La nuova disputa. I Balcani, l’altro fronte di Putin

Una disputa sulle targhe delle auto e documenti d’identità riaccende la tensione fra la Serbia, sostenuta dalla Russia, e il Kosovo.La Nato: «Pronti a intervenire se è a rischio la stabilità»
Una pattuglia della Kfor sorveglia la rimozione del blocco stradale a Zupce,in Kosovo

Una pattuglia della Kfor sorveglia la rimozione del blocco stradale a Zupce,in Kosovo – Reuters

Dopo quasi 24 ore di blocco stradale, la minoranza serba del Kosovo ha smantellato le barricate erette nel Nord del Paese. Una notte di tensione, con alcuni serbi «fuori legge» che – riferisce la polizia kosovara – avevano aperto il fuoco contro degli agenti senza colpirli. Incidente sfiorato, ma la crisi sembra per ora solo rimandata: per il presidente serbo Aleksandar Vucic «mai la situazione è stata così difficile» da quando il Kosovo si è dichiarato indipendente nel 2008. E la missione Nato in Kosovo (Kfor), dopo aver monitorato con delle pattuglie in elicottero la riapertura dei blocchi stradali, ha informato di star «monitorando da vicino la situazione nel nord del Kosovo» con le organizzazioni di sicurezza locali e di «essere pronta ad intervenire se a rischio la stabilità».
È la guerra dei Balcani che, come un fiume carsico, riemerge dopo oltre un decennio e riapre vecchie incomprensioni tra Russia e Occidente in quello che potrebbe diventare un “fronte parallelo” rispetto alla guerra in Ucraina. Ieri pomeriggio tuttavia, secondo alcune testimonianze, il ponte vicino al confine di Bernjak era ancora istruito e il valico di confine non ancora aperto mentre il giorno prima si segnalavano spostamenti di truppe.
Tutto è iniziato domenica pomeriggio quando la popolazione serba del Kosovo aveva bloccato le strade che conducono ai valichi di confine di Jarinje e Bernjak, obbligando le autorità a chiuderli. Le proteste sono contro nuove leggi sui documenti di identità e targhe automobilistiche, che avrebbero dovuto entrare in vigore il primo agosto. I manifestanti protestavano contro la decisione di Pristina di imporre anche ai serbi che vivono in Kosovo l’uso esclusivo di carte d’identità e targhe kosovare. Dalla guerra del 1999, il Kosovo aveva tollerato l’uso di targhe emesse dalle istituzioni serbe in quattro municipalità del nord del Paese dove sono presenti maggioranze serbe. La nuova legge rende invece obbligatorio l’uso di targhe con l’acronimo «Rks», cioè Repubblica del Kosovo. Ai proprietari di automobili era dato tempo fino alla fine di settembre per effettuare il cambiamento. Le nuove norme prevedono anche che chiunque entri in Kosovo con una carta d’identità serba abbia un documento temporaneo, con validità di tre mesi, mentre si trova nel Paese. Il premier del Kosovo, Albin Kurti, ha spiegato che si tratta di una misura di reciprocità, in quanto la Serbia – che non riconosce l’indipendenza della sua ex provincia a maggioranza albanese proclamata nel 2008 – chiede lo stesso ai kosovari che entrano nel suo territorio. La diatriba su targhe e documenti, che aveva già provocato in passato delle rimostranze, ha così riacutizzato sopite tensioni internazionali. La Serbia, spalleggiata da Russia e Cina, non riconosce l’indipendenza del Kosovo, né il suo diritto di imporre regole e regolamenti come la registrazione di automobili e camion mentre il governo del Kosovo è riconosciuto dalla maggior parte dei Paesi Ue.
Così domenica notte era giunto il minaccioso monito del Cremlino: «Tutti i diritti dei serbi in Kosovo devono essere rispettati», aveva dichiarato il portavoce Dmitry Peskov. Poi, dopo una mattina di consultazioni lo stesso Peskov, dopo aver ribadito di sostenere «assolutamente» la posizione della Serbia, chiedeva che tutte le parti «agiscano in modo ragionevole» perché riteneva «assolutamente infondati» le richieste delle autorità del Kosovo. Mentre la rappresentante dell’Onu in Kosovo, Caroline Ziadeh, lanciava un appello «alla calma, al ripristino della libertà di movimento» dall’Ue giungeva un chiaro altolà a Belgrado chiedendo di evitare «ogni azione non coordinata e unilaterale che mette in discussione la stabilità e la sicurezza». L’Ue ha poi invitato le autorità serbe e quelle kosovare a Bruxelles per risolvere i contrasti.

Lo status del Kosovo

La Serbia non ha mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, proclamata unilateralmente nel 2008, dopo che nel 1999 la risoluzione 1244 dell’Onu autorizzava una presenza internazionale civile e militare in Kosovo, la Kfor a guida Nato ed ora forte di 3.500 uomini. L’indipendenza di Pristina è stata riconosciuta da 113 dei 193 membri Onu tra cui la maggior parte dei Paesi Ue, mentre Russia e Cina, alleate della Serbia, no. Negli anni passati Bruxelles ha cercato di mediare un dialogo tra i due vicini, ma finora gli sforzi non sono riusciti a raggiungere una normalizzazione dei rapporti. Il premier kosovaro Kurti ha affermato che il Kosovo presenterà formalmente domanda per diventare membro dei Ventisette entro la fine del 2022, nonostante le preoccupazioni per le tensioni con la Serbia, anch’essa aspirante membro Ue. Ma è sulla Nato che la spaccatura fra Mosca e l’Occidente si riverbera pericolosamente nei Balcani. Kurti ha infatti lanciato un appello per essere ammesso nella Nato insieme alla Bosnia. Una richiesta avanzata in maggio chiaramente in chiave anti-serba, mentre la crisi in Ucraina era già in atto.

Gudkov e la complicità passiva dei russi verso il potere

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AGI – I russi si sono “rassegnati” alla guerra in Ucraina e continuano a sostenere il presidente Vladimir Putin in una forma di “complicità passiva”, che affonda le sue radici nell’atteggiamento del cittadino sovietico col potere.

Lev Gudkov, il sociologo russo più famoso all’estero e vice direttore del più autorevole istituto demoscopico indipendente del Paese, il Centro Levada, non si nasconde dietro le vaghe formule della narrativa ufficiale, che ha imposto di chiamare “operazione militare speciale” l’intervento in Ucraina.

Settantacinque anni, Gudkov non è nuovo a lavorare e vivere in condizioni rischiose: da quando è stato inserito nel registro degli “agenti stranieri”, nel 2016, il Levada ha visto ridursi al lumicino budget e progetti e la possibilità che le autorità ne impongano la chiusura è una spada di Damocle che, però, non impedisce ai suoi ricercatori di continuare a mappare l’evoluzione dell’opinione pubblica russa anche sui temi più delicati.

I sondaggi sul consenso
Nei cinque mesi di ostilità e sanzioni, il sostegno all’operato del presidente russo si è consolidato, riferisce Gudkov in un’intervista all’AGI nel suo ufficio su via Nikolskaya, a pochi passi dalla Piazza Rossa.

“Se i sondaggi dei giorni subito successivi all’invio dell’esercito, il 24 febbraio, mostravano un’approvazione del 68% per le azioni di Putin, il dato è arrivato all’81% a marzo per poi stabilizzarsi, tra aprile e giugno, intorno al 74-77%”. Non si tratta, spiega Gudkov, di un'”euforia” collettiva come era stato per l’annessione della Crimea, nel 2014, ma piuttosto di “mancanza di resistenza morale”.

Rispetto a otto anni fa, questo consolidarsi del consenso avviene in circostanze molto diverse: prima di tutto, quella di un “totale isolamento mediatico”.

“Dal 24 febbraio”, ricorda il vicedirettore del Levada, “si stima siano stati vietati 2-3mila siti internet e chiuse circa 180 testate, di cui alcune molto autorevoli come Novaya Gazeta e la radio Eco di Mosca; senza contare che i blogger vengono multati, che si rischia il carcere per l’accusa di fake news e che anche Facebook è stato bloccato. Il sociologo lo definisce “sostegno a bassa intensità”, un sentimento a suo modo contraddittorio: “Da una parte si registrano soddisfazione e orgoglio tra gli intervistati (51%), dall’altra quasi lo stesso numero (il 47%) ammette di sentirsi ‘inquieto’ per la morte sia dei cvili ucraini che dei soldati russi”.

L’appoggio alla guerra, inoltre, non va di pari passo con la disponibilità a combattere per la propria patria – solo il 2-3% si dice disposto a farlo – né con un senso di responsabilità per le morti civili.

“La maggior parte degli intervistati non capisce nemmeno la domanda sulle responsabilità come popolo per quanto sta accadendo”, riferisce il sociologo, “in media solo il 10% avverte un problema di coscienza: è il tradizionale atteggiamento sovietico di esprimere un’approvazione semplicemente dimostrativa verso il potere, senza poi volerne rispondere o partecipare. È il comportamento caratteristico di una società in condizioni di regime totalitario, una complicità passiva coi crimini dello Stato”.

Anche la vaghezza delle spiegazioni fornite dal Cremlino alla cosiddetta ‘spezoperazia’ contribuisce a questa accettazione, nonostante almeno il 30% dei russi abbia un qualche tipo di legame con l’Ucraina.

I temi della propaganda
“La propaganda ha passato tre fasi: denazificazione, liberazione del Donbass e poi quella attuale, secondo cui la Russia è stata costretta ad agire per la sua salvezza, perché la Nato avrebbe comunque usato i fascisti ucraini per colpirla”.

“Il tema del fascismo, unito a quello della minaccia esterna dell’Occidente, è un argomento molto forte sui cui in Russia è praticamente impossible discutere”, spiega Gudkov, “perché metterebbe in discussione la stessa identità nazionale”.

“La retorica della lotta al nazismo”, prosegue, “è stata usata in Urss fin dagli Anni ’30 per marchiare tutti i critici dell’Unione sovietica, indipendentemente dal partito o dal campo ideologico a cui appartenessero. È l’etichetta che indica il nemico assoluto, un potente mezzo per disumanizzare l’avversario, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale. Definendo fascista un soggetto, non è più necessario fornire prove o argomentazioni e, inoltre, verso il soggetto a cui viene associato questo stigma è impossibile nutrire empatia o compassione. Questa è una parte molto importante su cui gioca la propaganda, oltre al lavoro per mettere a tacere qualsiasi pensiero autorevole contrario alla guerra, che oggi in Russia di fatto non esiste”.

Pertanto, conclude Gudkov, “nonostante il calo del tenore di vita, l’inflazione, le sanzioni, la carenza di alcuni prodotti come i medicinali, il livello di soddisfazione generale è aumentato in modo molto evidente e registriamo tutti i segni di un consolidamento di massa del consenso nei confronti del potere”.  

UCRAINA | Al G20 esteri di Bali è andato in scena l’ennesimo muro contro muro tra Occidente e Russia. Il Papa tenta la mediazione, “potrebbe andare a Kiev ad agosto”

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Al G20 esteri di Bali è andato in scena l’ennesimo muro contro muro tra Occidente e Russia: le potenze del G7 hanno rinnovato la condanna contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina ed il ministro Serghiei Lavrov ha risposto in modo plateale, abbandonando il vertice prima della conclusione.

In questo impasse, anche il Vaticano tenta di dare un contributo per una soluzione diplomatica del conflitto: papa Francesco potrebbe andare a Kiev ad agosto.

Ansa

Ucraina. “Ecco dove sono stati portati i bambini ucraini deportati in Russia”

Il sito di informazione Verstka ha individuato dove si trovano centinaia di minori ospitati lì prima di essere assegnati a famiglie in tutta la Russia
Bambini ucraini in fuga dalla guerra

Bambini ucraini in fuga dalla guerra – Fotogramma

La Russia continua a negare le accuse di deportazione forzata dei bambini ucraini. Ma sui social le richieste dei parenti che si sono messi sulle loro tracce aumentano e, unitamente a un lavoro di inchiesta fatto dal sito di informazione indipendente Verstka, hanno portato a individuare dove si trovano centinaia di minori, ospitati lì in attesa di venire assegnati a famiglie su tutto il territorio nazionale. I principali centri si trovano a Rostov sul Don, sul mare di Azov, a Kursk, ma anche più lontano dal confine con l’Ucraina, a Nizhni Novgorod.

Gli ospiti sono soprattutto bambini che provengono a Mariupol e dal Donbass. Al momento dell’occupazione da parte dei russi si trovavano in ospedali o centri di cura oppure semplicemente si sono persi. Ora la loro vita cambierà per sempre. La conferma che si tratta di bambini ucraini arriva dalle stesse autorità di Rostov, che però parlano di minori «salvati» dai soldati russi e portati fuori dalle zone di guerra e soprattutto orfani, quando invece spesso questi piccoli hanno ancora almeno un genitore che possa prendersi cura di loro.

La Commissaria per i diritti umani della regione di Rostov, Irina Cherkasova, non ha rivelato in quali strutture vengano ospitati, ma ha garantito che «frequentano organizzazioni educative in conformità di programmi che tengano conto del loro livello di istruzione e del loro stato di salute».

A fare chiarezza ci ha pensato il sito Verstka. La struttura principale per l’accoglienza dei bambini ucraini si chiama Romashka, in russo “camomilla”, e da sola ospita circa 400 minori.

Stando a due volontari che hanno parlato al sito in condizioni di anonimato, qui ci sono ospiti da 2 a 18 anni e, se nelle prime fasi della cosiddetta “operazione militare speciale” avevano il necessario per andare avanti, «adesso mancano dei bisogni di base: dai prodotti per l’igiene personale a quelli di cancelleria che servono per le attività scolastiche». Segno che, oltre allo sforzo bellico, la Russia fatica a tenere il passo anche con quello umanitario. Sempre secondo la testimonianza di questi due volontari, all’interno di queste strutture vengono organizzate attività ricreative nelle quali però vengono anche incentivata una maggiore conoscenza della storia e della cultura russa. Il problema, è il futuro che li attende, che per qualcuno si è già risolto in un allontanamento permanente dalla madrepatria.

Il 30 maggio, il presidente Putin ha firmato il decreto che facilita l’ottenimento della cittadinanza russa per i bambini che provengono dal Donbass e più in generale da altre parti dell’Ucraina. Molti potrebbero vedere la loro vita cambiare definitivamente prima dell’autunno, quando negli orfanotrofi inizierà a fare freddo e sarà ancora più oneroso per i russi mantenere quelle strutture. Per alcuni è già cambiata.

Ksenia Mishonova, il difensore civico per i bambini nella regione di Mosca, ha ammesso che, da aprile, decine di bambini sono già stati assegnati alle “cure temporanee” di famiglie nel territorio della capitale. Il governatore della regione, Andreij Vorobyov, ha parlato espressamente di «preparare una opportunità di adozione» per questi bambini, facendosi ritrarre da una Tv privata mentre li accoglieva alla stazione, insieme con un gruppo di psicologi, che aveva il compito di farli sentire a loro agio il più possibile. Luoghi come quello di Romashka sono quindi dei veri e propri centri di smistamento per il loro nuovo futuro da cittadini russi, lontani dai propri cari e dalla terra in cui sono nati e strumenti nelle mani di Mosca per riequilibrare il saldo demografico del Paese.

Avvenire

Chi è Elivira Nabiullina, confermata da Putin alla guida della Banca centrale russa

È stata la prima donna a coprire la poltrona di governatrice tra le otto nazioni economicamente più forti. Ha guidato lo straordinario rimbalzo della valuta russa, che ha perso un quarto del suo valore pochi giorni dopo l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio

Agi

nabiullina banca centrale russa confermata da putin

AGI – Elvira Nabiullina, voluta da Vladimir Putin, alla guida della Banca di Russia, è stata la prima donna a coprire la poltrona di governatrice tra le otto nazioni economicamente più forti e da quando è iniziata la guerra in Ucraina è finita sotto i riflettori.

Cinquantotto anni, riservata, è considerata parte della cerchia ristretta del presidente russo, di cui è stata consulente economica prima di diventare banchiere centrale a metà del 2013: un mandato di quattro anni, seguito da un secondo mandato quinquennale e ora si avvia ad affrontare altri cinque anni.

In tutto questo tempo ha creato un baluardo contro le sanzioni occidentali seguite nel 2014 all’annessione della Crimea e all’inizio del conflitto nel Donbass, e ha dovuto combattere con la svalutazione del rublo e il crollo del prezzo del petrolio.

Nata a Ufa nel 1963, si è laureata all’Università Statale di Mosca, ed è stata poi selezionata per il programma World Fellows dell’Università Yale. È stata viceministro al ministero dello Sviluppo Economico e del Commercio nel 1997 e lo stesso Putin l’ha nominata ministro dello Sviluppo economico e del Commercio nel 2007, carica che ha ricoperto fino al maggio 2012.

Da maggio 2012 a giugno 2013, è stata consigliere di Putin per gli affari economici, prima di prendere il timone della banca centrale. Già nei suoi primi mesi di mandato Nabiullina ha mostrato la sua ostinazione smentendo le aspettative di chi credeva che sarebbe stata più ‘obbediente’ di fronte agli inviti del Cremlino di allentare la politica monetaria.

Ha guidato lo straordinario rimbalzo della valuta russa, che ha perso un quarto del suo valore pochi giorni dopo l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio. Da allora la banca centrale ha adottato misure aggressive per impedire a ingenti somme di denaro di lasciare il Paese.

Secondo quanto trapelato sulla stampa, tra smentite della banca centrale e del Cremlino, Nabiullina era all’oscuro dei reali piani militari di Putin e si sarebbe fermamente opposta all’invasione dell’Ucraina al punto di consegnare per due volte la lettera di dimissioni. Ma il leader del Cremlino si è rifiutato di accettarle. Anzi, ha inviato alla Duma la lettera per confermarla e alla fine di aprile, il Parlamento russo l’ha rinominata.

E proprio in un discorso al Parlamento, ad aprile, la governatrice ha messo in guardia sull’impatto delle sanzioni sull’economia russa sentenziando infine che “il periodo in cui l’economia russa può vivere sulle scorte è limitato”. Un messaggio allarmante che ha costretto Putin a intervenire per minimizzare affermando che era “fallito il blitz dell’Occidente”.

Da aprile la banca centrale ha tagliato il suo tasso di interesse di riferimento per ben quattro volte, dopo il rialzo di emergenza dal 9,5% al 20% a fine febbraio a seguito dell’invasione dell’Ucraina. La Banca di Russia ha abbassato venerdì 10 giugno il tasso di interesse di riferimento al 9,5% dall’11%, riportandolo al livello a cui era quando è iniziata la guerra, e ha dichiarato che sono possibili ulteriori riduzioni se l’inflazione continuerà a diminuire.

L’istituto ha rivisto le sue previsioni, stimando ora un aumento dei prezzi al consumo del 14-17% nel 2022, rispetto alla sua precedente previsione di un aumento del 18-23%. L’ultima volta i tassi erano stati ridotti dal 14% all’11% in una riunione straordinaria a fine maggio.

agi

Kim Jong-un a Putin, pieno sostegno alla Russia

Nel suo telegramma di congratulazioni al presidente russo Vladimir Putin in occasione della Giornata della Russia, il leader nordcoreano Kim Jong-un ha espresso pieno sostegno al popolo russo e al suo leader, nonché fiducia nell’ulteriore rafforzamento della cooperazione tra i due paesi “per proteggere la giustizia e la sicurezza nel mondo”, riferisce l’agenzia nordcoreana CTAC.

“Sotto la tua guida – scrive Kim – il popolo russo, superando coraggiosamente ogni sorta di sfide e difficoltà, sta ottenendo un grande successo nel condurre una giusta causa per proteggere la dignità, la sicurezza e i diritti per lo sviluppo del Paese, a cui il popolo nordcoreano da’ pieno supporto”.

“Sono sicuro – aggiunge il leader nordcoreano – che sulla strada per proteggere la giustizia internazionale e garantire la sicurezza globale, la cooperazione tattica e strategica tra i due paesi diventera’ ancora più stretta”.

Agi

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