Un razzo è caduto in Moldavia vicino al confine con l’Ucraina

La devastazione della guerra in Ucraina © AFP

Un razzo è caduto sul territorio moldavo a ridosso del confine con l’Ucraina, secondo quanto ha riferito il ministero dell’Interno citato dall’agenzia russa Ria Novosti.

Le guardie di frontiera moldave hanno trovato il razzo vicino a Briceni, nel nord del Paese, nel giorno in cui su gran parte dell’Ucraina sono in corso attacchi missilistici russi, contrastati dai razzi della contraerea di Kiev.

Un drone ha colpito oggi la pista della base aerea russa di Engels-1, nella regione di Saratov, danneggiando due bombardieri Tu-95: lo riporta Ukrainska Pravda
aggiungendo che almeno due militari sono rimasti feriti e sono stati ricoverati in ospedale.

In precedenza tre persone sono morte e almeno altre cinque sono rimaste ferite a causa di un’esplosione avvenuta in un aeroporto vicino a Ryazan, a sudest di Mosca: lo
hanno reso noto i servizi di emergenza all’agenzia di stampa russa Tass.

Secondo altri media russi ripresi dai media occidentali, sarebbe esplosa un’autocisterna carica di
carburante ed i feriti sarebbero sei.
ansa 

L’appello. Un negoziato credibile per fermare la guerra

La minaccia di un’apocalisse nucleare non è una novità. L’atomica è già stata usata. Non è impossibile che si ripeta. È caso ampiamente contemplato nei manuali di strategia…
Un negoziato credibile per fermare la guerra

Fotogramma

Avvenire

Caro direttore,

la minaccia di un’apocalisse nucleare non è una novità. L’atomica è già stata usata. Non è impossibile che si ripeta. È caso ampiamente contemplato nei manuali di strategia. Di fronte a questa minaccia l’opinione pubblica sembra pericolosamente assuefatta. Nessuna forte reazione popolare, nessuna convinta e razionale volontà di impedirla. Si diffonde una pericolosa sensazione di inevitabilità e di rassegnazione, o, peggio, l’idea che solo una “resa dei conti” possa far nascere un nuovo e stabile ordine mondiale. Ma oggi nessuna guerra può imporre un ordine sotto le cui macerie non restino il pianeta, i popoli, l’umanità tutta. Non ci si può rassegnare. Ma a una volontà razionale di pace bisogna offrire uno scenario credibile per chiudere questo conflitto, divampato con l’aggressione russa al di là delle gravissime tensioni nel Donbass. Un conflitto che non può avere la vittoria tutta da una parte e la sconfitta tutta dall’altra, secondo una concezione manichea del mondo e della storia.

Tutti gli attori in conflitto, quelli che stanno sul teatro di guerra e quelli che l’alimentano o non lo impediscono, ne devono essere consapevoli. Bisogna fermare l’escalation e impedire la catastrofe del sonnambulismo. In quest’ottica riteniamo che i governi responsabili debbano muoversi su queste linee: 1) Neutralità di un’Ucraina che entri nell’Unione Europea, ma non nella Nato, secondo l’impegno riconosciuto, anche se solo verbale, degli Stati Uniti alla Russia di Gorbaciov dopo la caduta del muro e lo scioglimento unilaterale del Patto di Varsavia. 2) Concordato riconoscimento dello status de facto della Crimea, tradizionalmente russa e illegalmente “donata” da Kruscev alla Repubblica Sovietica Ucraina. 3) Autonomia delle Regioni russofone di Lugansk e Donetsk entro l’Ucraina secondo i Trattati di Minsk, con reali garanzie europee o in alternativa referendum popolari sotto la supervisione dell’Onu. 4) Definizione dello status amministrativo degli altri territori contesi del Donbass per gestire il melting pot russo-ucraino che nella storia di quelle Regioni si è dato ed eventualmente con la creazione di un ente paritario russo-ucraino che gestisca le ricchezze minerarie di quelle zone nel loro reciproco interesse. 5) Simmetrica descalation delle sanzioni europee e internazionali e dell’impegno militare russo nella regione. 6) Piano internazionale di ricostruzione dell’Ucraina.

A nostro avviso questi possono essere i punti di partenza realistici e credibili per un cessate il fuoco. In una direzione simile va da ultimo la proposta di Elon Musk, e da tempo le sollecitazioni di Henry Kissinger a una soluzione che nel rispetto delle ragioni dell’Ucraina offra insieme una via d’uscita al fallimento militare di Putin sul terreno. Fondamentalmente sono le linee più credibili di un negoziato possibile e necessario, anche per l’unica Agenzia mondiale all’opera davvero per la pace, la Chiesa di Roma. Questa soluzione conviene a tutti, anche all’Occidente e in particolare ai Paesi dell’Unione Europea, i più minacciati dall’ipotesi di un disperato attacco nucleare russo. E all’Ucraina stessa, se non vorrà essere la nuova Corea nel cuore dell’Europa per i prossimi 50 anni. Liberiamo la ragione e la politica dalle pastoie dell’odio, e forse troveremo anche il cuore e l’intelligenza per mettere fine a questo macello. È un invito rivolto a tutti, a quanti ascoltandolo vorranno rilanciarlo e farsene carico.

Antonio Baldassarre, Pietrangelo Buttafuoco, Massimo Cacciari, Franco Cardini, Agostino Carrino, Francesca Izzo, Mauro Magatti, Eugenio Mazzarella, Giuseppe Vacca, Marcello Veneziani, Stefano Zamagni

La centrale atomica di Zaporizhzhia rischio molto elevato

Troppi danni e il personale non riesce più ad affrontare i numerosi allarme causati dalla presenza dei militari

Il tetto della centrale nucleare di Zaporizhzhia colpito da un ordigno

Il tetto della centrale nucleare di Zaporizhzhia colpito da un ordigno – Aiea

da Avvenire

Basta l’elenco dei danni riportati dalla centrale ucraina di Zaporizhzhia durante la presenza degli ispettori Aiea per capire quale sia la posta in gioco. Lo scrive il direttore generale Grossi nel report che viene sottoposto al consiglio di sicurezza Onu.

“Il team ha assistito da vicino ai bombardamenti nelle vicinanze della centrale”, in particolare il 3 settembre, quando gli è stato chiesto di evacuare al piano terra dell’edificio amministrativo.

“Inoltre, il team ha osservato danni in diversi luoghi causati dagli eventi riportati, alcuni dei quali vicino agli edifici del reattore, tra cui i seguenti: un serbatoio dell’olio di lubrificazione della turbina; i tetti di vari edifici, come l’edificio per il veicolo di trasporto del combustibile esaurito; l’edificio speciale che ospita, tra l’altro, il combustibile nucleare fresco e l’impianto di stoccaggio dei rifiuti radioattivi solidi; il nuovo edificio per la formazione; l’edificio in cui si trova la stazione di allarme centrale del sistema di protezione fisica; il container in cui si trova il sistema di monitoraggio delle radiazioni, in prossimità dell’impianto di stoccaggio del combustibile esaurito secco”.

L'unità 6 della centrale nucleare di Zaporizhzhia, l'unica rimasta in funzione

L’unità 6 della centrale nucleare di Zaporizhzhia, l’unica rimasta in funzione – Aiea

Nel documento di 52 pagine vengono riportate immagini inequivocabili, come le foto dei mezzi da combattimento russi nascosti nei pressi di uno dei reattori oltre a una mappa dettagliata delle postazioni di tiro russe.

“Il team ha verificato che tutti i sistemi di sicurezza dell’Unità 6 (l’unica rimasta attiva, ndr) erano in condizioni normali”. Tuttavia è stata osservata “la presenza di personale, veicoli ed equipaggiamenti militari russi in vari luoghi della centrale, compresi diversi camion militari al piano terra delle sale turbine dell’Unità 1 e dell’Unità 2”.

Pur non entrando nel dettaglio dei cannoneggiamenti, gli ispettori denunciano come sia pericolosa la presenza di armi e di soldati all’interno dell’impianto, che di fatto viene utilizzato come scudo dalle forze russe.

“Gli esperti dell’Aiea sul posto hanno valutato i danni fisici della centrale, determinato la funzionalità dei sistemi di sicurezza e protezione nucleare principali e di riserva, valutato le condizioni di lavoro del personale e le attuali capacità di risposta alle emergenze, oltre ad altre importanti attività”.

E basta un elemento per comprendere d’essere vicini al punto di non ritorno. “Negli ultimi giorni, gli ispettori del controllo di sicurezza hanno anche svolto attività di controllo urgenti sul sito”, perché il personale della centrale, ridotti a poche centinaia a causa dell’occupazione, non riesce più ad affrontare i numerosi allarme causati dalla presenza dei militari.

Mezzi militari russi dentro l'area della centrale nucleare di Zaporizhzhia

Mezzi militari russi dentro l’area della centrale nucleare di Zaporizhzhia – Aiea

Kiev convoca il nunzio apostolico per il Papa su Dugina

 © EPA

Il ministero degli Esteri di Kiev ha convocato il nunzio apostolico in Ucraina, monsignor Visvaldas Kulbokas, a proposito del recente commento di papa Francesco sulla morte di Darya Dugina.

Lo ha reso noto il ministro degli Esteri ucraino Dmitro Kuleba, riporta Ukrinform.

“Abbiamo studiato attentamente la citazione completa di Papa Francesco e abbiamo deciso di convocare il Nunzio Apostolico per esprimere il disappunto dell’Ucraina”, ha detto Kuleba aggiungendo che presto sarà diffusa una dichiarazione al riguardo, con maggiori dettagli. (ANSA).

ESTERO Morta in un’esplosione d’auto la figlia di Dugin, l’ideologo di Putin

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AGI – Darya Dugin, figlia del politologo e filosofo russo Alexsandr Dugin, è morta per l’esplosione dell’automobile di cui era alla guida, nei pressi del villaggio di Bolshiye Vyazemy nella regione di Mosca.

Le autorità russe hanno aperto un procedimento penale “per omicidio”, lo riferiscono le agenzie russe citando il Comitato investigativo, che ipotizza la presenza di “un ordigno esplosivo” piazzato sull’automobile, una Toyota Land Cruise di proprietà del padre. “Un ordigno sarebbe esploso, dopo di che il Suv ha preso fuoco”, si legge nel rapporto degli inquirenti, riportato da Ria Novosti.

“La persona al volante è morta sul colpo”, continua la ricostruzione. Per l’accaduto, il capo dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, Denis Pushilin, ha puntato il dito contro i “terroristi ucraini”.

Alexsandr Dugin, conosciuto per essere il principale fautore del rilancio delle teorie eurasiatiste, è considerato come uno degli ideologi che sono stati più vicini al presidente russo Vladimir Putin. Secondo media russi citati dal Daily Mail, Darya Dugin sarebbe stata “fatta a pezzi” nell’esplosione del veicolo di cui era alla guida, e si avanzano i sospetti di natura dolosa circa un complotto il cui obiettivo sarebbe stato il padre Aleksandr.
Secondo il violinista russo Petr Lundstrem, Darya stava rincasando da un festival e aveva programmato di riportare indietro anche suo padre, il quale tuttavia sarebbe poi salito in un’altra vettura.

Un video girato sulla scena dell’incidente – con ogni probabilità un attentato – e diffuso sui social mostra la disperazione di Aleksandr Dugin mentre osserva impotente il rogo dell’auto in cui è rimasta uccisa la figlia Darya. Il filosofo probabilmente la seguiva da vicino in un’altra vettura su cui era salito all’ultimo momento scampando così alla morte.
Secondo il leader della Repubblica popolare filorussa di Donetsk, Denis Pushilin, ci sono “terroristi del regime ucraino” dietro l’incidente. A detta di Pushilin, a quanto riferisce Ria Novosti, l’obiettivo dell’attentato era il padre. “I terroristi del regime ucraino, cercando di eliminare Aleksandr Dugin, hanno fatto saltare in aria sua figlia… In macchina. Beato ricordo di Darya, è una vera ragazza russa”, ha scritto Pushilin nel suo canale Telegram. Darya è stata opinionista politica per il Movimento Eurasiatico Internazionale, guidato da suo padre.

Una breve biografia di Darya
Darya Platonova Dugina, la figlia del filosofo eurasiatista russo Aleksandr Dugin rimasta uccisa nell’esplosione della sua auto nei pressi di Mosca, svolgeva un intenso impegno intellettuale nella scia del padre. In una recente intervista, rilasciata a maggio scorso alla testata online geopolitika.ru, era intervenuta sull’aggressione russa all’Ucraina. Sposando, senza sorprese, le posizioni del padre e la linea del Cremlino.

“La situazione in Ucraina è davvero un esempio di scontro di civiltà; puo’ essere visto come uno scontro tra la civiltà globalista e quella eurasiatica” aveva detto. “Dopo ‘la grande catastrofe geopolitica’ (come il presidente russo ha definito il crollo dell’Urss), i territori dell’ex Paese unito sono diventati ‘confini’ (zone intermedie) – quegli spazi su cui è aumentata l’attenzione dei vicini, con la Nato e soprattutto gli Stati Uniti interessati a destabilizzare la situazione ai confini della Russia”.

Aggiungeva Darya Dugina: “Se le elite liberali occidentali insistono così tanto nel sostenere Kiev e demonizzare Mosca, è perché dietro c’è una logica di profitto. Tutto deve essere messo in discussione. Questo è un principio importante che ci permette di mantenere un occhio lucido. Nella società dello spettacolo, della propaganda e della natura totalitaria dei sistemi occidentali, il dubbio è un passo essenziale per uscire dalla caverna…”.

La donna aveva trenta anni, era laureata in filosofia all’Università Statale di Mosca e aveva approfondito gli studi sul neoplatonismo ma rivendicava come riferimenti culturali anche Antonio Gramsci, Martin Heidegger e il sociologo francese Jean Baudrillard. Il 4 giugno scorso fu inclusa nella lista delle persone sanzionate dal governo del Regno Unito (tra loro il magnate Roman Abramovic) per avere espresso appoggio o promosso politiche favorevoli all’aggressione russa dell’Ucraina.

Figurava al numero 244 dell’elenco delle 1.331 persone fisiche sanzionate, quale “autore di alto profilo della disinformazione circa l’Ucraina e riguardo all’invasione russa dell’Ucraina su varie piattaforme online”, nonchè responsabile per il supporto e la promozione di politiche o iniziative di destabilizzazione dell’Ucraina per comprometterne o minacciarne “l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza”  

Don Tonino Bello « La guerra è una recidiva preoccupante. Ciò che mi affligge di più in questa ripresa del conflitto»

Uno scritto inedito, senza data, sulla guerra e le reazioni dell’Occidente nell’ultimo libro di Giancarlo Piccini “Anticorpi di pace” (San Paolo): « La guerra è una recidiva preoccupante. Ciò che mi affligge di più in questa ripresa del conflitto», scrive il vescovo salentino, «sono due cose. Il terrore di dover ripetere, in un mondo di sordi, le stesse argomentazioni contro la guerra; di dover risentire le filastrocche sul pacifismo a senso unico»

«La guerra è una recidiva preoccupante. Si pensava che, dopo il primo conflitto nel Golfo, fossero maturati nell’organismo mondiale degli anticorpi cosi forti contro il “mal di guerra”, che per parecchi anni non avremmo sentito parlare di violenza armata, almeno nei luoghi così martoriati del Medioriente. Invece, eccoci in una più tragica ricaduta: tanto più tragica quanto più solerte sembra l’intervento delle potenze internazionali, in contrasto con la deplorevole indifferenza con cui le stesse si pongono di fronte ad altre situazioni che meriterebbero ben altra considerazione: il problema dei profughi palestinesi, la disperazione della Bosnia, le sconosciute situazioni di conflitto e di fame presenti in Africa… Ciò che mi affligge di più, comunque, in questa ripresa del conflitto sono due cose. Il terrore di dover ripetere, in un mondo di sordi, le stesse argomentazioni contro la guerra; di dover risentire le filastrocche sul pacifismo a senso unico; di dover rispondere che il pacifismo si desta solo quando c’è puzza di America… E poi il dover constatare che gli interessi economici prevalgono sui più elementari diritti umani. Si aprono i flash sulla Somalia, sull’Iraq. Ma si chiudono luci e cuore, quando ci sono di mezzo i poveri».

È un appunto autografo, curiosamente senza luogo né data, considerata l’attenzione dell’autore per i dettagli. A scriverlo è don Tonino Bello, ora venerabile, e a riproporlo all’attenzione dei lettori è Giancarlo Piccini, presidente della Fondazione intitolata al vescovo salentino, nel libro Anticorpi di pace – Pagine inedite e ritrovate (San Paolo, pp. 176, euro 15). Una riflessione provocatoria, com’è nello stile di don Tonino, e quanto mai attuale nell’Europa divenuta di nuovo palcoscenico di una guerra fratricida che l’agenda del media system, dopo la commozione iniziale, sembra quasi aver archiviato, relegandola in fondo a quotidiani e Tg.

Piccinni, nel commentare questo scritto «che ho ricevuto da don Tonino nel 1993 ma che rappresenta a tutti gli effetti un inedito», si lascia andare a un moto di scoramento, come se la profezia di pace di don Tonino fosse – a dispetto dell’affetto che suscita tra credenti e no – qualcosa del passato o, peggio, di ripetitivo e noioso da archiviare in fretta. «Penso a quante volte, andando in giro per piazze, chiese, teatri», commenta Piccinni, «abbiamo proposto la lezione di pace di Tonino Bello e mi tornano in mente i commenti dei soliti benpensanti: “Sempre le stesse cose, sempre a parlare di pace. Siete monotoni, ripetitivi. Annoiano questi argomenti: ormai la guerra non può più tornare”. E allora, mi chiedevo, perché continuiamo ad armarci? Perché tanti investimenti sulle armi, sull’impero della morte? Perché non investire in salute, in istruzione? Perché non combattere la fame, le malattie, le disuguaglianze? In una parola perché armarci e non amarci?».

Il volume, che vede la prefazione del cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione per le Cause dei santi, è diviso in due parti: la prima riporta alcuni scritti inediti di don Tonino (lettere, omelie, appunti) e la seconda una raccolta d’interventi di Piccini collocati in momenti diversi: la visita nel 2018 di papa Francesco ad Alessano e Molfetta, la pandemia, il ricordo del fratello di don Tonino, Marcello. Piccinni riporta anche il discorso che don Tonino, da presidente nazionale di Pax Christi, pronunciò nel 1989, davanti a un’Arena di Verona traboccante di gente, in occasione di un incontro promosso dai “Beati costruttori di pace”. Molto interessante è l’intervista che rilasciò a margine di quell’evento e che è riportata nel volume. A chi gli chiede se l’attività di Pax Christi proseguirà senza incontrare ostacoli, don Tonino risponde: «È difficile come per ogni è lavoro creativo che richieda impegno e, soprattutto, sforzo per coscientizzare la gente. È difficile, si trovano tante difficoltà. A volte anche all’interno dell’ambiente ecclesiale c’è qualche diffidenza. Ma è giusto che sia così, è fisiologico sarei per dire. Però vediamo anche un’economia sommersa straordinaria: di grazia, di entusiasmo, di voglia di proseguire per questa strada. Noi abbiamo tantissima fiducia, anche perché poi stiamo facendo gli interessi della “ditta”, cioè del Signore, che è il Re della pace».

Concludiamo con una nota a margine. Il 10 agosto di quest’anno ricorrono i 40 anni della nomina episcopale di don Tonino Bello a vescovo della diocesi di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi. Negli archivi della Fondazione è conservata, una lettera, anch’essa inedita, che don Tonino inviò nel luglio del 1982 a Giovanni Paolo II per accettare, sia pure a malincuore, la nomina: «La mia accettazione», scrive, «oltre che carica di incertezze, è anche permeata di molta tristezza: mi fa così soffrire il pensiero di dover lasciare questo popolo che ho amato e servito per tre anni, che riterrei una grazia straordinaria del Signore poter continuare a lavorare nella mia parrocchia (quella della chiesa Matrice di Tricase, in provincia di Lecce, ndr) ancora per qualche tempo. Se non insisto per essere liberato da questo onore e da queste responsabilità che mi spaventano è perché temo di intralciare i disegni di Dio».

In queste poche righe è condensato tutto lo stile di don Tonino e soprattutto, scrive Piccinni, «il suo intendere il ministero nella Chiesa sempre a servizio del popolo». 

Gudkov e la complicità passiva dei russi verso il potere

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AGI – I russi si sono “rassegnati” alla guerra in Ucraina e continuano a sostenere il presidente Vladimir Putin in una forma di “complicità passiva”, che affonda le sue radici nell’atteggiamento del cittadino sovietico col potere.

Lev Gudkov, il sociologo russo più famoso all’estero e vice direttore del più autorevole istituto demoscopico indipendente del Paese, il Centro Levada, non si nasconde dietro le vaghe formule della narrativa ufficiale, che ha imposto di chiamare “operazione militare speciale” l’intervento in Ucraina.

Settantacinque anni, Gudkov non è nuovo a lavorare e vivere in condizioni rischiose: da quando è stato inserito nel registro degli “agenti stranieri”, nel 2016, il Levada ha visto ridursi al lumicino budget e progetti e la possibilità che le autorità ne impongano la chiusura è una spada di Damocle che, però, non impedisce ai suoi ricercatori di continuare a mappare l’evoluzione dell’opinione pubblica russa anche sui temi più delicati.

I sondaggi sul consenso
Nei cinque mesi di ostilità e sanzioni, il sostegno all’operato del presidente russo si è consolidato, riferisce Gudkov in un’intervista all’AGI nel suo ufficio su via Nikolskaya, a pochi passi dalla Piazza Rossa.

“Se i sondaggi dei giorni subito successivi all’invio dell’esercito, il 24 febbraio, mostravano un’approvazione del 68% per le azioni di Putin, il dato è arrivato all’81% a marzo per poi stabilizzarsi, tra aprile e giugno, intorno al 74-77%”. Non si tratta, spiega Gudkov, di un'”euforia” collettiva come era stato per l’annessione della Crimea, nel 2014, ma piuttosto di “mancanza di resistenza morale”.

Rispetto a otto anni fa, questo consolidarsi del consenso avviene in circostanze molto diverse: prima di tutto, quella di un “totale isolamento mediatico”.

“Dal 24 febbraio”, ricorda il vicedirettore del Levada, “si stima siano stati vietati 2-3mila siti internet e chiuse circa 180 testate, di cui alcune molto autorevoli come Novaya Gazeta e la radio Eco di Mosca; senza contare che i blogger vengono multati, che si rischia il carcere per l’accusa di fake news e che anche Facebook è stato bloccato. Il sociologo lo definisce “sostegno a bassa intensità”, un sentimento a suo modo contraddittorio: “Da una parte si registrano soddisfazione e orgoglio tra gli intervistati (51%), dall’altra quasi lo stesso numero (il 47%) ammette di sentirsi ‘inquieto’ per la morte sia dei cvili ucraini che dei soldati russi”.

L’appoggio alla guerra, inoltre, non va di pari passo con la disponibilità a combattere per la propria patria – solo il 2-3% si dice disposto a farlo – né con un senso di responsabilità per le morti civili.

“La maggior parte degli intervistati non capisce nemmeno la domanda sulle responsabilità come popolo per quanto sta accadendo”, riferisce il sociologo, “in media solo il 10% avverte un problema di coscienza: è il tradizionale atteggiamento sovietico di esprimere un’approvazione semplicemente dimostrativa verso il potere, senza poi volerne rispondere o partecipare. È il comportamento caratteristico di una società in condizioni di regime totalitario, una complicità passiva coi crimini dello Stato”.

Anche la vaghezza delle spiegazioni fornite dal Cremlino alla cosiddetta ‘spezoperazia’ contribuisce a questa accettazione, nonostante almeno il 30% dei russi abbia un qualche tipo di legame con l’Ucraina.

I temi della propaganda
“La propaganda ha passato tre fasi: denazificazione, liberazione del Donbass e poi quella attuale, secondo cui la Russia è stata costretta ad agire per la sua salvezza, perché la Nato avrebbe comunque usato i fascisti ucraini per colpirla”.

“Il tema del fascismo, unito a quello della minaccia esterna dell’Occidente, è un argomento molto forte sui cui in Russia è praticamente impossible discutere”, spiega Gudkov, “perché metterebbe in discussione la stessa identità nazionale”.

“La retorica della lotta al nazismo”, prosegue, “è stata usata in Urss fin dagli Anni ’30 per marchiare tutti i critici dell’Unione sovietica, indipendentemente dal partito o dal campo ideologico a cui appartenessero. È l’etichetta che indica il nemico assoluto, un potente mezzo per disumanizzare l’avversario, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale. Definendo fascista un soggetto, non è più necessario fornire prove o argomentazioni e, inoltre, verso il soggetto a cui viene associato questo stigma è impossibile nutrire empatia o compassione. Questa è una parte molto importante su cui gioca la propaganda, oltre al lavoro per mettere a tacere qualsiasi pensiero autorevole contrario alla guerra, che oggi in Russia di fatto non esiste”.

Pertanto, conclude Gudkov, “nonostante il calo del tenore di vita, l’inflazione, le sanzioni, la carenza di alcuni prodotti come i medicinali, il livello di soddisfazione generale è aumentato in modo molto evidente e registriamo tutti i segni di un consolidamento di massa del consenso nei confronti del potere”.  

UCRAINA | Al G20 esteri di Bali è andato in scena l’ennesimo muro contro muro tra Occidente e Russia. Il Papa tenta la mediazione, “potrebbe andare a Kiev ad agosto”

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Al G20 esteri di Bali è andato in scena l’ennesimo muro contro muro tra Occidente e Russia: le potenze del G7 hanno rinnovato la condanna contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina ed il ministro Serghiei Lavrov ha risposto in modo plateale, abbandonando il vertice prima della conclusione.

In questo impasse, anche il Vaticano tenta di dare un contributo per una soluzione diplomatica del conflitto: papa Francesco potrebbe andare a Kiev ad agosto.

Ansa