In Brasile una sentenza «storica» sfida il traffico d’oro amazzonico

Un impianto illegale per l'estrazione dell'oro in Amazzonia

Meno di due mesi fa, la polizia brasiliana ha sgominato una banda accusata di contrabbandare all’estero 13 tonnellate di oro estratto illegalmente dai territori indigeni in Amazzonia. Una settimana fa, un processo al tribunale di New York ha riacceso i riflettori sul traffico del metallo prezioso dalla foresta alle grandi aziende del Nord del pianeta. Del resto, come uno studio dell’organizzazione di monitoraggio Instituto Escolhas ha dimostrato, almeno il 52 per cento dell’oro brasiliano «presenta indizi di provenienza illecita».

La quota, insieme alla distruzione della selva e la violenza nei confronti di quanti vi si oppongono, è cresciuta a partire dal 2013. Quell’anno, il governo dell’allora presidente Dilma Rousseff approvò la cosiddetta «clausola di buona fede». Il sistema, tuttora vigente, consente al produttore di autocertificare l’origine legale del metallo e alle aziende acquirenti di accettare la sua parola senza ulteriori verifiche. Queste ultime, dunque, non incorrono in nessuna responsabilità né sanzione in caso di scoperta, successiva alla vendita, di estrazione clandestina.

Il meccanismo ha favorito la nascita di «alleanze spurie tra reti criminali e grandi compagnie», ha affermato il giudice della Corte Suprema Gilmar Mendes che ha deciso di mettervi fine. Con una recentissima sentenza, ora, il magistrato ha dato novanta giorni di tempo al governo per elaborare un nuovo regolamento.

Una svolta importante, da sempre richiesta dalle organizzazioni ambientaliste e dai popoli indigeni. Già a febbraio, l’esecutivo guidato da Luiz Inácio Lula da Silva aveva in progetto di eliminare la «clausola di buona fede», sull’onda dello scandalo dello sterminio degli Yanomami da parte dei minatori illegali.

Ora dovrà accelerare. «Il testo è quasi pronto, mancano ancora gli ultimi dettagli ma siamo a buon punto», ha affermato il ministro della Giustizia, Flávio Dino che ha anche ribadito la ferma volontà del governo di proteggere l’Amazzonia. In gioco non c’è solo la vita della foresta e dei suoi popoli.

La rivista scientifica Communications, earth and environment, del gruppo Nature, ha appena pubblicato un inedito studio che dimostra come la selva sia un gigante “aspirapolvere” di sostante nocive. Il fenomeno è noto ma, per la prima volta, è stato calcolato l’esatto ammontare.

Ogni anno, la foresta assorbe 26mila tonnellate di particelle inquinanti liberate dagli incendi. In tal modo, si evitano almeno 15 milioni di casi di malattie respiratorie e cardiovascolari che costerebbero al sistema sanitario due miliardi di dollari.

Le aree restituite ai nativi “inghiottiscono” quasi un terzo del totale. «Sono quelle dove è più basso l’indice di disboscamento», sottolinea Florencia Sangermano, coautrice della ricerca . «Con la loro azione di protezione, gli indigeni rendono un servizio prezioso per la salute pubblica – ha concluso l’autrice Paula Prist –. Contrariamente a quanto si pensa, garantire i loro diritti è interesse di tutti».

avvenire.it

Iran: continuano le proteste anti-regime, ucciso un 22enne

 © EPA

– Almeno un manifestante è rimasto ucciso nelle proteste contro il regime in Iran che sono proseguite anche oggi.

La vittima, un ragazzo di 22 anni, Borhan Elyassi, sarebbe stato ucciso con un colpo di pistola nella città curda di Javanrud.

I raduni si sono tenuti in diverse città iraniane, tra cui Teheran, Semirom, Najafabad, Zahedan, Marvdasht, Javanrud, Izeh e Kermanshah.
I video diffusi sui social media mostrano le forze di sicurezza sparare gas lacrimogeni e proiettili contro i manifestanti nelle città occidentali di Kermanshah e Javanrud, ferendo alcune persone. Le forze di sicurezza hanno chiuso le strade della città curda di Javanroud, arrestando un gruppo di manifestanti e vietando agli altri di partecipare alle cerimonie nel cimitero della città per celebrare il 40/o giorno dell’uccisione di 7 manifestanti da parte delle guardie di sicurezza. La gente ha gridato slogan come ‘Morte al dittatore, morte al (leader Ali) Khamenei’ e ‘I Mullah devono andarsene per ricostruire l’Iran’.
A Najafabad, la polizia si è scontrata con i manifestanti che scandivano: “I nostri dollari sono in Libano, i nostri giovani sono in prigione”, riferendosi al sostegno dell’Iran alle milizie sciite libanesi di Hezbollah. (ANSA).

Famiglia annuncia morte Pelè, ‘ti amiamo infinitamente’

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– “Tutto ciò che siamo, è grazie a te.

Ti amiamo infinitamente.

Riposa in pace”. Così, aggiungendo l’emoticon di due cuori e una foto delle sue mani ‘intrecciate’ con quelle di sorelle e nipoti, la figlia di Pelé, Kely Nascimento annuncia su Instagram la morte del padre. O Rei era ricoverato nell’ospedale Albert Einstein di San Paolo dallo scorso 29 novembre, per un ciclo di cure dopo essere stato operato nel settembre del 2021 per un tumore al colon. Aveva contratto anche il Covid. Lascia la moglie Nomi Aoki e sette figli. (ANSA).

La Turchia abolisce l’età minima di pensionamento e rende più di 2 milioni di persone idonee a beneficiarne

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato la fine del requisito dell’età pensionabile, durante il quale più di 2 milioni di persone potranno godere immediatamente di questo diritto, ha dichiarato mercoledì in una conferenza stampa.

Archivio - Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan - Kay Nietfeld/dpa

Archivio – Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan – Kay Nietfeld/dpa© Fornito da News 360

“Con il regolamento che condivideremo oggi, circa 2,25 milioni di persone in più avranno i requisiti per andare in pensione. Non ci sarà alcun limite di età per avvalersi del diritto alla pensione”, ha dichiarato il Presidente in una dichiarazione presso il Complesso Presidenziale.

Sembra che questa richiesta sia stata una delle misure più richieste dall’opposizione e dai gruppi di lavoro che hanno chiesto che, invece di consentire il pensionamento all’età minima, il requisito fosse il numero obbligatorio di giorni lavorati per poter andare in pensione.

Questa riforma si aggiunge all’aumento del salario minimo approvato la scorsa settimana e a sei mesi dalle elezioni generali turche, come riportato dal canale turco TRT HABER.

Durante la sua apparizione, il presidente ha ricordato che in Turchia devono essere soddisfatte tre condizioni per avere diritto alla pensione – il numero di giorni di pagamento dei premi, il periodo di assicurazione e l’età – ma la riforma approvata cambia questo paradigma. Oggi, 13,9 milioni di persone sono pensionate in Turchia.

“Il regolamento che abbiamo fatto riguarda coloro che hanno già soddisfatto le prime due condizioni ma sono in attesa di pensionamento solo a causa dell’età”, ha detto il presidente.

Fonte: (EUROPA PRESS)

msn.com

Impedire alle donne di studiare, in nome di Dio. È quello che accade oggi in Afghanistan

Taliban use water cannon on women protesting education order in Afghanistan  | CNN

Neda Mohammad Nadeem, ex comandante militare divenuto in ottobre Ministro dell’Istruzione Superiore, lo scorso 20 dicembre, ha indirizzato a tutte le università pubbliche e private una comunicazione in cui formalizza la sospensione della frequenza dei corsi universitari per le studentesse, motivando il decreto con la necessità di dar corso ad una riforma dell’istruzione, ad oggi troppo occidentalizzata e irrispettosa della sharia.

Erosione dei diritti
Dopo il drammatico quinquennio 1996-2001, segnato dalle azioni repressive e autoritarie dei talebani e dall’imposizione di estese limitazioni delle libertà individuali a tutta la popolazione afghana e in particolare alle donne, il loro ritorno nell’agosto 2021, sedici mesi fa, ha fatto nuovamente precipitare le donne in un’inesorabile, drammatico processo di erosione dei diritti fondamentali: limitazioni drastiche alla libertà di movimento, interdizione dell’uso di spazi pubblici come parchi e palestre, espulsione dai luoghi di lavoro (perfino dalle Ong), imposizione del velo integrale.

L’estromissione dalle professioni, dalla vita pubblica e dalla politica, è stata accompagnata da un piano di progressiva esclusione dall’istruzione. Già dallo scorso anno, con la ripresa dell’attività scolastica dopo la pausa estiva, le bambine maggiori di dodici anni si sono viste vietare l’accesso a scuola: si stimano in tre milioni le bambine e le ragazze cui è stato impedito il proseguimento dei percorsi di istruzione oltre il sesto grado – equivalente alla nostra prima media.

Intanto va aumentando il tristissimo fenomeno delle spose bambine: oggi, in Afghanistan, il 17% delle bambine si sposa prima dei quindici anni.

Tutto questo sullo sfondo delle disperate condizioni di vita di una popolazione che, a causa della povertà e della crisi alimentare che ha portato alla fame il 55% del paese, vede crescere in modo esponenziale i ricoveri per malnutrizione, soprattutto tra i bambini.

Giuliano Battiston, in alcuni recenti articoli per l’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica internazionale),[1] afferma che l’annuncio del ministro Nadeem, «presentato come compimento di sacri principi religiosi, come atto necessario all’instaurazione di un “vero sistema islamico”», è destinato ad indebolire l’Emirato, in quanto porterà ad una intensificazione dello scontro tra i talebani e la società afghana.

Non tutti però…
Nonostante i mezzi spietati e violenti messi in atto dal regime negli ultimi sedici mesi per reprimere ogni forma di dissenso, in tutto il paese vanno organizzandosi manifestazioni di protesta.

E, come per l’Iran, anche in Afghanistan si possono cogliere importanti segnali di solidarietà tra uomini e donne: docenti universitari che annunciano le proprie dimissioni come forma concreta di appoggio alle colleghe e alle studentesse, studenti di Medicina che si rifiutano di sostenere gli esami alzando cartelli con la scritta “O tutti o nessuno”.

La decisione di impedire alle donne l’accesso all’università ha suscitato molte critiche a livello internazionale, anche da parte di paesi a maggioranza musulmana, come Turchia e Arabia Saudita.

L’Arabia Saudita ha espresso «stupore e rammarico» per il divieto, mentre la Turchia, per bocca del proprio ministro degli Esteri, lo ha definito «non islamico e non umano». Cavusoglu ha esortato i talebani a revocare la decisione, affermando che non c’è una «spiegazione islamica» dietro questo divieto, dal momento che la religione islamica «incoraggia l’istruzione e la scienza».[2]

Sulla stessa linea si collocano anche le dichiarazioni del grande imam della moschea al-Azhar del Cairo, Ahmed el-Tayeb, firmatario con papa Francesco, nel febbraio del 2019, del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune. Ahmed el-Tayeb ha condannato in modo deciso i talebani, affermando che il divieto all’istruzione viola i diritti fondamentali delle donne ed è in contraddizione con i principi dell’Islam.

In nome di Dio o dei maschi?
Eppure, è proprio appellandosi ai principi dell’Islam, è proprio in nome di Dio che in Afghanistan si impedisce alle bambine e alle ragazze di studiare.

In nome di Dio. Quante volte, nella storia, in nome di Dio, le donne sono state condannate al silenzio e all’ignoranza? Quante volte le bambine, le ragazze, le donne sono state immolate, come agnelli sacrificali, sull’altare di un potere che assume il volto di un maschio che detta legge, appellandosi ad una religione piegata alle proprie pulsioni e alle proprie paure?

Paura della bellezza e della potenza di un corpo di donna capace di generare vita, e perciò da tacitare, segregare, sottomettere, violentare, rendere insignificante, annichilire, attraverso l’occultamento o la mercificazione – burqa e pornografia come facce della stessa medaglia.

Ho conosciuto l’Afghanistan leggendo i romanzi di Khaled Hosseini; immersa nelle pagine de Il cacciatore di aquiloni e di Mille splendidi soli, ho immaginato gli aquiloni punteggiare di rosso, di azzurro e di giallo il cielo di Kabul e mi sono figurata i profili delle montagne e dei deserti di quella terra lontana. E attraverso le storie di Mariam, sposa bambina, e di Fariba, Laila e Aziza, ho intravisto tutta la disperata fatica di essere donna in Afghanistan e continuare a sperare: «E, per la prima volta, Laila non vide il viso di una rivale, ma un viso di dolori taciuti, di fardelli portati senza protestare, un destino di sottomissione e di sopportazione».[3]

Per noi, donne d’Occidente, la conquista delle libertà individuali, tra cui il diritto allo studio, ha alle spalle un tragitto troppo breve per poterlo considerare scontato. Ciò che sta accadendo oggi in Iran e in Afghanistan ci invita a ripensare, una volta di più, alle fatiche e alle lotte che tante donne, prima di noi, hanno sostenuto perché in nome di nessun Dio una bambina potesse essere privata della felicità di imparare e di studiare.

Mia nonna paterna, nata alla fine dell’Ottocento, era analfabeta. Il mio primo giorno da insegnante l’ho dedicato a lei, a questa nonna che non ho conosciuto, che non sapeva leggere e scrivere, ma amava coltivare fiori.

[1] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/afghanistan-perche-escludere-le-donne-dalluniversita-indebolisce-i-talebani-37132

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/le-donne-e-linverno-afgano-37133

[2] https://www.aljazeera.com/news/2022/12/22/turkey-saudi-arabia-condemn-talibans-university-ban-for-women

[3] Khaled Hosseini, Mille splendidi soli, Piemme 2007, pag. 259.
settimananews.it

Cipro: il nuovo arcivescovo

È Georgios il nuovo arcivescovo di Cipro | Terrasanta.net

Il 24 dicembre il sinodo della Chiesa di Cipro ha eletto il nuovo arcivescovo: il metropolita Giorgio di Pafos. Dei 16 sinodali, 11 gli hanno dato il voto. Quattro hanno votato Atanasio di Limassol, una scheda bianca.

È il 95° successore di una Chiesa, fondata da Paolo e Barnaba, riconosciuta al concilio di Efeso nel 431 e resa autonoma in quello di Trullo nel 692. Filo-occidentale, ecumenico, convinto sostenitore della Chiesa autocefala in Ucraina, disponibile al rinnovamento della pastorale in un contesto progressivamente secolarizzato, Giorgio di Pafos condivide con l’intero sinodo la volontà della riunificazione dell’isola per ora, in parte, occupata dalle truppe e dal potere turco.

Laureato in chimica e poi in teologia, fu arrestato e maltrattato dalle truppe turche. Il suo caso arrivò al Consiglio d’Europa che condannò la Turchia per violazione dei diritti umani. Il suo predecessore, Crisostomo, morto l’11 novembre, lo aveva auspicato come successore. Era stato di fatto il suo “ministro degli esteri” sia all’interno dell’Ortodossia (in particolare nella preparazione del concilio di Creta nel 2016), sia nel dialogo con la Chiesa cattolica e le Chiese luterane e protestanti.

Ha rappresentato la sua Chiesa nelle conferenze pan-ortodosse e nelle celebrazioni del 1025 anniversario della Chiesa russa nel 2013. Al sinodo che lo ha eletto ha proposto una griglia di 11 punti per il rinnovamento della pastorale, fra cui la riapertura di un’emittente televisiva e radiofonica.

Immediatamente appoggiato dal governo, ha ricevuto calorosi saluti da Bartolomeo di Costantinopoli, dal patriarca di Alessandria e dal primate di Atene. I consensi ottenuti disegnano la geografia ecclesiastica e politica nell’attuale spaccatura dell’Ortodossia sulla questione ucraina.

Giorgio di Pafos e Atanasio di Limassol
Il suo competitore nell’elezione, il metropolita Atanasio di Limassol, illumina l’altra faccia della Chiesa di Cipro. È il classico “frutto” del Monte Athos dove ha ottenuto il più alto riconoscimento nella scala dell’ascetismo atonista. Monaco a Vatopedi, è stato per un anno “governatore” della penisola per diventare, a 39 anni, vescovo a Limassol.

Prolifico scrittore spirituale, si è apposto fieramente alla decisione di Crisostomo di riconoscere l’autocefalia ucraina e, pur ammettendo recentemente di dover rispettare la decisione sinodale che confermava la scelta dell’arcivescovo Crisostomo, non ha mai smentito la sua posizione.

A Mosca, dove speravano nella sua elezione, è molto stimato e tradotto. Persegue un rinnovamento spirituale secondo le istanze monastiche. Restio alle disposizioni anti-Covid, è rigoroso nella difesa della liturgia della tradizione, si è opposto alla visita cipriota di Benedetto XVI e di papa Francesco ed è poco interessato al dialogo ecumenico.

Il processo elettorale sull’insieme della popolazione dell’isola aveva dato un risultato opposto: il 36% ad Atanasio, il 18% a Giorgio. La forma dell’elezione dell’arcivescovo è scandita in due tempi. Dapprima si procede a un’elezione generale per indicare i tre nomi da consegnare ai vescovi. Poi il sinodo sceglie fra questi.

Alle elezioni, avvenute il 18 dicembre, aveva partecipato il 30% del corpo elettorale (160.000 su 548.000). Erano stati esclusi gli elettori russi recentemente arrivati sull’isola in ragione delle difficoltà tecniche per le liste elettorali, in realtà per il timore che condizionassero eccessivamente il risultato a favore del candidato filo-russo.

I risultati erano stati favorevoli ad Atanasio ma non travolgenti. L’alleanza fra tutti gli altri ha orientato diversamente il sinodo e ha giustificato il commento di uno dei candidati, Isaia, che parla di una “rappresentanza popolare” per il nuovo eletto sull’ordine del 65%.

Il respiro di sollievo a Costantinopoli e Atene (Bartolomeo aveva celebrato i funerali di Crisostomo con la presenza della presidente della Repubblica greca) non rimuove le sfide pastorali per un rinnovamento considerato urgente e necessario.
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Ucraina, Lavrov: dal Pentagono minacce di un assassinio di Putin

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Fonte: ansa.it

– Dichiarazioni rilasciate da “funzionari anonimi” del Pentagono in merito a un “attacco decapitante” contro il Cremlino parlano di una minaccia di tentato omicidio del presidente Vladimir Putin, afferma il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov in un’intervista all’agenzia Tass.

“Alcuni ‘funzionari anonimi’ del Pentagono hanno effettivamente espresso la minaccia di sferrare un ‘attacco decapitante’ al Cremlino, che in realtà è una minaccia di tentato omicidio del presidente russo”, ha detto Lavrov.

“Se tali idee sono davvero ponderate da qualcuno, allora questo qualcuno dovrebbe pensare meglio alle possibili conseguenze di tali piani”, ha affermato il ministro degli Esteri russo.
“Il corso politico dell’Occidente, che mira alla totale repressione della Russia, è estremamente pericoloso: presenta rischi di uno scontro armato diretto tra potenze nucleari”. Ha detto ancora Lavrov. Il ministro degli Esteri russo ha sottolineato che Mosca ha affermato più volte che non ci possono essere vincitori in una guerra nucleare e che “non deve mai essere scatenata”. E’ l’Occidente invece che – secondo Lavrov – “con speculazioni irresponsabili” afferma “che la Russia sia presumibilmente sull’orlo dell’uso di armi nucleari contro l’Ucraina”.

Il primo discorso di Natale di Re Carlo III ai sudditi: “Nel servizio per gli altri troviamo la speranza nel futuro”

primo discorso natale di re carlo sudditi

AGI – “Sono qui nella Cappella di San Giorgio al castello di Windsor, così vicino a dove è sepolta la mia amata madre, la defunta Regina, con il mio caro padre. Mi vengono in mente le lettere, le cartoline e i messaggi profondamente toccanti che tanti di voi hanno inviato a me e a mia moglie e non posso ringraziarvi abbastanza per l’amore e la simpatia che avete dimostrato a tutta la nostra famiglia”. Lo ha affermato Carlo III, nel primo discorso di Natale da re dopo la morte della regina Elisabetta.

Carlo ha reso omaggio alla “dedizione disinteressata delle nostre forze armate e dei servizi di emergenza che lavorano instancabilmente per tenerci tutti al sicuro”, e agli “operatori sanitari e sociali, nei nostri insegnanti e tutti coloro che lavorano nel servizio pubblico, la cui competenza e impegno sono al centro delle nostre comunità”.
“Desidero in particolare rendere omaggio a tutte quelle persone meravigliosamente gentili che così generosamente donano cibo o denaro, o il bene più prezioso di tutti, il loro tempo, per sostenere coloro che li circondano nelle necessità più grandi, insieme alle numerose organizzazioni di beneficenza che fanno un lavoro straordinario nelle circostanze più difficili”, ha aggiunto il monarca.

“Mentre il Natale è, ovviamente, una celebrazione cristiana, il potere della luce che vince l’oscurità viene celebrato oltre i confini della fede. Quindi, qualunque credo voi professiate, o anche nessuno, credo che sia in questa luce vivificante e con la vera umiltà che sta nel nostro servizio per gli altri che possiamo trovare speranza per il futuro”. Ha proseguito Carlo III, che nel primo discorso di Natale, ha nominato William e Kate, riferendo di una visita in Galles del principe di Galles ed erede al trono insieme alla moglie durante la quale hanno messo in luce “esempi pratici dello spirito di comunità”.

Di recente la famiglia reale britannica è finita nuovamente al centro di polemiche dopo il documentario uscito su Netflix di Harry e Meghan nel quale la coppia ha lanciato durissime accuse. Nessun commento da Buckingham Palace ma le festività natalizie sono attentamente monitorate dagli osservatori come risposta indiretta.

Valanga in Austria, ritrovate illese 8 persone, altre due ferite

tragedia montagna austria dieci persone travolte da valanga 

AGI – Otto persone identificate, sei di esse illese e due ferite in ospedale, e due molto probabilmente ancora disperse. E’ questo il primo bilancio della valanga abbattutasi oggi pomeriggio sulle pendici del Trittkopf, montagna alta 2.720 metri nel comprensorio sciistico di Lech-Zuers am Arlberg nel Vorarlberg in Austria e che ha travolto un gruppo di sciatori.

La località austriaca è famosa perche’ da alcuni anni nel mese di novembre ospita una tappa della Coppa del mondo di sci alpino. Erano circa le ore 15 quando una valanga si è staccata travolgendo dieci persone che si trovavano sulla pista numero 134 (Balmen) servita dalla cabinovia Trittkopfbahn II che raggiunge i 2.420 metri.

Appena scattato l’allarme in zona si sono portati fino ad un massimo di otto elicotteri e soccorritori che in serata avevano raggiunto le 200 unita’ con l’ausilio dei cani addestrati per la ricerca delle persone sotto la neve.

La base dei soccorsi e’ stata individuata ai 1.773 metri del Flexenpass. Dopo che la stessa polizia aveva temuto ad una tragedia con molteplici vittime, in serata nel corso del briefing dei soccorritori e’ emerso, come affermato dal consigliere per la sicurezza del Land Vorarlberg, Christian Gantner (OeVP), che “sei persone sono rimaste illese e due sono rimaste ferite e trasportate negli ospedali di Innsbruck e Bludenz”.

Lo stesso Gantner ha poi aggiunto, “è molto positivo che finora non siano pervenute denunce di persone scomparse”. Le operazioni di ricerca continuano: nel punto dove si è abbattuta la valanga la massa nevosa è alta fino a quattro metri.

Nella notte un plotone dell’esercito austriaco addestrato raggiungera’ la caserma Walgau ed entrerà operativo in caso di bisogno. In quella zona oggi c’era un considerevole rischio di valanghe.

Cina, esercitazioni nello spazio aereo e marittimo vicino Taiwan

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(ANSA) – PECHINO, 25 DIC – La Cina ha affermato di aver condotto oggi esercitazioni militari vicino a Taiwan, in risposta a “provocazioni” e “collusioni” tra gli Stati Uniti e le autorità dell’isola.

Non è stato specificato il numero di dispositivi mobilitati, né la localizzazione esatta di queste manovre.

L’Esercito popolare di liberazione “ha condotto esercitazioni congiunte interforze di preparazione al combattimento nello spazio marittimo e aereo intorno all’isola di Taiwan”, ha affermato in una nota Shi Yi, portavoce del Teatro orientale di operazioni. “Questa è una risposta ferma alla crescente collusione tra gli Stati Uniti e le autorità taiwanesi e alle loro provocazioni”, ha aggiunto. (ANSA).
ansa.it

Lo scandalo delle euromazzette

Ma quali Stati Uniti d’Europa. Quale solidarietà, sussidiarietà, economia sociale di mercato.

Quale affermazione dei diritti umani, quale tutela dello stato di diritto. Eccoci di nuovo qui a dubitare, noi europeisti convinti che ci sentiamo cittadini in Italia come a Parigi o a Berlino, a Madrid come ad Amsterdam.

Eccoci di fronte alla terribile tentazione di dare degli utopisti a Spinelli, a Rossi, a Colorni. Di pensare che in fondo De Gasperi, Schuman e Adenauer fossero poco più che dei visionari. E però – ce lo ripetiamo per non cedere allo sconforto – quell’utopia, quella visione, hanno dato all’Europa unita una stabilità che non aveva mai conosciuto e, con essa, un lungo periodo di pace, ora minacciata proprio ai confini dell’odierna Unione dalla sciagurata guerra d’Ucraina scatenata in quest’ultima e tragica fase dall’autocrate Putin. Altri autocrati, ad altre latitudini, avrebbero invece dato origine a suon di quattrini alla valanga che rischia di travolgere nella vergogna tutto ciò che in oltre 70 anni di cammino l’Europa unita ha costruito nella vita di intere generazioni, inclusa la più giovane. Europei di nascita, sono ragazze e ragazzi che non hanno mai conosciuto monete diverse dall’euro e sono abituati a circolare da un Paese all’altro senza restrizioni. Tutti, loro e chi prima di loro ha creduto nella patria comune europea, messi a dura prova dalle notizie che giungono da Bruxelles e che, purtroppo, investono in buona parte degli italiani.

Il principio di non colpevolezza è sacro, sancito dalla stessa Ue e recepito dagli ordinamenti degli Stati membri. Ma certo da questa vicenda, seppure protetta dal riserbo degli inquirenti belgi, sono già emerse evidenze che non possono essere ignorate, a cominciare dai sacchi gonfi di contanti, dai soldi sequestrati nelle abitazioni private, dalle prese di distanza di chi parla apertamente di «uno schifo».

Impossibile non farsi prendere almeno un po’ dallo sconforto, soprattutto a causa della spiacevole ma persistente sensazione che sia solo l’inizio di qualcosa di gigantesco e di molto maleodorante. A noi, in effetti, le cronache degli ultimi giorni potrebbero facilmente riportare alla mente quelle dei primi anni Novanta: l’esplosione di Mani Pulite, la fine di un’epoca. Per il momento l’Eurotangentopoli ha coinvolto pesantemente il gruppo dei Socialisti e Democratici, ma fanno bene tutti gli altri (euroscettici compresi) a non attaccare, proprio perché il peggio potrebbe ancora arrivare. Speriamo di no, speriamo si tratti al massimo di pochi, isolati e deprecabili episodi. Anche perché, per riprendere il parallelo con la storia nazionale, Tangentopoli rase al suolo le “case”, i partiti, di quasi tutte le principali culture politiche e sono trent’anni che il sistema politico italiano non trova pace e, di fatto, non riesce a rimettere insieme i frantumi di quella deflagrazione.

È per questo che non bisogna ripetere, ora, l’errore che si fece allora: la pulizia deve essere fatta prima di tutto dall’interno, dalle istituzioni europee, senza timidezze, con rapidità e inflessibilità. Neanche per un momento si può dare spazio all’idea che i Palazzi di Bruxelles e di Strasburgo si siano trasformati in sedi di consorterie dalle porte girevoli, dove chi esce al termine del proprio mandato vi rientra da faccendiere al soldo di interessi non sempre trasparenti. Altrimenti, il contraccolpo potrebbe risultare devastante, roba da far impallidire la crisi del debito sovrano del 2010-2011, in termini di credibilità e di autorevolezza. Crisi sventata dall’allora presidente della Bce Mario Draghi e poi sbiadita, nell’immaginario collettivo, nel buio pesto della pandemia da Covid, quando con il Recovery Plan l’Ue ha saputo ritrovare le ragioni di solidarietà che le hanno dato origine. Ora serve un altro scatto di reni, perché il pericolo è di natura diversa ma altrettanto grande. Non si deve rischiare che l’Europa unita, capace di reagire agli attentati terroristici dei nemici della democrazia e della libertà, di sopravvivere alle speculazioni degli squali della finanza, cada vittima del più moderno dei cavalli di Troia: il vil denaro.

Danilo Paolini

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Nuova Zelanda. Sigarette proibite per sempre a chi compie 14 anni

Il parlamento di Wellington ha approvato il Smokefree Environments Bill, con l’obiettivo di sradicare il vizio del fumo nel Paese. I quattordicenni di oggi saranno la prima generazione senza fumo

In Nuova Zelanda sigarette vietate per sempre a chi è nato dal 2009

In Nuova Zelanda sigarette vietate per sempre a chi è nato dal 2009 – Ansa

Avvenire

Fumo vietato per sempre in Nuova Zelanda a chi è nato a partire dal primo gennaio 2009. Il parlamento di Wellington ha approvato in terza lettura un ampio pacchetto, il Smokefree Environments Bill, con l’obiettivo di sradicare il vizio del fumo in tutto il Paese. I quattordicenni di oggi saranno la prima generazione senza sigarette.

In Nuova Zelanda il numero dei fumatori è già bassissimo, solo l’8% della popolazione, in calo rispetto al 9,4% dell’anno scorso.
L’obiettivo è di scendere sotto il 5 % nel 2025 in vista della totale eliminazione del fumo.

Con la nuova legge, nel 2050 nessuna persona dai 40 anni in giù potrà comprare sigarette. Il divieto di fumo per i nati a partire dal 2009 prevede multe salatissime per i trasgressori, fino a 150mila dollari neozelandesi (92mila euro). Il provvedimento riduce anche la quantità di nicotina nei prodotti del tabacco e limita i punti vendita dagli attuali 6mila a soli 600 a partire dalla fine dell’anno prossimo.

La legge “è un passo verso un futuro smoke-free. Migliaia di persone vivranno più a lungo, con vite più sane, e il sistema sanitario risparmierà 5 miliardi di dollari neozelandesi non dovendo curare le malattie causate dal fumo”, ha dichiarato la ministra della Salute Ayesha Verrall, citata dalla Bbc. Verrall, che è medico, ha sottolineato come il provvedimento aumenterà l’aspettativa di vita delle comunità maori, inferiore al resto degli abitanti del Paese.

Attualmente fra i maori vi è un 19,9% di fumatori, in calo rispetto al 22,3% del 2021. La nuova legge non colpisce il fumo elettronico, oggi molto più diffuso delle sigarette fra le giovani generazioni.