Il popolo della Pace. Si riparte, verso Mykolaiv.«Il sogno non è finito»

Tra i partecipanti alla carovana organizzata dalla Papa Giovanni anche monsignor Ricchiuti (Pax Christi)

Si riparte, verso Mykolaiv.«Il sogno non è finito»

da Avvenire

La galassia italiana del pacifismo e della non violenza si prepara a fare ritorno in Ucraina. La terza carovana della pace della rete ‘Stop the war now’ partirà lunedì 29 agosto, con destinazione Odessa e Mykolaiv, per portare aiuti umanitari e solidarietà alla popolazione e per tornare a chiedere la fine immediata dei bombardamenti sui civili. I partecipanti si ritroveranno lunedì all’alba a Gorizia e inizieranno una lunga traversata dell’Europa orientale a bordo di furgoni e minivan carichi di generi di prima necessità. La prima sosta è in programma dopo circa tredici ore di viaggio, nella città ucraina di Ivano Frankivs’k, dove gli attivisti pernotteranno all’interno dei locali della diocesi greco-cattolica.

L’arrivo a Odessa è previsto invece nella tarda serata di martedì 30 agosto. Il giorno successivo la carovana intende avvicinarsi ulteriormente al fronte di guerra, raggiungendo la città portuale di Mykolaiv per consegnare gli aiuti umanitari nei centri di accoglienza e incontrare le associazioni locali e le autorità civili e religiose della regione. Se la situazione lo consentirà un pezzo della carovana prevede anche di fermarsi una notte a dormire nel rifugio antiaereo allestito nei sotterranei della locale chiesa pentecostale, insieme agli abitanti che si riparano lì ogni notte. Il primo settembre il convoglio ripartirà infine alla volta di Odessa – dove sono previsti ulteriori incontri – prima di rimettersi in cammino sulla strada del ritorno in Italia. Tra i partecipanti a questa nuova carovana della pace ci sarà anche monsignor Giovanni Ricchiuti, vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti e presidente di Pax Christi Italia. A tirare le fila del gruppo sarà come sempre l’associazione Papa Giovanni XXIII, che ha riunito all’interno della coalizione ‘Stop the war now’ circa 175 realtà associative religiose e laiche impegnate nella costruzione della pace in Ucraina attraverso azioni umanitarie non violente.

Le prime due carovane, arrivate a destinazione all’inizio di aprile e alla fine di giugno, hanno portato in Ucraina tonnellate di aiuti umanitari consentendo l’evacuazione di centinaia di profughi, tra cui donne, bambini, anziani e disabili. Per dare continuità ed efficacia alla sua azione, la rete pacifista ha attivato da tempo anche due presenze stabili nel Paese, una a Leopoli e una a Odessa. Nella martoriata città di Mykolaiv, sottoposta ad attacchi missilistici quotidiani da parte dell’esercito russo, è presente da circa due mesi un presidio di volontari di Operazione Colomba, il corpo nonviolento di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, che vive a fianco della popolazione dormendo nei rifugi e ogni giorno aiuta le persone a sopravvivere alla guerra. «Questa carovana si spingerà ancora più vicino ai fronti di guerra rispetto alle prime due – chiarisce Alberto Capannini, responsabile dell’Operazione Colomba in Ucraina – con l’obiettivo di portare nuovi aiuti, di incontrare le vittime e verificare i danni causati dai bombardamenti indiscriminati sui civili».

A Mykolaiv, una delle criticità principali resta l’accesso all’acqua perché il conflitto ha causato l’interruzione delle forniture idriche verso la città, mentre gli impianti di depurazione e dissalazione sono stati oggetto di attacchi missilistici che hanno ridotto al minimo la capacità degli abitanti di far fronte al proprio fabbisogno giornaliero. Dai rubinetti di gran parte delle abitazioni esce acqua color fango, che non può essere usata per bere, far da mangiare o lavarsi. Ogni giorno gli abitanti sono costretti a fare la fila per rifornirsi ai pochi dissalatori rimasti attivi in città, che consentono di rendere potabile l’acqua del mare. Per tamponare l’emergenza – anche in vista del prossimo inverno – le associazioni aderenti alla rete ‘ Stop the war now’ hanno raccolto finora circa trentatremila euro per finanziare l’acquisto di due dissalatori che garantiranno gli approvvigionamenti idrici ad alcune migliaia di persone.

Intervista. Prodi:«In Ucraina la pace solo con intesa Usa-Cina»

Quando cominciano i contrasti personali, è un problema tenere tutti dentro. Divaricazioni anche a destra, è il Pd oggi il più granitico
Romano Prodi, ex capo del governo e già presidente della Commissione Europea

Romano Prodi, ex capo del governo e già presidente della Commissione Europea – Ansa

Avvenire

Professor Romano Prodi, stiamo ai calci di rigore per questa maggioranza o ancora ai supplementari?
Guardo con un certo distacco a queste fibrillazioni che durano d’altronde già da settimane – risponde l’ex premier e fondatore dell’Ulivo –. Ho sempre ritenuto che si arrivasse alla regolare fine della legislatura e ritengo ancora che sia un interesse comune. Salvo però “incidenti”, che in politica possono sempre capitare: si fanno errori che possono portare a un suicidio politico. Con me, a esempio, Bertinotti fece un errore.

Quale giudizio dà delle osservazioni del M5s di Conte, condensate nei 9 punti del documento dato a Draghi?
Non ho ancora capito se quella del M5s sia tattica o strategia. Marcare differenze rispetto alla linea del governo è un conto, procedere a una rottura vuol dire però mandare a un elettorato, già sbandato per la situazione globale che stiamo vivendo, un messaggio che disorienta ancora di più gli elettori stessi.

Anche quelli 5 stelle?
Mi pare che gli elettori del M5s non vedano più il Movimento come lo strumento del cambiamento. Senza contare che, dopo la scissione, le stelle non sono più 5, ma se ne contano almeno 10…

Vede margini per un “ripensamento” dei pentastellati?
Gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da polemiche e contrasti personali fra i leader politici più che da analisi nel merito dei temi. Diventa difficile fare previsioni.

Per Draghi è difficile guidare un governo di larghe intese con spinte simili?
Lo dice a me? Io contavo su una maggioranza meno ampia, eppure ho avuto le mie belle difficoltà. È un’arte complicata che si impara adagio adagio. Il problema è anche che, quando cominciano le divisioni, diventa difficile continuare a tenere tutti dentro e a costruire. Le divaricazioni oggi ci sono in quasi tutti i partiti, anche dentro Lega e Forza Italia. E tutto questo porta anche a un possibile, ulteriore aumento dell’astensione nelle urne. Per paradosso il Pd, che è sempre stato un simbolo di lotte e di divisioni, è oggi quello più granitico.

Il fenomeno astensione la preoccupa?
Molto. Proprio per questo penso che ci siano grandi spazi per chi saprà dialogare con gli elettori, perché oggi non c’è dialogo fra governanti e governati. Ci rendiamo conto che si è stati capaci di fare un referendum sul sistema elettivo dei membri del Csm, non certo un tema di cui si parla a tavola? Non si può replicare il modello partecipativo dell’Ulivo, era un’epoca diversa, ma l’obiettivo deve essere lo stesso. Il Rosatellum è il peggior sistema elettorale possibile, almeno cerchiamo di riavvicinare i cittadini.

L’ha colpita Berlusconi che chiede una verifica?
Appunto. È un’altra conferma che siamo in momenti di assoluta incertezza. Dove l’improbabile diventa possibile.

Hanno fatto discutere le sue frasi sul campo largo che, secondo alcuni, lei avrebbe dato per “sepolto”. Qual è la giusta interpretazione?
Si tratta di un gioco che la destra ama fare da sempre, ma restano delle interpretazioni interessate che puntano a seminare fra me ed Enrico Letta una zizzania che non esiste. Io ho detto semplicemente che gli ultimi avvenimenti hanno rimescolato tutto e che occorre ridisegnare cornice e contenuti delle alleanze. Il campo “senza confini” di cui ho parlato non è altro che il campo largo di Letta alla luce dei nuovi fatti.

Ma si sente ancora una “riserva della Repubblica”?
Ma neanche per sogno. Io ho finito l’impegno politico nel 2008 e dopo non ho mai fatto passi avanti per avviarne uno nuovo. Ho sempre dato, sì, la mia disponibilità a servire il Paese se necessario, mai è stata accolta. Quindi, un impegno non lo valuto e non lo ritengo possibile.

Nei momenti di svolta torna spesso d’attualità il taglio del costo del lavoro.
Le ricordo però che il primo forte taglio l’ho fatto io. Prima, avevamo un peso delle tasse sui salari superiore alla media europea, ora invece siamo già al livello medio. Dato il livello miserevole delle retribuzioni di oggi, ogni taglio è benvenuto. Si tenga presente però che l’esigenza non è uguale per tutti e che bisogna occuparsi anche di chi non ha un contratto regolare.

Per farlo servono però tanti soldi. Serve uno scostamento del bilancio, in deficit?
Io ho sempre dato grande attenzione al debito pubblico, oggi esso è ancora alto e non possiamo dimenticare che questo ci mette sempre a rischio nei mercati, ancor più se salgono molto i tassi d’interesse. Eviterei, quindi, uno scostamento.

Veniamo all’Ucraina. Come vede la situazione dopo quasi 5 mesi di guerra?
Estremamente rischiosa. La guerra sta durando tanto, troppo. E ora, sul fronte energetico, Putin sta giocando come il gatto col topo con i Paesi europei, con un’interruzione del gas addebitata a motivi tecnici, ma che arriva proprio quando si tenta di aumentare gli stoccaggi.

E il governo si sta muovendo bene su questo fronte?
Vedo molto ottimismo da parte del governo, spero che sia motivato. Riterrei comunque utile preparare un piano, non obbligatorio, di consigli ai cittadini su come risparmiare energia: una forma di “persuasione amicale”.

C’è attesa per l’annunciata telefonata fra i presidenti di Usa e Cina, Biden e Xi Jinping.

È difficile che si arrivi a quella pace giustamente invocata da papa Francesco se non c’è un accordo fra questi due grandi Paesi. Si può far poco senza di loro. Per ora non vedo però passi avanti.

Ci sarebbe l’Europa, no?
È stata una bella immagine vedere Draghi, Scholz e Macron sul treno per Kiev, però in generale la voce dell’Europa è ancora troppo flebile. C’è stato il necessario e giusto fronte comune nello schierarsi militarmente a sostegno dell’Ucraina, ma la stessa unione non c’è sulle sanzioni, sulla politica energetica. E quando non si è uniti sulle politiche complementari, diventa difficile ritagliarsi quel ruolo di pacificatore che per la Ue dovrebbe essere proprio.

È diventata più importante la Turchia di Erdogan…
Chi ha comprato gli aerei da combattimento dagli Usa e i missili per abbatterli dalla Russia, può fare benissimo da pacificatore. Ma solo se le due potenze Usa e Cina daranno un via libera che preveda uno o più Paesi, oppure istituzioni, come mediatori.

Ma come si può arrivare a una pace?
Ci sarebbe bisogno di una conferenza internazionale promossa e presieduta dall’Onu, un qualcosa tipo Yalta, ma non vedo ancora un cammino e una spinta verso di essa. Oggi sembra un pio desiderio, del tutto irrealizzabile. Su questo dovrebbe spingere l’Ue. Anche per dare risposte alla vera sofferenza dell’Africa, dove in 16 stati si stanno esaurendo le scorte di cereali, senza che scatti quella mobilitazione mondiale che ci vorrebbe.

In sintesi resta pessimista, professore?
Osservo che c’è nel mondo un crescente desiderio di pace. Una pace indispensabile prima che si manifestino due ulteriori effetti della guerra: che il mondo si divida in due – Paesi capitalistici contro tutti gli altri – e che il riarmo tedesco, senza una simultanea partenza di una difesa comune europea, alteri gli equilibri nella Ue facendo prevalere anche sugli altri fronti il peso della Germania rispetto all’equilibrio fra i diversi Paesi. Non ho alcun dubbio sulla maturità della democrazia tedesca, ma quando si creano troppe disparità diventa più difficile fare una comune politica europea.

Comece e Kek. I leader delle Chiese europee invocano pace al confine polacco-ucraino

Messaggio pasquale congiunto del cardinale Hollerich (Comece) e del reverendo Krieger (Cec) in visita ad alcune delle strutture che accolgono e sostengono i profughi della guerra in Ucraina
Profughi ucraini nella biglietteria della stazione di Przemysl, nella Polonia orientale

Profughi ucraini nella biglietteria della stazione di Przemysl, nella Polonia orientale – Ansa

Avvenire

Il cardinale Jean Claude Hollerich e il reverendo Christian Krieger, rispettivamente presidenti della Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (Comece) e della Conferenza delle Chiese Europee (Kek), hanno rilasciato un messaggio pasquale congiunto dal confine tra Polonia e Ucraina, dove fino a oggi sono in visita ad alcune delle strutture che accolgono e sostengono i rifugiati in fuga dalla guerra in Ucraina.

 

“Il mistero pasquale di Cristo ci porta al cuore dell’ingiustizia, della violenza e della sofferenza – si legge nel messaggio, riportato da Vatican News -, la storia della passione e della morte di Cristo riecheggia la sofferenza umana e le tragedie vissute in molte parti del nostro mondo, non da ultimo dagli ucraini, nel loro Paese e ovunque le strade dell’esilio li abbiano portati”. “In Cristo, Dio si unisce alla nostra umanità, prendendo su di sé i nostri limiti e il nostro odio, trasformando – proseguono Hollerich e Krieger – le nostre impasse, la nostra indignazione, i nostri sentimenti di fatalità e disperazione in speranza attraverso la fiducia in lui. Questa trasformazione – concludono – avviene nell’essere umano e nel mondo che Dio ama”.

I due presidenti, profondamente colpiti dall’immane tragedia umana riflessa negli occhi dei rifugiati che stanno incontrando, hanno espresso una sincera gratitudine a tutti i professionisti e volontari, alle autorità nazionali e religiose per la solidarietà concreta messa in atto per accogliere e sostenere le persone che hanno perso tutto a causa della guerra.

Oltre due milioni di persone, in gran parte donne e bambini, hanno attraversato la frontiera polacco-ucraina dall’inizio della guerra. È da qui, dal valico di frontiera Dorohusk-Yahodyn tra Polonia e Ucraina, che, in vista delle festività pasquali, Hollerich e Krieger hanno invocato la preghiera e l’azione per la pace in Ucraina e negli altri Paesi vittime di conflitti. In vista della Santa Pasqua, i presidenti di Comece e Cec invitano tutti a “continuare a credere nell’orizzonte che la grazia di Dio, manifestata in Cristo, apre davanti ai nostri occhi”.

Durante la visita in Polonia, i due presidenti visitano anche chiese locali di diverse confessioni, apprezzando così i molteplici progetti umanitari e gli sforzi per accogliere i rifugiati ucraini nel Paese. Il porporato e il reverendo sono ospitati dal Consiglio ecumenico polacco e dal vescovo di Lodz, Grzegorz Rys.