Camaldoli, un’oasi di silenzio, preghiera e ospitalità

Ospitalità e accoglienza, ma anche silenzio, preghiera, condivisione della liturgia, approfondimento culturale, dialogo. È il mix vincente di Camaldoli che ogni anno accoglie nelle sue foresterie più di tremila persone. Ricco il calendario delle iniziative proposte anche per quest’estate 2017 tra esercizi spirituali, convegni, settimane teologiche e di studio, corsi di lingue bibliche. «C’è un risveglio di attenzione per i temi monastici e l’approfondimento della spiritualità monastica pur nella diversità dei cammini di fede» ci spiega il priore, padre Alessandro Barban.

Padre Barban, sono tutti «cercatori di Dio» quelli che vengono da voi?

«No certamente.
Oggi le ricerche personali e i cammini di fede sono molto plurali. 
La maggioranza cerca Dio ed ha bisogno di silenzio e preghiera. Chi cerca esercizi spirituali e corsi biblici o teologici di approfondimento, chi viene a Camaldoli per le celebrazioni liturgiche annuali come l’Avvento, il Natale, la Quaresima e la Settimana Santa della Pasqua. Ci sono coloro che sono interessati al colloquio annuale ebraico-cristiano che si tiene in dicembre. Altri vengono e partecipano ai weekend interreligiosi o ai temi di frontiera. Quest’anno abbiamo offerto diversi incontri sulla Riforma di Lutero».

Tra le diverse proposte estive anche dei corsi di ebraico biblico e di greco neotestamentario. Chi li frequenta e perché?

«Sono persone di diversa provenienza geografica e culturale, uomini e donne, direi più laici/che che religiosi/e o preti, che hanno compreso come sia importante conoscere le lingue originarie in cui sono stati scritti i testi biblici. Se uno impara l’ebraico può veramente entrare nel Primo testamento e scoprire tutta la ricchezza di un testo di Isaia, del libro dell’Esodo o i Salmi. Così pure se uno padroneggia il greco biblico può leggere e approfondire i Vangeli o le Lettere di S. Paolo dall’originale dentro la lingua nella quale sono stati scritti. È un mondo inaspettato che si apre… Sono persone che studiano queste lingue antiche non solo per aumentare la loro cultura biblica. Più spesso lo fanno per dare maggiore spessore alla loro esperienza di fede».

La domanda di senso e il bisogno di felicità abitano il cuore di ogni uomo, credente e non. Che risposte o che strumenti di ricerca offrite?

«Oggi l’esistenza delle persone è alquanto impegnativa per cominciare dalla famiglia e dal lavoro. La fede cristiana che ognuno cerca di coltivare e maturare chiede certamente una risposta di bene e comunione. Di pace e di realizzazione personale. Bisogna aiutare a fare un certo discernimento: non confondere o sovrapporre la felicità secolare che spesso si identifica col possesso di cose e di denaro, con la felicità che proviene da un cammino di fede. Come monaci crediamo che sia soprattutto la lettura e la meditazione della Parola di Dio – attraverso la proposta della Lectio divina – a far comprendere e gustare la felicità che giunge come grazia nella vita di un credente. Poi offriamo corsi di meditazione silenziosa, percorsi di accompagnamento spirituale…



».

Di fronte all’odierna povertà materiale, relazionale e di speranza, in che modo un’esperienza di fede condivisa con chi ha scelto una vita di silenzio e preghiera nel celibato e nella dimensione comunitaria può «parlare» all’uomo d’oggi?

«La nostra vita monastica suscita sempre molta attenzione. Già venendo a Camaldoli, in questo posto circondato da una foresta secolare, si percepisce e si entra in una atmosfera di silenzio e di pace che aiuta molto a ritrovare se stessi. Oggi c’è un grande bisogno di fermarsi: di decelerare i ritmi di vita, famigliari e di lavoro, di ascoltare se stessi facendo silenzio, di fare il punto della situazione del proprio cammino esistenziale, di ritornare alle domande di fondo e di trovare delle risposte autentiche e profonde.
Ma la nostra vita monastica “parla” soprattutto con la preghiera e nella preghiera.
Tutti coloro che arrivano a Camaldoli – sia all’eremo, sia al monastero – chiedono se possono partecipare alla nostra preghiera comunitaria nelle diverse ore della giornata. È questa l’esperienza di fede maggiormente condivisa che, dopo alcuni giorni, comincia a segnare una traccia nella coscienza e nella propria interiorità».

«Alla scuola di Gesù» è il titolo del corso di esercizi spirituali da lei guidato qualche settimana fa. Che senso e che valore ha oggi parlare di umiltà e mitezza?

«Gesù si presenta nel Vangelo di Matteo come colui che è mite e umile di cuore. Questo non significa remissività o neutralità. Anzi, Gesù è in qualche modo la sintesi delle stesse Beatitudini. Gesù era presente con un temperamento e una fisionomia molto precisi e direi significativi a cominciare dalla sua preghiera, dallo stile della sua accoglienza verso tutti, dalla proposta dei suoi discorsi che orientavano al regno di Dio. Ma tutto era vissuto e condiviso con una mitezza che esprimeva la bontà e la misericordia di Dio; tutta la sua persona doveva esprimere umiltà, cioè la semplicità/bellezza della terra, della relazione umana, del sensibile e della tenerezza. Ma egli sa anche presentare una parola forte in merito alla povertà, al perdono, alla giustizia. Ogni cristiano dovrebbe tenere uniti dentro di sé la mitezza e l’umiltà evangelica, e allo stesso tempo il riverbero significativo di coerenza delle scelte a cui impegna la fede pasquale».

Sono in corso le Settimane teologiche della Fuci; tra qualche settimana si svolgerà la Settimana teologica del Meic. Il vostro monastero ha visto la nascita del Codice di Camaldoli: in che modo la ricerca di spiritualità e la riflessione sulla fede può orientare l’impegno civile e politico?

«Credo che una fede e una spiritualità che non diventino Politica con la maiuscola, rischiano di cadere in un’estraneità dalla storia degli uomini, che trasforma la fede in superstizione e devozione, e la spiritualità in spiritualismo. Nei decenni sono passate a Camaldoli generazioni di giovani che hanno capito quanto fosse importante impegnarsi in politica per il bene comune di tutti… e come fosse la carità più grande, il servizio discepolare più cruciale. Quando Papa Francesco ci invita ad uscire, a vivere con gli altri condividendo la nostra fede cristiana ci dice di imparare a vedere e ad aiutare i poveri, coloro che sono scartati dalla nostra società, a tenere presente i giovani e gli anziani spesso ridotti ai margini, ci dice che è possibile in nome della nostra fede di impegnarci per un mondo più umano e più giusto.
Io credo che una fede non declinata con la giustizia finisca poi per diventare insignificante. Si svuoti e non sia più attrattiva.
Il problema è duplice: per quanto riguarda la fede bisogna ritrovare la sorgente del Vangelo e tutta la sua forza profetica; per quanto riguarda la politica, abbiamo bisogno di un nuovo impegno che nasca dal bene comune, che non tema di ipotizzare modelli alternativi di economia, di scuola e di formazione, di cura ecologica del nostro mondo.
Oggi la politica è solo politicante… deve ritornare ad essere pensiero, visione, progetto
per i molti che abitano e vivono nel nostro Paese e in Europa, in un rapporto di collaborazione e di sviluppo di una nuova umanità tra Nord e Sud del mondo».

Fonte: Sir

E-R, i cammini verso i luoghi di fede 1.800 chilometri, tracciati e con segnaletica per i pellegrini

Quello del turismo religioso è un comparto che ogni anno conta in Italia 5,6 milioni di presenze, di cui il 60% dall’estero (pari a 3,3 milioni di presenze, fonte Isnart, Istituto Nazionale Ricerche Turistiche) e a cui l’Emilia-Romagna si rivolge.
Con quasi 1.800 km di cammini, tutti tracciati e con segnaletica, percorribili a piedi, ma anche a cavallo e mountain bike, e dotati di luoghi d’accoglienza, l’Emilia-Romagna vanta un primato nazionale per essere attraversata da 10 storici cammini dei pellegrini, tre dei quali europei ed antichissimi: la Via Francigena (antica Via che nel medioevo univa Canterbury a Roma e ai porti della Puglia), la Romea Germanica (che collegava Stade, nella Bassa Sassonia, a Roma) e la Via Romea Strata (dal nord e dall’est Europa a Roma). Oltre alla capitale, i cammini che attraversano la Regione e toccano un centinaio di comuni emiliano-romagnoli collegano altri luoghi di fede, da Padova ad Assisi, passando per l’Eremo di Camaldoli e La Verna (Arezzo) e Monte Paolo (Forlì-Cesena). Le dieci Vie dei Pellegrini che attraversano l’Emilia-Romagna da ovest a est sono: la Via degli Abati (129 km in regione), la Via Francigena (143 km), il Sentiero di Matilde (140,8 km), la Via Romea Nonantolana (208 km), la Via Romea Strata-tratto Romea Longobarda (200 km), la Via degli Dei (66,5 km), il Cammino di Sant’Antonio (258 km), il Cammino di Assisi (72 km), la Via Romea Germanica (260 km) e il Cammino di San Vicinio (320 km). La Regione ha realizzato la nuova Cartoguida “Lungo le Antiche Vie dei Pellegrini in Emilia-Romagna”, stampata anche in inglese, e si appresta a firmare, per la prima volta, una Convenzione per la creazione di un tavolo di lavoro congiunto tra l’Assessorato Regionale al Turismo e la Conferenza Episcopale dell’Emilia-Romagna. Anche il sito www.emiliaromagnaturismo.it propone, nella sezione ‘da scoprire’, pagine dedicate al turismo religioso e al Giubileo, oltre ad informazioni sui 10 cammini e la versione scaricabile della Cartoguida. A breve un circuito regionale ‘Turismo Religioso e dei Cammini’ coinvolgerà operatori turistici regionali (ad oggi sono già 25) dedicati agli escursionisti.
Realizzata in 10.000 copie, la guida “Lungo le Antiche Vie dei Pellegrini in Emilia-Romagna” verrà distribuita nelle fiere di settore e, a richiesta, nei punti informativi lungo le Vie e tra gli operatori turistici aderenti al Circuito con percorsi, livello di difficoltà, le tappe percorribili in un giorno di cammino, i luoghi dove ottenere le credenziali del pellegrino, la possibilità di accoglienza e altre informazioni. Per il Giubileo sono aperte in Emilia-Romagna 41 Porte Sante Lungo le vie del cielo e non solo, sono tanti i luoghi di culto e di preghiera dell’Emilia Romagna in cui fermarsi anche solo per ammirare le opere d’arte che custodiscono. E sono tante, ben 41 in tutta la Regione, le possibilità di passare attraverso una delle Porte Sante aperte in occasione del Giubileo Straordinario della Misericordia. Si va dalla Cattedrale di San Pietro e il Santuario della Beata Vergine di San Luca a Bologna alle Cattedrali di Rimini, Reggio Emilia, Imola, Forlì, Cesena, Ravenna, Faenza, Ferrara, Modena, Carpi, Pennabilli, fino all’eremo di Saiano a Poggio Torriana nella Diocesi di Rimini, al Santuario della Madonna del Mulino nella Diocesi di Imola, alla Collegiata di San Michele di Bagnacavallo nella diocesi di Faenza-Modigliana. (ANSA).

Dal 3 all’8 settembre torna la Giareda

La festa per la Natività di Maria è uno degli appuntamenti più cari ai reggiani fin dagli anni ’80. Ogni anno il manifesto della Giareda propone un’icona mariana. Quest’anno i padri Servi di Maria hanno scelto un’opera del confratello padre Fiorenzo Maria Gobbo, scomparso pochi mesi fa. Si tratta dell’affresco “Reggioalla sua Regina” realizzato da Padre Fiorenzo nel 1969 nel chiostro del convento delle Ghiara.
La Madonna della Ghiara è raffigurata con due elementi che accompagnano la venerazione dei fedeli nel Santuario: c’è il richiamo alla sua incoronazione come Regina di Reggio e ai numerosi miracoli attribuiti alla sua intercessione, come testimoniano i documenti storici e le tele nei quattro bracci del Tempio. In alto si vedono gli angeli che pongono una corona sul capo della Vergine Madre. In basso si vedono i reggiani, clero e laici, sani e malati, che onorano e supplicano la loro Regina. Cielo e terra fanno corona alla Madre del Signore.

Ecco il programma della edizione di quest’anno, la 35esima:

Mercoledì 3 settembre

ore 17.00 Piazza Gioberti
Inaugurazione della 35^ Giareda
alla presenza delle Autorità religiose e civili

ore 21.00 Basilica della B.V. della Ghiara
Concerto di musica sacra
Haec Dies: Il tempo dell’uomo, il tempo di Dio
Organo: Federico Bigi, Coro: “Amorosa Vox”
Annalisa Vandelli, direttrice
a cura della Comunità dei Servi di Maria

Giovedì 4 settembre

ore 17.00 Basilica della B.V. della Ghiara
Presentazione e premiazione mostra “Altari Fioriti
Allestimento a cura dei fioristi reggiani aderenti a
Confcommercio e Confesercenti, con il contributo benefico di Banco S. Geminiano e S. Prospero e Unipol Assicurazioni

ore 18.30 S. Messa dei novelli sacerdoti ordinati nel 2014

ore 21.00 Teatro di Sant’Agostino
VI^ Rassegna Regionale Cori Polifonici
Coro “Albinetano” M. Giorgio Delmonte, direttore
Coro “Cinquecerri” M. Amerigo Battilani, direttore
Coro“Tanto per cantare” M. Luciano Bonacini, direttore
A cura del coro polifonico Uisp di Reggio Emilia

Venerdì 5 settembre

ore 18.00 Sala Rossa, Sede Municipio, piazza Prampolini 1
XXXV° Concorso Poesia Dialettale La Giareda,
a cura della Fabbriceria della B.V. della Ghiara

Sabato 6 settembre

ore 16.30 Rito della Benedizione dei Bambini

ore 18.30 S. Messa
canti del coro di Prato di Correggio
Elena Nicolini, direttrice

ore 21.00 Sagrato della Basilica
Concerto della Filarmonica Città del Tricolore
Stefano Tincani, direttore

ore 21.00 ed ore 22.00 visita guidata al Museo della Ghiara
a cura della Fabbriceria della B.V. della Ghiara

Domenica 7 settembre

Basilica della B.V. della Ghiara

Sante Messe ore 7.30 9.30 11.00 12.00 18.30 20.30

ore 9.30 Coro di Roncaglio
Sara Rossi, direttrice

ore 11,00 e ore 12,00
Coro B.V. della Ghiara
Paola Tognetti, direttrice

ore 18,30 Coro Isicoro di Rivalta
Francesco Trapani, direttore

* * *

dalle 9.00 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 19.00
piazza Prampolini
Soli Deo Gloria. Organi, Suoni e Voci della Città
Rassegna regionale campanari
in omaggio alla Madonna della Ghiara
a cura dell’Unione Campanari Reggiani

ore 21.00 ed ore 22.00 visita guidata al Museo della Ghiara
a cura della Fabbriceria della B.V. della Ghiara

Lunedì 8 settembre – Giorno della Natività della Beata Vergine Maria

Basilica della B.V. della Ghiara

ore 6.00 Canto dell’Ufficio delle Letture e delle Lodi mattutine con le Case della Carità

ore 7.15 Santa Messa

ore 9.00 Santa Messa con il Coro S. Maria – P. Remigio

ore 11.00 Solenne Concelebrazione presieduta da Mons. Massimo Camisasca, Vescovo di Reggio Emilia – Guastalla, in apertura del nuovo Anno pastorale
canti del Coro Diocesano
sono presenti le autorità cittadine

ore 16.00 Santa Messa

ore 17.30 Santo Rosario

ore 18.30 Santa Messa presieduta da Sua Ecc. Mons. Adriano Caprioli vescovo emerito di Reggio Emilia – Guastalla
Canti del Coro B.V. della Ghiara
BASILICA DELLA B.V. DELLA GHIARA

Tutti i giorni, in preparazione alla festa,
S. Messa e predicazione mariana
con P. Luciano M. Masetti dell’Ordine dei Servi di Maria

Sante Messe nei giorni feriali: ore 7.30 9.00 11.00 18.30
Recita del Santo Rosario ore 17.45

Eventi collaterali

Sabato 6 e domenica 7 settembre
Chiostro Grande della Ghiara
XXIII^ Mostra Nazionale Bonsai Suiseki
XI° Progetto Futuro
a cura di Helen Club Bonsai

Sabato 6 e domenica 7 settembre
Festa in strada
in largo degli Alpini e piazza 24 maggio
a cura dell’Associazione Commercianti i Porta Castello

Sabato 6 settembre
Piazza Prampolini
dalle ore 14.00 alle ore 20.00
Esserci sempre
a cura della Polizia di Stato – Questura di Reggio Emilia

Sabato 6 settembre
Piazza Martiri del 7 Luglio
dalle ore 17.00: Grande festa dei popoli
danze, canti e musiche dal mondo
a cura dell’Associazione Balliamo sul Mondo

…tutti i giorni in corso Garibaldi

stand di artigianato artistico
presenze del mondo solidale e la tradizione delle bancarelle

La festa del “Pan De Re” e delle eccellenze reggiane
dal 3 all’8 settembre
Piazza Gioberti
pane a qualità controllata in filiera corta reggiana
agricoltori con i prodotti della terra
prodotti tipici della montagna

a cura dell’Associazione Panificatori Confcommercio,
Coldiretti, Confagricoltura, Confederazione Italiana Agricoltori, Ugc-Cisl

laliberta.info

Madonna-Ghiara-G-Bianchi

Le montagne sono fatte per unire i popoli

ALPINISMO

Erri De Luca – avvenire.it
Frequento le Dolomiti da bipede e da quadrupede. Da bipede passeggio, da quadrupede scalo, aggiungendo le mani all’andatura. Ho messo le mie falangi su molti fianchi di quel calcare pallido alla luna, ruggine al tramonto. Poco meno di un secolo fa si è svolta lassù la più assurda guerra per il possesso di cime. Fu assurda e inutile: tutte le sorti si decidevano comunque in pianura. La disfatta di Caporetto travolse tutte le stentatissime conquiste di montagne. D’estate salgo al monte Lagazuoi e al dirimpettaio Sass di Stria, che sormontano i passi Falzarego e Valparola. La cima del Lagazuoi era tenuta dagli Austriaci, ma a metà parete passa una cengia, uno stretto sentiero orizzontale che l’esercito italiano occupò e tenne. Le cenge sono tipiche delle rocce sedimentarie lavorate dal mare. Si svolse così una guerra tra due piani dello stesso condominio montagna. Gli Italiani cercarono di sloggiare gli inquilini di sopra, trivellando dal basso un lungo cunicolo in salita. Non per sbucare di soppiatto in cima, invece per imbottirlo di esplosivo e far saltare in aria il presidio austriaco. Dall’alto si difesero per tempo scavando una contromina in corrispondenza di quella italiana. Questo accorgimento rendeva molto meno efficace l’esplosione. Ci fu lo stesso, ma gli Austriaci rimasero indisturbati in alto, mentre la montagna scaricava enormi blocchi di roccia a valle. Grandiosa e superflua fu quella mina insieme agli sforzi compiuti lassù dalle due parti nemiche. Oggi la lunga camera di scoppio trivellata in verticale è trasformata in un sentiero attrezzato. Un cavo di ferro corre lungo il cunicolo di roccia che sale per centinaia di metri nel buio. Ogni tanto una finestrella utile alla camera di scoppio rischiara il pozzo e offre vista sul vuoto. Si sale nella galleria a lume di lampada frontale. A me piace andare senza, procedere nel perfetto buio con il fiato che rimbomba nel cunicolo. La galleria finisce con un tratto a spirale. Si esce all’aperto tra vecchie trincee austriache, ben custodite. Era impossibile vincere o anche perdere una guerra là sopra.

Le montagne restano inespugnabili ancora oggi malgrado i maledetti progressi compiuti dall’aviazione militare. La guerra talibana sui monti dell’Afganistan  ha scacciato i Russi e sta rispedendo a casa anche la coalizione della Nato. La camera di scoppio del Lagazuoi è oggi destinata a un altro sforzo inutile, quello dell’alpinista. Ma stavolta l’aggettivo «inutile» ha un valore. L’alpinismo è il bel rischio festivo, affrancato in partenza dalla partita doppia dare/avere. La sua scalata alla bellezza è gratuita. Un navigatore arrivava per primo su un’isola, ci piantava la sua bandiera e l’annetteva al suo Paese. L’alpinista che arriva per primo su una cima vergine, non esercita alcun possesso e la bandiera che lascia tiene compagnia al vento. Angelo Di Bona, leggendaria guida alpina di Cortina del primo 1900, viene convocato dal comando italiano che ha appena occupato la città. Gli viene chiesto di scalare la Tofana di Rozes per scacciare dalla cima il reparto austriaco. Di Bona si rifiuta, lassù ci sono i suoi amici. Viene perciò arrestato.

Lassù ci sono i suoi amici: la guerra che infila casacche diverse alle varie gioventù può governare il fondovalle, non le cime. Lassù non ci sono nemici. I cartografi possono ben tracciare confini lungo le dorsali montuose, stabilire che un versante appartiene a una nazione e un versante a un’altra. L’alpinista che la scala dai due lati dimostra che una montagna unisce e non separa i popoli. Sulla cima calpesta la presuntuosa linea di demarcazione. Sia la guerra che l’alpinismo sono applicazioni opposte dell’ingegnosa mente umana. La fanteria alpina, oggi in gran parte smantellata, contiene la contraddizione tra la fraternità montanara e l’obbedienza alla regola di guerra. È stata per questo un corpo a parte dove i gradi della gerarchia erano meno separati dalla truppa, condividendo le medesime asprezze. Mio padre, napoletano arruolato nella seconda guerra mondiale col grado di sottufficiale degli Alpini, raggiunse la destinazione in montagna. Appena arrivato, gli fu assegnato dal tenente uno strano incarico: vegliare quella notte la mula che stava per partorire. Si sa che Alpini e muli hanno vissuto in simbiosi. Mio padre arrossisce, dice «Signorsì», poi aggiunge: «La ringrazio dell’onore di farmi assistere al miracolo». Il tenente sorride e gli dà il benvenuto. I muli sono incroci sterili. Di tutto quel tempo maledetto della sua gioventù, mio padre ha salvato una sua gratitudine per le montagne. Me l’ha trasmessa in eredità. Lassù i nostri sforzi rimangono felicemente inutili.

Quel Gran Paradiso a Occidente

Ci sono posti dove non ci vai per caso, località che scegli a ragion veduta e poi ci torni perché là è rimasto il tuo cuore. Sono posti fuori mano, solo da pochi anni – in alcuni casi – hanno visto la fine dell’isolamento grazie all’arrivo di una strada, e vi abita gente solida, pratica, magari un po’ chiusa ma incapace di chiudere la porta in faccia al visitatore, quello che una volta – all’epoca dell’alpinismo eroico – veniva definito il forestiero. Gente temprata dalla montagna, abituata a fare da sé e cavarsi di impaccio con le proprie forze: «Questo popolo – scriveva nel lontano 1887 il canonico Béthaz –- grazie al suo spirito di previdenza e di economia non conta mendicanti… Questa terra è un alveare di api incessantemente in attività». Béthaz si riferiva ai paesani della sua Valgrisenche, ma formulava osservazioni che si attagliano anche oggi (previdenza, economia, lavoro) alle popolazioni delle valli a destra del corso della Dora Baltea, quella parte della Val d’Aosta tra il Rutor e il Rosa dei Banchi, comprensorio dominato dalla mole del Gran Paradiso, unico quattromila interamente italiano. Valgrisenche, valle di Rhêmes, Valsavarenche, valle di Cogne, valle di Champorcher, un universo di patois, di natura incontaminata (il Parco nazionale del Gran Paradiso ha fatto la sua parte), di testimonianze del passato, di difesa dei valori della tradizione senza rifiuto della modernità.

Cogne è ben conosciuta, celebrata, rappresentata sui media. Sia consentito allora concentrare l’attenzione sulle altre realtà di un contesto alpino che a un centinaio di chilometri – poco più o poco meno – da Torino, da Ginevra e da Milano costituisce una riserva di tesori da scoprire. Perfino i Papi di Roma hanno approfittato della serenità di quassù: Giovanni Paolo II e poi anche Benedetto XVI sono stati ospiti di Introd, l’antica Interaquas tra la Dora di Rhemes e il torrente Savara. Introd è porta d’accesso alle due valli. Chi ha fretta di proseguire oltre magari non degna di un’occchiata il duecentesco castello dei baroni Sarriod, o l’ardito ponte che supera un baratro di 80 metri. Magari trascura anche il parco faunistico di Villes-Dessus, perché poi salendo in quota la frequentazione degli animali alpini diventerà un fatto abituale.

Via allora verso Rhêmes Notre Dame, 1700 di altezza, conca di bellezza struggente, un campanile che si dice abbia i bronzi più sonori dell’intera Valle d’Aosta. Il villaggio presenta struttura architettonica di stampo rurale, e del resto prima del boom del turismo gli abitanti vivevano della campagna, dell’allevamento, del bosco. La Rhêmes d’antan era anche il paese dei ramoneurs, spazzacamini che riuniti in corporazione giravano per le province vicine, votati alla migrazione stagionale per mantenere la famiglia e assicurarle un futuro in anni in cui davvero bisognava badare alla lira. Oggi sono i villeggianti a portare benessere, e intanto alla frazione Chanavey il centro visitatori del Parco si trasforma in uno strumento didattico per promuovere la conoscenza del patrimonio naturalistico.
Il primo nucleo abitato che il turista avrà trovato in valle sarà però stato quello di Rhêmes Saint Georges, il comune più agricolo della intera Vallée, luogo d’elezione per un relax senza paragoni.
Chi invece imbocca la Valsavarenche, stretta e boscosa, approderà dopo una ventina di chilometri a Dégioz, sede comunale ma poco più che un villaggio. Da qui partono le ascensioni al Gran Paradiso e alla Grivola, qui il secondo sabato di agosto si ripete il classico appuntamento della Festa del civet, stufato di selvaggina che bisogna provarlo per raccontarne a chi è rimasto a casa.
Non siamo in stagione di sci, ma vale la pena sottolineare che la Valgrisenche, la più occidentale dell’area, è un eden per gli amanti del fondo e ha un occhio di riguardo per i principianti. È chiusa a monte dalla diga di Beaurégard, costruita nel 1954, visitabile su prenotazione. Il 15 agosto di ogni anno si ripete la processione della Madonna delle Nevi nella conca del lago di San Grato.
Meta di pellegrinaggi estivi dal 1600 è anche il santuario di Notre Dame des Neiges al lago Miserin, uno dei più suggestivi delle Alpi Graie, dominato dal Rosa dei Banchi. Siamo sopra Champorcher, paese sorto attorno ad un castello di epoca feudale del quale rimane una torre merlata. La valle, impervia, è sempre stata di intenso transito: nel passato il cognein, il valligiano di Cogne che volesse scendere verso la pianura padana, scarpinava fino alla Finestra di Champorcher, superava il villaggio e scendeva a Pont Saint Martin e poi ad Ivrea. Ci volevano buoni garretti. Anche per i grandi camminatori di oggi Champorcher è località che conta: da qui parte l’Alta Via numero 2 della Valle d’Aosta, tracciato escursionistico che di cresta in cresta, di valico in valico, raggiunge Courmayeur ai piedi del Monte Bianco, tra scenari montani che sono i più belli d’Europa.

Antonio Giorgi – avvenire.it

Giovani in viaggio, «sfida educativa»

Giovani in viaggio, «sfida educativa» Il presidente del Ctg: turismo, scuola di responsabilità verso gli altri e il creato

DI GIACOMO GAMBASSI – avvenire
Un tempo libero che non sia soltanto da consumare o da spendere come vuota evasione, ma da vivere in libertà e con intelligenza. È lo spirito che anima da più di sessant’anni il Centro turistico gio­vanile (Ctg), «laboratorio» di convivenza, incontri e viaggi all’insegna del­la vacanza consapevole, ispirato da una visione cristiana dell’uomo. Una sfida che nell’era digitale è ancora più attuale, spiega la presidente Maria Pia Bertolucci. «I ragazzi di oggi che passano ore davanti al computer e co­municano con le chat o i social network si sono abituati a muoversi in ma­niera virtuale attraversato la Rete piuttosto che a mettersi uno zaino sulle spalle e a partire». Da qui la scelta di proporre esperienze di mobilità au­tentiche. O meglio, «un progetto educativo e di formazione integrale del­la persona puntando sui settori del turismo giovanile e sociale, del tempo libero, dell’ambiente e del volontariato culturale», afferma la presidente del Centro turistico giovanile. Una storia iniziata nel 1949. Nato all’interno alla Gioventù italiana di A­zione cattolica nel 1949, il Ctg diventa autonomo nel 1970 e l’anno suc- cessivo la Cei ne approva lo statuto. Oggi è presente in tutta Italia con cen­tinaia di realtà tra gruppi di base e centri di vacanza, e con una rete diffu­sa capace di coinvolgere ogni anno migliaia di persone di diverse fasce d’età. A cominciare dai ragazzi a cui l’associazione lancia un appello. «Al Ctg – afferma Maria Pia Bertolucci – mancano giovani creativi e originali disposti a uscire dalle forme di aggregazione su internet e portare avanti il patrimonio del Centro che è improntato ad uno stile di fare gruppo, di co­noscere amici, di condividere di esperienze». Costruttori di pace. Perno dell’associazione sono i viaggi declinati secon­do le formule delle vacanze, dei pellegrinaggi e dell’ospitalità nelle case per ferie. Nessuna offerta «tutto compreso» o pacchetti preconfezionati, ma un insieme di proposte per «crescere come persona e cittadino responsabi­le ». Con destinazioni a vasto raggio. Recentemente un gruppo di 55 giova­ni è stato in Terra Santa per una settimana; a giugno sarà la volta dell’Ar­menia; a luglio la meta sarà Santiago di Compostela da raggiungere a pie­di dopo aver percorso gli ultimi 130 chilometri del cammino. «Comunque il viaggio è soltanto un momento – chiarisce la presidente –. In realtà in primo piano viene messa la preparazione che permette di entrare in con­tatto con culture, tradizioni, ambienti e stili di vita diversi e di porre le ba­si per creare occasioni di dialogo e contribuire a creare scenari di pace». Volti santi sull’asfalto. Per intercettare i giovani il Ctg sceglie varie strade: dalle assemblee studentesche al passaparola, dal volantinaggio nelle par­rocchie a facebook . E poi ci sono gli eventi come la manifestazione «Giò Madonnari» che, ogni seconda settimana di maggio, porta i ragazzi delle scuole elementari e delle medie nelle piazze e nei cortili d’Italia per dise­gnare sull’asfalto. «Dalle quaranta piazze dello scorso anno – annuncia la presidente del Ctg – puntiamo ad essere presenti in ottanta per testimo­niare il nostro radicamento sul territorio e il nostro impegno a fianco del­le giovani generazioni».