Più che di una «crisi del sacramento della Riconciliazione», preferisce parlare di «una crisi della forma che abbiamo ereditato ». È quanto spiega don Luigi Girardi, teologo liturgista di Verona e preside dell’Istituto di liturgia pastorale Santa Giustina di Padova.
Don Girardi, a lei non piace l’aggettivo «dimenticato» accanto al sacramento della confessione.
Infatti. La storia ci mostra che questo sacramento ha vissuto diverse variazioni – anche notevoli – che possono essere interpretate come momenti di crisi ma anche come ricerca di percorsi differenti per consentire la riconciliazione. Allora potremmo leggere la situazione attuale come l’esigenza di scoprire un modo migliore per vivere questo processo sacramentale.
Quali possibilità possiamo avere davanti?
Una guida autorevole è il Rito della penitenza
che presenta diversi modi per celebrarla. Accanto a quella personale con l’assoluzione individuale, suggerisce celebrazioni penitenziali comunitarie. Ecco, raccogliere queste indicazioni vuol dire inserire il sacramento dentro momenti più ampi e continuativi in cui l’atteggiamento penitenziale e la celebrazione della grazia si uniscono a forme di accompagnamento e di discernimento spirituale.
Quindi non un sacramento da vivere di fretta…
Va evitato che tutto si limiti a due minuti nel confessionale e che il sacramento sia isolato. Forse dovremmo investire di più non solo sul momento singolo ma anche sull’esperienza di un incontro vero con una Parola che salva. Infatti, l’ascolto della Scrittura è essenziale per l’esame di coscienza che oggi è una delle principali fatiche per i fedeli. Proposte di ascolto della Parola personali o comunitarie sono facilmente offribili, ma anche impegni di penitenza o gesti comuni di riconciliazione che ci orientano a vivere secondo lo stile del perdono di Dio.
C’è il rischio che la confessione diventi una sorta di «smacchiatore»?
Non penso. Il sacramento richiede un livello di coinvolgimento personale che non può ridursi a un atto dovuto o magico. Forse c’è un calo di frequenza, ma verifico anche una maggiore autenticità. Davanti al sacerdote le persone si mettono in gioco, presentano i loro problemi, le loro conflittualità e i loro peccati a un livello ben più profondo. Anche perché la nostra vita ci presenta molti motivi di tensione.
Come dire che oggi il perdono è un’urgenza.
Direi un’esigenza drammaticamente presente. In questo senso come Chiesa potremmo essere più audaci nel proporre come stile di vita il bisogno di rispondere ai problemi attuali in termini di gratuità e di «un di più» che viene da quel perdono che rilancia la possibilità di rapporti nuovi.
Il Papa considera il sacramento una premessa per la costruzione del bene comune. Come declinarlo nell’impegno socio-politico?
Non penso a una ricaduta diretta e immediata, quasi che dal confessionale debbano uscire orientamenti socio-politici. Ma indiretta, sì. Perché vivere autenticamente il sacramento della confessione vuol dire anche impegnarsi per una «operosità buona», ossia agire per il bene riconoscendo ciò che è male. E questo permette, ad esempio, di coltivare uno stile di riconciliazione anche nell’azione sociale e politica dove oggi si avverte davvero la necessità di una pacificazione dato il livello di rissosità cui assistiamo.
Il preside dell’Istituto Santa Giustina: «Anche se la frequenza è in calo i fedeli vivono questo momento con crescente autenticità» (di Giacomo Bambassi – avenire)