“Manifesta” a Pristina: l’arte insegna dialogo

Si è aperta a Pristina, capitale del Kosovo, la quattordicesima edizione di Manifesta, una kermesse di arte, installazioni, performance e interventi sul patrimonio monumentale che durerà cento giorni. Manifesta è una iniziativa creata da una istituzione olandese che ha come obiettivo l’idea di un’arte nomade che movimenti il panorama europeo e sia occasione di animazione e attenzione per le città in cui si svolge. L’ultima, quattro anni fa, era stata organizzata a Palermo e aveva coinvolto artisti locali, istituzioni e fatto conoscere a un vasto pubblico parecchi palazzi e monumenti fino ad allora chiusi al pubblico. Per quanto leggermente coloniale e pervasa da un senso molto ingenuo e un po’ provinciale – di un provincialismo tutto olandese – Manifesta ha avuto il merito di attirare un vastissimo pubblico internazionale e di essere spesso un volano turistico e di promozione molto forte.

Mentre nel caso di Palermo si trattava di una città molto connotata e conosciuta, per Pristina l’operazione ha un particolare valore sperimentale. Il Kosovo, una giovanissima repubblica ha proclamato la sua indipendenza nel 2008 e a tutt’oggi è riconosciuta solo da una parte dei paesi che convergono nelle Nazioni Unite. La guerra del Kosovo, che ha provocato 13mila vittime, enormi distruzioni di città, chiese, moschee, monumenti è stata scatenata dai processi di pulizia etnica seguiti alla dissoluzione della Jugoslavia. A una prima resistenza kosovara nonviolenta in vista di una indipendenza dalla Serbia è seguita nel 1998-99 una feroce repressione e una resistenza armata da parte kosovara. La guerra ha provocato un intervento della Nato volto ad arrestare la pulizia etnica. La Serbia ha dovuto accettare l’indipendenza del Kosovo anche se alcuni paesi delle Nazioni Unite, come Spagna, Russia e Cina continuano a rifiutarla. Oggi il paese è difeso da una presenza stabile delle forze della Nato e faticosamente sta ricostruendo infrastrutture e istituzioni. Ha adottato l’euro ma ai suoi abitanti viene ancora negata una mobilità verso l’Europa. Questo il contesto complesso che rende altamente simbolica l’edizione del 2022 di Manifesta.

Il paese è abitato da una popolazione per buona parte di origine e lingua albanese e da una minoranza slava e serba. Ci si stupisce andando in giro per questa giovane repubblica della compresenza di moschee, chiese ortodosse e cattoliche. Le ferite dell’odio etnico e religioso sono però tutte presenti a rammentare quanto oggi nazionalismo, religione ed etnia producano una miscela pericolosa. Manifesta sta contribuendo a restaurare alcuni luoghi simbolici, tra cui una scuola clandestina in montagna dove i bambini potevano continuare a parlare e studiare l’albanese, mentre il governo serbo ne proibiva l’insegnamento. Durante la guerra venne bombardata. Nelle aule distrutte video degli insegnanti e degli ex studenti raccontano la difficile storia. Tutto ciò è terribilmente attuale, la pretesa serba di cancellare ogni altra lingua ed etnia ricorda la follia putiniana nei confronti dell’Ucraina e ci ricorda l’origine dei mali che affliggono l’Europa. Il 60% degli artisti invitati a Manifesta sono kosovari, giovani e giovanissimi. La sera Pristina ha una movida che fa invidia a quella di Barcellona e una scena musicale straordinaria.

L’impossibilità di andare in Europa viene compensata dalla attenzione con cui i giovani seguono quello che accade altrove, dalla pratica delle lingue, inglese e italiano soprattutto. Un’opera dell’artista albanese Adrian Paci, esposta nell’affascinante e diruto Grand Hotel che ospita nei suoi 13 piani buona parte dei lavori degli artisti locali e internazionali, rappresenta in maniera efficace e profonda la situazione di questo paese. Adrian Paci ha filmato nella sua Albania la gente che cammina a piedi per le strade, in montagna, in pianura, sulla costa, in autostrada accompagnata spesso da animali. E’ un fenomeno visibile anche qui in Kosovo, dappertutto c’è gente che cammina lungo le strade, spesso nel mezzo del nulla, lontano dai centri abitati. Ieri due donne camminavano addossate al guardrail centrale dell’autostrada Pristina Tirana. Lo sguardo di Adrian Paci racconta un paese in movimento, ma soprattutto un abitare il territorio, un legame stretto tra paesaggio e popolazione, la pratica secolare di percorrerne i sentieri. Sui due schermi dell’istallazione gente di ogni tipo misura con il proprio passo un mondo che riporta il senso di un paese alla sua dimensione uno a uno. Manifesta 14 porta in primo piano l’importanza e l’effetto che l’arte può avere nel lanciare legami tra mondi distanti, tra paesi divisi da conflitti. In un mondo sempre più complicato da presunte identità contrapposte questa è una lezione che dobbiamo sempre di più imparare.

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Notizie 24 Marzo 2022


L’arte racconta il Battesimo di Gesù

Giotto – Padova

da Vatican News

Il tema del Battesimo di Cristo che la Chiesa celebra nella domenica successiva all’Epifania ha ispirato generazioni di artisti dai primi secoli del Cristianesimo ad oggi. Grande la ricchezza iconografica che i capolavori di ogni tempo, da Oriente ad Occidente, offrono alla contemplazione di questa pagina del Vangelo

Alla prima Epifania trinitaria, ovvero alla prima manifestazione del Dio Uno e Trino nelle persone del Padre, Figlio e Spirito Santo, i pittori hanno dedicato nelle varie epoche alcune delle più belle pagine della storia dell’arte sacra cristiana. Il Vangelo racconta che sulle rive del Giordano Gesù si presenta da Giovanni per farsi battezzare. Uscito dall’acqua sopra di lui scende la colomba dello Spirito Santo e si ode una voce celeste “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”.

Dalle pitture delle catacombe risalenti al IV secolo fino ai nostri giorni. Ampio l’arco cronologico preso in esame da François Bœspflug ed Emanuela Fogliadini nel volume “Il Battesimo di Cristo nell’arte”, edito da Jaca Book: stili, epoche, aree geografiche e confessioni diverse attorno ad un tema ricco di stimoli e spunti teologici. Spesso esiguo il numero dei personaggi rappresentati attorno ai protagonisti: Gesù, il Battista, lo Spirito Santo e la voce del Padre.

“Nell’arte paleocriistiana e bizantino ortodossa – spiega Emanuela Fogliadini – Dio viene rappresentato con una mano o attraverso i raggi di luce che scendono dal cielo. L’arte occidentale, in particolare quella rinascimentale, lo rende presente attraverso l’aspetto di un vegliardo”.

Anche il Giordano assume caratteri differenti a seconda dei contesti geografici: “nel mondo orientale abbiamo la personificazione del fiume, desunta dalla tradizione figurativa greca. Il Giordano è sovente popolato di pesci o delfini e sulle sponde ci sono personaggi vari come gli angeli che attendono Cristo per asciugarne il corpo, i committenti vestiti in abiti sontuosi, o i discepoli di Giovanni divenuti in seguito apostoli di Gesù”.

Centrale e affascinante la figura di Cristo che nei primi secoli presenta i tratti di un giovane, imberbe. “La notevole differenza di età rispetto al Battista non corrisponde alla verità storica del Vangelo, ma ha una valenza simbolica: è il Figlio di Dio,  immerso nell’acqua nelle raffigurazioni del primo millennio e negli orienti cristiani”. Nell’Occidente la pratica del battesimo per aspersione trova un’eco anche nell’arte: “Il corpo di Gesù esce sempre di più dal Giordano. Il fiume è ridotto quasi ad un rigagnolo come nel celebre capolavoro di Piero della Francesca”. La mano che il Battista impone nell’arte antica cede il passo al gesto dell’aspersione rappresentato dall’acqua versata sul capo attraverso una ciotola.

Se nei primi secoli del cristianesimo è evidente il richiamo alla fisicità maschile del Figlio di Dio, si pensi ai mosaici della cupola del Battistero degli Ariani a Ravenna realizzati tra V e VI secolo, successivamente prende piede una rappresentazione più pudica con il Cristo coperto da un panno anche quando si immerge nel fiume.

Particolarmente significativi sono gli affreschi realizzati da Manuele Panselinos nei primi anni venti del XIV secolo all’interno della chiesa di Protaton sul Monte Athos in Grecia. La composizione è suddivisa in più tappe: sulla sinistra la figura di Cristo di dimensioni maggiori rispetto ai peccatori che con lui attendono di immergersi nel fiume. Rarissima la scena dei bambini che giocano e ricordano il sacrificio degli innocenti. Al centro il cuore del racconto evangelico: il Battista non guarda il Cristo, ma il cielo da cui discendono la colomba dello Spirito Santo e la mano di Dio. Ampio risalto è dato dal celebre iconografo alla natura, con i delfini che nuotano in mezzo alle acque, probabilmente osservati nei pressi della sacra montagna. Sulla destra le figure degli angeli che attendono con i teli il Figlio di Dio.

Oriente e Occidente sono posti a confronto dagli autori, fondatori della Academy for Christian Art: “Nel lavoro che portiamo avanti – spiega Emanuela Fogliadini – prestiamo particolare attenzione alle molteplici espressioni dei cristianesimi. L’approccio degli orienti e degli occidenti – al plurale perchè nel volume si da spazio a varie confessioni –  è differente e la differenza è una grande ricchezza per comprendere sottolineature teologiche e liturgiche proprie di ogni tradizione. Dal confronto e dal dialogo emerge la ricchezza del cristianesimo”.

All’Ambrosianeum torna «Bibbia e arte»

Bibbia

Dopo la pausa del 2021, quattro incontri in programma dall’11 gennaio al 9 febbraio. Relatori la storica dell’arte Sissa Caccia Dominioni e il biblista don Matteo Crimella

All’Ambrosianeum tornano a grande richiesta, dopo l’interruzione del 2021 causata dalla pandemia, gli incontri su “Bibbia e Arte”. Dopo l’esame della Genesi, dell’Esodo, del Cantico dei Cantici e della Resurrezione, il focus della prossima edizione sarà l’Apocalisse, analizzata a partire dal testo evangelico.

Tra esegesi e iconografia
Il corso, nel 2022 alla sesta edizione, proporrà in ogni incontro la lettura del testo del Nuovo Testamento, l’esame delle più importanti questioni esegetiche e teologiche connesse allo scritto, e lo studio di alcuni dipinti di epoche diverse, inquadrati storicamente e spiegati nei dettagli.

Presupposto delle lezioni è la convinzione che la Bibbia sia il grande codice della cultura occidentale, e che di conseguenza lo studio dell’arte, della musica e della letteratura di questa parte del mondo non possa prescindere dalla conoscenza delle Scritture.

Relatori e date
Relatori degli incontri, in programma alle 18 dall’11 gennaio al 9 febbraio, saranno Sissa Caccia Dominioni (storica dell’arte, docente e consulente presso diverse istituzioni museali) e don Matteo Crimella (dottore in Scienze Bibliche e docente di Sacra Scrittura alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano). Ecco il programma:

11 gennaio: Una teologia della storia
19 gennaio: Le lettere alle Chiese
1 febbraio: L’Agnello immolato
9 febbraio: I sette sigilli

È gradito un contributo di partecipazione a partire da 40 euro. Sono previsti sconti per gli iscritti al ciclo 2020, interrotto a causa della pandemia, e per chi frequenterà anche il Corso Biblico sul Vangelo di Marco.

Informazioni e iscrizioni: Segreteria Fondazione Culturale Ambrosianeum (via delle Ore 3, Milano; tel. 02.86464053; info@ambrosianeum.org)

chiesadimilano.it

 

La riflessione. Tempo di fiamme e poesia (Per il Natale che viene)

La logica estrema del dono ha la sua paradossale e sovrana radice nel giorno dello Straniero Bambino
Da Avvenire

In alto: Marco Lodola, “Natività”, 2021. Scultura luminosa scatolata, in lamiera verniciata di nero illuminata con led e decorata con pellicole colorate. Dalla mostra Admirabile signum, a La Spezia

In alto: Marco Lodola, “Natività”, 2021. Scultura luminosa scatolata, in lamiera verniciata di nero illuminata con led e decorata con pellicole colorate. Dalla mostra Admirabile signum, a La Spezia – Collezione Fondazione Carispezia
Credo che moltissimi tra noi siano rimasti trasecolati dall’esortazione della Commissaria europea all’Uguaglianza, poi formalmente ritirata, a non utilizzare più parole come Natale o Maria per non offendere chi non è cristiano. Non penso che saranno molti ad ascoltare questa perorazione quando, ora che torna il momento di scambiarci gli auguri natalizi, ma non mi sembra tempo perso sostare un attimo col pensiero su ciò che il Natale, per fortuna, continua a significare per noi.

Quale festa sa ancora creare nel mondo – buona parte del mondo, non solo l’Occidente – le risonanze, gli echi, le vibrazioni, le luci, gli aloni del Natale? Nonostante gli attentati allo spirito dello stupore e del dono prodotti senza tregua dalla civiltà del banale e del disincanto, dai colpi di maglio dell’abitudine e dal duro pane del nonsenso quotidiano (fino all’assedio del Covid-19), il Natale resiste come un castello di sogni leggerissimo ma imprendibile nella sua essenza, come l’isola che non c’è di tutte le utopie, come la montagna incantata della bellezza più limpida e tenace. A ogni nuovo Natale che si avvicina quanti sono gli esseri umani toccati da un sentimento di sollievo, grati a una festa capace, nonostante tutto, di farli respirare, di liberarli, almeno per qualche giorno, dai virus dell’angoscia, dell’amarezza, dello spleen? Certamente milioni. Eppure molte persone fra noi non “sentono” il Natale, o nutrono nei suoi confronti dubbi, sospetti, indifferenza, disagio. È in primo luogo per loro che il grande teologo Karl Rahner nel 1962, cioè in un momento in cui l’Occidente era percorso dall’euforia di un rinato benessere materiale, scrisse: .

Per parte mia non ho dubbi: coloro che non sentono, che non “capiscono” il Natale sono gli stessi che non amano la poesia, che non intendono come la poesia non sia un lusso ma un bisogno primario per l’anima. Simile alla carità nella sua forza profonda – nella sua capacità, per dirla con Paolo di Tarso, di perdonare, credere, sperare senza riserve –, la poesia resiste a ogni genere di distruzione perché sa cogliere “l’altro lato” della realtà, il nocciolo segreto della vita, la ricchezza delle cose anche più comuni. Ogni vera poesia è, in germe, una specie di vangelo, cioè un annuncio del carattere miracoloso del mondo: i grandi poeti, da Francesco d’Assisi a Giovanni Pascoli ad Attilio Bertolucci, sanno ricordarci il miracolo supremo – il fatto che il mondo esiste, che non c’è solo il nulla – con parole spesso semplicissime, con immagini che sembrano fiorire dal lapis di un bambino. A sua volta l’annuncio dei Vangeli è essenzialmente poesia: Cristo non è solo un filosofo rivoluzionario (un maestro in grado di pensare in modo radicalmente “altro”, come ha evidenziato Frédéric Lenoir in uno splendido libro), è soprattutto uno straordinario poeta. Cosa ci rivelano le sue parole, le sue metafore, i suoi apologhi? Forse il senso ultimo del suo insegnamento è inattingibile, ma almeno questo è chiaro e comprensibile a tutti: che nel Regno di Dio le cose e le creature più sublimi sono le più piccole, fragili e inappariscenti: che la Verità sfugge ai concetti, alle idee rigide, alle categorie (ecco perché in certi momenti il modo migliore per testimoniarla è il silenzio): che c’è un legame essenziale tra il visibile e l’invisibile, la realtà e l’Altrove, la povertà e la ricchezza, la morte e la vita. Di questa immensa rivelazione il Natale è il fulcro, il punto di convergenza e di irradiazione, il “fuoco” vivo, la fiamma umilissima e abissale. Nel racconto natalizio di Luca trionfa ciò che i giapponesi chiamano wabi: la bellezza del frugale e del povero, la gloria dello spoglio, del minimo, della nudità, del delicato, del nascosto. Mostrare, come fa il racconto del Natale cristiano, che nell’ombra si manifesta la luce più grande (quella che nel Prologo del Vangelo di Giovanni riapparirà nella sua splendente purezza metafisica) è possibile solo nel vortice inebriante, rapinoso del paradosso. Nessun messaggio, nessuna creazione è così profondamente paradossale come la poesia evangelica, e così capace di far fluire lo spirito del paradosso in altri testi, in altre poesie, in altre creazioni. Da Efrem il Siro che nel suo inno sulla Natività scrive fino all’Andrej Rublëv che dipinge la culla del Dio neonato con la forma di un sarcofago; dai cortocircuiti teologici del Paradiso dantesco () fino all’Ungaretti che in una poesia del Sentimento del tempo evoca un Dio piccolo e sorridente () come figura suprema di quei momenti in cui , cos’è stata la vicenda dell’arte, della letteratura e della musica cristiana se non una straordinaria Via del Paradosso?

Il Paradosso è traboccato oltre i domini della creazione estetica, ha invaso anche le sterminate terre dell’esperienza mistica. Ma nemmeno le cattedrali della filosofia ne sono rimaste immuni. Per uno dei più mirabili filosofi cristiani, Agostino d’Ippona, , secondo la folgorante sintesi di Jeanne Hersch. Per Lev Šestov, spirito intrepido e ribelle, ostinatamente dissidente nella storia della filosofia moderna, segnato dalla Bibbia in un modo tutto suo, sono i risvegli improvvisi da quel sonno che ci rinchiude nell’illusione della ragione.

Il carattere, paradossale fino alla provocazione, dello spirito cristiano è sempre stato scandalo per il mondo, ma i Vangeli ci dicono che solo chi non è disposto a spingersi fuori, lontano dalle abitudini, affidandosi alla “lucida manía” dei profeti, può credere che la via inaugurata dal Natale sia soltanto una forma di follia. Certo, il Dio che Cristo ci ha rivelato non è solo il bambino indifeso, dolcissimo del presepe ma anche lo Straniero, . (Questo aspetto di Cristo è stato colto assai bene da Pasolini nel suo “Vangelo secondo Matteo”: qui Gesù non è solo umanissimo e ; spesso la sua predicazione ha qualcosa di irto, di lancinante e quasi di selvaggio anzitutto per gli apostoli.) Ma lo Straniero è anche il Dio vicinissimo a noi, colui che ci salva con la forza inaudita della gratuità, con la bellezza del dono puro, senza perché.

L’aspetto più autentico del dono in certe culture arcaiche è, secondo Marcel Mauss, il suo carattere eccessivo, cioè la tendenza del donatore a dare “tutto” ciò che possiede, senza temere di rovinarsi. Sommersi dai vacui eccessi del consumismo, storditi dalle troppe offerte di oggetti da acquistare, soprattutto nel periodo natalizio, non siamo più in grado di capire la generosità, la magia, la poesia umana delle forme “primitive” di eccesso. Il Dio dei Vangeli, però, pratica proprio l’eccesso senza misura nel momento in cui dona: se interviene a un pranzo di nozze, come a Cana, offre ai commensali una quantità enorme di vino (secondo le indicazioni di Giovanni potrebbero essere stati più di settecento litri); se uno degli esseri più reietti, un brigante crocifisso, ha un disperato bisogno del suo perdono, glielo concede subito, addirittura gli schiude il Paradiso senza chiedergli nulla in cambio.

Al Museo del ‘900 di Milano la milionaria collezione Mattioli. E’ la più importante al mondo. In comodato gratuito le 26 opere

Il museo del Novecento di Milano ospiterà la collezione Mattioli, la più importante collezione al mondo di opere futuriste e dell’avanguardia italiana di inizio ‘900 Dichiarata indivisibile e insostituibile dallo Stato nel 1973, è formata da 26 opere fra cui Materia di Boccioni, e lavori di Balla, Carrà, Morandi e Modigliani. La collezione, che ha un valore assicurativo di quasi 143 milioni è stata ceduta in comodato gratuito per 5 anni rinnovabili. Così “il museo del 900 diventa il più importante al mondo sul futurismo” dice all’ANSA Anna Maria Montaldo, direttrice del polo arte moderna e contemporanea del Comune.
L’importanza della cessione non sta solo nel valore in sé delle opere – fra cui ‘Mercurio passa davanti al sole’ di Giacomo Balla, ‘Manifestazione interventista’ di Carlo Carrà, ‘Bottiglie e fruttiera’ di Giorgio Morandi e ‘Composizione con elica’ di Mario Sironi – ma nel fatto che arricchiscono e completano una collezione già di grande valore. ‘Ballerina blu’ di Gino Severini, ad esempio, si aggiungerà alla ‘Ballerina bianca’ già presente. In termini calcistici, sarebbe come unire Messi a una grande squadra dove già gioca Ronaldo.
Dal 1997 al 2015 la collezione Mattioli è stata esposta al Peggy Guggenheim Museum di Venezia. E’ invece del 2017 l’annuncio che sarebbe andata per due anni a Palazzo Citterio, cioè lo spazio dedicato al Novecento di Brera, che però non è ancora pronto per l’apertura.
Al momento le opere sono esposte al Museo Russo di San Pietroburgo, come parte fondamentale della mostra ‘Futurismo italiano della collezione Mattioli. Cubofuturismo russo del Museo Russo e collezioni private’. A Milano arriveranno la prossima primavera e “la prospettiva – rivela Montaldo – è di presentare la galleria del futurismo con la collezione Mattioli nell’ottobre 2022”. (ANSA).

Le mostre del week end, da Joan Miró a Frida Kahlo

NAPOLI – Frida Kahlo e Joan Miró, Pier Paolo Pasolini e Ferdinando Scianna, Robert Capa, Pietro Consagra e Banksy: sono ricche di approfondimenti su grandi personaggi le mostre del prossimo weekend.

NAPOLI – Palazzo Fondi ospita dall’11 settembre la mostra “Frida Kahlo. Il caos dentro”, a cura di Milagros Ancheita, Alejandra Matiz, Maria Rosso, Antonio Arévalo: un percorso fotografico e interattivo, allestito fino al 9 gennaio 2022, scandito dagli eventi principali della vita dell’artista messicana, con opere d’arte, immagini scattate da grandi fotografi, abiti, lettere, film che la videro protagonista e la ricostruzione degli ambienti in cui visse.

MODENA – Alle Gallerie Estensi “Capa in color”, mostra che presenta per la prima volta le fotografie a colori di Robert Capa: in programma dall’11 settembre al 13 febbraio 2022, il progetto si snoda lungo oltre 150 immagini, lettere personali e appunti dalle riviste che pubblicarono i lavori del fotografo. Le immagini esposte raccontano la società del secondo dopoguerra vista attraverso gli occhi di un grande artista.

MILANO – Si intitola “Sociocromie. 100 anni in 25 colori”, la mostra in programma al Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci dall’8 settembre al 14 novembre. Presentando 25 tavole sinottiche (ognuna riproducente un singolo concetto, l’anno in cui il concetto è emerso e un colore), la mostra, a cura di Giulio Ceppi, ha l’obiettivo di documentare alcuni momenti di valore storico e sociale, legati alla politica, agli eventi sportivi, alle innovazioni tecniche, che ricorrono al colore quale espressione connotante, come la “maglia rosa”, la “blue economy”, il “black friday”.

Nuove date per “The World of Banksy – The immersive experience”, allestita dall’8 settembre al 31 ottobre al Teatro Nuovo: una panoramica del lavoro del misterioso artista britannico attraverso oltre 100 opere d’arte e murales realizzati da giovani artisti anonimi di tutta Europa. Il percorso evidenzia tutti i temi trattati da Banksy nei suoi lavori, ma anche l’importanza che assumono i luoghi stessi, dai quali l’artista trae ispirazione.

“(La) Natura (è) morta?”, curata da Sabino Maria Frassà, è la nuova mostra di Cramum allestita a Villa Mirabello dal 7 al 12 settembre in occasione della Milano Design Week, che presenta 30 opere dedicate al rapporto “essere umano-natura-futuro”. La mostra ospita anche l’ottava edizione del premio Cramum, la cui edizione 2021 è stata vinta dall’artista Stefano Cescon.

MAMIANO DI TRAVERSETOLO (PR) – Due progetti si aprono in contemporanea alla Fondazione Magnani-Rocca, dall’11 settembre al 12 dicembre: “Miró. Il colore dei sogni”, a cura di Stefano Roffi, rivela in 50 opere come per l’artista spagnolo colori brillanti e forti contrasti, linee sottili e soggetti allucinati e onirici fossero gli strumenti attraverso i quali sfidare la pittura tradizionale in favore di un’arte immediata e basata sulle suggestioni. “Pier Paolo Pasolini. Fotogrammi di pittura”, mostra Focus in apertura del centenario pasoliniano, a cura di Stefano Roffi e Mauro Carrera, rivela i numerosi riferimenti pittorici (da Andrea Mantegna a Piero della Francesca e Francis Bacon) che alimentarono nel regista-intellettuale la nascita e la definizione del suo stile cinematografico.

BAGNACAVALLO (RA) – L’arte e i simboli per indagare il legame antico e la convivenza tra uomo e animali, anche alla luce della “dominazione” consumistica e autodistruttiva dell’essere umano: è la mostra “Il rituale del serpente. Animali, simboli e trasformazioni” che dall’11 settembre all’8 dicembre sarà allestita nel Convento di San Francesco. Nel percorso, a cura di Viola Emaldi e Valentina Rossi, saranno esposti lavori inediti di Marta Pierobon, Luigi Presicce, Lorenzo Scotto di Luzio, Filippo Tappi, opere recenti di Mark Dion, Valentina Furian, Claudia Losi, Marco Mazzoni, Dana Sherwood, Davide Rivalta, Emilio Vavarella e un’opera site specific di Bekhbaatar Enkhtur.

COLORNO (PR) – La Reggia di Colorno accoglie il progetto fotografico di Ferdinando Scianna, dal titolo “Due scrittori. Leonardo Sciascia e Jorge Louis Borges”, a cura di Sandro Parmiggiani: in 22 ritratti ciascuno, il fotografo siciliano racconta Sciascia, l’amico di una vita e suo “secondo padre”, accanto all’autore argentino, incontrato negli anni ’80, dalle cui opere è rimasto affascinato.

LUGANO – Aprirà il 12 settembre alla Collezione Giancarlo e Danna Olgiati la retrospettiva “Pietro Consagra. La materia poteva non esserci”, a cura di Alberto Salvadori in collaborazione con l’Archivio Consagra. La mostra, la prima dedicata all’artista in un’istituzione pubblica svizzera, ripercorre la carriera di Consagra dagli anni ’50 fino ai primi ’70, attraverso 64 opere, rivelando come per lui il centro della sua ricerca sia sempre stato il valore dell’uomo e dell’arte al fine di costruire una società migliore.
ansa

Arte: devozione della fede

Settimana News

La sosta in Liguria per vacanze estive è da anni un ritornello ben noto a molti, soprattutto cittadini lombardi e piemontesi, che affollano quel litorale non a caso ripetutamente ritratto da artisti famosi.

Forse ai più sono meno noti i centri storici, i loro edifici più importanti e l’entroterra che meritano di essere visitati e ammirati anche per il loro patrimonio di arte sacra.

In un caldo pomeriggio di agosto, dopo alcuni anni, torniamo nel Museo Diocesano di Albenga (SV) che festeggia i suoi “primi quarant’anni”. Un compleanno importante, e presto ci accorgiamo che è stato per tempo e ampiamente preparato.

C’è alle spalle un progetto che il vescovo (dal 2016 monsignor Gugliemo Borghetti) ha condiviso con la Sovrintendenza delle province di Imperia e Savona e la CEI. Restaurare, conservare e rendere fruibili beni artistici: un programma ampio e aperto a più competenze che restituisce dignità e valore ad artisti (anche sconosciuti) e a chi ha trovato e trova ristoro spirituale in alcuni spazi sacri o di fronte a icone e oggetti di culto.

Una gentile guida ci apre l’antica casa del vescovo in cui si snodano le otto sale del piccolo e nutrito museo sito nel bellissimo centro storico e di fianco al battistero, uno dei più importanti monumenti paleocristiani dell’Italia settentrionale.

Oltre alle opere che costituiscono la collezione permanente di questa dimora che risale al Quattrocento (bellissima la sala delle Verzure, già camera da letto del vescovo con gran parte degli affreschi originali), la Sala Rossa ospita temporaneamente la mostra “Regnavit a ligno Deus”.

mostra

Compianto di Cristo

Due sculture quattrocentesche – un crocifisso e un Compianto di Cristo morto composto di otto statue – restaurate e qui esposte prima della loro ricollocazione ad Alassio (SV) e a Lucinasco (IM) da dove provengono. Legno antico, lavorato da mani sapienti e altrettanto sapientemente ripulito da vernici sovrapposte nei secoli.

Per le chiese della diocesi

Materiale apparentemente povero così come quello di altre opere esposte in alcune chiese della diocesi e legate al bel progetto voluto dalla stessa diocesi e così nominato: “Pitture per illuminarsi la notte”.

Da Albenga (nella cattedrale di San Michele Arcangelo) a Imperia (Oratorio di San Pietro) passando per Toirano, Laigueglia, Andora, Civezza e altre chiese e oratori (in tutto 12), sono esposti e in alcuni momenti illuminati i cartelami. Si tratta di apparati effimeri in materiali leggeri, allestiti tra XVII e XIX secolo sia per la Settimana Santa sia per altre occasioni.

È arte popolare, quella che rimanda all’infanzia: la visione di queste sagome colorate ci ricorda i libri per bambini, soprattutto quelli in cartone con inserti mobili (alcuni sono opere di famosi designer) o album da cui ritagliare silhouette di bambole con i loro abitini.

mostraE, quando vediamo il bellissimo Teatro istoriato nella parrocchiale di San Matteo di Laigueglia, ci immaginiamo gruppi di fedeli che lo hanno ammirato durante importanti feste liturgiche a partire dal 1835.

È un grandioso apparato (alto circa 15 metri) con sagome di cartone pensato per la stessa chiesa e oggi situato in un’ampia cappella laterale.

Il suo fondale richiama un paesaggio esotico in parte immaginario e in parte ritratto con la ricca vegetazione di quest’area ligure, quando l’altrettanto “ricca” cementificazione non era ancora sopraggiunta.

Il proscenio è neoclassicheggiante e ospita figure allegoriche (le Virtù) e bibliche in monocromo.

I colori (a olio o più spesso a tempera) ritornano nella figura dell’angelo a fianco del sepolcro vuoto – esposto nel giorno di Pasqua – e nel gruppo della Deposizione che veniva posizionato sul proscenio durante il Venerdì Santo.

Ma lo spettacolo si fa ancora più coinvolgente quando, dietro le quinte, con speciale meccanismo, vengono spostate le nubi capaci di oscurare o illuminare il sole; e così esse svelano o celano il repositorio dell’ostia. Un concetto non facile – quello della realtà eucaristica – veniva in tal modo sceneggiato e reso fruibile ai più. Viene spontaneo pensare a occhi attenti e rapiti di adulti e bambini di un tempo catturati da effetti speciali durante le celebrazioni che immaginiamo particolarmente partecipate e sentite.

Gli studiosi di cartelami (decisiva la mostra allestita a Genova nel 2013 e il catalogo a cura di Franco Broggero e Alfonso Sista) ci informano che, durante queste sacre funzioni, il messaggio trasmesso dalle immagini si arricchiva con i testi delle sacre rappresentazioni interpretati da attori presi dal popolo.

Chi recitava i ruoli dei protagonisti acquisiva poi il loro nome. E così pescatori, madri di famiglia, ambulanti venivano chiamati con “U Gesù” “U Maddalena” “U Giuda” con quella tipica cadenza dialettale che anche oggi nei vicoli e budelli liguri si può ascoltare.

mostra

A fine estate (fino al 15 settembre questi luoghi sono visitabili ma è quasi certa una proroga) gli organizzatori ci diranno quanti turisti avranno sostato in tali spazi. Ci auguriamo siano un buon numero e siano feconde le riflessioni di ciascuno.

E non solo ai fini di una necessaria e lodevole valorizzazione del patrimonio artistico locale. Crediamo infatti che la storia della devozione popolare sia un ottimo volano per nutrire anche la preghiera di oggi.

Come un vecchio libro di fiabe scoperto in un cassettone della nonna può aiutare qualunque bambino, anche il più esperto di videogiochi, a ritrovare emozioni nel racconto. Soprattutto se, grazie ad una voce capace, la narrazione sa aprire alla Speranza, quella vera.

Si ringrazia il Museo diocesano della diocesi di Albenga per aver messo gentilmente a disposizione le immagini di questo articolo – la Redazione.