La Pastorale giovanile è anzitutto «con» i giovani

Don Federico Battaglia è un giovane sacerdote della diocesi di Napoli. Nato a Torre del Greco, opera a Trecase del Vesuvio, un ambiente che fonde agio e disagio e si presenta per lo più cementificato, ma ha una grande area verde da valorizzare.

Ho avuto il piacere di conoscere don Federico l’anno scorso, a Molfetta, durante un incontro diocesano per giovani e a distanza di tempo ho voluto ricontattarlo, per conoscerlo meglio, per approfondire il suo modo di far pastorale che già mi aveva incuriosito.

Don Federico ha una formazione tecnico-scientifica, è musicista e si è laureato in Ingegneria delle comunicazioni, si è pagato gli studi suonando (ovunque: nei club, in chiesa, alla Reggia di Caserta) e poi si è accostato alla fede. Man mano che faceva discernimento, dovette interrompere una lunga relazione sentimentale, per poter abbandonarsi ad un amore ancora più grande e incondizionato. Una delle capacità che lo caratterizzano dal percorso in seminario è riuscire ad aggregare persone, giovani in particolare, attraverso la musica.

Oggi collabora anche con la Pastorale giovanile. Il suo obiettivo è «intessere relazioni con la musica». Insieme ad un professore di italiano, è riuscito a metter su una band di italo-migranti. Giovani autoctoni e stranieri che stanno insieme grazie allo sport e alla musica, perché «sono linguaggi che non hanno bisogno di traduzioni». Don Federico, insieme ad altri volontari, sta incontrando le scuole di ogni ordine. Al di là dell’accoglienza, prova a favorire l’integrazione, nonostante difficoltà burocratiche, e attivare relazioni virtuose. «Occorre ascoltare il territorio, promuovere gli oratori, fare in modo che i giovani evangelizzino altri giovani, sensibilizzare per una coscienza ecologica e magari avviare una cooperativa tra giovani del posto e migranti, ciascuno con le proprie competenze».

Don Federico ha una vera e propria passione per i giovani, li supporta e li coinvolge come meglio può. Anzitutto rivolge loro inviti a stare, a passare del tempo insieme, a dare una mano per distribuire un panino ai senzatetto. Con un pullmino regalato da papa Benedetto XVI durante la Giornata diocesana dei Giovani nel 2007, la Pastorale Giovanile si prende cura almeno una volta a settimana di chi non ha famiglia, vive per strada, è solo. Magari non tutti i giovani vanno a messa, ma non si sottraggono a essere utili, anche senza costanza, però fa la differenza il contatto, la vicinanza.

«La mia realtà periferica può diventare un pezzo di Paradiso» mi ha detto questo giovane sacerdote. Il territorio in cui agisce è un meltin’pot: «arrivano migranti e poi ci sono i giovani autoctoni che se ne vogliono andare. Chi ha voglia di fare, parte. L’unica istituzione che viene percepita è la Chiesa che sta accanto. Anche il mondo della scuola è disponibile».

C’è molto da lavorare, da costruire, da tentare. «Noi non abbiamo delle soluzioni, ma proviamo ad avviare percorsi» perché «la mia voce funziona solo se sta in un coro. Senza contesto attorno, poi divento un solista».

Ecco allora che la Pastorale giovanile diventa efficace se alle parole si accompagnano azioni, gesti, interventi, tentativi; se i giovani sono protagonisti e destinatari di progetti di solidarietà, di apertura, di scambio interculturale e umano. Una Pastorale per giovani può funzionare se sa arrivare al bisogno di relazione di ogni giovane, indistintamente; se non lo giudica perché non è capace di credere completamente all’amore di Dio, ma lascia aperte porte e spazi; se sa trasmettere la bellezza della vita, nonostante la povertà di prospettive attorno.

Sarebbe bello quindi parlare meno di Dio e provare a farlo conoscere (o riconoscere) di più attraverso le esperienze di ogni giorno.

in vinonuovo.it