Gudkov e la complicità passiva dei russi verso il potere

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AGI – I russi si sono “rassegnati” alla guerra in Ucraina e continuano a sostenere il presidente Vladimir Putin in una forma di “complicità passiva”, che affonda le sue radici nell’atteggiamento del cittadino sovietico col potere.

Lev Gudkov, il sociologo russo più famoso all’estero e vice direttore del più autorevole istituto demoscopico indipendente del Paese, il Centro Levada, non si nasconde dietro le vaghe formule della narrativa ufficiale, che ha imposto di chiamare “operazione militare speciale” l’intervento in Ucraina.

Settantacinque anni, Gudkov non è nuovo a lavorare e vivere in condizioni rischiose: da quando è stato inserito nel registro degli “agenti stranieri”, nel 2016, il Levada ha visto ridursi al lumicino budget e progetti e la possibilità che le autorità ne impongano la chiusura è una spada di Damocle che, però, non impedisce ai suoi ricercatori di continuare a mappare l’evoluzione dell’opinione pubblica russa anche sui temi più delicati.

I sondaggi sul consenso
Nei cinque mesi di ostilità e sanzioni, il sostegno all’operato del presidente russo si è consolidato, riferisce Gudkov in un’intervista all’AGI nel suo ufficio su via Nikolskaya, a pochi passi dalla Piazza Rossa.

“Se i sondaggi dei giorni subito successivi all’invio dell’esercito, il 24 febbraio, mostravano un’approvazione del 68% per le azioni di Putin, il dato è arrivato all’81% a marzo per poi stabilizzarsi, tra aprile e giugno, intorno al 74-77%”. Non si tratta, spiega Gudkov, di un'”euforia” collettiva come era stato per l’annessione della Crimea, nel 2014, ma piuttosto di “mancanza di resistenza morale”.

Rispetto a otto anni fa, questo consolidarsi del consenso avviene in circostanze molto diverse: prima di tutto, quella di un “totale isolamento mediatico”.

“Dal 24 febbraio”, ricorda il vicedirettore del Levada, “si stima siano stati vietati 2-3mila siti internet e chiuse circa 180 testate, di cui alcune molto autorevoli come Novaya Gazeta e la radio Eco di Mosca; senza contare che i blogger vengono multati, che si rischia il carcere per l’accusa di fake news e che anche Facebook è stato bloccato. Il sociologo lo definisce “sostegno a bassa intensità”, un sentimento a suo modo contraddittorio: “Da una parte si registrano soddisfazione e orgoglio tra gli intervistati (51%), dall’altra quasi lo stesso numero (il 47%) ammette di sentirsi ‘inquieto’ per la morte sia dei cvili ucraini che dei soldati russi”.

L’appoggio alla guerra, inoltre, non va di pari passo con la disponibilità a combattere per la propria patria – solo il 2-3% si dice disposto a farlo – né con un senso di responsabilità per le morti civili.

“La maggior parte degli intervistati non capisce nemmeno la domanda sulle responsabilità come popolo per quanto sta accadendo”, riferisce il sociologo, “in media solo il 10% avverte un problema di coscienza: è il tradizionale atteggiamento sovietico di esprimere un’approvazione semplicemente dimostrativa verso il potere, senza poi volerne rispondere o partecipare. È il comportamento caratteristico di una società in condizioni di regime totalitario, una complicità passiva coi crimini dello Stato”.

Anche la vaghezza delle spiegazioni fornite dal Cremlino alla cosiddetta ‘spezoperazia’ contribuisce a questa accettazione, nonostante almeno il 30% dei russi abbia un qualche tipo di legame con l’Ucraina.

I temi della propaganda
“La propaganda ha passato tre fasi: denazificazione, liberazione del Donbass e poi quella attuale, secondo cui la Russia è stata costretta ad agire per la sua salvezza, perché la Nato avrebbe comunque usato i fascisti ucraini per colpirla”.

“Il tema del fascismo, unito a quello della minaccia esterna dell’Occidente, è un argomento molto forte sui cui in Russia è praticamente impossible discutere”, spiega Gudkov, “perché metterebbe in discussione la stessa identità nazionale”.

“La retorica della lotta al nazismo”, prosegue, “è stata usata in Urss fin dagli Anni ’30 per marchiare tutti i critici dell’Unione sovietica, indipendentemente dal partito o dal campo ideologico a cui appartenessero. È l’etichetta che indica il nemico assoluto, un potente mezzo per disumanizzare l’avversario, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale. Definendo fascista un soggetto, non è più necessario fornire prove o argomentazioni e, inoltre, verso il soggetto a cui viene associato questo stigma è impossibile nutrire empatia o compassione. Questa è una parte molto importante su cui gioca la propaganda, oltre al lavoro per mettere a tacere qualsiasi pensiero autorevole contrario alla guerra, che oggi in Russia di fatto non esiste”.

Pertanto, conclude Gudkov, “nonostante il calo del tenore di vita, l’inflazione, le sanzioni, la carenza di alcuni prodotti come i medicinali, il livello di soddisfazione generale è aumentato in modo molto evidente e registriamo tutti i segni di un consolidamento di massa del consenso nei confronti del potere”.