Israele e la nuova diaspora da Russia e Ucraina dovuta alla guerra

Conflitto nel cuore dell’Europa ha impresso una nuova spinta a un flusso e un fenomeno in atto da alcuni decenni. Per le autorità di Tel Aviv una sfida solo in parte prevista e organizzata

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Agi

AGI – L’invasione russa dell’Ucraina ha spinto finora oltre 20 mila tra ucraini e russi, spesso di origini ebraiche, a fuggire in Israele ma il trend è in atto da anni, se non decenni. La guerra ha impresso una nuova spinta a questo flusso, aprendo opportunità, ma allo stesso tempo, data la complessità geopolitica, gli equilibri e la rilevanza delle forze in campo in uno scacchiere più ampio, incontra qualche problema e pone nuove sfide alle autorità israeliane.

La Aliyah, o Legge del Ritorno – che regola l’assorbimento degli immigrati ebrei in Israele, con tanto di ministero dedicato – riconosce a chi abbia i requisiti (almeno un nonno di religione ebraica o la conversione all’ebraismo in una comunità riconosciuta ufficialmente) una serie di benefici, dall’hotel una volta sbarcati, all’affitto di un appartamento per alcuni mesi.

Procedure burocratiche più semplici

Sul tema dei ‘titoli’ da vantare per poter ottenere la cittadinanza ci sono battaglie legali che sono finite anche davanti alla Corte Suprema. Nel caso più recente della guerra ucraina, è stata creata una procedura ‘espressa’ in modo da facilitare l’arrivo dei civili in fuga.

Dal 24 febbraio, in tre mesi, sono arrivati almeno 20 mila da Ucraina e Russia, praticamente equamente divisi (rispettivamente 10.019 e 9.777), ha riferito il ministero per l’Aliyah. La presenza di folte comunità ebraiche in entrambi i Paesi coinvolti nella guerra e la necessità quindi di mantenere buoni rapporti sia con Kiev che con Mosca è stata la motivazione addotta dallo Stato ebraico per presentarsi, almeno inizialmente, come mediatore ‘neutrale’. Una posizione andata via via modificandosi con il passare delle settimane, e che lo ha portato ad assumere un atteggiamento più marcato a favore dell’Ucraina, prima con il voto a favore della sospensione della Russia dal Consiglio dei Diritti Umani all’Onu e più di recente con l’annuncio dell’invio di equipaggiamenti difensivi (caschi e giubbotti anti-proiettili) alle organizzazioni civili e ai soccorritori ucraini.

La postura ha fortemente irritato Mosca, con possibili e temute ripercussioni – finora non avvenute – rispetto al teatro siriano e al coordinamento tra i due Paesi: le forze armate israeliane compiono regolarmente raid aerei in Siria (l’ultimo venerdì all’alba, il secondo in una settimana), avvertendo però Mosca in modo da non incorrere in incidenti con le forze russe presenti sul terreno.

La Russia e i Paesi circostanti da sempre sono un serbatoio d’immigrazione – spesso ambiziosa e con un’alta formazione universitaria – per Israele: dagli albori negli Anni ’60, quando le autorita’ erano pronte a pagare governi stranieri per permettere agli ebrei di trasferirsi, la svolta ci fu con il crollo dell’Urss che portò nel giro di vent’anni all’assorbimento nello Stato ebraico di un milione di immigrati, una cifra impressionante per un Paese che all’epoca contava cinque milioni di abitanti in tutto.

Cervelli in fuga

Molti di questi ‘cervelli in fuga’ finirono nel settore dell’hi-tech (nel 1998 quasi la metà degli addetti era di origini russa) e l’arrivo di questa comunità russofona ebbe un forte impatto sul Paese destinatario, modificandolo economicamente (il sorgere della cosiddetta ‘Start-Up Nation’) ma anche socialmente.

Nonostante questo passato, l’arrivo del nuovo flusso di immigrati non è indolore. C’è chi non può o non riesce a dimostrare di avere i requisiti in base alla Legge del Ritorno e quindi ottiene un visto turistico che tuttavia gli impedisce di lavorare, ricevere i sussidi governativi e registrare i figli a scuola.

Gli oligarchi, un caso a parte

E c’è anche chi non è ebreo ed è finito in Israele grazie a qualche rete di supporto familiare o amicale ma non intende restarci a vita. Caso a parte sono gli oligarchi russi che da qualche anno hanno ‘scoperto’ una nuova patria (o quantomeno una nuova cittadinanza) oltre a un ambiente ottimale per fare affari.

È il caso di Roman Abramovich, ma anche di Leonid Nevzlin, ex comproprietario con Mikhail Khodorkovsky del colosso energetico russo Yukos, e dei co-fondatori di Alfa Bank, German Khan e Mikhail Fridman. Oltre a questi, negli ultimi tre mesi, sono arrivati altri milionari a rinfoltire le fila: secondo Mark Oigman, ebreo moldavo a capo della SmartGen, sentito da Globe and Mail, sono oltre 5 mila sui 40 mila che ritiene siano arrivati in Israele dalla fine di febbraio.

Con lo scoppio della guerra e l’adozione da parte dell’Occidente di dure sanzioni economiche contro il Cremlino e i suoi alleati, i soldi ‘russi’ sono diventati un problema per lo Stato ebraico che, pur non seguendo legalmente i passi di Usa e Ue, allo stesso tempo è cauta e monitora movimenti e transazioni bancarie, così come spostamenti di aerei privati e yacht, in modo da impedire ai chi è finito sulla ‘lista nera’ di eludere le misure restrittive.

Di tale prudenza, che si traduce nella mancanza di una politica chiara in merito, ne fanno le spese più in generale gli immigrati ma anche investitori e start-up che stanno cercando di ricollocarsi nel Paese. Secondo il sito specializzato Calcalistech, in tre mesi gli immigrati fuggiti dalla Russia hanno portato nelle banche israeliane un miliardo di shekel (280 milioni di euro) e un importo simile è quello attualmente trattato dagli istituti, una goccia nel mare rispetto a quanto i ‘nuovi israeliani’ cercano di portare nel Paese, spesso senza successo.