La croce: solidarietà di Dio, solidarietà di ogni cristiano

Dio va incontro a tutti. La croce insegna questa disponibilità estrema di Dio e mostra fino a che punto egli è disposto a spingersi. La croce di Cristo esprime in modo scandalosamente nuovo lo spazio di Dio nel mondo Lui non rimane a distanza: vive, muore e condivide da uomo fra gli uomini In una società lontana dai tempi forti della liturgia il cristiano non può dimenticare che la morte di Gesù avviene nel mondo e per il mondo

I tempi liturgici forti sono entrati così profondamente nell’orbita della cosiddetta “religione secolarizzata”, dove l’espressione commerciale con il suo potere consolatorio diventa sempre più preponderante, che quasi ne viene omessa la componente religiosa. Tuttavia, più che dichiarare una guerra tra cattedrali e centri commerciali, solo per prendere due rappresentanti del contrasto, è importante riconoscere la necessità di una riflessione sull’odierno fenomeno di “bricolage del religioso”, che non necessariamente va letto come sottrazione. Eppure, per i cristiani rimane un problema il fatto che la celebrazione della fede stia diventando culturalmente clandestina, che non dica più nulla alla città, come si trattasse di una questione extra muros. È vero che si potrebbe interpretare questa crescente indifferenza come una restituzione di libertà ai riti cristiani, i quali, senza interferenze esterne e senza il rumore del mondo, potrebbero forse essere celebrati con ritrovata integrità. Per il cristianesimo, però, anche quando vissuto come esperienza spirituale di piccole comunità, il mondo non è mai un rumore: il mondo rimane una dimora dove trovare posto. Dimora provvisoria, è vero, ma per i cristiani lo è nella stessa misura in cui essa lo è per tutti gli altri esseri umani sulla terra. E non è mai superfluo insistere sul fatto che il patrimonio delle religioni ha molto da rivelare alla cultura contemporanea su ciò che essa stessa, sempre più anonimamente, trasporta. Per la cultura, ignorare il religioso significa ignorare sé stessa. Per questo non sarà mai Venerdì santo solo nelle chiese. Ogni volta che si celebra la morte di Gesù, essa avviene nel mondo e riguarda il mondo. Dio va incontro a tutti. La croce ci insegna la solidarietà estrema di Dio e mostra fino a che punto egli è disposto a spingersi.

Uno dei caratteri più radicali del cristianesimo è l’aver disattivato le forme religiose di sostituzione.

Se pensiamo agli altari dell’antichità pre-cristiana, essi sono ricolmi di sacrifici e olocausti, ed erano regolati da un potente sistema rituale che garantiva che quegli animali immolati sostituissero i loro offerenti, ne tenessero il posto, adempissero nell’immolazione il voto che gli umani avevano fatto.

Per capire la radicalità del cambiamento cristiano in proposito, una mappa preziosa è il testo della Lettera agli Ebrei. Questo scritto, da collocarsi probabilmente in un periodo precedente all’anno 70 del I secolo, è l’unico luogo del Nuovo Testamento che attribuisce a Cristo i titoli di «sommo sacerdote» e di «mediatore della nuova alleanza». L’autore rilegge l’azione di Gesù confrontandola con due significativi momenti del passato: il patto dell’alleanza che Mosè stabilì sul monte Sinai, e la cerimonia annuale che nel grande Giorno dell’Espiazione il sommo sacerdote svolgeva nel tempio. Al Sinai, Mosè ratificò l’alleanza aspergendo l’assemblea del popolo con il sangue delle vittime sacrificali e spiegando: « Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi…» ( Es 24,8). E, in modo simile, il Giorno dell’Espiazione, dopo aver sacrificato le vittime animali, il sommo sacerdote entrava da solo nel santuario, raggiungeva il luogo chiamato «Santo dei Santi», e lo aspergeva con il sangue, operando così la purificazione dai peccati del popolo ( Lv 16).

La visione della Lettera agli Ebrei va in un’altra linea, in quanto dichiara: « È impossibile che il sangue di tori e di capri elimini i peccati» ( Eb 10,4). Riconosce così l’inefficacia dei sacrifici di sostituzione per poter accedere a Dio. L’autore, infatti, mette in bocca a Gesù queste parole: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”» ( Eb 10,5-7). Cristo diventa «il sommo sacerdote dei beni futuri» non con il sangue di capri e vitelli, ma con l’offerta di sé stesso, «l’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre» ( Eb 10,10).

Per questo è importante ricordare che la condanna a morte di quel profeta chiamato Gesù di Nazaret, la cui esecuzione su una croce apparve come un fatto rigorosamente profano, un evento di banale cronaca penale, di nessun’altra rilevanza, era in realtà il momento definitivo in cui la realtà dell’amore, il radicale dono di sé dell’amore autentico, dissolveva il sistema della sostituzione. È il motivo per cui il Vangelo di Matteo scrive che, quando Gesù spirò appeso a una croce, «il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono» ( Mt 27,51). L’umanità di Gesù, il modo in cui egli visse la sua umanità, diventa il vero tempio. Così come il vero culto diventa quello esistenziale.

Come ha incisivamente osservato il filosofo René Girard, Gesù svuota il paradigma della religione sacrificale, la logica di violenza contenuta nelle contese mimetiche, come pure il meccanismo dell’attribuzione arbitraria della responsabilità all’altro, che serve solo a sopprimerlo dalla nostra vita (il meccanismo del capro espiatorio). Sulla croce queste logiche s’infrangono. Cristo offre sé stesso, porge l’altra guancia, fa trionfare il perdono invece della vendetta.

La croce di Cristo esprime in modo scandalosamente nuovo lo spazio di Dio nel mondo. È una chiave ermeneutica differente per l’interpretazione del divino. Dio non rimane a distanza, indifferente al mondo e alle sue convulsioni. La confisca dell’esistenza è la condizione abbracciata in prima persona da Colui che è stato appeso alla croce. Così, nessun dolore, nessun pianto, nessuna paura, nessun confinamento gli sono indifferenti. Le questioni che questo Venerdì Santo solleva non sono, dunque, minoritarie e complicate questioni religiose che riguardino soltanto i cristiani. Sono un dibattito necessario sul significato dell’umano e su quello che ci salva. Ciò detto, bisogna aggiungere che entrare in una chiesa il Venerdì santo è un’esperienza che può solo lasciare attoniti. Guardiamo il tabernacolo, ed è aperto e vuoto, come fosse stato spogliato. L’altare non ha tovaglia né ornamenti: solo la nuda pietra. Se cerchiamo una croce, non la troviamo: è stata rimossa, o nascosta allo sguardo da un velo. Siamo lì come fossimo in un qualche luogo sperduto, frugando tra il silenzio e le macerie. Ci troviamo in una situazione parallela a quella descritta nel Vangelo di Giovanni quando i messaggeri vestiti di bianco chiedono alla Maddalena: «“Donna, perché piangi?”. Rispose loro: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto”» ( Gv 20,13). È vero che troppe volte il cristianesimo (il nostro, per lo meno) corre il rischio dell’eccesso: troppe parole, accumuli di simboli e di ritualismi… Il giorno del Venerdì santo è l’opposto: avviene una drammatica riduzione. Lo spazio religioso si svuota fino all’osso; diventa semplicemente anonimo; nulla lo distingue da qualsiasi altro luogo desolato sulla terra. La liturgia che si celebra in quest’occasione inizia con un silenzio rigoroso, e quando i presbiteri arrivano nella zona dell’altare si prostrano a terra, giacendovi a lungo, come inanimati, mimando con il proprio corpo l’abbandono che tutta la comunità è chiamata a sperimentare. Che fitto enigma è questo? Dove ci porta questo procedere incerto, questa celebrazione così spoglia, questo radicale denudamento? L’unica risposta è: ci porta al nocciolo ardente dei misteri cristiani, che in verità sono puro scandalo, stordimento e follia, poiché i cristiani credono in un Messia crocifisso, in un Salvatore che salva non attraverso la forza, ma attraverso l’impotenza. È ciò che san Paolo esplicita nella Prima Lettera ai Corinzi: « Noi annunciamo Cristo crocifisso: scandalo… e stoltezza » ( 1Cor 1,22). Davvero il cristianesimo opera una coraggiosa inversione di paradigma: mentre la religiosità naturale porta l’uomo a cercare un Dio potente in aiuto alla sua vulnerabilità, il cristianesimo rinvia continuamente l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio. In questo caso, la fede cos’è? La fede è prendere parte alla sofferenza di Dio nel mondo, abbracciando e prendendosi cura di ognuno che soffre, facendosi carico solidariamente della responsabilità di questa storia, credendo che nel mistero pasquale essa diventa stagione e promessa della storia della salvezza.

Nessun dolore, nessun pianto, nessuna paura, nessun confinamento gli sono indifferenti Le questioni che questo Venerdì Santo solleva non sono minoritarie e complicate questioni religiose che riguardano solo i fedeli: sono un dibattito necessario sul senso dell’umano e su quello che ci salva

Immagine: Mimmo Paladino, “Crocifisso”, 2023. Collezione privata / Per gentile concessione dell’artista

avvenire

Società e diritti «Il crocifisso a scuola non discrimina Gli è legata la tradizione di un popolo»

Esporre il crocifisso nelle scuole non è una condotta discriminatoria. Lo ha stabilito la Suprema Corte, che nella sua composizione più autorevole – le Sezioni Unite – con la sentenza 24414/2021 pubblicata ieri mattina ha chiarito definitivamente che il maggiore simbolo del cristianesimo può rimanere nelle aule. Basta che a volerlo sia «la comunità scolastica», la quale può anche decidere di accompagnarlo «con i simboli di altre confessioni presenti in classe – così si esprime il comunicato stampa diffuso dalla Cassazione – e in ogni caso ricercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi». La questione non è solo religiosa. Per la Corte infatti al crocifisso «si legano, in un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo». Per questo, a maggior ragione, la sua affissione «non costituisce un atto di discriminazione del docente dissenziente per causa di religione». Sotto il profilo prettamente giuridico, gli ermellini – come vengono chiamati i giudici della più alta corte italiana, per via della toga nelle occasioni più formali – ricordano innanzitutto come un regolamento degli anni Venti, mai abrogato, avesse imposto la presenza del crocifisso nelle aule. «Ogni istituto – si legge in quel testo – ha la bandiera nazionale; ogni aula, l’immagine del crocifisso e il ritratto del Re». È vero, allora il cattolicesimo era ‘religione di Stato’. Ma la Suprema Corte nella sentenza di ieri ha chiarito che la norma di un secolo fa è suscettibile di essere interpretata oggi in senso conforme alla Costituzione. In parole povere: se la scuola nelle sue varie componenti lo vuole, il crocifisso può e deve restare, perché «il venir meno dell’obbligo di esposizione – si legge in sentenza – non si traduce automaticamente nel suo contrario, e cioè in un divieto di presenza del crocifisso nelle aule scolastiche ». Attenzione: se l’istituto, studenti compresi, decide di tenerlo, nessuno può toglierlo a piacere, come invece aveva fatto il docente da cui era scaturito il caso giudiziario.

Con la pronuncia di ieri, sotto il profilo tecnico-giuridico, le Sezioni Uni- te hanno dato risposta alle questioni contenute nella cosiddetta ‘ordinanza di rimessione’, quella cioè in cui una singola sezione della Suprema Corte – nel nostro caso la sezione lavoro –, ritenendo che la questione a essa sottoposta sia molto controversa e di particolare importanza, chiede che sia decisa in composizione plenaria. L’anno scorso, nel devolvere la vicenda alle Sezioni Unite, la Cassazione aveva preso le mosse da una sentenza pronunciata nel 2011 dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (Cedu): il crocifisso, avevano scritto i giudici di Strasburgo, è «un simbolo essenzialmente passivo», per cui «dalla sua sola esposizione […] non deriva la violazione del principio di neutralità dello Stato ». Ciò premesso, la sezione lavoro della Suprema Corte riteneva che il caso su cui ha poi deciso fosse un poco diverso: a contestare il simbolo cristiano non era uno studente ma un professore. Non dunque un utente del servizio, ma un educatore. E proprio per questo, temeva la Corte, «l’esposizione del simbolo» avrebbe rischiato di attribuire «uno stretto collegamento tra la funzione esercitata e i valori fondanti il credo religioso che quel simbolo richiama». Le Sezioni Unite, però, hanno sgombrato il campo da questo timore. D’altronde, già nel 2006, il Consiglio di Stato aveva visto nel crocifisso «un simbolo idoneo a esprimere l’elevato fondamento di valori civili (tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti…)» che «delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato». La sentenza di ieri precisa che «la laicità italiana non è ‘neutralizzante’: non nega le peculiarità e le identità di ogni credo e non persegue un obiettivo di tendenziale e progressiva irrilevanza del sentire religioso, destinato a rimanere nell’intimità della coscienza dell’individuo». Ciò anche per via del fatto che «il principio di laicità – spiega la pronuncia – non nega né misconosce il contributo che i valori religiosi possono apportare alla crescita della società». Secondo la sentenza, dunque, esporre il crocifisso a scuola non è (più) un obbligo di legge, ma se le singole classi rappresentate dai loro organismi ritengono di farlo, la presenza del simbolo non può più essere tolta a piacere. Se non, ovviamente, con una successiva delibera.

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Cassazione, in aula crocifisso se comunità scuola d’accordo. Eventualmente con altri simboli fedi e cercando intesa tra tutti

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– L’ aula di una classe “può accogliere la presenza del crocifisso quando la comunità scolastica interessata valuti e decida in autonomia di esporlo, eventualmente accompagnandolo con i simboli di altre confessioni presenti nella classe e in ogni caso ricercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi”. E’ quanto ha stabilito la corte di Cassazione (sentenza n.

24414, pubblicata oggi) che a Sezioni Unite, si è occupata dell’affissione del crocifisso nelle aule scolastiche.
In particolare, la questione esaminata dalla Cassazione riguardava la compatibilità tra l’ordine di esposizione del crocifisso, impartito dal dirigente scolastico di un istituto professionale statale sulla base di una delibera assunta a maggioranza dall’assemblea di classe degli studenti, e la libertà di coscienza in materia religiosa del docente che desiderava fare le sue lezioni senza il simbolo religioso appeso alla parete. La Corte ha affermato che la disposizione del regolamento degli anni Venti del secolo scorso – che tuttora disciplina la materia, mancando una legge del Parlamento – è suscettibile di essere interpretata in senso conforme alla Costituzione. “L’aula può accogliere la presenza del crocifisso quando la comunità scolastica interessata – spiega la Cassazione – valuti e decida in autonomia di esporlo, eventualmente accompagnandolo con i simboli di altre confessioni presenti nella classe e in ogni caso ricercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi”. (ANSA).

Vaticano. Gmg, domenica il passaggio della Croce da Panama a Lisbona 2023

La consegna al termine della Messa celebrata dal Papa in San Pietro, alla presenza delle delegazioni di giovani panamensi e portoghesi. Diretta su Tv2000
La storica Croce della Giornata mondiale della gioventù

La storica Croce della Giornata mondiale della gioventù

Avvenire

Questa domenica, 22 novembre, alle ore 10 Tv2000 trasmette in diretta dalla Basilica di San Pietro la Messa presieduta da Papa Francesco, in occasione della Solennità del Cristo Re dell’Universo. Al termine della celebrazione avverrà il passaggio dei simboli delle Giornate Mondiali della Gioventù, la Croce e la copia dell’Icona Salus Populi Romani, dalla rappresentanza dei giovani panamensi alla gioventù portoghese, per la Gmg2023 che si terrà a Lisbona.

“Come annunciato dal Santo Padre lo scorso 5 aprile durante la Preghiera dell’Angelus, domenica prossima, 22 novembre, solennità di Cristo Re e conclusione dell’anno liturgico, al termine della Santa Messa celebrata da papa Francesco nella Basilica di San Pietro avverrà la consegna della Croce delle Giornate Mondiali della Gioventù. Saranno presenti per l’occasione una delegazione dal Centro America e una dal Portogallo”. Lo fa sapere il direttore della Sala stampa vaticana, Matteo Bruni.

 

Domenica in San Pietro avrà luogo quindi il passaggio della Croce delle Gmg dall’edizione svoltasi a Panama nel gennaio 2019 a quella in programma a Lisbona nell’agosto 2023, inizialmente prevista per il 2022 e rimandata per la pandemia.

 

Nel dettaglio, spiega il dicastero per i Laici, la famiglia e la vita, il Papa “domenica 22 novembre alle 10 presiederà la celebrazione eucaristica sull’altare della cattedra della Basilica di San Pietro. Alla fine della Messa avrà luogo il passaggio dei simboli delle Gmg, la Croce e la copia dell’Icona Salus Populi Romani, dalla rappresentanza dei giovani panamensi alla gioventù portoghese”. La celebrazione sarà trasmessa in diretta sul canale Youtube di Vatican News.

“Da anni – spiega ancora il medesimo dicastero – la Croce e l’Icona Salus Populi Romani accompagnano le preparazioni alle edizioni internazionali della Gmg: la consegna dei simboli ai giovani della diocesi che accoglie la Giornata aveva sempre luogo al termine della celebrazione della Domenica delle Palme presieduta dal Santo Padre in Piazza San Pietro. Questa tradizione risale al 1984 quando, a conclusione dell’Anno Giubilare della Redenzione, papa Giovanni Paolo II affidò ai giovani la Croce del Giubileo, conosciuta oggi come la Croce delle Gmg, da allora al centro di ogni edizione internazionale delle Giornate. Nel 2003 il Santo Padre ha offerto alla gioventù anche una copia dell’Icona di Maria Salus Populi Romani, che affianca la Croce nei suoi pellegrinaggi per il mondo”.