Ucraina. “Ecco dove sono stati portati i bambini ucraini deportati in Russia”

Il sito di informazione Verstka ha individuato dove si trovano centinaia di minori ospitati lì prima di essere assegnati a famiglie in tutta la Russia
Bambini ucraini in fuga dalla guerra

Bambini ucraini in fuga dalla guerra – Fotogramma

La Russia continua a negare le accuse di deportazione forzata dei bambini ucraini. Ma sui social le richieste dei parenti che si sono messi sulle loro tracce aumentano e, unitamente a un lavoro di inchiesta fatto dal sito di informazione indipendente Verstka, hanno portato a individuare dove si trovano centinaia di minori, ospitati lì in attesa di venire assegnati a famiglie su tutto il territorio nazionale. I principali centri si trovano a Rostov sul Don, sul mare di Azov, a Kursk, ma anche più lontano dal confine con l’Ucraina, a Nizhni Novgorod.

Gli ospiti sono soprattutto bambini che provengono a Mariupol e dal Donbass. Al momento dell’occupazione da parte dei russi si trovavano in ospedali o centri di cura oppure semplicemente si sono persi. Ora la loro vita cambierà per sempre. La conferma che si tratta di bambini ucraini arriva dalle stesse autorità di Rostov, che però parlano di minori «salvati» dai soldati russi e portati fuori dalle zone di guerra e soprattutto orfani, quando invece spesso questi piccoli hanno ancora almeno un genitore che possa prendersi cura di loro.

La Commissaria per i diritti umani della regione di Rostov, Irina Cherkasova, non ha rivelato in quali strutture vengano ospitati, ma ha garantito che «frequentano organizzazioni educative in conformità di programmi che tengano conto del loro livello di istruzione e del loro stato di salute».

A fare chiarezza ci ha pensato il sito Verstka. La struttura principale per l’accoglienza dei bambini ucraini si chiama Romashka, in russo “camomilla”, e da sola ospita circa 400 minori.

Stando a due volontari che hanno parlato al sito in condizioni di anonimato, qui ci sono ospiti da 2 a 18 anni e, se nelle prime fasi della cosiddetta “operazione militare speciale” avevano il necessario per andare avanti, «adesso mancano dei bisogni di base: dai prodotti per l’igiene personale a quelli di cancelleria che servono per le attività scolastiche». Segno che, oltre allo sforzo bellico, la Russia fatica a tenere il passo anche con quello umanitario. Sempre secondo la testimonianza di questi due volontari, all’interno di queste strutture vengono organizzate attività ricreative nelle quali però vengono anche incentivata una maggiore conoscenza della storia e della cultura russa. Il problema, è il futuro che li attende, che per qualcuno si è già risolto in un allontanamento permanente dalla madrepatria.

Il 30 maggio, il presidente Putin ha firmato il decreto che facilita l’ottenimento della cittadinanza russa per i bambini che provengono dal Donbass e più in generale da altre parti dell’Ucraina. Molti potrebbero vedere la loro vita cambiare definitivamente prima dell’autunno, quando negli orfanotrofi inizierà a fare freddo e sarà ancora più oneroso per i russi mantenere quelle strutture. Per alcuni è già cambiata.

Ksenia Mishonova, il difensore civico per i bambini nella regione di Mosca, ha ammesso che, da aprile, decine di bambini sono già stati assegnati alle “cure temporanee” di famiglie nel territorio della capitale. Il governatore della regione, Andreij Vorobyov, ha parlato espressamente di «preparare una opportunità di adozione» per questi bambini, facendosi ritrarre da una Tv privata mentre li accoglieva alla stazione, insieme con un gruppo di psicologi, che aveva il compito di farli sentire a loro agio il più possibile. Luoghi come quello di Romashka sono quindi dei veri e propri centri di smistamento per il loro nuovo futuro da cittadini russi, lontani dai propri cari e dalla terra in cui sono nati e strumenti nelle mani di Mosca per riequilibrare il saldo demografico del Paese.

Avvenire

“Ormai siamo abituati a guardare i bombardamenti, è una cosa assurda. Una cosa volgarissima. La cosa incredibile è che lo stiamo accettando tutti”

Biagio Antonacci e la guerra

“Dopo il covid mi sarei aspettato delle danze ai confini, non la guerra. L’uomo non aveva ancora capito che il covid aveva già segnato dei confini. Ormai siamo abituati a guardare i bombardamenti, è una cosa assurda. Una cosa volgarissima. La cosa incredibile è che lo stiamo accettando tutti”, ha detto Antonacci. “Ogni cosa che succede adesso per me è quasi normale, questa è la cosa grave. La guerra è il desiderio dell’egoismo, della testa, del potere. Purtroppo l’uomo ha dentro questa cattiveria di indole: noi cerchiamo di nasconderci ma questa è la verità. L’uomo non si accontenta, costruisce ricchezze e cose che non userà mai, ma lo fa solo per far vedere che queste cose le ha fatte”.

Ucraina: medaglia Nobel russo venduta a 103 mln dollari Muratov devolverà tutto il ricavato all’Unicef

 © ANSA
La medaglia del premio Nobel per la pace del giornalista russo Dmitry Muratov è stata battuta all’asta a New York a 103 milioni di dollari.

Il ricavato andrà tutto all’Unicef per aiutare i bambini sfollati a causa della guerra in Ucraina.

Muratov, insignito della medaglia d’oro nell’ottobre 2021, ha contribuito a fondare il quotidiano russo indipendente Novaya Gazeta. Era il caporedattore della pubblicazione quando è stata chiusa a marzo a causa della repressione del Cremlino nei confronti dei giornalisti. (ANSA).

Berlino, subito negoziati Ue per Nord Macedonia e Albania

 © ANSA

“Diamo il benvenuto alla raccomandazione della Commissione sull’Ucraina e la Moldavia, questo è un momento storico e tutti devono domandarsi che cosa succederà se prendiamo le decisioni sbagliate: l’Europa cresce sempre nei momenti difficili e noi siamo a favore anche di lanciare un messaggio a Balcani occidentali, aprendo subito i negoziati di adesione con la Nord Macedonia e l’Albania”.

Lo ha detto la ministra degli Esteri Annalena Barbock arrivando al consiglio affari esteri in Lussemburgo.

(ANSA).

Web tv russa manda in onda vergogne contro Papa Francesco


L’informazione in Russia è a senso unico, lo sappiamo, pura propaganda. Ma che la manipolazione arrivi ad attaccare direttamente Papa Francesco è un orrore. In un servizio che la trasmissione Controcorrente, su Rete 4, ha mandato in onda, abbiamo preso visione di come una web tv russa – Gloria tv – stia puntando a demolire la religione cattolica in favore di quella ortodossa conservatrice vicina al patriarca Kirill.
Vediamo scorrere sul sito della tv -che si configura come un social – immagini del Papa accostate a immagini di bandiere naziste. Lo studioso Alex Orlowski spiega che è tutta “propaganda russa”. In uno dei post si vede un militare che con un fare minaccioso dice: “in Ucraina il nazismo fiorisce come un’erbaccia e so chi l’ha fatto e chi ne aveva bisogno”. E via ad immagini del Papa con tutti capi di Stato dell’Occidente. Intervallate da un fiorire di svastiche. Non piacciono a Mosca né al patriarca Kyrill le parole di papa Francesco che invoca la pace e la preghiera. “L’aggressione armata di questi giorni, come ogni guerra, rappresenta un oltraggio a Dio, un tradimento blasfemo del Signore della Pasqua“, ha dichiarato il Ponfefice.

La pace invocata dal Papa irrita Mosca e il patriarca Kirill
Un ulteriore segnale verso la pace Papa Francesco l‘ha manifestata con chiarezza con la volontà – a cui sembra non voglia rinunciare- di far portare la croce della tredicesima stazione della Via Crucis a una famiglia ucraina insieme a una russa. Poi altre bordate a chi ha voluto la guerra. «La pace che Gesù ci dà a Pasqua non è la pace che segue le strategie del mondo – prosegue Bergoglio –. Quella che il mondo crede di ottenere attraverso la forza. Con le conquiste e con varie forme di imposizione”.”Che vittoria c’é sulle macerie”? Parole chiare che la propaganda russa sta manipolando in senso ostile alla nostra religione. C’era da aspettarselo, del resto, dopo le parole del patriarca Kiryll che ha avuto l’ardire di giustificare la guerra in Ucraina come una sorta di crociata contro i paesi che sostengono i diritti degli omosessuali…
fonte: secoloditalia.it

Israele e la nuova diaspora da Russia e Ucraina dovuta alla guerra

Conflitto nel cuore dell’Europa ha impresso una nuova spinta a un flusso e un fenomeno in atto da alcuni decenni. Per le autorità di Tel Aviv una sfida solo in parte prevista e organizzata

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Agi

AGI – L’invasione russa dell’Ucraina ha spinto finora oltre 20 mila tra ucraini e russi, spesso di origini ebraiche, a fuggire in Israele ma il trend è in atto da anni, se non decenni. La guerra ha impresso una nuova spinta a questo flusso, aprendo opportunità, ma allo stesso tempo, data la complessità geopolitica, gli equilibri e la rilevanza delle forze in campo in uno scacchiere più ampio, incontra qualche problema e pone nuove sfide alle autorità israeliane.

La Aliyah, o Legge del Ritorno – che regola l’assorbimento degli immigrati ebrei in Israele, con tanto di ministero dedicato – riconosce a chi abbia i requisiti (almeno un nonno di religione ebraica o la conversione all’ebraismo in una comunità riconosciuta ufficialmente) una serie di benefici, dall’hotel una volta sbarcati, all’affitto di un appartamento per alcuni mesi.

Procedure burocratiche più semplici

Sul tema dei ‘titoli’ da vantare per poter ottenere la cittadinanza ci sono battaglie legali che sono finite anche davanti alla Corte Suprema. Nel caso più recente della guerra ucraina, è stata creata una procedura ‘espressa’ in modo da facilitare l’arrivo dei civili in fuga.

Dal 24 febbraio, in tre mesi, sono arrivati almeno 20 mila da Ucraina e Russia, praticamente equamente divisi (rispettivamente 10.019 e 9.777), ha riferito il ministero per l’Aliyah. La presenza di folte comunità ebraiche in entrambi i Paesi coinvolti nella guerra e la necessità quindi di mantenere buoni rapporti sia con Kiev che con Mosca è stata la motivazione addotta dallo Stato ebraico per presentarsi, almeno inizialmente, come mediatore ‘neutrale’. Una posizione andata via via modificandosi con il passare delle settimane, e che lo ha portato ad assumere un atteggiamento più marcato a favore dell’Ucraina, prima con il voto a favore della sospensione della Russia dal Consiglio dei Diritti Umani all’Onu e più di recente con l’annuncio dell’invio di equipaggiamenti difensivi (caschi e giubbotti anti-proiettili) alle organizzazioni civili e ai soccorritori ucraini.

La postura ha fortemente irritato Mosca, con possibili e temute ripercussioni – finora non avvenute – rispetto al teatro siriano e al coordinamento tra i due Paesi: le forze armate israeliane compiono regolarmente raid aerei in Siria (l’ultimo venerdì all’alba, il secondo in una settimana), avvertendo però Mosca in modo da non incorrere in incidenti con le forze russe presenti sul terreno.

La Russia e i Paesi circostanti da sempre sono un serbatoio d’immigrazione – spesso ambiziosa e con un’alta formazione universitaria – per Israele: dagli albori negli Anni ’60, quando le autorita’ erano pronte a pagare governi stranieri per permettere agli ebrei di trasferirsi, la svolta ci fu con il crollo dell’Urss che portò nel giro di vent’anni all’assorbimento nello Stato ebraico di un milione di immigrati, una cifra impressionante per un Paese che all’epoca contava cinque milioni di abitanti in tutto.

Cervelli in fuga

Molti di questi ‘cervelli in fuga’ finirono nel settore dell’hi-tech (nel 1998 quasi la metà degli addetti era di origini russa) e l’arrivo di questa comunità russofona ebbe un forte impatto sul Paese destinatario, modificandolo economicamente (il sorgere della cosiddetta ‘Start-Up Nation’) ma anche socialmente.

Nonostante questo passato, l’arrivo del nuovo flusso di immigrati non è indolore. C’è chi non può o non riesce a dimostrare di avere i requisiti in base alla Legge del Ritorno e quindi ottiene un visto turistico che tuttavia gli impedisce di lavorare, ricevere i sussidi governativi e registrare i figli a scuola.

Gli oligarchi, un caso a parte

E c’è anche chi non è ebreo ed è finito in Israele grazie a qualche rete di supporto familiare o amicale ma non intende restarci a vita. Caso a parte sono gli oligarchi russi che da qualche anno hanno ‘scoperto’ una nuova patria (o quantomeno una nuova cittadinanza) oltre a un ambiente ottimale per fare affari.

È il caso di Roman Abramovich, ma anche di Leonid Nevzlin, ex comproprietario con Mikhail Khodorkovsky del colosso energetico russo Yukos, e dei co-fondatori di Alfa Bank, German Khan e Mikhail Fridman. Oltre a questi, negli ultimi tre mesi, sono arrivati altri milionari a rinfoltire le fila: secondo Mark Oigman, ebreo moldavo a capo della SmartGen, sentito da Globe and Mail, sono oltre 5 mila sui 40 mila che ritiene siano arrivati in Israele dalla fine di febbraio.

Con lo scoppio della guerra e l’adozione da parte dell’Occidente di dure sanzioni economiche contro il Cremlino e i suoi alleati, i soldi ‘russi’ sono diventati un problema per lo Stato ebraico che, pur non seguendo legalmente i passi di Usa e Ue, allo stesso tempo è cauta e monitora movimenti e transazioni bancarie, così come spostamenti di aerei privati e yacht, in modo da impedire ai chi è finito sulla ‘lista nera’ di eludere le misure restrittive.

Di tale prudenza, che si traduce nella mancanza di una politica chiara in merito, ne fanno le spese più in generale gli immigrati ma anche investitori e start-up che stanno cercando di ricollocarsi nel Paese. Secondo il sito specializzato Calcalistech, in tre mesi gli immigrati fuggiti dalla Russia hanno portato nelle banche israeliane un miliardo di shekel (280 milioni di euro) e un importo simile è quello attualmente trattato dagli istituti, una goccia nel mare rispetto a quanto i ‘nuovi israeliani’ cercano di portare nel Paese, spesso senza successo.

Ucraina, Valerie e l’abito rosso per il diploma davanti alle macerie della sua scuola

L’immagine è di sicuro effetto: una ragazza vestita di rosso fiammante, con un abito da sera, circondata da macerie.

La storia dietro la foto è difficile da verificare in maniera indipendente, ma anch’essa, così come viene raccontata, è di sicuro impatto: siamo in Ucraina, a Kharkiv, la giovane che posa circondata dalla distruzione è Valerie, ha 16 anni e in questi giorni avrebbe dovuto partecipare al ballo della scuola per la fine dell’anno.

Della scuola rimangono solo macerie, di quella magica notte tanto sognata rimane l’abito principesco. Il resto è guerra.

L’immagine compare su un profilo di Facebook, è a nome di Anna Episheva che sullo stesso social network risulta residente a Toronto in Canada. Con questa foto Anna racconta la storia di quella che dice essere sua nipote Valerie, la liceale che con le sue amiche pianificava da tempo la notte da sogno, abiti da sera compresi… “Poi arrivarono i russi – si legge nel post su Facebook in ucraino e in inglese – La sua scuola è stata colpita e distrutta il 27 febbraio 2022. Oggi (Valerie ndr) è tornata a ciò che è rimasto della sua scuola e dei suoi piani per il diploma. Grazie mia cara Valerie, per essere forte e coraggiosa. Molto orgogliosa di te, ti amo molto”.

Da Facebook a Twitter rimbalza la determinazione dei liceali di Kharkiv che alle loro danze di fine anno non hanno voluto rinunciare, sebbene siano diventate un modo per denunciare la guerra, mostrarne la distruzione e rispondere con la speranza: e allora fra quello che resta dell’edificio scolastico 10 diplomati ballano un valzer, nella loro specialissima cerimonia che avrebbe dovuto segnare un gioioso momento di passaggio, davanti ai genitori orgogliosi e commossi in questa circostanza per più di una ragione, naturalmente filmata e postata su Twitter.

Ansa