di Parma, che ha portato alla nascita dei laboratori famiglia. “Parma è un laboratorio importantissimo per le politiche familiari – sottolinea Caltabiano -. Il quoziente Parma e i laboratori famiglia sono solo alcuni esempi. Pensiamo di costituire un nuovo organismo provinciale in cui sia possibile fare rete tra famiglie e associazioni”.

Un programma fitto di eventi tra convegni, incontri e momenti ricreativi a cui hanno aderito 38 associazioni nell’intento, come sottolineato anche da Caltabiano, di sensibilizzare maggiormente la politica e i media sul ruolo sociale della famiglia, da cui ripartire per superare la crisi: “Il difficile periodo che stiamo attraversando è determinato anche dall’individualismo, si dovrebbe ripartire dalla famiglia per imparare regole e condivisione. Siamo in un paese vecchio con un calo demografico coinciso con la crisi economica. La politica fa fatica ad ascoltare le istanze delle famiglie, chiediamo che anche a livello locale si tenga maggiormente conto dell’importanza del primo nucleo sociale. Rispetto alle precedenti amministrazioni, ci sono meno convocazioni della consulta famigliare, crediamo sia importante che le istituzioni si facciano carico delle nostre istanze”. La festa della famiglia sarà un’occasione, secondo Campanini Nicoli, anche per favorire l’integrazione: “Vogliamo partire da una città con una ricca tradizione di feste della famiglia come Parma per riportare nella società principi fondamentali come fratellanza, solidarietà e pace“.

IL PROGRAMMA COMPLETO

14 maggio: ore 17  Convegno organizzato dal Movimento per la Vita: “Vita e Famiglia” Relatori: Antonella Diegoli, presidente Federvita Emilia Romagna, e Glauco  Santi, medico chirurgo Luogo: sede MCL Parma, via Cornelio Ghiretti n. 2

15. maggio : ore 17 “Le nostre culture: le famiglie nel mondo”, a cura dell’Associazione LiberaMente Luogo: Laboratorio Famiglia Oltretorrente, piazzale San Giacomo 7 ore 18 Convegno organizzato da Forum delle Associazioni familiari Emilia Romagna: “Famiglia: Speranza e Futuro per la Società” Relatori: Giorgio Campanini, sociologo, Lamberto Soliani, demografo, Vera Zamagni, economista, Francesco Belletti (in videoconferenza), presidente nazionale Forum delle Associazioni Familiari Luogo: Casa della Musica, piazzale San Francesco

16 maggio: ore 16.30 Mostra “Cervelli Accessibili”, a cura del Criba. Luogo: Auditorium via Toscanini; ore 16.30 Convegno organizzato da Associazione Nazionale Famiglie Numerose  con il Comune di Parma: “Affido familiare, un percorso di Accoglienza” Introduce Sergio Belardinelli, docente di Sociologia Università Bologna; poi tavola rotonda con il segretario del Tavolo nazionale affido, Marco  Giordano, Comunità Papa Giovanni XXIII. Modera: Maria Cecilia Scaffardi, direttrice Vita Nuova, settimanale diocesi di Parma Luogo: Auditorium Toscanini, via Cuneo 3; ore 16-19 Laboratorio Famiglia San Martino e San Leonardo: Open Day Luogo: via San Leonardo 47;  ore 19.30 Laboratorio Famiglia Al Portico: Open Day Cena e animazione con le famiglie – a cura Associazione di volontariato “Compagnia In…stabile”Luogo: strada Quarta 23; ore 20.30 Incontro con psicologo Osvaldo Poli organizzato da Famiglia Più in collaborazione con l’Associazione Noè: “I genitori e i difetti dei figli” Luogo: Auditorium Toscanini, via Cuneo 3

17 maggio:  ore 9-19  Stand associazioni in piazza Garibaldi 17.05 ore 16.30 Musical a cura di Professione Danza (Us Acli) Luogo: piazza Steccata; ore 16-18 Veglia di preghiera organizzata dal Rinnovamento nello Spirito Santo Luogo: chiesa di San Pietro in piazza Garibaldi; ore 20.30 Serata con genitori su social network: “Facebook, Twitter & Co.: genitori a lezione dai figli” Con la partecipazione di Domenico Delle Foglie (presidente Copercom – Coordinamento delle associazioni per la comunicazione) e di agenti della polizia Postale di Parma. Luogo: sala polivalente Buzzi, via Nicola de Giovanni 6; dalle 14 “Con l’Africa”, cena ed evento sportivo per condividere insieme grandi progetti, a cura di Amici d’Africa Onlus. Ore 14: torneo calcetto, ore 19.30: cena Luogo: Centro sportivo di Basilicagoiano

 

( da Parma Today)

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Verso la terra dei figli

Dopo il diluvio e dopo Babele, la città fortificata dove l’umanità aveva cercato una salvezza sbagliata senza diversità e senza dispersione feconda sulla terra, l’alleanza e la salvezza continuano con Abram. L’uomo che lascia la casa del Padre e si mette in cammino, fidandosi di una voce che lo chiama. Fede e fiducia, perché ogni fede è fiducia in una promessa. Noè ci aveva salvato costruendo un’arca, restandovi dentro fermo in compagnia della sua famiglia e degli animali, attendendo il ritiro delle acque.

Abram, invece, risponde alla chiamata di quella stessa voce mettendosi in cammino verso una terra promessa: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso una terra che io ti mostrerò» (12,1). All’inizio della sua storia non gli è chiesto di costruire nessuna arca, né, come sarà con Mosè, di liberare il suo popolo dalla schiavitù. Per rispondere Abram deve “soltanto” credere alla promessa di una terra, e quindi partire per raggiungerla; deve lasciare la casa di suo padre Tèrah e muoversi verso una terra che gli viene annunciata come luogo di benedizioni e di felicità, ma ignota. Con Abram – il primo ebreo della Bibbia – c’è allora una chiamata alla felicità, alla fecondità, alla fioritura: «Farò di te una grande nazione, ti benedirò, renderò grande il tuo nome e tu sarai una benedizione. […] In te saranno benedette tutte le famiglia della terra» (12,2). Qui c’è una chiamata alla vita, c’è una promessa di futuro: ci sono quindi l’Adam, l’Eden, la continuazione dell’arcobaleno di Noè. Con lui c’è una moglie, Saray, e insieme raggiungono non la terra sicura dei padri, ma quella ignota dei figli.

La prima vocazione di Abram sta tutta nel credere incondizionatamente a una promessa, e partire. È questa la sua prima giustizia. Noè era “giusto” e per la sua giustizia gli fu affidato un compito decisivo. Di Abram non si dice che fosse giusto prima della vocazione, ma la sua giustizia nasce dall’aver creduto alla promessa: «ed egli credette, e gli fu accreditato come giustizia» (15,6). Noè era giusto e quindi credette; Abram credette e divenne giusto.

Ci sono persone che ricevono una chiamata a svolgere un compito di salvezza, a costruire un’arca: la costruiscono, salvano tanti e, salvando, si salvano. Ma ci sono altri ai quali quella stessa voce fa una promessa di felicità e di pienezza, e la loro giustizia sta tutta nel continuare tutta la vita a credere incondizionatamente e ostinatamente a quella promessa.

Questi “chiamati” si mettono in cammino verso una terra non per salvare qualcuno o qualcosa, ma perché in quella promessa vedono, o sanno intravvedere, benedizione, felicità, frutti, figli numerosi come le costellazioni. In queste vocazioni le arche da costruire arrivano dopo (e, se la vocazione è autentica, arrivano sempre), ma nel credere e nel partire non c’è altruismo, né sacrificio; non ci sono doni da fare, ma solo da ricevere. In queste vocazioni si parte sulla base di un duplice atto di fiducia: ci si fida di una “voce” buona che chiama, e si crede che l’adempimento di quella promessa sia la migliore felicità. In ogni vocazione c’è sempre un atto radicale di fiducia in una “voce” che chiama, anche quando non si sa di chi sia quella voce che ci chiama. La giustizia-bontà di Abram non è primariamente il frutto delle virtù: è credere a una promessa, e continuare a credere e a camminare.

Molte malattie spirituali e poi comunitarie nascono quando si trasformano la benedizione e la salvezza in perfezionismo etico, la promessa in una morale, quando invece di continuare a camminare ci si ferma a osservare le (proprie) virtù e i vizi (degli altri). E ci si smarrisce.

Anche nella chiamata di Abram ritroviamo allora una grammatica universale delle vocazioni, di quelle religiose, ma anche di quelle civili, professionali, artistiche, imprenditoriali. Abram arriva nella terra di Caanan e vi trova i cananei: la terra promessa è popolata da altra gente. Non trova frutti e abbondanza, ma una carestia che lo fa emigrare in Egitto. A Caanan soggiorna «come straniero» (17,8), i figli promessi numerosi come le stelle del cielo non arrivano, ma giungono solo, inesorabili, la vecchiaia sua e quella di sua moglie.

La terra promessa dalla voce che chiama si mostra sempre diversa da come ce la immaginavamo. Una vocazione non è un contratto (ma un patto o un’Alleanza), e quindi ci sono le sorprese, le delusioni, le prove, lo sconforto, a volte anche la disperazione, sempre il perdono e il poter ricominciare. La buona fatica di chi ha ricevuto una vocazione (e sono molti di più di quanti pensiamo) sta nel continuare a camminare quando la terra promessa appare secca e popolata da altri, e quando in quella terra ti rapiscono familiari e beni (14,12). La giustizia di Abram fu rispondere alla prima chiamata, ma soprattutto continuare a camminare quando quella promessa gli appariva molto distante e forse un auto-inganno. Fu nel continuare a credere che quella terra e il grembo secco di Saray potessero ancora generare, fiorire in benedizioni. Abram trovò una terra diversa da quella che pensava al momento della chiamata, ma fu giusto e il più grande di tutti perché continuò a credere che la terra promessa fosse quella che JHWH gli avrebbe mostrato, non un’altra.

La giustizia, in ogni vocazione, sta nel riuscire a riconoscere la terra promessa anche in una terra secca e vedere futuri figli in un grembo sterile. Conosco molti imprenditori giusti partiti dietro a una voce, che hanno creduto in una promessa, e che poi hanno trovato, e trovano, una terra secca e non vedono né figli né nipoti. Si sono salvati, e hanno salvato, tutti quelli che hanno saputo scorgere in quelle siccità la primizia della terra promessa; ma soprattutto quelli che hanno continuato a camminare, a spostare in avanti la tenda, senza fabbricarsi un’altra terra delusi dal non arrivo di quella promessa.

Abram riceve la prima chiamata quando aveva 75 anni (gli anni nella Bibbia nascondono molti significati, tutti importanti e in genere positivi), ma diventa Abramo a 99 anni: «Cammina alla mia presenza e sii irreprensibile. […] Non ti si chiamerà più col nome di Abram, il tuo nome sarà invece Abramo, perché io ti faccio padre di una moltitudine di nazioni. Ti farò fruttificare davvero molto» (17,1-5). Una chiamata c’era già stata, ma ora accade qualche cosa di nuovo: Abram diventa Abramo, e Saray diventa Sara (17,15). Dopo 14 anni la chiamata alla felicità e alla terra promessa diventa chiamata a un’Alleanza tra JHWH e un intero popolo, in vista di una benedizione universale (leggendo e studiando questi primi capitoli della Genesi sono travolto dalle benedizioni, da uno sguardo buono sul mondo e sugli umani, che mi ama e mi nutre). Quel nuovo incontro svela la chiamata, rinnova e qualifica quella prima promessa. Ma soprattutto cambia il nome, rivela cioè il senso vero della prima vocazione. Abram non era stato irreprensibile (basta leggere il capitolo 13 su Saray in Egitto), Abramo lo diventerà.

C’è allora un momento cruciale nel (buon) sviluppo di ogni (vera) vocazione. Si era partiti un giorno ascoltando una voce di benedizione, si era giunti in una terra ignota, si erano combattute buone battaglie, ma ancora mancava il senso profondo di quella promessa. Ed ecco che arriva una seconda vocazione nella prima vocazione: Abram muore e nasce Abramo. Si comprende che la prima terra, gli armenti e i fiumi generosi, non erano la vera promessa. E si diventa anche “irreprensibili”, ma non come ricerca di una perfezione etica, perché l’irreprensibilità è dono ed esigenza profonda di verità al servizio della promessa.

Abram era un padre di famiglia, Abramo diventa padre di un popolo, di tanti, di “tutte le famiglie della terra”. E si continua ancora a camminare, anche quando la strada sale e sembra diventare una silenziosa processione con un figlio-vittima verso un monte-altare, quando l’arcobaleno scompare e le innumerevoli stelle si spengono. Ci si salva e si resta giusti non interrompendo il cammino, continuando a guardare avanti, fino a consumarsi gli occhi sulla linea dell’orizzonte.
l.bruni@lumsa.it

Luigino Bruni
famiglia

Proposta: 15 maggio sia la Giornata nazionale della famiglia

Esiste già in tanti Paesi ma non da noi. Per colmare la lacuna, il deputato di “Per l’Italia”, Mario Sberna, ha depositato alla Camera una proposta di legge per istituire, il 15 maggio di ogni anno, la Giornata nazionale della famiglia. L’idea ha già riscontrato l’interesse e il sostegno di una folta pattuglia di parlamentari di tutti gli schieramenti e si inserisce nel solco delle iniziative promosse dall’Onu, che ha proclamato il 2014 Anno internazionale della famiglia. Inoltre, l’assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 47/237 del 20 settembre 1993, ha scelto proprio il 15 maggio per la Giornata internazionale della famiglia.
«Questa celebrazione annuale – spiega Sberna – riflette l’importanza che la comunità internazionale attribuisce alla famiglia, intesa come unità fondamentale della società e costituisce una preziosa occasione per discutere delle tematiche e degli interventi a favore dei nuclei familiari, con una particolare attenzione al sostegno delle giovani coppie, per l’attuazione di nuove politiche che diano un rinnovato slancio verso i percorsi di genitorialità».

Per promuovere tra i più giovani i valori della famiglia, la proposta di legge punta a coinvolgere direttamente le scuole, alle quali, nel contesto della Giornata, «dovrà essere riservato grande spazio» per l’attuazione di «attività didattiche specifiche, legate alle peculiari tradizioni delle diverse aree territoriali del Paese».

Con l’obiettivo di far conoscere tutte le iniziative della Giornata, la proposta di legge prevede anche una capillare «campagna di informazione» a cura della Presidenza del Consiglio, d’intesa con l’associazionismo familiare e, in particolare, con il Forum delle associazioni familiari, che in Italia rappresenta più di tre milioni di nuclei.

«Nel nostro Paese – sottolinea Sberna – occorre una vera e propria rivoluzione culturale e politica per arrivare a riconoscere la famiglia non come un gruppo di consumatori o di poveri da aiutare in casi estremi, ma come soggetto produttivo di beni importanti per la società, come l’educazione e la solidarietà. In tal modo, s’intende sottolineare il ruolo di volano della famiglia, non tanto destinataria di politiche assistenziali, quanto protagonista e partecipe dei processi decisionali che la riguardano».

Favorire il protagonismo del «nucleo fondante della nostra collettività», diventa allora un «obiettivo strategico per la coesione sociale» e un «motore di sviluppo della comunità» nazionale.

 

Paolo Ferrario  – avvenire

Le famiglie si mettono in rete. Così cresce il welfare fai-da-te

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La famiglia è il laboratorio dove viene ‘sintetizzato’ il benessere della società: se una società si dà regole e leggi che rendono squilibrato il rapporto tra le generazioni o non equo il rapporto tra i sessi, è la famiglia che deve far fronte ai problemi che nascono e compensare le disequità. Un caso oggi divenuto emblematico è quello dei genitori che continuano a prendersi cura dei figli giovani adulti che non riescono ad accedere al mercato del lavoro. È dunque chiaro che la famiglia può essere più facilitata o più ostacolata nell’assolvere al compito di generare benessere per sé e per la società. Il nostro tempo ha visto crescere in modo notevole i fattori ostacolanti.

Tuttavia, mentre a livello culturale si assiste a un sempre più massiccio attacco all’istituzione familiare, nella vita reale c’è un proliferare di esperienze dove è visibile la grande vitalità delle famiglie che, se appena viene riconosciuta e valorizzata dalle amministrazioni locali o in ambito ecclesiale, si propaga come un contagio ‘buono’. Essa si esprime in particolare nella creazione di reti tra famiglie che, a volte, danno vita a vere e proprie associazioni. È importantissimo quindi che tali esperienze vengano portate allo scoperto e promosse. Questo sta avvenendo in molte regioni e comuni italiani, dove sono state attivate buone politiche familiari e la soggettività della famiglia ha fatto grandi passi in avanti. Tuttavia, nel complesso, le politiche familiari restano insufficienti e il nostro sistema di welfare, anziché cercare di attenuare gli effetti della complessità, spinge le famiglie alla frammentazione, grazie a un’endemica mancanza di coordinamento e integrazione tra i diversi settori: gli interventi sono prevalentemente rivolti a individui, senza vedere le relazioni familiari nelle quali sono inseriti. Ciò si ripercuote sulla famiglia che è costretta a fare i salti mortali, per comporre un puzzle di pezzi che non si incastrano. Si parla infatti di famiglia come ‘ammortizzatore sociale’, proprio perché deve rimediare alla mancanza di coordinamento tra gli interventi, che lascia scoperti molti fronti. Anche la comunità ecclesiale spesso vede solo gli individui e frammenta i suoi interventi in tanti rivoli (per i poveri, i bambini, i giovani, i fidanzati), tutti a compartimenti stagni.

Da dove partire per contrastare queste tendenze fortemente antifamiliari? La strada che alcune amministrazioni pubbliche hanno percorso con successo è quella di ‘restituire il pallino’ alle famiglie stesse, perché le famiglie in modo naturale e spontaneo ricompongono i puzzle e riescono con entusiasmo e creatività a trovare soluzioni innovative ai problemi quotidiani. Le esperienze Dalla cura dei bambini o di malati cronici ai gruppi di acquisto. Un «contagio buono» che dimostra come il benessere non può essere garantito solo dallo Stato, ma nasce dalla collaborazione attiva della società C i sono contesti nei quali la capacità delle famiglie di dar vita a reti per rispondere ai propri bisogni quotidiani è stata fortemente valorizzata dove già c’era e promossa dove non c’era. Sono così venute allo scoperto o sono nate dal nulla esperienze di auto-aiuto per risolvere i problemi della cura dei bambini piccoli o per supportare i familiari di malati cronici e disabili o banche del tempo per scambiarsi aiuti e competenze. Queste esperienze mostrano che il benessere non può essere garantito solo per via istituzionale, dallo Stato, ma nasce dalla collaborazione attiva della società civile. E questo è tanto più vero in tempo di crisi, quando lo Stato, il pubblico, si trova senza risorse e allora scopre il mondo dell’associazionismo, che dimostra una grande capacità di rispondere ai bisogni in modo molto economico. Si tratta di un apporto alla produzione del bene comune che non può essere sostituito e quindi non è semplicemente un ‘tappabuchi’ in mancanza di servizi pubblici: è qualcosa che ha un valore in sé, insostituibile.

Quando parliamo di reti familiari ci riferiamo a un universo molto variegato che va dal piccolo gruppo che si è autorganizzato per gestire il trasporto dei bambini, al gruppo di acquisto, alla rete di famiglie disponibile ad affidi di emergenza, alle associazioni di famiglie che hanno familiari disabili e che svolgono azioni di supporto nella quotidianità, ma anche di difesa dei diritti, fino a reti di associazioni familiari formalizzate e grandi come l’Afi (Associazione Famiglie Italiane) e il Forum delle associazioni familiari: il tratto distintivo è il fatto di unire famiglie e non singoli individui, con una finalità che riguarda il loro proprio benessere, ossia per trarre, dalla loro reciproca relazione e dal loro reciproco supporto, risorse per stare meglio come famiglie. Dove si è scelto di appoggiare l’associazionismo familiare, i risultati sono sempre stati al di là delle aspettative. Il primo esempio in questa direzione è stato quello della regione Lombardia che, con la legge 23/99 ‘Politiche regionali per la famiglia’, ha istituito un registro che oggi conta ben 745 associazioni di solidarietà familiare: con questa scelta si è riusciti a far emergere dall’ombra una miriade di reti di famiglie già attive sul territorio, ma anche a promuovere la nascita di molte altre formazioni.

La legge tuttavia non si è fermata qui, ma ha assegnato alle associazioni familiari il compito di innovare le risposte ai bisogni quotidiane delle famiglie, finanziando ogni anno centinaia di progetti, che vanno dal nido-famiglia, al doposcuola, alla banca del tempo; la stessa strada è stata seguita recentemente dalla Regione Friuli Venezia Giulia che, attuando la legge 11/2006 ‘Interventi regionali a sostegno della famiglia e della genitorialità’, a partire dal 2012 ha finanziato più di 100 iniziative promosse da associazioni familiari che stanno rinnovando il panorama dei servizi offerti finora solo dall’ente pubblico. È fondamentale che anche in ambito ecclesiale si sviluppi un’attenzione vera per le reti familiari e le loro potenzialità, perché non è sufficiente difendere la famiglia naturale, ma è necessario agire per rafforzare le relazioni familiari e per promuovere le reti tra le famiglie. In questo senso, risultano molto preziose iniziative quali l’ambizioso e articolato progetto di Caritas italiana ‘Carità è famiglia’, nell’ambito del quale è nata un’attiva collaborazione con l’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia, finalizzata a migliorare le competenze degli operatori pastorali affinché maggiormente promuovano forme di aiuto che non prendano in considerazione solo i singoli, ma l’intero nucleo familiare, e incentivino la creazione di reti tra famiglie. Si è dunque aperto in questi ultimi anni un nuovo scenario in cui aiutare le famiglie si traduce nella capacità di creare fra loro legami: è diventato chiaro che le famiglie, se si mettono insieme, si aiutano da sole.

Elisabetta Carrà (Sociologa – Università Cattolica, Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia )

avvenire.it

Cei/Caritas Famiglie che aiutano altre famiglie: nasce il coordinamento

 

Se latitano le risposte pubbliche alla nuova povertà delle famiglie, allora una delle strade è l’auto aiuto solidale.

Statistiche e cronache della crisi ci hanno abituato alle immagini di impiegati licenziati dall’oggi al domani, di piccoli commercianti che hanno abbassato la saracinesca, di padri separati che dormono in auto e mangiano letteralmente patate per sopravvivere.

Per la Chiesa cattolica nuove strade e nuove speranze si possono aprire sui territori attraverso reti che trasformano la famiglia in un soggetto di solidarietà. Perciò dall’anno scorso Caritas italiana e Ufficio famiglia della Cei hanno proposto alle diocesi un progetto formativo per preparare i nuclei disponibili ad affiancarne altri in difficoltà con il coinvolgimento delle comunità. Per consolidare l’intervento lunedì a Roma partirà il Coordinamento nazionale «Carità e Famiglia», che prevede due sessioni di lavoro annuale di tre giorni cui parteciperanno 40 Caritas diocesane, quasi una su sei.

«Abbiamo visto – spiega Giuseppe Dardes, responsabile dell’ufficio solidarietà della Caritas italiana – come l’impoverimento improvviso renda fragili le relazioni familiari, l’idea è di rafforzarla con il supporto di altri nuclei all’interno di una rete».

Famiglie che aiutano famiglie a ripartire, anche con progetti finanziati con l’otto per mille.
«Uno degli obiettivi – prosegue Dardes – con l’aiuto della fondazione torinese “Paideia” è diffondere al centro sud le esperienze di affido di tutta la famiglia per limitare l’affido esterno dei minori. Il mese prossimo tre grossi comuni del centro decideranno se aderire al progetto. Altro traguardo, favorire con il volontariato la conciliazione dei tempi familiari e lavorativi».

Come a Faenza. dove  il gruppo famiglie della parrocchia di Santa Maria del Rosario in Errano,  è attivo da anni.

«Dal 2010 – spiega Damiela Avesani, sposata e mamma di quattro figli –  ci siamo ritrovati a condividere le necessità e i bisogni. Le priorità sono il trasporto a scuola dei figli alla mattina, la gestione dei compiti e delle attività ricreative al pomeriggio perché i nonni non sono abbastanza (abbiamo tutti in media tre o quattro figli) e spesso non riescono ad aiutare i nipoti nello studio.

Siamo riusciti con la nostra rete a supportarci, ora abbiamo aderito a un progetto della Caritas diocesana per acquistare un pullmino che ci aiuti nel trasporto dei bambini. Con questo mezzo potremmo aiutare altre famiglie che hanno difficoltà nel tragitto casa-scuola e nella gestione pomeridiana. Abbiamo chiesto l’intervento di un esperto di bilanci familiari  perché con due stipendi facciamo tutti sempre più fatica ad arrivare a fine mese. L’idea è allargare i benefici ad altri. Può diventare una miccia solidale per il territorio».

Nel profondo sud, in Sicilia a Piazza Armerina, si sta per chiudere il progetto diocesano di sostegno, “Insieme per piantare germogli di speranza”. Riprenderà in primavera. Fabiola Pellizzone ha seguito come tutor in un territorio segnato dalla disoccupazione e dalla povertà 250 famiglie.

«Stiamo cercando – spiega – di valorizzare la persona accompagnandola fuori dallo stato di bisogno. Abbiamo compiuto interventi economici in diversi casi di emergenza senza fare solo assistenza. I casi più gravi? Le famiglie giovani rientrate nel nucleo originario perché sfrattate e non più autosufficienti. È stato positivo per aiutarli sia l’approccio in rete con associazioni e comuni sia l’accompagnamento educativo di altre famiglie, ad esempio nella gestione dei figli e dei budget».

Soprattutto l’auto aiuto è una risorsa contro la solitudine in cui si chiude chi sprofonda nella povertà.

 

Paolo Lambruschi – avvenire.it

La storia. A Messina la famiglia più accogliente dell’anno

Sono giovani e innamorati e proprio per questo hanno deciso di aprire le porte della loro casa, a Messina, dove vivono, ad ogni tipo di amore. Hanno adottato un bambino congolese, realizzando così il sogno di diventare una famiglia, e quell’esperienza li ha uniti ancora di più, rafforzando il desiderio di essere di fare qualcosa per gli altri, di “cambiare il mondo” con un piccolo grande gesto, come proprio ieri papa Francesco ha esortato tutti i cristiani a fare partendo dalle “periferie del mondo”.

Caterina e Antonino Vinci, 74 anni in due, sono stati eletti dall’Aibi (l’ente Amici dei Bambini che si occupa di adozioni e affidi) la famiglia più accogliente del 2013. Dopo l’adozione di un bimbo africano i due ragazzi hanno deciso di aderire all’appello dell’associazione ad accogliere i profughi minorenni arrivati a Lampedusa e hanno aperto le braccia ad Haamid, un diciassettenne somalo, primo di cinque fratelli, con una storia difficile alle spalle.

“Dopo la tragedia di Lampedusa – spiega Antonino – abbiamo sentito la necessità di impegnarci in prima persona. E senza troppo riflettere abbiamo dato la nostra disponibilità. Ma non avevamo bene in mente in cosa potesse tradursi il nostro impegno”. Quando è partito il progetto di affido dei minori stranieri non accompagnati, grazie all’accordo con il Comune di Lampedusa e Messina, i Vinci hanno chiesto di accogliere un bambino che non avesse più di otto anni. Ma con il trascorrere dei giorni, si sono resi conto che quel paletto non aveva senso. E così si sono affidati dell’associazione.

Haamid si porta dietro un bagaglio di soggerenze: in casa nessuno ha un lavoro fisso e lui sa che cercare un lavoro è il suo primo dovere. Anche se fin dal primo giorno ha chiesto ai suoi ospiti di poter studiare: ha voglia di imparare l’italiano.

“Il più grande atto di giustizia che una persona possa compiere nella sua vita – commenta Marco Griffini, presidente di Aibi – è accogliere un minore in difficoltà. Questi giovani così innamorati hanno adottato un bimbo e con slancio si sono imbarcati in un nuovo progetto di accoglienza. Sono l’Italia migliore, quella che l’integrazione interculturale e interetnica la fa senza proclami, giorno per giorno, dentro casa”. Alla famiglia sarà inviata come omaggio un’icona in lamina d’oro realizzata a mano dalla suore Benedettine del monastero Mater Ecclesiae di San Giulio, isola circondata dalle acque del lago d’Orta in provincia di Novara.

avvenire.it