Sesso e matrimonio: imparare a dare forma al proprio amore

Dopo la pubblicazione degli itinerari catecumenali per la vita matrimoniale, uno dei nodi da affrontare è sicuramente il rapporto tra amore, sessualità e matrimonio…

Laddove una questione richiederebbe pagine e pagine di riflessione e di argomentazioni per poter mettere in chiaro tutte le dimensioni e i profili che andrebbero chiamati in causa, è più utile forse andare dritti al nocciolo, sperando che il fare chiarezza sugli aspetti fondamentali aiuti ad approfondire tutto il resto.

A mio modo di vedere, due sono le coordinate decisive per aprire una varco nella sempre annosa questione riguardante il matrimonio e i rapporto sessuali prematrimoniali. Possiamo enunciarle brevemente e in forma interrogativa. In primo luogo, qual è il significato del matrimonio? È una istituzione socio-ecclesiale che interviene “dall’esterno” a dare forma, definizione e (perché no) peculiare stabilità (almeno secondo il Codice di diritto canonico, § 1056) a una realtà altrimenti vaga, debole e indefinita, oppure è un’esperienza di fede con la quale i due amanti (ministri del sacramento) riconoscono come la propria storia d’amore sia fondata da sempre in colui che solo la custodisce e in essa si rivela? In altri termini, il matrimonio è un’imposizione di qualcuno (foss’anche per volontà di Dio!) su qualcun altro per un terzo fine (riconoscimento sociale, stabilità, convenienza ecc.), oppure esso dice qualcosa della storia d’amore di coloro che lo vivono, lo celebrano e che così desiderano testimoniare la propria fede in colui che, nelle diverse esperienze amorose vissute, potremmo dire che gli si è rivelato come “custode” di questa storia?

La seconda coordinata si potrebbe poi declinare nel modo seguente: nei confronti del rapporto sessuale all’interno della vita di coppia, è proprio necessario continuare a costruire una sorta di “recinto” di protezione, vedendolo come un tabù da tutelare all’ombra del “contratto” matrimoniale (che garantisce una situazione di stabilità) o non è forse più utile accompagnare gli amanti, i fidanzati, gli sposi a comprenderne l’autentico significato all’interno della propria storia d’amore e, più in generale, nell’universo simbolico del linguaggio dell’amore concreto? La sensazione, infatti, è che troppo spesso (anche da parte di chi il “sesso” lo vorrebbe tutelare nella sua quasi sacralità) la relazione d’amore viene ridotta al rapporto sessuale, identificato quale suo punto d’arrivo, ignorando come esso in realtà si collochi in una dinamica, un insieme di esperienze, insomma una storia che per dirsi ha un linguaggio molto più articolato che non il solo “grido” sessuale. È forse necessario recuperare proprio questo alfabeto affettivo per poter pronunciare nuove parole d’amore nella coppia, partendo dalle sillabe più semplici (baci, carezze, abbracci) per arrivare a vere e proprie frasi e quindi alla più alta poesia.

Seguendo questo duplice itinerario, mi sembra che, da una parte, il rapporto sessuale possa ritrovare il proprio posto all’interno di un orizzonte affettivo ben più ampio e complesso, in cui forse emergere ancor di più nel proprio significato umano e teologico, unico e singolare, di dedizione e accoglienza reciproche degli amanti. Dall’altra, si possa inquadrare meglio la relazione tra rapporti sessuali e matrimonio. I primi non sono un’attività “pericolosa” solo per amanti “più che abili” con la patente matrimoniale, e il matrimonio non è un lasciapassare per ogni tipo di esperienza amorosa, comprese quelle più “azzardate”. Il rapporto sessuale è una modalità (certo unica e singolare, per motivi ben precisi) con cui l’unica storia d’amore degli amanti si dice e si realizza. Nel matrimonio, questa storia è riconosciuta nel suo radicamento cristologico, ovvero nel suo essere segno dell’amore di Gesù Cristo che la abita, in tutti i suoi aspetti, con o senza rapporti sessuali.

Obiezione: così facendo non si rischia di sminuire la nobiltà del gesto? Per prima cosa potremmo dire che se per tutelare il valore di un atto umano è necessario confinarlo e porlo sotto una diversa “giurisdizione”, forse c’è alla base un ben più grave problema antropologico-culturale cui far fronte in prima istanza. In secondo luogo, come avviene per il linguaggio, una parola usata e abusata, talvolta in contesti non sempre coerenti tra loro, alla fine finisce col perdere di significato. Lo stesso avviene per il linguaggio del corpo. L’univoca attenzione sul rapporto sessuale (pro o contro di esso poco importa) finisce con l’esautorarne l’importanza. È necessario, allora, ciò di cui più si avverte l’assenza: una seria educazione sessuale, intendendo con ciò il saper guidare gli amanti alla reciproca scoperta di sé e dell’altro, nell’intimità di un linguaggio del corpo che si esprime con delicatezza, costanza e progressione. Solo così i soggetti di ogni storia d’amore potranno imparare, anche nello slancio e nell’emozione affettiva giovanile, ad esprimere e raccontare la propria storia, senza sentire il bisogno di ridurla a un solo “grido” sessuale inarticolato; solo così ogni storia d’amore non si spegnerà dopo un’unica grande vampata, come un fuoco di paglia, ma saprà davvero continuamente alimentarsi e bruciare come una brace ardente, simbolo reale di colui che sempre ne è la sorgente (prima e dopo il matrimonio).

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