LA DISTRUZIONE DELLA GUERRA, IL SOGNO DI DIO PER LA PACE

A 100 giorni dall’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina tocchiamo con mano quanto è vero che «tutto è connesso». Solo lo sguardo alle tante vittime inermi potrà orientare una politica che miri alla pace

Cari amici lettori, abbiamo superato da poco il 100° giorno di guerra tra Russia e Ucraina. Ci passano sotto gli occhi le prime immagini di bombardamenti su Kiev, la fuga di tanti ucraini, gli orrori dei massacri insensati di civili, il timore per il possibile disastro per le centrali nucleari colpite da attacchi russi, i civili e militari chiusi nell’acciaieria Azovstal, l’uso di armi termobariche, lo spettro di una escalation nucleare, il rapimento di bambini ucraini portati in Russia, e da ultimo l’incombente spettro della fame in altre parti del mondo (Africa, Vicino Oriente) dipendenti dai rifornimenti di grano ucraino bloccati nei porti.

In Europa abbiamo vissuto la paura di essere privati del gas e petrolio russi: si è persino preso in considerazione un ritorno (“temporaneo”) al carbone (che sarebbe un grave passo indietro nella lotta contro il cambiamento climatico). In questa guerra più che mai tocchiamo con mano come «tutto è connesso», concetto chiave dell’«ecologia integrale» di cui parla papa Francesco in Laudato si’ (n. 138). I fattori ambientali, economici e sociali sono intrecciati: è la drammatica realtà anche della guerra. La guerra distrugge vite umane e rapporti familiari e sociali, distrugge la fraternità che è il sogno di Dio per l’umanità (Fratelli tutti, n. 26), distrugge le città e le attività industriali, mette in pericolo l’ambiente (vedi il disastro evitato per un soffio a Chernobyl e altre centrali nucleari) e i fragili equilibri tra le nazioni, dove quelle svantaggiate sono quelle che maggiormente patiscono le conseguenze “a distanza” del conflitto. Papa Francesco in Fratelli tutti richiamava il tema “ambiente” in relazione alla guerra: «Ricordo che la guerra è la negazione di tutti i diritti e una drammatica aggressione all’ambiente» (n. 257; cfr. LS n. 57).

Osservazione che poteva sembrare marginale, e invece ora si sta rivelando drammaticamente vera. Non si può che sottoscrivere integralmente quanto si legge poco dopo: «La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male» (FT n. 261). Qual è allora lo sguardo cristiano sulla realtà della guerra, che dovrebbe contribuire a costruire una politica che mira alla pace? «Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. Rivolgiamo lo sguardo a tanti civili massacrati come “danni collaterali”. Domandiamo alle vittime. Prestiamo attenzione ai profughi… Consideriamo la verità di queste vittime della violenza, guardiamo la realtà coi loro occhi e ascoltiamo i loro racconti col cuore aperto. Così potremo riconoscere l’abisso del male nel cuore della guerra e non ci turberà il fatto che ci trattino come ingenui perché abbiamo scelto la pace».

La guerra, male in sé, trascina con sé altri mali a cascata. L’unico vero realista, verrebbe da dire, è colui che cerca la pace. Preghiamo, cari amici, perché queste considerazioni facciano breccia anche in coloro che prendono le grandi decisioni della storia. 

Famiglia Cristiana

Il Dio nascosto (nei film)

Un titolo impegnativo, «Il Dio nascosto: quando il sacro si traveste da profano», per indagare quella spiritualità segreta, talvolta confusa e contraddittoria, ma spesso sorretta da una fede autentica, che un certo cinema contemporaneo ha indirizzato verso l’Alto, pur prelevandola da una quotidianità fragile, ambigua e provocatoria. Attraverso quattro saggi critici sul tema, il nuovo numero di Filmcronache, la rivista dell’Ancci (Associazione nazionale circoli cinematografici italiani), si muove dunque lungo le tracce di quei film (e di quegli autori) in cui la presenza di Dio appare spesso offuscata dalle seduzioni, dagli inganni e dalle miserie dell’incompiutezza umana.

Nel suo intervento, Tomaso Subini, docente di Cinema, fotografia, televisione e nuovi media all’Università degli Studi di Milano, si interroga su «Che cos’è un film religioso?», ponendo una domanda di fondo alla quale, dagli anni ’50 e ’60, hanno cercato di rispondere studiosi, ricercatori e istituzioni, esplorando nel contempo le liste ’ufficiali’ dell’epoca, contenenti opere controverse come

Francesco giullare di Dio o Il Vangelo secondo Matteo. «Dietro le divise: il ‘mestiere’ della fede» è invece il contributo del direttore di Filmcronache, Paolo Perrone, che in un’ampia panoramica, sospesa tra la beatitudine celeste e il precipizio terreno, rintraccia in alcuni recenti film come Corpus Christi, Agnus Dei, Maternal, Gli occhi di Tammy Faye e Beginning la veicolazione di una fede nutrita di preghiera e testimonianza, ma anche, non di rado, affaticata da sofferenze interiori e crisi vocazionali.

Nel suo intervento, intitolato «Imago Dei, fra natura e mito», Francesco Crispino, docente di cinema, film-maker e scrittore, evidenzia poi come un universo di simboli, mitologie e memorie ancestrali (e film come La vita nascosta-Hidden life, The Book of Vision, Non cadrà più la neve, Valley of the Gods, Piccolo corpo e Re Granchio) rimandino ad un Dio immanente e pervasivo, capace di manifestarsi in tutta la sua potenza a chi si dispone ad accoglierlo. Infine, con «Titane: un viaggio nuovo (e antichissimo) nella vita», padre Guido Bertagna, gesuita, già direttore del Centro culturale San Fedele di Milano, analizza a tutto campo il film di Julia Ducournau, Palma d’oro di Cannes 2021: una parabola postmoderna e postumana su un amore capace di accogliere l’altro oltre ogni ragionevole attesa. Il numero di

Filmcronache in uscita in questi giorni (disponibile gratuitamente in versione digitale negli store Apple e Google) sarà la base teorica per organizzare rassegne tematiche nei Cinecircoli e nelle Sale della Comunità.

Gli animali un dono di Dio, nostri “compagni” nel Creato

Il richiamo all’ecologia integrale è la condizione prioritaria per essere buoni amministratori del creato e allontanarsi da una cultura che trasforma gli esseri viventi in oggetti di consumo. Compresi gli animali, messi al centro del messaggio della Commissione episcopale per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace per la 71ª Giornata del Ringraziamento: “Lodate il Signore dalla terra (…) voi, bestie e animali domestici (Sal 148,10). Gli animali, compagni della creazione”.

Ricca di significati la scelta di celebrare in Sardegna la manifestazione che contadini, pastori e allevatori considerano il capodanno delle campagne. L’isola, infatti, l’estate scorsa ha pagato un prezzo ambientale altissimo: 20mila ettari devastati dalle fiamme, centinaia di animali morti, 100 mila alberi d’ulivo inceneriti, con 60 milioni di api uccise, insetti che il documento dei vescovi considera «una benedizione per l’ecosistema e per le attività dell’uomo ». «La prossimità agli animali, che nella tradizione della civiltà agricola ha portato a sentirli e trattarli quasi come partecipi della vita familiare, nella modernità – scrivono i vescovi – è stata abbandonata, riducendo queste creature a oggetti di mero consumo». Un’ecologia anche integrata, che don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per i problemi sociali e il lavoro, ha descritto in apertura del seminario organizzato dall’arcidiocesi di Sassari unitamente a Acliterra, Coldiretti, Fai Cisl, Feder.Agri, Terraviva. La necessità di riconvertire il nostro stile di vita è il filo rosso che unisce la due giorni del Ringraziamento, che si conclude oggi con la Messa (trasmessa in diretta su Rai uno) celebrata dall’arcivescovo Gian Franco Saba, a Portotorres, nella basilica dei Santi Martiri Gavino, Proto e Gianuario, seguita dalle parole di papa Francesco, all’Angelus. Al termine la benedizione dei mezzi agricoli e degli animali.

Di “Benessere animale e benessere dell’uomo nell’attività zootecnica” si è parlato nella tavola rotonda, coordinata da Daniela Scano, caporedattrice del quotidiano La Nuova Sardegna.

«Questa Giornata rappresenta, per la diocesi di Sassari – ha detto don Andrea Piras, responsabile della pastorale del lavoro – l’occasione per consolidare l’alleanza che, tra le componenti ecclesiali, le parti civili, gli organismi sociali, le agenzie culturali della città e del territorio, insieme alle categorie di lavoratori e di tanti giovani studenti, intende favorire una scelta di consapevolezza e di responsabilità perché ciascuno, sentendosi interpellato personalmente, si adoperi come autentico protagonista del cambiamento d’epoca in atto».

«La giornata del Ringraziamento – ha commentato il segretario generale della Fai Cisl, Onofrio Rota – ci consente di rilanciare il percorso verso l’ecologia integrale che ci siamo impegnati a coltivare anche con l’adesione al Manifesto di Assisi e con la nostra campagna Fai Bella l’Italia. Tra gli obiettivi di quell’idea c’è il superamento di un approccio predatorio che per anni ha caratterizzato la crescita, anche nel nostro Paese, svalutando e depauperando il suolo, il paesaggio, gli alvei idrici, le persone, il loro rapporto con l’ambiente e il regno animale». «Per noi – ha aggiunto il presidente di Coldiretti Sardegna, Battista Cualbu – è un orgoglio ospitare in Sardegna, a distanza di pochi anni dalla tappa di Dolianova nel 2015, questa manifestazione nazionale, che dimostra ancora una volta la sensibilità della Cei per la nostra terra, in particolare in quest’anno segnato dai terribili incendi estivi».

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Un momento del Convegno a Sassari per la Giornata del Ringraziamento

Gesù modello d’empatia integrale

(Fonte Fonte_globalworship_tumblr_com)

L’empatia di Gesù è evidente e presente in molti passaggi del Nuovo Testamento. è riscontrabile in maniera chiara nella narrazione della guarigione dei due ciechi di Gerico (Mt 20,29-34). In tale circostanza l’empatia autentica di Gesù davanti ai due uomini che implorano la guarigione, è percepibile nelle sue azioni e parole. Pertanto, è fondamentale, per il nostro cammino di crescita come credenti, comprendere e riconoscere come Gesù possa essere modello di empatia integrale: cioè di empatia cognitiva, affettiva, compassionevole, prosociale, salvatrice e spirituale.

Empatia cognitiva: Gesù comprende profondamente la difficile situazione sociale in cui versano i malati emarginati che si rivolgono a lui per essere sollevati dalle loro sofferenze e guarire dalle loro malattie. Perciò, Gesù vede e si rende conto del dolore dei due ciechi di Gerico che soffrono per il rifiuto e l’intolleranza della «folla che li rimproverava» (v. 31). Gesù “si mette nei loro panni”. Pertanto, al loro grido (v. 30), sceglie di fermarsi e di porsi in ascolto delle loro sofferenze (v. 32).

Empatia emotiva: Gesù accoglie con empatia i malati. Egli sente con le sue emozioni e i suoi sentimenti la loro sofferenza. Pertanto, con la sua domanda: «Che cosa volete che io faccia per voi?» (v. 32), Gesù dimostra un’accoglienza incondizionata e un ascolto empatico, lasciandosi toccare il cuore dal grido di disperazione e dall’angoscia di questi uomini: «Signore, che i nostri occhi si aprano!» (v. 33).

Empatia compassionevole: La comprensione empatica, cognitiva e affettiva della sofferenza dei ciechi commuove profondamente Gesù fin “nelle sue viscere”. Tale sentimento scatena in lui una compassione e una motivazione viscerale per dare un senso e una speranza alla loro vita. Pertanto, l’espressione «Gesù ne ebbe compassione» (v. 34), che si ritrova anche in altri passaggi del Nuovo Testamento, rivela in maniera chiara questa empatia compassionevole di Gesù.

Empatia salvatrice, spirituale e prosociale: La compassione di Gesù lo porta a compiere azioni e gesti autenticamente empatici, volti a sollevare questi uomini dalla loro sofferenza; ma anche per dare testimonianza della salvezza del regno del Padre celeste. Perciò, nel caso dei due ciechi, l’empatia salvatrice, spirituale, prosociale di Gesù si manifesta nell’atto di guarigione: «Toccò loro gli occhi ed essi all’istante ricuperarono la vista e lo seguirono» (v. 34).

L’empatia integrale di Gesù diventa quindi un modello ispirante per la praxis morale del discepolo di Cristo. Infatti, ci invita integrare sempre di più l’empatia cristiana, interiorizzando i valori del Vangelo e dell’amore-carità che contribuiscono allo sviluppo del nostro giudizio morale. Dobbiamo essere anche convinti che l’empatia di Gesù curi e guarisca le nostre ferite personali e relazionali. Così, davanti alle fragilità dei nostri fratelli e sorelle, arricchiti e fortificati da questa crescita umana e spirituale, potremo anche noi essere testimoni dell’empatia integrale di Gesù e della sua Speranza salvatrice.

Mario Boies, C.Ss.R., M.Ps. – (Fonte: alfonziana.org)

Quale idea di Dio trasmettono i credenti a coloro che non credono?

«Secondo me Dio dovrebbe tenersi al disopra delle meschinità. Non dovrebbe mostrare potenza, ma perdono. E non dovrebbe ispirare obbedienza, ma adorazione». Quale idea di Dio trasmettono i credenti a coloro che non credono? È una domanda che dovremmo farci perché è importante non solo essere credenti ma anche essere credibili. E credibili del fatto che adoriamo un Dio che è, sì, onnipotente, ma non di un’onnipotenza che annichilisce l’individuo, quanto che lo fortifica.

Così come dovremmo essere credibili del fatto che adoriamo un Dio che libera, non al quale dobbiamo ubbidire come un cagnolino al padrone. Benedetto XVI ha tenuto splendide catechesi sulla parola

adorazione, richiamando la radice etimologica latina di questo termine, che evoca la vicinanza alla bocca, organo umano con cui esprimiamo all’altro o all’altra il nostro amore.

Ecco, le parole citate all’inizio appartengono a Eric-Emmanuel Schmitt, tratte dal romanzo La donna allo specchio (e/o). E ci richiamano la nostra vocazione di credenti: con il nostro aderire al cristianesimo diamo l’idea che Dio sia un meschino mercante di benefici terrestri? O non piuttosto un Padre buono sempre pronto ad accoglierci nel suo abbraccio benedicente, come illustrato magnificamente dal famoso quadro di Rembrandt? Anche di Dio siamo responsabili.

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La fede è rischio, prova, confronto con il dubbio, esperienza di ricerca

La fede – lo abbiamo già visto – non è una certezza granitica, come mettere i soldi in banca in un conto corrente sigillato. Essa è rischio, prova, confronto con il dubbio, esperienza di ricerca. Anche Giobbe, l’innocente sofferente, ha avuto i suoi momenti di grande instabilità di fede, ma ha sempre mantenuto aperta e viva la relazione con il suo Creatore. Henry Bauchau, scrittore belga di lingua francese, ci dice qualcosa del genere nel suo romanzo Il compagno di scalata (e/o) mentre il protagonista vive la sofferenza della malattia della giovane nuora: «In quel momento pensavo che contasse solo l’amore di Dio, e che gli altri amori, maschili o femminili, fossero solo passeggeri, peregrini. Le cose sono andate diversamente. L’amore di Dio ha illuminato la mia vita con segnali brillanti e intermittenti. Le intermittenze di Dio, ecco la mia reale esperienza. Sono stato irradiato, talvolta illuminato, ma solo l’amore umano mi ha riscaldato».

Bauchau con questa affermazione ci insegna due cose: la prima, che la fede resta un dono gratuito e libero di Dio, una possibilità accordataci di poter guardare la vita con un terzo occhio divino; la seconda, che in queste «intermittenze» si manifesta la decisione dell’uomo di aderire a questa proposta divina.

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Agognata resurrezione

Dio tra le righe

Lorenzo Fazzini

Anche in quelle voci che radiografano l’eclissi di Dio nella cultura contemporanea, ebbene, anche lì il sacro si manifesta.

Quasi che si tratti di un magma nascosto, sotterraneo, perfino sottocutaneo, che talvolta esplode in mille rivoli, in cui la religiosità si manifesta talvolta come qualcosa da cui ci si è emancipati o più semplicemente un elemento di cui si ha nostalgia. Annie Ernaux è una delle più celebri scrittrici di oggi.

Francese, dalla scrittura cristallina, ha vinto il Premio Strega Europa per il suo libro Gli anni (l’orma). Qui troviamo una constatazione della Francia post-cristiana: «La religione cattolica era scomparsa dall’orizzonte quotidiano senza troppo clamore. Le famiglie non ne trasmettevano più né la conoscenza né gli usi. Eccezion fatta per qualche rito specifico, non se ne sentiva più il bisogno per affermare la propria rispettabilità». Però, come si diceva, carsicamente il bisogno di sacro riappare. Ernaux, nel libro L’altra figlia (l’orma), raccontando la scoperta del fatto che i suoi genitori avevano avuto un’altra bambina, morta a soli due anni, scrive rivolgendosi alla sorella defunta: «’Narrando della tua scomparsa a quella giovane madre, che l’ascoltava per la prima volta, nostra madre trovava il conforto di una sorta di resurrezione».

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Nelle braccia del mistero. Itinerario non religioso di ricerca spirituale

Adista

Nell’attuale contesto culturale, sempre più marcatamente post-cristiano, nel senso che il cristianesimo si lascia definitivamente alle spalle un modo ingombrante di occupare lo spazio religioso, al meno a livello di sensibilità comune, le stesse religioni perdono terreno nei confronti di coloro che cercano risposte ai grandi temi della vita. Non più, dunque, appello ad un sacro che appare sempre più sbiadito e non necessario nell’orizzonte della ricerca spirituale, ma sempre di più esigenza di risposte che abbiano un’attinenza con il vissuto quotidiano, in altre parole, con il realismo. Si parla spesso, nella storia del pensiero occidentale, di ricorsi storici, di alternanze di approcci alla realtà. E così, da un modo sacrale d’intendere il divino, che lo mantiene a distanza rivestendolo pesantemente di accessori desueti e pagani, si passa all’esigenza di cammini spirituali che s’intrecciano con le grandi tematiche esistenziali del vissuto quotidiano.

Il libro di Giorgio Borghi, Nelle braccia del Mistero. Itinerario non religioso di ricerca spirituale, edito dalle edizioni san Lorenzo di Reggio Emilia 2021, cerca di offrire qualche indicazione in questa direzione. Il percorso che propone nelle tre parti del libro è allo stesso tempo trinitario e biblico con l’originale caratteristica di presentare i personaggi e gli eventi biblici sempre con l’attenzione di non chiudere il discorso sul Mistero con affermazioni apodittiche. Il cammino, dunque consiste nel prendere per mano il lettore, per aiutarlo ad uscire da una visione religiosa del Mistero ed introdurlo in una dimensione esistenziale e, per questo motivo, il discorso deve continuamente stare attento al linguaggio, per non chiudere la riflessione nel già conosciuto. Abramo, in questa prospettiva, diventa il prototipo dell’uscita dalla logica del controllo del Mistero, che era la logica sottesa nell’evento di Babele (p.29). Anche l’esperienza di Mosè la si coglie in questo dinamismo d’incertezza nei confronti di Colui che si manifesta senza mostrarsi e la cui rivelazione del nome, più che risolvere l’enigma dell’identità, la amplia a dismisura. Accettare di mettersi in cammino verso il Mistero, come hanno fatto Abramo, Mosè, i profeti, significa avere il coraggio di abbandonare la tranquillità delle sicurezze, che la religione tenta di offrire, per rimanere aperti all’ignoto. In definitiva, “dobbiamo accettare questa nostra impossibilità di nominare il Mistero, rispettando i mille nomi con cui l’umanità può invocarLo” (p. 37). Questo tentativo di manipolare il Mistero e di ridurlo alla nostra misura umana, è visibile nell’esperienza del vitello d’oro, che manifesta in modo significativo il senso profondo dell’idolatria di Israele, che sta alla base della distruzione del tempio, perlomeno nella rilettura operata dai saggi d’Israele. Nella riflessione che Borghi propone, la distruzione del tempio di Gerusalemme assume un valore paradigmatico, “perché nel tempio si rispecchiava tutta la realtà di Israele, per cui il tempio distrutto significava la distruzione del documento di identità religiosa del popolo” (p.48). La ricostruzione del tempio, come sappiamo, invece di apportare la ricchezza dell’esperienza spirituale di un popolo costretto a vivere lontano dalla propria fonte religiosa, inasprirà l’apparato legale, soprattutto per mezzo della forza acquisita dal gruppo sacerdotale. Saranno i sacerdoti, infatti, a prendere il sopravvento nel nuovo tempio di Gerusalemme, appesantendo il popolo di Israele con leggi e culti, definendo sempre di più la vita religiosa a scapito della ricerca spirituale. Il profeta Isaia, non si stancherà di richiamare in modo duro la religione del tempio per le derive ipocrite in cui incorre. Sottolinea, infatti, Borghi che: “Non serve costruire il tempio, professare una religione, compiere tutti i suoi riti, per poi vivere una vita sbagliata” (p. 49).

La seconda parte del libro è dedicata all’accoglienza del Mistero così come si presenta nell’incarnazione, che ci propone, di fatto, “una logica assolutamente sconvolgente, per la quale il divino non è l’opposto dell’umano, l’immortale non è l’opposto del mortale e la perfezione non è l’opposto dell’imperfezione e il sacro non è l’opposto del profano” (p.53-54). La serietà della scelta dell’umano come spazio in cui si manifesta la divinità, conduce Borghi a centrale la sua riflessione sul Mistero così come si manifesta nell’Incarnazione sul cammino di Gesù compiuto nelle tentazioni. C’è una partecipazione del Mistero alla condizione umana, alle fatiche del vivere quotidiano, delle scelte da compiere. D’ora innanzi, sembra allertarci Giorgio Borghi, la strada per cogliere la presenza del Mistero nella storia degli uomini e delle donne, è quella di porre attenzione all’umanità di Gesù: “Lui ci salva mostrandoci come si può vivere bene, dandoci la forza d’animo, lo spirito corretto per riuscire a vivere e morire come Lui” (p. 59). Ed è nell’esperienza della vita quotidiana che, mentre sperimentiamo la possibilità dell’errore, di camminare per vie che ci fanno male, allo stesso tempo incontriamo il Mistero nelle vesti della Misericordia, che è allo stesso tempo padre e madre. È quello che si percepisce nella seconda tentazione di Gesù, che l’autore analizza utilizzando anche alcuni passaggi del Vangelo di Luca, primo fra tutti la parabola della misericordia. Nella vita quotidiana impariamo a donare misericordia per il fatto che l’abbiamo accolta, perché nella vita senza la misericordia di qualcuno, diventiamo persone dure e tristi. È nella vita di ogni giorno, affrontando le lotte quotidiane che sperimentiamo le nostre paure, tra le quali la possibilità dell’assenza del Mistero. È questo, secondo Borghi, che manifesta la terza ed ultima tentazione, che ha nella passione di Gesù il più alto momento. È in questa circostanza che il dramma del Mistero è vissuto da Gesù nella sua pienezza. L’autore fa notare che è proprio nel contesto della passione che l’evangelista Marco utilizza l’unica volta la parola ebraica Abbà, per esprimere il Mistero a cui il Figlio si affida totalmente, per affrontare l’ora tremenda senza sconti, ma vivendola pienamente nella propria umanità.

Nella terza parte l’autore mostra la presenza del Mistero nell’azione dello Spirito. Anche in questo caso vengono presi in esame alcuni brani del Nuovo Testamento, che permettono di comprendere come lo Spirito del Mistero ci liberi dalle ideologie – gli spiriti immondi -, dalla morale, dalle teologie che tentano di racchiudere il Mistero in definizioni chiuse, per fare spazio alla presa di coscienza della possibilità che tutti e tutte hanno di accedervi. Sino a quando rimaniamo legati ad una forma, ad una religione, non permetteremo al Mistero di rivelarsi nella sua apertura universale. Proprio in Gesù questa possibilità è visibile nel suo modo di agire, che non esclude nessuno, ma anzi diviene cammino di liberazione per tutti. “La missione – scrive Borghi – comincia dalla religiosa Gerusalemme, ma poi si amplia in regioni dove la religione giudaica non è più molto genuina, per arrivare dove non c’è più niente della religione originaria di Gesù o dei discepoli” (p. 97). Entrare in una prospettiva spirituale e anche cristiana non religiosa significa, in primo luogo prendere decisamente le distanze da tutti gli apparati sacrali che creano separazioni e differenze, per abbracciare la manifestazione del Mistero presente in Gesù che accoglie tutti. Per le persone religiose abituate ad identificare il Mistero con le norme e la morale religiosa, il cammino diventa più difficile, ma non impossibile. Questo cammino di liberazione è sottolineato dall’autore nell’esperienza dell’apostolo Pietro, che nell’incontro con Cornelio sperimenta l’apertura universalistica del Mistero e la scoperta che Dio non fa preferenza di persone (cfr. At 11,17), ma diviene possibilità di libertà per tutti e tutte le persone che lo desiderano. Papa Francesco ha ripreso in diverse circostanze quest’importante intuizione riproponendola come atteggiamento di fondo di coloro che si sentono chiamati a portare il Vangelo. Nell’Esortazione Querida Amazonia il papa scrive: “Occorre accettare con coraggio la novità dello spirito, capace di creare sempre qualcosa di nuovo con l’inesauribile tesoro di Gesù Cristo” (p.109). C’è, dunque, una grande possibilità che ci viene offerta nel cammino della nostra umanizzazione, che passa attraverso un percorso spirituale capace di liberarsi dalle infrastrutture religiose, dalle chiusure ideologiche e pregiudiziali delle teologie, dalle costruzioni morali che impongono pesi insopportabili. Il Mistero in quanto tale rimane alla portata di tutti coloro che si mettono in cammino alla ricerca di un senso della vita, attenti alle situazioni che la realtà presente manifesta. È in questo cammino che i cristiani, liberandosi dalla religione e dai residui pagani del sacro, hanno la possibilità di scoprire il Vangelo come spazio aperto all’incontro del Mistero.

La riflessione proposta da Borghi nel so bel libro è a mio avviso significativa per diversi motivi. Il primo è di tipo ecclesiale. È all’interno di un cammino spirituale e non religioso che è possibile cogliere la profondità della proposta di Gesù, che crea una comunità di fratelli e sorelle uguali. Il principio di uguaglianza, ripreso dal Concilio Vaticano II proprio nel documento sulla Chiesa (Lumen Gentium, 32), permette un cammino ecclesiale in cui tutti trovano spazio. La ricerca spirituale del Mistero, libera dalle rassicuranti definizioni teologiche e, per molti aspetti, idolatriche, permette di accogliere il fratello e la sorella nella comunità così com’è, senza pregiudizi culturali e religiosi. Il dibattito attuale sul tema dell’omofobia e del DDL Zan, troverebbe le comunità cristiane che s’ispirano al Vangelo e che provengono da quel cammino spirituale sopra descritto, non in difesa di quella dottrina che crea separazioni e non riesce a cogliere la dignità di Dio negli uomini e nelle donne, ma protesa a farsi casa accogliente di coloro che soffrono discriminazioni a causa della loro diversità sessuale. Questo spettacolo pietoso che stiamo assistendo in questi mesi, che ha coinvolto anche la Conferenza Episcopale, è frutto di quella visione religiosa che da secoli pretende incatenare la forza e la creatività dello Spirito in nome di una dottrina che, alla luce di questi fatti, più che venire da Dio, viene da uomini poco lungimiranti e animati da interessi personali. La lettura del libro di Borghi, che non ha pretese specialistiche, ma che intende condividere un cammino spirituale è, dunque da consigliare e da proporre. Buona lettura.

 

PS: il testo è possibile acquistarlo direttamente dalle Edizioni San Lorenzo.

Qui si trova il video in cui lo stesso Giorgio Borghi presenta il suo libro:

https://www.youtube.com/watch?v=95BF39P3Lug