Anna Zafesova, giornalista de La Stampa, affronta il delicato e discusso tema della concessione dei visti ai turisti russi in Europa.
Gentile Anna, ci sono turisti russi in Italia e in Europa in questa estate?
Non ho dati. La mia percezione è che – nelle grandi città come Roma e Milano o in note località di villeggiatura – siano parecchi: forse solo poco meno rispetto ai numeri pre-covid.
Come è possibile? Si era detto che sarebbe stata un’estate senza turisti russi in tutta l’Europa, dopo le sanzioni…
Le sanzioni hanno determinato la sospensione dei voli dalla Russia all’Europa, ma non hanno comportato una limitazione dei visti, tanto che alcuni Paesi – in particolare la Finlandia – hanno funzionato da transito dei turisti russi diretti in Europa. Le ambasciate e i consolati dei Paesi occidentali hanno continuato a rilasciare visti turistici, come prima.
Solo da pochi giorni è affiorata – proprio dalla Finlandia – una questione di genere etico: la premier Sanna Marin ha detto di trovare ingiusto che il suo Paese si stia prestando a un tale flusso turistico dalla Russia, con ciò che è accaduto e sta accadendo in Ucraina. Ha quindi deciso di limitare l’emissione dei visti, continuando peraltro a concedere, senza limitazioni, i visti per studio, per ragioni culturali e familiari.
Conseguenze
Quali riflessi lei coglie di questa inaspettata presenza turistica?
Purtroppo, ho registrato una serie di episodi piuttosto spiacevoli, segnatamente negli ultimi giorni, in Europa e anche in Italia. Si sono verificati casi di aggressione verbale – e non solo – di russi e di russe contro persone ucraine, con video, a carattere denigratorio, finiti sui social con grande seguito di pubblico.
Ricordo l’episodio di un ragazzo russo che, a Milano, ha calpestato i manifesti degli ucraini che, regolarmente, si riuniscono in piazza Duomo, suscitando la giusta riprovazione dell’opinione pubblica milanese. Ho colto, peraltro, anche qualche manifestazione di solidarietà tra russi e ucraini nei Paesi europei, ma, tutto sommato, poca cosa.
Come si pone, secondo lei, la questione etica della presenza dei russi in Europa e in Italia?
La questione etica è stata per primo posta dal presidente ucraino Volomidir Zelenski in una intervista al Washington Post in cui ha sostenuto che i russi stanno godendo del privilegio di fare turismo in Europa mentre gli ucraini sono sotto le bombe. In effetti, anche a mio modo di vedere, è quantomeno imbarazzante che i turisti russi vengano in Europa a fare shopping come se nulla di grave sia accaduto e stia accadendo da quelle parti.
Consideriamo che chi può permettersi la vacanza in Europa è sostanzialmente un’élite acculturata, ossia quella che dovrebbe essere maggiormente in grado di comprendere le responsabilità del governo russo – e inevitabilmente di tutto il popolo russo – riguardo alla guerra di aggressione dell’Ucraina.
Russia – Europa
Lei, cosa auspica?
Ho già avuto modo di presentare (cf. qui) le dimensioni – piuttosto modeste – del movimento di protesta in Russia. Attendevo qualcosa di ben diverso. Non posso chiedere ai russi di immolarsi al proprio regime scendendo in piazza e finendo direttamente in carcere, ma mi sarei francamente aspettata, almeno quest’anno, un’astensione dai movimenti vacanzieri e di consumo verso l’Europa: come me pensano sicuramente tante altre persone in Europa e nel nostro Paese, in Italia.
La parte – sicuramente minoritaria – della popolazione russa che si oppone alla guerra e si oppone al regime di Putin è rimasta in Russia e ha cercato di esprimere forme di dissenso e di resistenza: so che sono avvenuti, ad esempio, sabotaggi ai binari dei treni diretti ai rifornimenti delle truppe di aggressione in Ucraina; si tratta di episodi poco o per nulla noti – radi – ma ci sono. Penso che dovremmo dedicarvi maggiore attenzione.
Posta la questione etica, come l’Europa potrebbe affrontarla?
I visti turistici rilasciati dai Paesi europei ai cittadini russi residenti nella Federazione andrebbero sospesi. Questa è la mia prima risposta, di impulso. Ma mentre dico questo avverto tutti i problemi che una tale determinazione susciterebbe.
Il primo problema è che i russi che, in questi mesi, si sono allontanati dalla Federazione lo hanno fatto avvalendosi unicamente dei visti turistici, oppure senza avvalersi di alcun visto – verso i Paesi che dalla Russia non lo richiedono –, ma sempre come turisti: sto parlando di circa quattro milioni di persone.
Togliere i visti significherebbe quindi togliere questa possibilità, mentre lo stesso Zelenski ha sostenuto che i russi che lasciano la Federazione per dissenso rispetto politica di guerra del loro Paese andrebbero ben accolti in Europa.
Si tratterebbe, allora, di rilasciare visti non più turistici, bensì mirati in senso umanitario, senza tuttavia giungere alla richiesta di asilo in ambasciata.
Perché non offrire – da subito – la possibilità della richiesta di asilo?
Perché, dopo un attimo dalla formulazione della richiesta di asilo, in una qualsiasi ambasciata o consolato in Russia, la polizia segreta di Putin ne verrebbe a conoscenza, con le conseguenze del caso.
I russi che si trovano nei Paesi occidentali già hanno la possibilità di presentare istanza di asilo: le risulta che ne stiano fruendo?
In pochissimi casi. La stragrande maggioranza dei russi trasferitisi all’estero – dal 24 febbraio ad oggi – non ha presentato istanza di asilo e non ha intenzione di farlo, per vari e comprensibili motivi: temono innanzi tutto le conseguenze di un atto così impegnativo e forte sui familiari e sugli amici rimasti in Russia; temono poi di non poter più tornare in Russia nel momento in cui siano nell’urgenza di farlo.
La scelta dell’asilo è, infatti, di per sé, irreversibile; molti non hanno, poi, obiettivamente, alcuna intenzione di vivere per sempre in occidente: pensiamo, ad esempio, ai giovani che sono espatriati per evitare la chiamata alle armi, contando su una situazione contingente che in qualche modo si sarebbe risolta o che si risolverà.
Quali misure?
Quale sarebbe la reazione dei russi a misure stringenti imposte dall’Europa sui visti?
Le misure di carattere punitivo rischierebbero di fare il gioco del governo di Putin e del suo apparato di propaganda. Da anni Putin in persona sostiene che l’occidente non vuole i russi – non li ha mai voluti – e, alla prima occasione, li caccia: perciò – per lui – è bene che i russi restino a casa, pensino a sostenere il loro Paese nel mondo, pensino a sostenere lui stesso.
La propaganda al suo seguito alimenta la tesi della russofobia degli occidentali e quindi del deliberato maltrattamento dei russi in occidente. Episodi simili a quelli a cui ho accennato – avvenuti a Milano – hanno determinato la sospensione del visto o della prenotazione alberghiera ai loro infausti protagonisti e ora vengono manipolati in Russia a sostegno della tesi discriminatoria e vittimistica.
Lo stesso oppositore russo più noto, Alexei Navalny, dal carcere, ha fatto sapere che chiudere i confini da parte dei Paesi occidentali sarebbe un grosso regalo a Putin.
C’è un modo per evitare effetti così contraddittori?
In Lettonia, ad esempio, si è detto di voler negare i permessi di soggiorno soltanto ai russi sostenitori di Putin. Si tratta di un Paese che si sente direttamente minacciato: capisco quindi la posizione ma non penso che possa essere mantenuta – in maniera così mirata – e quindi essere estesa a tutti i Paesi occidentali.
L’dea della Lettonia ha il pregio della giustificazione di diritto: infatti una misura punitiva – nel nostro pensiero occidentale – non può mai risultare indiscriminata, bensì sempre ed esclusivamente ad personam, perché possa essere giusta.
Il problema è dunque di applicazione su vasta scala e di strumenti applicativi adeguati allo scopo. Si è detto di chiedere ai russi intenzionati a venire in Europa di firmare un documento individuale di condanna della guerra. Penso che molti russi – persino sostenitori di Putin – sarebbero pronti a firmare un tale documento pur di venire in vacanza in Europa, ma ritengo che questa risulterebbe una misura inefficace ai fini di un’autentica responsabilizzazione, oltre che, probabilmente, risultare una misura contraria al diritto occidentale, perché fondata su una discriminazione delle idee.
In Italia il problema si è esplicitamente posto – mi pare – solo all’inizio della guerra e solo per quanto riguarda figure di fama internazionale.
Ha fatto notizia il caso del famoso direttore d’orchestra Valerij Gergiev a cui la Scala di Milano ha chiesto una sorta di abiura della guerra di aggressione della Russia sull’Ucraina e un’esplicita presa di distanza da Putin, quale condizione per poter continuare la collaborazione artistica: cosa che non poteva avvenire e difatti non è avvenuta. Ricordo che Gergiev è uno dei pilastri della propaganda di Putin. È un uomo molto in vista e molto influente in Russia.
Secondo me, un ente privato come la Scala aveva e ha tutto il diritto di selezionare le proprie collaborazioni, secondo i propri codici etici.
La cultura
Questo può essere il criterio con cui il mondo culturale si rapporta con gli esponenti della cultura russa?
Sì, penso che per il mondo della cultura sia relativamente più facile selezionare gli artisti – su invito – alle manifestazioni e alle rappresentazioni in Italia e in Europa. E penso che ciò stia avvenendo, anche per non incorrere in incidenti e polemiche che possano rovinare gli eventi culturali.
Per quel che so, gli organizzatori stanno prestando attenzione ai profili – non solo artistici – delle persone invitate, parlandone e parlando prima con loro. In questo modo gli eventi culturali possono diventare occasioni di dialogo con chi è veramente aperto al dialogo, senza peraltro esigere improbabili abiure.
Le opinioni pubbliche dei Paesi europei, secondo lei, cosa effettivamente chiedono ai governi?
Questo è il punto. Esistono opinioni pubbliche – con elettorati – di diversa natura da Paese a Paese e, ovviamente, anche all’interno dello stesso Paese. Faccio ancora l’esempio della Finlandia perché è il Paese che con più forza ha posto il caso a tutta l’Europa: nelle sue città di frontiera sono arrivati e continuano ad arrivare migliaia e migliaia di russi di cui una parte prende l’aereo e viene in Europa a fare vacanza, mentre un’altra consistente parte si ferma a fare shopping, aggirando in tal modo le sanzioni che privano i mercati russi di certi prodotti.
Va detto che alcune persone vanno alla ricerca di medicine o di altri beni di prima necessità introvabili in Russia, ma tanti altri si permettono la ricerca del lusso o perseguono la rivendita illegale dei beni acquistati, una volta rientrati in patria. Ebbene, questo può fare evidentemente comodo all’economia e alla società finlandese.
Allo stesso modo può far comodo al turismo italiano ricevere di nuovo – quest’anno – molti turisti russi. Ma c’è, appunto, il problema etico di cui ho detto. Bene ha fatto la premier finlandese Sanna Marin a porlo e ad interpretare i sentimenti di buona parte dei suoi concittadini. Penso che il problema sia e, per quanto possibile, debba essere avvertito dalle opinioni pubbliche dei Paesi europei.
Non dimentichiamo poi che di queste opinioni pubbliche sono parte integrante i milioni di ucraini in diaspora nei Paesi europei. Nella demografia italiana costituiscono centinaia di migliaia di persone presenti ben da prima della guerra. Le cancellerie degli Stati non possono non tenerne conto. Qualcuna lo sta facendo con alcune scelte sui visti e i permessi di soggiorno: oltre alla Finlandia e alla Lettonia, posso citare la Repubblica Ceca o la Lituania. Ma siamo all’ordine sparso, non ancora a un ordine europeo.
Andare in Russia
Cosa sta accadendo nella direzione inversa, ossia dall’Europa alla Russia? È più difficile – poniamo per gli italiani – andare in Russia?
Per i cittadini europei che vogliono andare in Russia non è cambiato molto, se non che mancano i voli diretti e quindi si deve passare attraverso altri Paesi, così come appunto stanno facendo i russi verso l’Europa.
Si può passare dalla Finlandia, in volo, ad esempio, sino a Helsinki e poi, da Helsinki, via terra: così si può arrivare a San Pietroburgo; oppure si può andare in volo sino a Istambul e da lì a Mosca. Istambul è divenuto il principale scalo aereo dall’occidente verso la Russia. Chiaramente i costi sono incrementati.
Dal 15 luglio scorso, peraltro, la Russia ha fatto cadere le limitazioni precedentemente in vigore a motivo – almeno ufficialmente – del covid. Vero è che la Russia ha stilato un elenco di Paesi amici versus Paesi ostili. Non escludo quindi che per qualche occidentale, non gradito e proveniente dai Paesi ostili, possa essere sollevato qualche problema di ingresso.
Ma ufficialmente non ci sono limitazioni, tanto da consentire alla propaganda di fare sfoggio di una liberalità che in occidente non sussisterebbe. Il regime, in tal senso, è molto abile: basti pensare all’accoglienza – strumentale – riservata ad alcune figure occidentali, ben accolte in Russia perché sono andate a manifestare il loro sostegno a Putin. Il caso più recente è quello dell’attore Steven Seagal.
Intuisco che la materia è delicata e complessa – avverto che lei stessa è combattuta tra opposte istanze –, può tuttavia trarre una sua conclusione: cosa dovrebbero, secondo lei, insieme stabilire i Paesi europei?
La mia personale posizione è che i visti turistici in quanto tali vadano sospesi e questo per dare un segnale – netto e determinato – di tipo etico. Consentire i flussi turistici come se nulla fosse è un messaggio eticamente sbagliato. C’è una responsabilità individuale e c’è una responsabilità collettiva. Non vanne ignorate.
Nel mentre ritengo che debba essere messa a punto una procedura chiara e di sicuro accesso per consentire ai cittadini della Federazione russa di accedere ai Paesi europei per ragioni non turistiche, quindi, sicuramente, per ragioni familiari, culturali, di studio, ma anche umanitarie. Penso che l’Europa debba muoversi con molta prudenza, ma debba farlo.
fonte: settimananews