Clima. Come si fa a dire che l’estate 2023 è stata la più calda da 2.000 anni

Un team di ricerca internazionale ha ricostruito le temperature fino all’inizio dell’era cristiana analizzando gli anelli degli alberi. Lo studio pubblicato su Nature
Come si fa a dire che l’estate 2023 è stata la più calda da 2.000 anni

Icp

Avvenire

Dopo aver appreso che il 2023 è stato per la Terra l’anno più caldo da quando vengono registrate le temperature, cioè da circa 175 anni, ora sappiamo anche che molto probabilmente l’estate scorsa nell’emisfero settentrionale è stata la più calda degli ultimi 2.000 anni. A sostenerlo è uno studio pubblicato sulla rivista Nature (condotto da un team guidato da Jan Esper dell’Università Johannes Gutenberg di Magonza, in Germania), in cui attraverso l’analisi degli anelli degli alberi sono state ricostruite le temperature fino all’inizio dell’era cristiana.

Secondo la ricerca il periodo tra giugno e agosto del 2023 ha fatto registrare una temperatura media della superficie terrestre più alta di 2,20°C rispetto alla media del periodo tra l’anno 1 e il 1890. Se si guarda invece all’estate dell’anno 536, che sembra essere stata la più fresca di tutte anche a causa dell’eruzione del vulcano Krakatoa, nell’attuale Indonesia, lo scostamento è di ben 4°C. Questo dato relativo al VI secolo è però solo una curiosità statistica. Più importante è stabilire che rispetto alla media delle temperature tra il 1850 e il 1900, cioè il periodo di riferimento per valutare l’impatto delle attività umane sul clima, la scorsa estate è risultata più calda di 2,07°. L’accordo raggiunto il 12 dicembre 2015 a Parigi prevede l’impegno a mantenere l’innalzamento della temperatura sotto i 2° e, se possibile, sotto 1,5° rispetto ai livelli preindustriali.

Insomma, negli ultimi 2.000 anni le estati sono state un po’ più fresche rispetto all’attuale fase storica, nella quale a influire sul clima sono in larga parte le emissioni di CO2 prodotte dai combustibili fossili. In realtà la paleoclimatologia lo aveva già appurato, ipotizzando che i record odierni siano tali anche rispetto a diverse migliaia di anni addietro, ma questa ultima ricerca, che si avvale di un importante lavoro precedente in cui sono state ricostruite le temperature a partire dallo studio dei tronchi di oltre 10.000 alberi, sia vivi che fossili, sembra aggiungere importanti elementi.

La ricostruzione della temperatura negli ultimi 2.000 anni

La ricostruzione della temperatura negli ultimi 2.000 anni – Nature Communications www.nature.com/articles/s41467-021-23627-6

Ogni anno, infatti, un albero si allarga di due anelli, uno più chiaro in primavera-estate e uno più scuro verso l’autunno, e nei periodi in cui il caldo e l’umidità sono più elevati gli anelli si ampliano. Anche se la ricerca sui tronchi come fonte di studio per il clima nella storia sta muovendo i primi passi, e non può fornire certezze granitiche sulle ragioni del surriscaldamento attuale, questo tipo di ricerche può aiutare a comprendere qualcosa di più sulla temperatura “naturale” della Terra, considerando che le registrazioni meteorologiche del 19esimo secolo sono abbastanza limitate e tendono a sovrastimare le temperature. Uno degli aspetti riscontrato dall’analisi dei tronchi riguarda le grandi eruzioni vulcaniche del passato che hanno determinato periodi successivi più freddi, a causa degli aerosol di anidride solforosa immessi nell’atmosfera. Negli ultimi due millenni questo sembra essere avvenuto una ventina o trentina di volte.

Il record di caldo del 2023 invece ha risentito in buona parte dell’influenza di El Niño, il fenomeno climatico ciclico che provoca un forte riscaldamento delle acque superficiali dell’Oceano Pacifico, e che dovrebbe restare attivo fino all’inizio dell’estate 2024, per la quale gli esperti prevedono già nuovi possibili primati. In attesa di averne conferma, si può ricordare che il riscaldamento globale causato dalle emissioni di gas serra sta provocando un’intensificazione degli eventi climatici, ma a determinare l’estate eccezionalmente calda dello scorso anno ci possono essere stati una serie di fattori che tuttavia non riescono ancora a spiegare per intero la ragione di questo primato. Gli scienziati hanno segnalato il possibile effetto dell’eruzione del vulcano Hunga Tonga, nel Pacifico, che essendo sotto la superficie del mare ha prodotto enormi quantità di vapore acqueo nell’atmosfera, potenziando l’effetto serra; o anche la riduzione dello zolfo, che nell’atmosfera produce un effetto di raffreddamento, nei nuovi combustibili marini.

A mano a mano che l’umanità compie passi avanti nella comprensione dei fenomeni climatici, cresce la consapevolezza circa l’importanza di coordinare gli sforzi per tutelare chi rischia di pagare il prezzo maggiore del surriscaldamento climatico, le persone più fragili e gli anziani, in particolare nei Paesi più poveri. L’aumento delle temperature globali, infatti, è motivo di preoccupazione anche alla luce dell’invecchiamento della popolazione mondiale. Secondo uno studio pubblicato su Nature Communications, condotto da un team internazionale di scienziati e coordinato dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc) e dall’Università Ca’ Foscari Venezia, nei prossimi 25 anni fino a 246 milioni di anziani in più rispetto a oggi in tutto il mondo saranno esposti a livelli pericolosamente alti di calore, e coloro che vivono in Asia e Africa subiranno gli effetti più gravi. La popolazione mondiale sta infatti invecchiando a un ritmo senza precedenti: le previsioni dicono che il numero di persone di età superiore ai 60 anni raddoppierà fino a raggiungere quasi 2,1 miliardi di individui entro il 2050, ha spiegato il Cmcc, di cui oltre due terzi risiedono in paesi a reddito medio e basso dove gli eventi estremi legati al cambiamento climatico sono particolarmente probabili.

Clima. L’estate durerà fino a sei mesi. Milano sarà calda come il Texas

Scienziati concordi sulla previsione di inverni ridotti e più miti, aumento di ondate di calore, alluvioni ed eventi estremi. Con conseguenze importanti su agricoltura e salute
L'estate durerà fino a sei mesi. Milano sarà calda come il Texas

Ansa

da Avvenire

Quest’anno l’estate è arrivata a maggio. Il mese che normalmente corona la primavera è stato il quinto più caldo in assoluto a livello europeo e il secondo maggio più caldo a livello nazionale dopo quello del 2003. E se poi ci concentriamo su Nord e Centro Italia, il maggio 2022 è stato il più caldo di sempre (circa due gradi in più della media). Per questo, senza scomodare le temperature di giugno o le ondate di calore provocate dagli anticicloni africani di luglio, non sembra fantascienza la previsione di uno studio cinese, curato da esperti del clima: entro il 2100, in tutto l’emisfero boreale, l’estate durerà sei mesi e l’inverno meno di sessanta giorni.

La previsione, chiaramente, ci riguarda da vicino. Non solo perché viviamo nell’emisfero settentrionale ma soprattutto perché in Italia la temperatura cresce più del doppio della media mondiale: dal 1880 ad oggi l’aumento è stato di 2,4 gradi contro una media mondiale che sfiora 1 grado. Il titolo dello studio cinese sulle stagioni del futuro inquadra sia la conseguenza che la causa: ‘ Changing Lengths of the Four Seasons by Global Warming’ (‘Cambiamento della durata delle quattro stagioni a causa del riscaldamento globale’). «Le estati stanno diventando più lunghe e più calde, mentre gli inverni sono più brevi e più caldi a causa del riscaldamento globale’» riassume Yuping Guan, autore principale dello studio, pubblicato sul sito di AGU (Advancing Earth and Space Science). È questo ancora una volta il punto da sottolineare: le cose andranno così, ma se non si applicheranno politiche di mitigazione climatica efficaci questa variazione stagionale potrebbe divenire ancora più intensa.

Se qualcuno tra gli scettici e i negazionisti del clima cominciasse ad avanzare perplessità, lo stesso report scientifico ricorda come fino agli anni ’50 nell’emisfero settentrionale le quattro stagioni si susseguivano secondo uno schema prevedibile e abbastanza uniforme. I ricercatori hanno utilizzato i dati climatici giornalieri dal 1952 al 2011 per misurare i cambiamenti nella durata e nell’inizio delle quattro stagioni nell’emisfero boreale. È emerso che, in media, in questi sessant’anni l’estate è cresciuta da 78 a 95 giorni, mentre l’inverno si è ridotto da 76 a 73 giorni. Anche la primavera e l’autunno si sono ridotti rispettivamente da 124 a 115 giorni e da 87 a 82 giorni. Sembrano variazioni di poco conto, eppure incidono moltissimo e portano a risultati incontrovertibili e di cui in qualche modo noi italiani ci siamo resi conto: la primavera e l’estate iniziano prima, mentre l’autunno e l’inverno iniziano più tardi.

E non è un caso che all’ombra del Belpaese questa tendenza sia sempre più evidente: i cambiamenti stagionali più rilevanti nell’emisfero si sono registrati nella regione mediterranea (oltre che nell’altopiano tibetano). «Mai come in questi ultimi mesi una serie quasi infinita di eventi purtroppo anche tragici ha reso evidente a tutti che siamo entrati nella nuova normalità dell’epoca del climate change – spiega Andrea Barbabella, coordinatore di Italy for Climate della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile –. In realtà il mutamento è più profondo, strutturale, e lo studio citato si concentra su un aspetto particolarmente importante, quello delle stagioni, che non sono una convenzione da calendario ma una caratteristica di una determinata area climatica, alla quale ci siamo adattati noi e i nostri modelli di produzione alimentare».

Quali sono gli effetti di un’estate prolungata? Innanzitutto, eventi atmosferici estremi più frequenti: ondate di calore, incendi, alluvioni. D’altro canto, inverni più caldi e brevi creano instabilità, ondate di freddo e tempeste invernali che secondo i ricercatori sono la spiegazione di fenomeni meteorologici rari come le tempeste di neve avvenute recentemente in Texas e Israele. È chiaro poi che questo cambiamento stagionale comporta impatti di vasta portata sull’agricoltura e sulla salute umana. Già possiamo vedere come le piante nascono e fioriscono in tempi differenti rispetto al passato e che gli uc- celli stanno modificando gli schemi migratori: succede anche perché le fonti tradizionali di cibo di volatili e animali in generale sono minacciate, così come i loro habitat. Facile immaginare gli effetti sull’agricoltura, che in parte stiamo già vivendo con la gravissima siccità che ha colpito il Nord Italia e in particolare il Po. «Nel nostro emisfero – prosegue Barbabella – l’estate si è certamente allungata ma è anche cambiata, e questo già oggi impatta pesantemente in particolare sul settore della produzione alimentare. Ad esempio cambiando i tempi delle produzioni, mandando a maturazione gli stessi frutti nello stesso momento in regioni diverse, quando prima invece queste produzioni potevano essere differenziate anche nei tempi». E un caldo più intenso e prolungato durante l’anno significa più pollini che causano allergie, la crescita di zanzare, spesso portatrici di malattie, e di malori dovuti al calore.

Un’estate lunga sei mesi significa una vita diversa rispetto a quella che conosciamo. Non dobbiamo temerla, ma adattarci e nel frattempo frenare un’ulteriore accelerazione dell’effetto serra che possa innescare dinami- che climatiche più pesanti. C’è il presente, dove già possiamo prevedere come sarà il clima in grandi città del mondo entro il 2050: secondo un altro studio scientifico del 2019, tra trent’anni il clima di Milano sarà come quello attuale di Austin (Texas), quello di Roma sarà come quello odierno di Smirne ( Turchia), quindi il clima di Londra sarà simile a Barcellona, quello di Mosca a Sofia e quello di Stoccolma a Budapest. In generale, circa l’80% tra le 520 metropoli più importanti del mondo tenderà ad assumere il clima delle grandi città a mille chilometri di distanza verso sud.

Questo è ciò che succederà, dato che alcuni effetti del riscaldamento globale sono ormai inarrestabili. «Un altro aspetto importante che lo studio sulle stagioni evidenzia è quello della irreversibilità del cambiamento in corso. In una recente conferenza stampa dell’Organizzazione meteorologica mondiale, il messaggio è stato forte e chiaro: le ondate di calore sono più frequenti e lo diventeranno ancora di più nei prossimi anni, la tendenza negativa del clima continuerà fino ad almeno il 2060 anche se avremo successo con le misure di mitigazione », conclude Barbabella. E se invece la comunità internazionale, l’economia globale e tutti coloro che possono intervenire per frenare sul tema non incidessero in modo positivo nel prossimo futuro? In questi giorni, è stato pubblicato un altro studio firmato da oltre 11mila scienziati di 153 Paesi diversi (figurano anche 250 italiani) che analizza gli effetti dei cambiamenti climatici. L’analisi punta ad evidenziare come un ulteriore aggravamento del riscaldamento globale condannerà l’umanità a «sofferenze indicibili», sempre che non sia fatto nulla per contenere le emissioni di anidride carbonica e degli altri gas serra.

Non bisogna drammatizzare il problema del surriscaldamento globale, ma intervenire per frenarlo. Abbiamo risorse e tecnologie sufficienti per agire subito. Basta volerlo e inquadrare la questione come centrale per la nostra sopravvivenza. D’altro canto, un sondaggio recentissimo mostra come gli italiani siano tra i più preoccupati a livello europeo per i danni causati dal cambiamento climatico: un promemoria per i partiti in lizza alle prossime elezioni politiche. E i sintomi nazionali di questa sfida epocale, dalla Marmolada alla siccità del Po, sono ormai evidenti a tutti. Tra questi rientra a pieno titolo anche la previsione di un’estate lunga sei mesi: è necessario agire quanto prima, affinché la stagione più dolce non diventi quella più minacciosa.