Le famiglie si mettono in rete. Così cresce il welfare fai-da-te

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La famiglia è il laboratorio dove viene ‘sintetizzato’ il benessere della società: se una società si dà regole e leggi che rendono squilibrato il rapporto tra le generazioni o non equo il rapporto tra i sessi, è la famiglia che deve far fronte ai problemi che nascono e compensare le disequità. Un caso oggi divenuto emblematico è quello dei genitori che continuano a prendersi cura dei figli giovani adulti che non riescono ad accedere al mercato del lavoro. È dunque chiaro che la famiglia può essere più facilitata o più ostacolata nell’assolvere al compito di generare benessere per sé e per la società. Il nostro tempo ha visto crescere in modo notevole i fattori ostacolanti.

Tuttavia, mentre a livello culturale si assiste a un sempre più massiccio attacco all’istituzione familiare, nella vita reale c’è un proliferare di esperienze dove è visibile la grande vitalità delle famiglie che, se appena viene riconosciuta e valorizzata dalle amministrazioni locali o in ambito ecclesiale, si propaga come un contagio ‘buono’. Essa si esprime in particolare nella creazione di reti tra famiglie che, a volte, danno vita a vere e proprie associazioni. È importantissimo quindi che tali esperienze vengano portate allo scoperto e promosse. Questo sta avvenendo in molte regioni e comuni italiani, dove sono state attivate buone politiche familiari e la soggettività della famiglia ha fatto grandi passi in avanti. Tuttavia, nel complesso, le politiche familiari restano insufficienti e il nostro sistema di welfare, anziché cercare di attenuare gli effetti della complessità, spinge le famiglie alla frammentazione, grazie a un’endemica mancanza di coordinamento e integrazione tra i diversi settori: gli interventi sono prevalentemente rivolti a individui, senza vedere le relazioni familiari nelle quali sono inseriti. Ciò si ripercuote sulla famiglia che è costretta a fare i salti mortali, per comporre un puzzle di pezzi che non si incastrano. Si parla infatti di famiglia come ‘ammortizzatore sociale’, proprio perché deve rimediare alla mancanza di coordinamento tra gli interventi, che lascia scoperti molti fronti. Anche la comunità ecclesiale spesso vede solo gli individui e frammenta i suoi interventi in tanti rivoli (per i poveri, i bambini, i giovani, i fidanzati), tutti a compartimenti stagni.

Da dove partire per contrastare queste tendenze fortemente antifamiliari? La strada che alcune amministrazioni pubbliche hanno percorso con successo è quella di ‘restituire il pallino’ alle famiglie stesse, perché le famiglie in modo naturale e spontaneo ricompongono i puzzle e riescono con entusiasmo e creatività a trovare soluzioni innovative ai problemi quotidiani. Le esperienze Dalla cura dei bambini o di malati cronici ai gruppi di acquisto. Un «contagio buono» che dimostra come il benessere non può essere garantito solo dallo Stato, ma nasce dalla collaborazione attiva della società C i sono contesti nei quali la capacità delle famiglie di dar vita a reti per rispondere ai propri bisogni quotidiani è stata fortemente valorizzata dove già c’era e promossa dove non c’era. Sono così venute allo scoperto o sono nate dal nulla esperienze di auto-aiuto per risolvere i problemi della cura dei bambini piccoli o per supportare i familiari di malati cronici e disabili o banche del tempo per scambiarsi aiuti e competenze. Queste esperienze mostrano che il benessere non può essere garantito solo per via istituzionale, dallo Stato, ma nasce dalla collaborazione attiva della società civile. E questo è tanto più vero in tempo di crisi, quando lo Stato, il pubblico, si trova senza risorse e allora scopre il mondo dell’associazionismo, che dimostra una grande capacità di rispondere ai bisogni in modo molto economico. Si tratta di un apporto alla produzione del bene comune che non può essere sostituito e quindi non è semplicemente un ‘tappabuchi’ in mancanza di servizi pubblici: è qualcosa che ha un valore in sé, insostituibile.

Quando parliamo di reti familiari ci riferiamo a un universo molto variegato che va dal piccolo gruppo che si è autorganizzato per gestire il trasporto dei bambini, al gruppo di acquisto, alla rete di famiglie disponibile ad affidi di emergenza, alle associazioni di famiglie che hanno familiari disabili e che svolgono azioni di supporto nella quotidianità, ma anche di difesa dei diritti, fino a reti di associazioni familiari formalizzate e grandi come l’Afi (Associazione Famiglie Italiane) e il Forum delle associazioni familiari: il tratto distintivo è il fatto di unire famiglie e non singoli individui, con una finalità che riguarda il loro proprio benessere, ossia per trarre, dalla loro reciproca relazione e dal loro reciproco supporto, risorse per stare meglio come famiglie. Dove si è scelto di appoggiare l’associazionismo familiare, i risultati sono sempre stati al di là delle aspettative. Il primo esempio in questa direzione è stato quello della regione Lombardia che, con la legge 23/99 ‘Politiche regionali per la famiglia’, ha istituito un registro che oggi conta ben 745 associazioni di solidarietà familiare: con questa scelta si è riusciti a far emergere dall’ombra una miriade di reti di famiglie già attive sul territorio, ma anche a promuovere la nascita di molte altre formazioni.

La legge tuttavia non si è fermata qui, ma ha assegnato alle associazioni familiari il compito di innovare le risposte ai bisogni quotidiane delle famiglie, finanziando ogni anno centinaia di progetti, che vanno dal nido-famiglia, al doposcuola, alla banca del tempo; la stessa strada è stata seguita recentemente dalla Regione Friuli Venezia Giulia che, attuando la legge 11/2006 ‘Interventi regionali a sostegno della famiglia e della genitorialità’, a partire dal 2012 ha finanziato più di 100 iniziative promosse da associazioni familiari che stanno rinnovando il panorama dei servizi offerti finora solo dall’ente pubblico. È fondamentale che anche in ambito ecclesiale si sviluppi un’attenzione vera per le reti familiari e le loro potenzialità, perché non è sufficiente difendere la famiglia naturale, ma è necessario agire per rafforzare le relazioni familiari e per promuovere le reti tra le famiglie. In questo senso, risultano molto preziose iniziative quali l’ambizioso e articolato progetto di Caritas italiana ‘Carità è famiglia’, nell’ambito del quale è nata un’attiva collaborazione con l’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia, finalizzata a migliorare le competenze degli operatori pastorali affinché maggiormente promuovano forme di aiuto che non prendano in considerazione solo i singoli, ma l’intero nucleo familiare, e incentivino la creazione di reti tra famiglie. Si è dunque aperto in questi ultimi anni un nuovo scenario in cui aiutare le famiglie si traduce nella capacità di creare fra loro legami: è diventato chiaro che le famiglie, se si mettono insieme, si aiutano da sole.

Elisabetta Carrà (Sociologa – Università Cattolica, Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia )

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