La vera storia del Crocifisso di don Camillo

Settant’anni fa usciva il primo film della saga ispirata ai racconti di Giovannino Guareschi diretta dal regista francese Duvivier. Quello utilizzato sul set stava a Cinecittà, ora si trova a Brescello ed è una copia del Cristo custodito nella chiesa di Busseto: «I fedeli vengono qui e si confidano con lui, proprio come nel film», racconta il parroco don Luigi Guglielmoni

in Famiglia Cristiana

Della saga di don Camillo e Peppone si sa molto. Del “Crocifisso parlante” con il quale dialoga il pretone burbero e generoso inventato da Giovannino Guareschi in Mondo piccolo assai meno. Il 15 marzo 1952, settant’anni fa, usciva il primo film della saga che portò al cinema la bellezza di oltre 13 milioni di spettatori, risultando una delle pellicole più viste di tutti i tempi. Un successo che ben presto varcò i confini italiani sbarcando in Francia, Germania, Svezia, Stati Uniti, Inghilterra (dove la voce narrante era quella di Orson Welles) fino ad arrivare al Don Kamiro proiettato nel 1954 in Giappone.

E pensare che nessun regista italiano contattato dalla produzione accettò di girare Don Camillo: troppo controverso in termini politici, troppo rischioso in un periodo dove l’opposizione tra Pci e Democrazia Cristiana era all’apice della tensione. Dissero di no Mario Camerini, Vittorio De Sica, Luigi Zampa e Renato Castellani. Venne sondata anche Hollywood, dove la sceneggiatura fu molto apprezzata. Frank Capra si disse interessato ma era troppo impegnato in quel periodo. La scelta, alla fine, cadde sul francese Julien Duvivier che cambiò in parte la sceneggiatura, scatenando le ire di Guareschi che non era mai soddisfatto di come le sue indicazioni venivano realizzate nelle riprese.

Lo scrittore diceva che «il mio pretone e il mio grosso sindaco li ha creati la Bassa. Io li ho incontrati, li ho presi sottobraccio e li ho fatti camminare su e giù per l’alfabeto». Logico che il film dovesse essere girato nella Bassa parmense, bagnata dal Po e terra di grandi italiani, a cominciare da Giuseppe Verdi. Guareschi volle aprire il suo ristorante proprio accanto alla casa natale del Maestro, a Roncole di Busseto, per poter stare, diceva, “all’ombra di un grande”. Ora è sede dell’Archivio curato con grande dedizione dal figlio Alberto, custode tenero della memoria del padre che riposa nel piccolo cimitero di fronte insieme alla moglie Ennia (la Margherita dei suoi racconti) e la figlia Carlotta (la Pasionaria).

Dove girare dunque il film? Julien Duvivier non era convinto dei paesi indicati da Guareschi, come Fontanelle, Roccabianca (dove lo scrittore era nato nel 1908), Polesine, Busseto e decise di far perlustrare il circondario alla ricerca del paese giusto. «Ici, Ici voilà le pays», esclamò entusiasta il regista francese quando vide piazza Matteotti a Brescello, Reggio Emilia, dove è ancora possibile ammirare la campana Sputnik, il carro armato americano e la bicicletta di Don Camillo.

E il celebre Crocifisso che ora si trova nella chiesa ma arriva da Cinecittà come materiale di scena della saga e che qualche anno fa l’allora parroco di Brescello don Evandro Gherardi, ispirandosi proprio ai racconti di Guareschi, decise di portare in processione dal centro del paese fino alle rive del Po per chiedere a Dio la protezione dagli effetti devastanti delle piene del fiume e dalla siccità, un problema che quest’anno è diventato particolarmente drammatico. «Poi», racconta, «l’ho portato in processione, da solo, in una piazza vuota, nella Via Crucis del Venerdì Santo, durante il lockdown del 2020».

Duvivier nel suo peregrinare nella Bassa aveva visto il Crocifisso conservato nella Collegiata di San Bartolomeo a Busseto, la chiesa dove nel 1836 Verdi sposò la sua prima moglie, Margherita Barezzi, e se ne innamorò perché lo trovava perfetto per il film. Perché il Cristo ha la testa lievemente girata sul lato destro, come se stesse interloquendo con don Camillo e volesse voltare la testa quando il prete gli dice qualcosa su cui non è d’accordo, e un corpo longilineo e dalle lunghe braccia sottili, quasi per abbracciare tutti. Oggi svetta nella prima cappella a sinistra risalente al 1642 e restaurata nel 1846. Per questo sul sagrato della chiesa di Busseto ci sono i cartonati di don Camillo, interpretato dal mitico Fernandel, e Peppone, Gino Cervi.

«Si tratta», spiega il parroco di Busseto, don Luigi Guglielmoni, «di un Crocifisso ligneo, di grandi dimensioni, degli inizi del 1400, ottimamente conservato. Forse in origine era il Crocifisso dell’altare maggiore della bella chiesa iniziata nel 1339 per volere del marchese Uberto Pallavicino, poi ampliata e riconosciuta “Collegiata” con Bolla papale del 9 luglio 1436». Davanti all’icona c’è un cartello che spiega cos’ha a che fare con i film su don Camillo e Peppone.

«Il Crocifisso resta lì, in alto e silenzioso, invitando a sostare un momento e ad alzare lo sguardo oltre l’immediato», riflette don Luigi, «Guareschi è stato geniale nel far dialogare il Crocifisso con don Camillo. Ma quel Cristo in croce continua a “parlare” a quanti ogni giorno vengono ad accendere un cero, a consegnargli la propria croce e a cercare speranza».

Per girare il film, Vivier fece scolpire un Crocifisso sul modello di quello di Busseto in legno di cirmolo, un legno leggero perché Fernandel faceva fatica a portare pesi, con le teste di legno intercambiabili a seconda che nel film Gesù dovesse ridere, piangere o arrabbiarsi nei dialoghi con il prete. Finito il film, se ne erano perse le tracce. Poi è stato ritrovato in un magazzino di Cinecittà. I cittadini di Brescello hanno voluto riportarlo nella loro città, dove è stato restaurato e pulito e da cinquant’anni si trova nella chiesa parrocchiale, dove molti vanno a pregare e accendere un cero.

Busseto ha ispirato, Brescello ha conservato. Da oggetto di scena a oggetto di culto e di devozione popolare. Una storia che sarebbe piaciuta a Guareschi al quale San Giovanni XXIII, lettore avidissimo dello scrittore, voleva affidargli di scrivere un commento al Catechismo. Giovannino conobbe di sguincio l’idea papale. E se ne stupì.

Studiosi a confronto sul cinema e l’audiovisivo nella storia del cattolicesimo

Il convegno a Roma organizzato da Cast

In corso fino al 10 giugno a Roma il convegno internazionale “La storia del cattolicesimo contemporaneo e le memorie del cinema e dell’audiovisivo”, organizzato dal centro di ricerca Cast “Catholicism ad audiovisual studies”. Presentati gli studi in corso per la catalogazione e la conservazione di un patrimonio storico fondamentale

Offrire un primo “stato dell’arte” sulle fonti audiovisive e le pratiche di ricerca per lo studio della storia del cattolicesimo contemporaneo.  Questo si propone il convegno internazionale su “La storia del cattolicesimo contemporaneo e le memorie del cinema e dell’audiovisivo” organizzato oggi e domani a Roma, nel Centro Studi Americani di Palazzo Antici Mattei, dal Centro di ricerca Cast – “Catholicism and Audiovisual Studies” dell’Università Telematica Internazionale UniNettuno, con la collaborazione, tra l’altro, della Direzione generale Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura.

Le sfide aperte dalla svolta digitale

Oltre quaranta relatori, da questa mattina, si stanno confrontando sulle sfide “e le frontiere aperte dalla svolta digitale sia per le politiche di conservazione del patrimonio storico legato all’audiovisivo, sia però anche per le scelte metodologiche che caratterizzano i nostri progetti di ricerca accademica” ha spiegato nel discorso introduttivo il fondatore e presidente di Cast, monsignor Dario Edoardo Viganò, vice cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e di quella delle Scienze Sociali. Nel pomeriggio di giovedì, infatti, i direttori delle più importanti istituzioni cinetecarie italiane, dall’Archivio storico Luce alla Cineteca del  Centro sperimentale di cinematografia, moderati dal vicedirettore editoriale del Dicastero per la Comunicazione Alessandro Gisotti, dibattono proprio su questi argomenti in una tavola rotonda dal titolo “Il patrimonio cinematografico sul cattolicesimo: tecnologie digitali tra conservazione e descrizione, restauro e filologia del film”.

Protagoniste le istituzioni che conservano audiovisivi

Un importante appuntamento internazionale che ha chiamato anche a raccolta le istituzioni piccole e grandi di varia tipologia (cineteche, archivi, biblioteche) che conservano materiale audiovisivo legato a realtà cattoliche ed enti ecclesiastici “con l’intento – chiariscono gli organizzatori – di mappare l’esistente e procedere a un raffronto teorico e tecnico sulle pratiche d’archivio audiovisivo”.

Il caso mediatico di Don Vesuvio

Già nella mattina di giovedì, Massimiliano Gaudiosi, dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa ad esempio, ha presentato la ricerca avviata su documentari e programmi televisivi italiani e internazionali dedicati a “Don Vesuvio”, il soprannome del sacerdote napoletano Mario Borrelli, scomparso nel 2007, che nel secondo dopoguerra si travestiva da “scugnizzo” per vivere per alcuni mesi in mezzo ai senzatetto, fino a creare la “Casa dello scugnizzo” per aiutare almeno i più giovani ad inserirsi nella società. Di lui si occuparono a lungo media italiani e stranieri, aiutandolo così a raccogliere fondi per le sue opere benefiche. La ricerca di Gaudiosi, su documenti inediti dell’archivio privato del sacerdote, mira a far luce “su una figura il cui impatto sull’immaginario cattolico del dopoguerra è stato troppo trascurato”. “L’attenzione – spiega il ricercatore – sarà posta in particolare sulla grande disinvoltura con la quale un rappresentante del clero”, diventato rapidamente uomo di copertina e protagonista di film ed inchieste per cinema e tv, “sia riuscito a portare al centro dell’attenzione mediatica i problemi di Napoli e dei suoi giovani, mostrando però anche i progressi di un efficiente modello assistenziale”.

Vaticana News

“The Oratory”: dalle strade di Lagos il grido dei poveri e della terra

Presentato in anteprima in alcune sale cinematografiche d’Europa, il lungometraggio prodotto e diretto dal regista nigeriano Obi Emelonye che narra le vicende di un gruppo di ragazzi di Lagos la cui sopravvivenza, non di rado, si lega alla criminalità. Dietro uno scenario a tinte fosche, segnato dal degrado e dalla povertà, la luce della Laudato si’ nella moderna rivisitazione della figura di san Giovanni Bosco e nel desiderio dei giovani di contribuire alla causa dell’ambiente

Giovani in formazione al Don Bosco Child Protection Centre

“Entrerete molto in sintonia con questo film, perché stiamo promuovendo proprio la causa di Papa Francesco”. Così don Cyril Odia, salesiano originario della Nigeria, attualmente direttore del “Centro Santa Caterina” di Maynooth, Irlanda, e produttore esecutivo del lungometraggio ‘’The Oratory, St. John Bosco African Story’’, ha voluto subito mettere l’accento sulla connessione che esiste tra questo racconto e l’enciclica Laudato si’.  Si tratta di una rivisitazione moderna della figura di don Bosco e del carisma salesiano calato in una rete di relazioni e paesaggi africani. Uno spaccato sulla situazione di povertà e degrado presente oggi a Lagos, la città più popolosa della Nigeria, nella quale la cura per la Casa comune e per la legalità si rivelano invece tracce di salvezza umana e cristiana.

Nigeria: una terra dai mille volti

Collocato nella zona centro-occidentale dell’Africa, suddiviso in 36 stati, la Nigeria, tra i dieci più popolosi al mondo, è un Paese dai mille volti: si stima infatti una popolazione di 211 milioni di abitanti, ripartiti in circa 250 gruppi etnici ed è caratterizzato dalla presenza di oltre 500 lingue locali. Questa nazione, pur non essendo territorialmente la più vasta, si è ricavata una posizione di rilievo nell’Africa occidentale, per la sua vivacità culturale. Si tratta inoltre di uno dei pochi Paesi africani che ospita agenzie di produzione cinematografiche di rilievo, come la The Nollywood Factory, casa produttrice di “The Oratory”. La Nigeria com’è noto, risente anche di un sensibile squilibrio economico: secondo quanto dichiarato dal Nigerian Nation Bureau of Statistics nel 2020, il 40% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, dato questo, che potrebbe crescere in conseguenza alle difficoltà indotte dalla pandemia. Risuona ancora forte l’appello che monsignor Ignatius Kaigama, arcivescovo di Abuja, ha lanciato dalla parrocchia di San Matteo nel marzo 2021: “dare da mangiare agli affamati è un imperativo etico e una potente forma di preghiera” e la Chiesa è in prima linea per ascoltare questo grido. In un Paese già sofferente per lotte intestine, attacchi terroristici e rapimenti che minano costantemente la convivenza civile e i delicati equilibri di politica interna, si aggiunge l’emergenza ambientale, segnata negli ultimi 50 anni, da una folle corsa all’estrazione del petrolio, totalmente incurante del rispetto degli ecosistemi e dell’ambiente. Da terra incontaminata e rigogliosa, la Nigeria, si sta trasformando in uno scenario molto preoccupante dal punto di vista ambientale: le foreste sono state deturpate dalle opere al seguito del passaggio degli oleodotti, l’aria inquinata dalla tecnica del gas flaring e le acque contaminate al punto da compromettere l’intero settore dell’alimentazione.  In questo contesto si inserisce anche l’opera dei Salesiani in Nigeria, impegnati sulla scia tracciata dalla Laudato si’ sul fronte dell’ecologia integrale che richiede tanto la tutela della dignità dell’uomo, quanto quella dell’ambiente che lo ospita.

La missione salesiana a Lagos

La società nigeriana però appare molto dinamica e determinata a partecipare al cambiamento. D’altra parte l’età media della popolazione è piuttosto bassa, ma la gran parte dei giovani sembra non avere un grande futuro, anche se molti sono quelli che desiderano offrire le proprie energie e talenti alla cura della Casa comune. Lagos, pur non essendo la capitale, oltre ad essere la città più grande e popolosa, è anche il centro commerciale ed economico dello Stato. Per questo motivo, come ha spiegato don Augustine Okeke, direttore dell’opera salesiana, molti giovani lasciano le proprie case, attirati dalla possibilità di lavoro, denaro e benessere ma una volta arrivati qui “si rendono conto di essere soli e di non aver nulla, finendo a vivere per strada”. È proprio nella difficoltà che i ragazzi incontrano la presenza dei Salesiani, grazie ai quali trovano aiuto, sostegno morale e psicologico. Successivamente, attraverso l’aiuto degli enti pubblici, il supporto si sposta nel Centro salesiano per la protezione dei minori (DBCPC), all’interno del quale i religiosi vengono affiancati da operatori professionali, nell’opera di formazione e prevenzione. I Salesiani sono impegnati, in Nigeria, anche nel dialogo interreligioso con l’obiettivo di costruire, soprattutto attraverso l’apporto delle nuove generazioni, una società più inclusiva e improntata al dialogo.

La trama

“The Oratory” è un film che racconta la storia di don Michael Simmons, interpretato dall’attore Rich Lowe Ikenna. Don Michael è un prete salesiano di origini statunitensi che viene inviato nella parrocchia di Ikoyi, a Lagos, frequentata da gruppi di fedeli benestanti che non vedono di buon occhio che il loro parroco desideri occuparsi anche dei ragazzi di strada. Don Michael si interessa, in particolare, alle condizioni dei bambini di una baraccopoli chiamata Makoko, intrappolati in un sistema criminale che non permette loro di riscattare la propria esistenza e si prodiga per salvarne quanti più possibile fondando poi un oratorio, ispirato completamente all’opera di don Bosco. Va evidenziato, per comprendere meglio il contesto nel quale è stata ambientata buona parte del film, che nel 2012, alcuni ufficiali del governo nigeriano hanno tentato di eliminare l’insediamento di Makoko, ritenuto “imbarazzante per l’immagine della città”, attuando uno sgombero forzato e incendiando la baraccopoli, azioni che hanno innescato un effetto domino di disagi con ricadute pesanti sull’intera comunità cittadina. “La scelta di questa location – ha affermato don Odia, produttore esecutivo e consulente del film – è stata funzionale a mettere in evidenza le condizioni ambientali critiche, dovute all’inquinamento e alla povertà, tali da peggiorare ulteriormente la situazione di chi vive la precarietà in questo ambiente”. La pellicola è stata realizzata dalla The Nollywood Factory, una casa cinematografica nigeriana, in collaborazione con i Salesiani Don Bosco, ed è stata diretta dal regista pluripremiato Obi Emelonye, originario della Nigeria e ora residente nel Regno Unito. Il cast ha visto recitare insieme attori professionisti e decine di bambini provenienti proprio dalla baraccopoli di Mokoko: un’idea proprio di don Odia, secondo il quale le opportunità e le esperienze positive offerte ai giovani possono rafforzare l’autostima e orientare trasformazioni positive. La prima assoluta del film è avvenuta nel settembre 2021 a Dublino, suscitando interesse per la singolare iniziativa e riscontri di critica molto incoraggianti. In Italia il lungometraggio è stato proposto in anteprima nazionale nell’ ottobre 2021 all’interno del teatro di Valdocco, il luogo dal quale ha avuto origine e si è propagata nel mondo l’opera di don Bosco, e nel mese successivo è stato proiettato per la prima volta nelle sale di Lagos e Abuja, capitale della Nigeria.

Festival. A Todi il cinema indaga il tema del male

La ricca rassegna “Mysterium iniquitatis” proietta sino al 2 maggio i grandi film di Friedkin, Malik, Avati, Sokurov che hanno come tema il diavolo, introdotti da sacerdoti e uomini di cultura

Il film "Faust" di Alexander Sokurov

Il film “Faust” di Alexander Sokurov

Avvenire

«Di cosa parliamo quando parliamo di diavolo? Una domanda ancora necessaria per l’uomo moderno che non smette di sperimentare le atrocità del male, tra guerre e violenze indiscriminate». Una presenza, tanto più attiva quanto più rimossa dalla cultura contemporanea, cui l’associazione “CineMA- Cinema Medicina dell’Anima” dedica la rassegna filmica Mysterium iniquitatis: all’insegna del politicamente incorretto. L’ampia galleria di capolavori con protagonista il diavolo (sotto il patrocinio del comune di Todi e della diocesi Orvieto-Todi, e a cura della associazione CineMA-Cinema Medicina dell’Anima) sarà proiettata nella centralissima sede della Vetrata sotto i Voltoni dei Palazzi Comunali che si è aperta il 21 aprile per concludersi il 2 maggio.

Occasione per fruire di gioielli del cinema ma anche per interrogarsi su domande comuni a tutti, credenti o meno. Perché tanto male nel mondo e da dove viene? Possiamo difenderci o dobbiamo rassegnarci al suo imperversare? Un suggestivo intervento di monsignor Nazzareno Marconi sul Diavolo nella Bibbia ha aperto le giornate fissando i termini del problema. «Il male – ha ricordato lo studioso – viene dal cuore dell’uomo quando si allontana da Dio e il diavolo vince quando riesce a separare l’uomo da Dio…dal greco “diabàllo” che significa separare».

Un primo esempio dell’interferenza diabolica nelle vicende umane si è avuto con Vojtassak. I giorni dei barbari, film di Alberto di Giglio e Luigi Boneschi sulle persecuzioni staliniane. Sarà poi il turno del capolavoro di Terrence Malik (25 aprile, 20.45) che con La sottile linea rossa ha mostrato come un film di guerra possa essere, oltre che spettacolare, di alto profilo etico-metafisico.

Martedì 26 aprile doppio appuntamento: Don Vladimiro Bogoni che parlerà alle 19.00 di “Esorcismi e preghiere di liberazione” seguito dall’intenso Requiem di Hans Christian Schmid sul male sacro dell’epilessia. Il 27 aprile è protagonista Al Pacino in L’avvocato del diavolo di Taylor Hackford, pellicola sul libero arbitrio di fronte alla possibilità del male. Verrà introdotto da don Darek Kowalesky, parroco di San Terenziano, a proposito delle tentazioni sataniche nel mondo contemporaneo.

Anche il 28 e il 29 aprile doppi appuntamenti. Padre Carmine De Filippis parlerà della presenza del demonio nella nostra società a precedere Il rito, film con protagonista Anthony Hopkins. In questo interessante mistery di Mikael Hafstrom un seminarista americano giunto in Italia per studiare gli esorcismi vedrà messa a rischio la sua fede. Il 29 sarà lo psichiatra Tonimo Cantelmi (20.45) a introdurre in chiave scientifica il celeberrimo L’esorcista di William Friedkin. Uno dei poemi più noti dedicati al demonio è il Faust goethiano: l’omonimo film di Alexander Sokurov, proiettato il 30 aprile alle 20.45, racconta la storia della clamorosa caduta dell’angelo superbo.

 

Primo maggio stesso orario in compagnia di Pupi Avati e del suo horror padano Il signor Diavolo, sapido affresco di un’Italia anni ‘50 ancora profondamente cattolica. Chiude il 2 maggio un poeta contemporaneo come Davide Rondoni a confronto (ore 19.00) con le presenze luciferine dei Fiori del male di Baudelaire. Film di congedo con una nota di luce sarà un altro capolavoro di Terrence Malik con La vita nascosta. Un obiettore di coscienza si rifiuta di combattere per i nazisti: il maligno, in definitiva, non ha l’ultima parola

Annaud: «La mia star è Notre-Dame»

Nel tardo pomeriggio del 15 aprile 2019 il mondo restò attonito e col fiato sospeso davanti all’incendio che stava devastando la Cattedrale di Notre-Dame di Parigi, simbolo della cristianità e capolavoro dell’arte mondiale. Nelle strade di Parigi, il traffico impazzito e migliaia di parigini e turisti con il naso all’insù di fronte alle fiamme, nel fondato timore di vederla crollare da un momento all’altro. A ricostruire le 24 ore che precedettero la mattina del 16 aprile 2019, quando finalmente l’incendio venne dichiarato sotto controllo, è il regista francese Jean-Jacques Annaud nello spettacolare film Notre-Dame in fiamme. Non un documentario, ma un vero e proprio film molto documentato che, con il taglio del thriller e i mezzi di un kolossal, ricostruisce dettagliatamente la impari lotta dei servizi di emergenza e l’eroismo dei pompieri contro la potenza devastante del fuoco, fra ritardi, imprevisti e difficoltà.

Ma il regista de Il nome della rosa e Sette anni in Tibet, racconta anche la sofferenza dei fedeli e l’avventura dei responsabili della cattedrale parigina e dei sacerdoti che rischiarono anch’essi la vita per salvare le preziosissime reliquie custodite nella cattedrale. Si arriva così a un gran finale epico e mistico, con le grandi campane che suonano mosse dai getti d’acqua dei pompieri, sostenuti dall’Ave

Maria cantata dai fedeli nelle strade. Finché all’alba un raggio di sole illumina il volto della celebre statua della Madonna con bambino che pare sorriderci davvero.

Prodotto da Wildside, Pathé, TF1 Film Production, Jérôme Seydoux e François Pinault, il film Sky Original sarà al cinema dal 28 marzo e dal 15 aprile su Sky Cinema e in streaming su Now, a tre anni esatti dal tragico rogo che scoppiò proprio all’inizio della Settimana Santa.

Maestro Annaud, lei dov’era allora?

Ero nella regione della Vandea, in una casa in cui la televisione era guasta. Accendendo la radio, ho scoperto il dramma in corso a Notre-Dame. Non ho visto la tragedia quella sera, ma l’ho immaginata. Conosco molto bene la cattedrale. Da bambino ho inaugurato la mia prima macchina fo- tografica ritraendo la Strige della Galleria delle Chimere.

Come è venuta l’idea di farne un film?

Alla fine del 2019 Jérôme Seydoux, il presidente di Pathé, mi ha chiamato per fare un film di montaggio con materiali d’archivio. Leggendo i documenti ho scoperto un’affascinante catena di contrattempi, ostacoli e malfunzionamenti. C’erano tutti gli elementi per una sceneggiatura di finzione: nel ruolo di protagonista, una star internazionale come Notre-Dame. L’antagonista: un demone spaventoso e carismatico, il fuoco. Fra i due, delle persone umili pronte a sacrificare la propria vita per salvare delle pietre. Ho deciso di fare un film: l’8% per cento sono immagini d’archivio (abbiamo ricevuto 6000 fra video e foto da soccorritori e passanti) che si integrano con la fiction. L’interno di Notre-Dame era inaccessibile, ma ho avuto il permesso di girare sul sagrato e, alla fine, anche se con grandi restrizioni di sicurezza, pure al suo interno: un’esperienza commovente. Così abbiamo ricostruito in studio a grandezza naturale una gran parte della navata principale, le scale a chiocciola, i corridoi esterni, la struttura del transetto nord e l’interno del colossale campanile. Le scene dell’incendio sono state spettacolari, complesse e anche rischiose.

Nel film si intrecciano tante storie, fra cui quelle di chi ha rischiato la vita per salvare le reliquie.

Ci sono molti eroi, tutti personaggi commoventi. Fra questi vediamo il personale della cattedrale che mise in salvo la Corona di spine di Cristo, che rimase per 10 secoli nelle mani dell’impero romano d’Oriente, acquisita da re Luigi IX nel 1239 per una cifra esorbitante, il budget del funzionamento della Francia. Eppure la maggior parte dei francesi ignoravano che a Parigi ci fosse una delle più preziose reliquie della cristianità come la Sindone.

Una curiosità, nei titoli di coda nel cast appare fra gli attori la statua della vergine Maria.

La statua della Madonna è l’incarnazione del personaggio centrale, la cattedrale. Notre- Dame per me è una donna sublime, la più celebre delle attrici. Io abito a pochi metri dalla cattedrale, le passo davanti tutti i giorni e le parlo. Le chiedo «come stai?», «stai meglio? », «penso che questo incidente ti renderà più bella di prima». La adoro.

Lei è un non credente che però riesce a raccontare come se lo fosse il senso della fede.

Ho molto rispetto per le religioni in generale e per il cattolicesimo, per il raccoglimento e la fede che provano gli altri. Sono battezzato anche se vengo da una famiglia atea, laica e repubblicana, ma ricordo come intorno ai 10-12 anni abbia sentito una sorta di mancanza. L’ho compensata sviluppando un amore per l’architettura medievale delle chiese gotiche e romaniche che da ragazzo ho fotografato migliaia di volte: i miei genitori erano sorpresi. Quando entro in una cattedrale, piccola o grande, qualcosa dentro mi attira. Io non ho la fede e mi dispiace per questo.

Lei per preparare il film ha girato anche in altre cattedrali.

Ho girato in alcune delle cattedrali dello stesso periodo o dello stesso stile: Sens, la prima cattedrale gotica al mondo, Saint-Denis, costruita con lo stesso calcare, Amiens e soprattutto Bourges. Ho avuto una relazione di tenerezza e affetto straordinari con le autorità religiose, sono le prime persone che ho incontrato, e dal personale laico, a partire da quelle di Notre-Dame. La cosa bella è che i sacerdoti venivano sul set, e mi faceva piacere che vedessero che tutti avevano rispetto per le loro cattedrali. Ho beneficiato del loro sostegno morale e amicale senza nessuna restrizione.

Come è stata l’accoglienza del film in Francia?

Eccezionale, soprattutto da parte della stampa cattolica. Sono molto toccato di avere onorato la religione e la spiritualità, perché penso che sia tanto necessario nel mondo di odio intorno a noi. In un un mondo di differenze sociali sempre più accentuate, amo vedere che esistono ancora dei posti di preghiera e di meditazione. Non possiamo vivere in un mondo di violenza, odio e non rispetto per gli altri. La prima libertà è offrire la libertà agli altri. Sono felice di avere fatto un film che ci unisce nella speranza.

Il film è soprattutto un grande omaggio al sacrificio dei vigili del fuoco e alla loro competenza.

La maggior parte dei pompieri mi ha parlato di vocazione, parola che per me è associata ai voti religiosi. I pompieri sono gli eredi di coloro che non vogliono solo avere successo, la vita non è solo una bella auto: ho trovato in loro una specie di serenità. La felicità non sono i soldi, ma sentirsi in comunione con gli altri e sapere di essere utili. C’è bisogno di riformare questo mondo che da un secolo in qua ci sta portando sulla cattiva strada e alla catastrofe totale.

Cos’è per i francesi Notre-Dame?

Per i francesi è la cattedrale della capitale, per i turisti uno dei monumenti più visitati al mondo. È il simbolo dell’Europa cristiana, della civilizzazione dominante dopo la cultura grecolatina. Questo incendio ha turbato il mondo. È il simbolo di una civiltà che crolla? Il sacro aggiunge enorme significato. Se brucia Versailles è un peccato, ma non è un luogo di preghiera sin dai tempi del neolitico. Ma i francesi non avevano completamente realizzato quanto questa cattedrale fosse importante per l’umanità.

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Dal 28 marzo nelle sale e dal 15 aprile su Sky Cinema lo spettacolare film di Jean-Jacques Annaud “Notre-Dame in fiamme” che ricostruisce l’incendio di tre anni fa. «Adoro le cattedrali, sento nostalgia della fede»

Il film “Notre Dame in fiamme” racconta l’incendio del 15 aprile 2019. Al cinema a e su Sky Cinema

Jean-Jacques Annaud

Il Dio nascosto (nei film)

Un titolo impegnativo, «Il Dio nascosto: quando il sacro si traveste da profano», per indagare quella spiritualità segreta, talvolta confusa e contraddittoria, ma spesso sorretta da una fede autentica, che un certo cinema contemporaneo ha indirizzato verso l’Alto, pur prelevandola da una quotidianità fragile, ambigua e provocatoria. Attraverso quattro saggi critici sul tema, il nuovo numero di Filmcronache, la rivista dell’Ancci (Associazione nazionale circoli cinematografici italiani), si muove dunque lungo le tracce di quei film (e di quegli autori) in cui la presenza di Dio appare spesso offuscata dalle seduzioni, dagli inganni e dalle miserie dell’incompiutezza umana.

Nel suo intervento, Tomaso Subini, docente di Cinema, fotografia, televisione e nuovi media all’Università degli Studi di Milano, si interroga su «Che cos’è un film religioso?», ponendo una domanda di fondo alla quale, dagli anni ’50 e ’60, hanno cercato di rispondere studiosi, ricercatori e istituzioni, esplorando nel contempo le liste ’ufficiali’ dell’epoca, contenenti opere controverse come

Francesco giullare di Dio o Il Vangelo secondo Matteo. «Dietro le divise: il ‘mestiere’ della fede» è invece il contributo del direttore di Filmcronache, Paolo Perrone, che in un’ampia panoramica, sospesa tra la beatitudine celeste e il precipizio terreno, rintraccia in alcuni recenti film come Corpus Christi, Agnus Dei, Maternal, Gli occhi di Tammy Faye e Beginning la veicolazione di una fede nutrita di preghiera e testimonianza, ma anche, non di rado, affaticata da sofferenze interiori e crisi vocazionali.

Nel suo intervento, intitolato «Imago Dei, fra natura e mito», Francesco Crispino, docente di cinema, film-maker e scrittore, evidenzia poi come un universo di simboli, mitologie e memorie ancestrali (e film come La vita nascosta-Hidden life, The Book of Vision, Non cadrà più la neve, Valley of the Gods, Piccolo corpo e Re Granchio) rimandino ad un Dio immanente e pervasivo, capace di manifestarsi in tutta la sua potenza a chi si dispone ad accoglierlo. Infine, con «Titane: un viaggio nuovo (e antichissimo) nella vita», padre Guido Bertagna, gesuita, già direttore del Centro culturale San Fedele di Milano, analizza a tutto campo il film di Julia Ducournau, Palma d’oro di Cannes 2021: una parabola postmoderna e postumana su un amore capace di accogliere l’altro oltre ogni ragionevole attesa. Il numero di

Filmcronache in uscita in questi giorni (disponibile gratuitamente in versione digitale negli store Apple e Google) sarà la base teorica per organizzare rassegne tematiche nei Cinecircoli e nelle Sale della Comunità.

“Hallelujah”, lo spirito di Cohen

Inviata a Venezia

Hallelujah del cantautore canadese di origini ebraiche Leonard Cohen (scomparso il 7 novembre 2016 ad 82 anni), è uno dei brani che vanta più cover al mondo, basti solo pensare a quelle di Bob Dylan e Jeff Buckley. E pensare che quando uscì nel 1984 nell’album Various positions non ebbe alcun successo, anzi, la casa discografica nemmeno voleva pubblicarlo. I retroscena della sua pubblicazione sono al centro del ricco documentario Hallelujah: Leonard Cohen, A Journey, A Song di Daniel Geller e Dayna Goldfine. L’idea alla base del film era quella «di ricostruire la genesi di questo pezzo, lavorando sui tanti materiali dell’epoca» per «evidenziare gli aspetti più profondi di Hallelujah, un brano così spirituale e carnale al tempo stesso».

Così la regista Dayna Goldfine a Venezia racconta alla mostra di Venezia l’origine della pellicola, presentata ieri nella sezione Fuori Concorso che racconta il percorso umano e artistico del cantautore, proprio attraverso il brano cult Hallelujah.

Oltre trecento ore di materiale, molto del quale mai mostrato prima, in un documentario che intreccia tre filoni creativi, il cantautore e la sua epoca, il percorso drammatico del pezzo, dal rifiuto da parte dell’etichetta discografica alla vetta delle classifiche le testimonianze toccanti di grandi artisti. «Questo progetto è un’indagine sul successo e l’impatto internazionale di Hallelujah diventato colonna sonora di momenti importanti della vita, come matrimoni e funerali sino alle commemorazioni delle vittime del Covid e la cerimonia di insediamento del Presidente Usa nel gennaio 2021» spiega la regista. Un brano che unisce riferimenti biblici a Davide, Betsabea, Sansone e Dalila, ma anche un racconto di laica sensualità. «Il documentario sulla canzone fa riferimento alle domande più profonde sulla fede, lo scetticismo, il credere e il pensiero laico» aggiunge la regista. Approvato per la produzione da Leonard Cohen poco prima del suo ottantesimo compleanno nel 2014, il film passa in rassegna un vasto repertorio di materiale d’archivio inedito proveniente dal Cohen Trust, inclusi gli appunti personali, i giornali e le fotografie del cantautore canadese unitamente a filmati di sue esibizioni, nonché preziose registrazioni audio e interviste. Testimonianze come quelle della cantante Judy Collins, che ha dato a Cohen la sua prima opportunità di esibirsi dal vivo, e John Lissauer, che ha prodotto e arrangiato molte delle canzoni di Cohen, inclusa la versione originale di Hallelujah.

Angela Calvini

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