Via Crucis a Reggio Emilia dalla Ghiara alla Cattedrale

Via Crucis a Reggio Emilia, 7 aprile 2023

laliberta.info

Venerdì 29 marzo la Via Crucis cittadina di Reggio Emilia parte dal sagrato della basilica della Ghiara e arriva in Cattedrale percorrendo corso Garibaldi e via Farini.
Il ritrovo è per le ore 21 e lungo il percorso verso la Cattedrale sono previste quattro soste (stazioni).
Lungo Corso Garibaldi, la Croce si fermerà nei pressi di Palazzo Magnani e in piazza del Cristo. In seguito, procedendo lungo via Farini, la processione sosterà all’altezza della chiesa di San Giorgio e si fermerà sul sagrato della Cattedrale dove è prevista la quarta stazione.

Ad animare e guidare ogni sosta saranno alcune delle associazioni ecclesiali presenti in Diocesi. Interverranno: Azione Cattolica Diocesana, Movimento di Comunione e Liberazione, Associazione Giuristi Cattolici, Movimento Familiaris Consortio e Rinnovamento nello Spirito.

La conclusione della Via Crucis, la quinta stazione, avverrà all’interno della Cattedrale dove interverrà l’arcivescovo Giacomo Morandi al termine del quale sarà possibile sostare per un momento di adorazione della Croce.

In caso di maltempo la Via Crucis si svolgerà all’interno della Cattedrale.

Via Crucis. La via del Calvario facendoci toccare dalla vita del mondo


Signore, nostro Dio e nostro Padre,
ti domandiamo la conoscenza
della Croce del tuo Figlio.
Donaci di contemplarlo
come l’ha contemplato Giovanni, il testimone fedele;
come l’hanno contemplato i primi cristiani,
e Stefano negli ultimi momenti della sua vita.
Donaci, Padre, di contemplare la gloria
che hai dato a tuo figlio e che risplende nella Croce.
Rendici partecipi della contemplazione
dei santi Padri della Chiesa,
dei santi e dei mistici di tutti i tempi,
di coloro che hanno dato la loro vita per la fede
e che hanno perdonato a chi faceva loro del male.
Te lo chiediamo per Gesù
che ha perdonato i suoi nemici,
per questo Gesù che è il Messia,
il Cristo nostro Signore, che vive per sempre. Amen.
(C.M. Martini)

Prima stazione

L’ingiustizia, vicina e lontana, che abita la realtà.

Gesù viene condannato. C’è il potere religioso, parole che reclamano la verità del volere di Dio come se fosse un’evidenza legale. C’è il potere politico, parole che costringono e cancellano la dignità delle persone. In mezzo Gesù, condannato: lo immaginiamo di spalle, senza volto, uno e nessuno, con le mani legate dietro la schiena, impotente. Eppure sono mani che hanno accarezzato, che hanno abbracciato, che hanno guarito, che hanno rassicurato. Quante mani abbiamo lasciato legare?

Seconda stazione

[2 giugno 2023 – Europa Today] Dopo la riconquista di Kabul da parte dei talebani, si sono moltiplicate in Europa le promesse di accoglienza nei confronti dei cittadini afghani in fuga dal regime fondamentalista. Ma a quanto pare alle parole non hanno seguito i fatti. Lo scorso anni nell’Unione europea sono stati reinsediati solo 271 afghani, lo 0,1% dei 270mila identificati come bisognosi di protezione permanente nei campi profughi. L’International Rescue Committee – organizzazione non governativa globale per gli aiuti umanitari, il soccorso e lo sviluppo che fornisce aiuti di emergenza e assistenza a lungo termine a rifugiati e sfollati – ha accusato i leader del blocco di “sconcertante negligenza” nei confronti dei rifugiati afghani, molti dei quali rimangono intrappolati in condizioni “simili a quelle di una prigione” sulle isole greche.

La trave orizzontale della croce, sulle spalle del condannato, è così pesante che schiaccia verso terra. La mano di Gesù sembra che vi si aggrappi, quasi cercasse sollievo in ciò che l’opprime, quasi tentasse di capirne il senso. Accanto e intorno, altre mani legate, altri condannati che urlano di dolore. Dietro e attorno volti beffardi, occhiaie vuote, indifferenza, parole di fastidio. E anche due volti segnati dalla sofferenza, confusi tra la folla il discepolo amato e la madre, che sono ancora, anche qui, accanto a Lui.

Terza stazione

[16 settembre 2023 – SkyTG24] Un anno di scontri, violenza, morte e repressione. Un anno di grida, sorellanza, speranza e coraggio. Per le donne iraniane c’è un prima e un dopo il 16 settembre 2022. Lo spartiacque è nel volto di una ragazza dai capelli neri. Il suo nome, Mahsa Amini, sarà urlato da milioni di donne in tutto il mondo. Le donne scendono in strada, gridano il suo nome, si tagliano i capelli e bruciano gli jihab in pubblico. L’Iran, insieme all’Afganistan è uno dei due unici Paesi del mondo dove l’uso dello jihab è obbligatorio per legge (la legge sull’obbligo del velo è in vigore dal 1981, poi modificata nel 1983). Le manifestazioni esplodono a Teheran lo stesso giorno della morte di Amini, arrivano in fretta alla sua città natale e ad altre città della provincia del Kurdistan, per poi estendersi a macchia d’olio in tutto il Paese. In strada scendono donne e uomini di diverse età e appartenenza sociale, gli studenti sono protagonisti. In risposta alle proteste il governo blocca Internet a partire dal 19 settembre 2022.

Le mani di una donna reggono il telo che ha asciugato il sangue e il sudore di Gesù, uno dei condannati. È come se il sangue e l’acqua, l’ultimo segno di vita che il corpo del condannato lascia uscire, si fossero già offerti in ricompensa a chi ha avuto compassione di lui: su quel velo resta impresso il suo volto, ed è il volto della compassione. Veronica, “vera immagine” della pietà: la sua per noi, la nostra per lui e per tutti quelli che la vita ha reso “sfigurati”.

Quarta stazione

[16 dicembre 2023 – La Repubblica] “Costretti a combattere”: l’incubo degli ucraini ora sono le agenzie di reclutamento forzoso… A Kiev, una mattina di novembre, verso le otto, Romain Mille si è sentito precipitare in un pessimo film d’azione. Mentre stava camminando per andare al lavoro, un minivan bianco ha inchiodato accanto a lui. La portiera scorrevole si è spalancata e due ceffi in mimetica sono saltati fuori e hanno cercato di trascinarlo nel veicolo. «Mi sono salvato soltanto perché ho tirato fuori il passaporto francese», ci racconta al telefono. I due tizi che volevano rapirlo in mezzo alla strada – un terzo era rimasto al volante col motore acceso – hanno fissato per un po’ il passaporto, poi si sono messi a ridere e se ne sono andati.

Attorno a Cristo, lungo la via angusta, c’è ora folla e tante mani che si levano. Quelle del condannato sembrano una cosa sola con la trave che lo opprime e gli spezza le spalle. Quelle della gente attorno, soprattutto donne con i loro figli, sono livide, si coprono il volto, ma l’orrore dilaga negli occhi e sulle labbra. Come sostenere il dolore? Come portare aiuto al condannato, sottratto con violenza alla vita, alla cura e all’affetto di chi gli ha voluto bene? Non c’è risposta: il dolore rende muti. In alto, come uno spiraglio o una speranza, il sole.

Quinta stazione

[21 febbraio 2024 – Avvenire] «Nelle prime ore del 15 febbraio – ricostruisce Medici senza Frontiere – veniva colpito il reparto di ortopedia dell’ospedale Nasser, la struttura sanitaria più grande nel sud di Gaza, provocando il caos e uccidendo e ferendo un numero imprecisato di persone. Temendo per la propria vita, i membri dello staff dell’organizzazione sono dovuti fuggire dal complesso lasciando dietro di sé diversi pazienti in gravi condizioni. Tutto questo è avvenuto dopo settimane di pesanti combattimenti nei pressi della struttura, in cui il personale medico, i pazienti e gli sfollati si sono ritrovati intrappolati con un accesso molto limitato alle forniture essenziali. All’esterno, molte persone ferite a causa degli intensi bombardamenti a Khan Yunis non hanno potuto raggiungere l’ospedale per ricevere cure di emergenza».

Sotto un cielo dilatato e un pallido sole Gesù stramazza al suolo, il volto sfigurato, ridotto a una massa indistinta, una poltiglia; del corpo è come se restassero solo le mani. Com’era già accaduto al Getsemani: «Cadde con la faccia a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora» (Mc 14,35). L’ora non passa, anzi il suo peso si aggrava. Occorre attraversare anche questo. Quale preghiera è possibile mentre si sale verso il colle della morte? Quale animo occorre per affrontare una solitudine così grande? Perché questo abbandono?

Sesta stazione

[20 novembre 2023 – Italo D’Angelo, Interris.it] In questi giorni in cui si parla delle troppe violenze che coinvolgono le donne, io posso solo dire: non perdonate! Difendetevi. La violenza si sviluppa in modo graduale, quasi sempre crescente e ciclico. Gli episodi violenti crescono di intensità nella vita quotidiana fino allo scoppio della tensione, a cui segue un periodo di calma fino all’episodio seguente: minacce, aggressioni verbali, umiliazioni, percosse, omicidio. C’è un’altra violenza, che non è meno grave delle altre. Come può un essere umano pensare che quella ragazzina che si prostituisce, a bordo della strada, nel freddo d’inverno o sotto la pioggia o il sole d’estate, lo faccia liberamente? Eppure giovani, anziani, uomini di ogni genere, pensano con pochi euro di poter comprare la dignità di una persona. “Ma fanno il mestiere più vecchio del mondo…?”. Sì, e se fosse tua figlia, magari disoccupata, quel “mestiere” glielo faresti fare? No. Come diceva don Oreste Benzi: non è il mestiere più vecchio del mondo, ma l’ingiustizia più vecchia del mondo.

Lo sguardo si allarga, la scena comprende anche gli altri condannati; due, o forse molti di più, in una uccisione di massa per risparmiare tempo e personale. Le mani e i piedi sono inchiodati: non c’è più un luogo dove andare, strada da fare, gesti da compiere. Le travi, pesanti e massicce, sono il segno di tutte le oppressioni – fisiche e mentali – che donne e uomini soffrono. Nei volti dei condannati si intravedono tutti i volti immersi nel buio della sofferenza, senza giudizi, senza categorie. Nella sua via dolorosa Gesù porta con sé chiunque sperimenti violenza, ingiustizia, sopraffazione e abbia nel cuore una nostalgia. Se è vero che Gesù muore “per” noi, ci sorprende e commuove vedere che Lui muore “con” noi.

Settima stazione

[26 gennaio 2024 – Wired] L’Alabama è il primo stato al mondo a eseguire una condanna a morte costringendo un detenuto a inalare azoto puro. L’azoto è presente nell’aria che respiriamo, ma se inalato in mancanza totale di ossigeno può causare in poco tempo la perdita di conoscenza e la morte. Kenneth Smith, 58 anni, è in carcere dal 1998. Condannato all’ergastolo dalla giuria, la sua pena è stata commutata in condanna a morte dal giudice. Alle 19 ore locale – le 2 di notte in Italia – del 25 gennaio nel carcere di Atmore Smith è stato tratto nella sala dell’esecuzione, dove – dopo essere stato legato al lettino dell’esecuzione – è stata apposta una maschera sul volto per coprire naso e bocca e far fluire azoto puro a pressione, in modo da impedirgli di assorbire ossigeno. Una morte per asfissia, la prima al mondo. Il condannato è morto alle 20.25 locali, circa un’ora e mezza dall’inizio dell’esecuzione. L’inalazione forzata è durata 22 lunghissimi minuti. L’uomo, all’inizio cosciente, ha poi avuto spasmi e contorsioni causate dal dolore, prima di morire.

La morte di Cristo: un corpo senza più respiro né forza, lacerato e abbandonato su un legno; ridotto a un rottame, lo hanno buttato “fuori”. Pallidissimi, i volti e le mani di Giovanni, Maria la madre e la Maddalena, sono immersi nelle tenebre, come se la pietra avesse già chiuso il sepolcro. I vangeli ricordano che, alla sua morte, il velo del Tempio si squarciò (Mt 27,51). Dietro quel velo era occultata la Presenza, il Dio invisibile. Ora quel velo è diventato inutile, distrutto e reso insignificante proprio da quella morte. Ora il volto di Dio si rivela: è il volto del Crocifisso. Quel corpo infatti nasconde un Dio che ama e che – in quella morte, in quell’abbandono, in quella lacerazione – si “svela” perché la oltrepassa.

Ottava stazione

I ‘media’ mostrano il volto di Lyudmila, madre di Aleksej Navalny: ferma nella sua intenzione a non far passare sotto silenzio le continue irregolarità e omissioni che riguardano la salma del figlio, consegnatole infine – dopo minacce e ultimatum – insieme a un certificato che stabilisce la morte per «cause naturali». La vedova Yulija Navalnya intanto accusa Putin di «satanismo» e «paganesimo», puntando il dito sul fatto che la tanto sbandierata vicinanza del presidente russo alla chiesa ortodossa si sia dimostrata con questa vicenda una vicinanza opportunistica e di facciata. «Sta violando qualsiasi legge, sia umana che divina», ha detto.

Il corpo deposto dalla croce riposa pacificato sul corpo della madre, quasi un ritorno all’utero che lo aveva generato. Le mani, ora, sono quelle dell’affetto, della custodia, della protezione, della cura. Quelle di Cristo appaiono trafitte dai chiodi. La morte rimane, con la sua illusione di predomini, ancora non è sconfitta, ma ha già perduto la sua preda. La vita appare e resiste nella “pietà”, che guarisce e consola. È già un preludio di risurrezione.

Nona stazione

L’attesa, l’ostinazione, la speranza di chi vive, grida, aiuta, non si rassegna.

In fondo all’oscurità di un sepolcro trova posto un cadavere. Ma c’è luce, non si sa come, e l’intuizione di una vita pronta a esplodere. La corona di spine, scherno e dolore, diviene corona di gloria. Il volto, che appena si indovina sotto il telo, tornerà vivo per donarci la “sua” pace. E questo è un canto di speranza che sorregge l’attesa. Ogni Via Crucis è un cammino di dolore per le strade del mondo, il punto di arrivo è il “riposo del sabato santo”, oltre il quale – nella fiducia e nella speranza talvolta “contro ogni speranza”, ci viene dato di accogliere con stupore la luce e la gioia della Pasqua.

Conclusione

O Cristo, nostro unico mediatore, Tu ci sei necessario:
per vivere in Comunione con Dio Padre;
per diventare con te, che sei Figlio unico e Signore nostro, suoi figli adottivi;
per essere rigenerati nello Spirito Santo.
Tu ci sei necessario,
o solo vero maestro delle verità recondite e indispensabili della vita,
per conoscere il nostro essere e il nostro destino, la via per conseguirlo.
Tu ci sei necessario, o Redentore nostro,
per scoprire la nostra miseria e per guarirla;
per avere il concetto del bene e del male e la speranza della santità;
per deplorare i nostri peccati e per averne il perdono.
Tu ci sei necessario, o fratello primogenito del genere umano,
per ritrovare le ragioni vere della fraternità fra gli uomini,
i fondamenti della giustizia, i tesori della carità, il bene sommo della pace.
Tu ci sei necessario, o grande paziente dei nostri dolori,
per conoscere il senso della sofferenza
e per dare ad essa un valore di espiazione e di redenzione.
Tu ci sei necessario, o vincitore della morte,
per liberarci dalla disperazione e dalla negazione,
e per avere certezze che non tradiscono in eterno.
Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio-con-noi,
per imparare l’amore vero e camminare nella gioia e nella forza della tua carità,
lungo il cammino della nostra vita faticosa,
fino all’incontro finale con Te amato, con Te atteso,
con Te benedetto nei secoli. Amen.
(S. Paolo VI)
in vinonuovo.it

Via Crucis in Santo Stefano

Partecipazione, raccoglimento, silenzio hanno contrassegnato la Via Crucis che la parrocchia dei Santi Agostino, Stefano e Teresa ha organizzato la sera di venerdì 31 marzo.

Piazza Ugolini, l’ospitale cortile dell’Istituto delle Figlie di Gesù e infine l’antica parrocchiale di San Stefano sono stati i luoghi scelti per le stazioni.

Le meditazioni sono state proposte dalle bambine e dai bambini del catechismo che assieme ai loro genitori hanno letto i brani del Vangelo, i commenti e le intenzioni di preghiera.

La Via Crucis è stata guidata dal parroco don Luca Grassi; al suo fianco il diacono Vittorio Magnanini che reggeva la croce astile; nella stazione conclusiva in chiesa sono stati significativamente alcuni bimbi a sostenerla.

L’iniziativa è stata coordinata da Paola Zanetti, Cinzia Carapezzi, Elena Bonini e Lara Montruccoli con il supporto di suor Giampaola Poli e Simone Buffagni.

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Via Crucis, il percorso in città a Reggio Emilia Venerdì 7 aprile

Venerdì 7 aprile la Via Crucis cittadina si snoda dalla basilica della Ghiara alla Cattedrale percorrendo corso Garibaldi e via Farini.
Il ritrovo è fissato per le ore 21 sul sagrato della Ghiara. Il percorso verso la Cattedrale prevede quattro soste (stazioni).
Lungo Corso Garibaldi, la Croce si fermerà nei pressi di Palazzo Magnani e in piazza del Cristo. In seguito, procedendo lungo via Farini, la processione sosterà all’altezza della chiesa di San Giorgio e si fermerà sul sagrato della Cattedrale dove è prevista la quarta stazione.

Ogni stazione sarà guidata e animata da una associazione ecclesiale diocesana. Interverranno: Azione Cattolica, Movimento Focolarini,
Comunione e Liberazione, Rinnovamento nello Spirito.

La conclusione della Via Crucis avverrà all’interno della Cattedrale dove interverrà l’arcivescovo Giacomo Morandi e sarà possibile sostare per un momento di adorazione della Croce.

In caso di maltempo la Via Crucis si svolgerà all’interno della Cattedrale. 
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La “Via Crucis” del carcere

di: Dario Crotti (a cura)

Dario Crotti è Cappellano della Casa Circondariale di Pavia. Con i detenuti, i loro familiari, gli educatori e i volontari della cappellania, ha organizzato la Via Crucis cittadina del Venerdì Santo scorso. Vengono qui riproposte le meditazioni nelle stazioni.

via crucis

C’è un testo a mio avviso fondamentale per la nostra cultura e spiritualità cristiana: La Via Crucis del povero, di don Primo Mazzolari nella quale si afferma, a memoria: «Chi ha poca Carità, vede pochi poveri, chi ha tanta Carità vede tanti poveri, chi non ha nessuna Carità, non vede nessuno, solo sé stesso».

In carcere non si può non sentire Il grido della terra e il grido dei poveri: è un urlo continuo, che, come il vento chiuso in una scatola, continua a soffiare e a muovere dentro la propria umanità.

Da cappellano del carcere – esperienza che, al di là del ruolo, vivo da molti anni, precisamente dal 1996, da seminarista – più vado avanti e più mi immergo nel grido, nel dolore scomposto di chi cerca di dire: anch’io esisto!

Certo, non posso mai scordare la voce, il volto, di chi è vittima del reato, delle tante vittime innocenti, ma davvero devo ogni volta, guardare, dietro il reato, con lo sguardo della fede, tutto quello che non c’è stato nella vita: diritti negati, infanzia abusata, trascurata, occasioni perdute; come diceva il card. Martini: «chi è orfano nella casa dei diritti, difficilmente sarà cittadino nella casa dei doveri».

Le meditazioni che seguono nascono dal desiderio dei parroci della città di Pavia dopo un appello ad una raccolta straordinaria a favore dei detenuti: raccolta che ha fatto emergere il volto bello e caritatevole delle parrocchie e di tante persone credenti e non credenti, quindi per pregare la Via Crucis cittadina con le meditazioni di persone uscite dal carcere.

Come cappellano e cappellania – la comunità di base che cerca di rispondere ai tanti bisogni del carcere – abbiamo semplicemente cucito i testi che amici e amiche, dentro e fuori dal carcere, hanno composto e condiviso a modo di scrittura collettiva.

Detenuti, loro familiari, un’educatrice del carcere, un magistrato, una catechista e una giovane volontaria… tutte e tutti insieme, fratelli e sorelle, ci siamo ritrovati e riconosciuti sotto la Croce, malfattori bisognosi di una salvezza che solo dall’alto possiamo ricevere e accogliere.

Si tratta di testi semplici che, lo scorso venerdì 8 aprile, hanno avuto una forte risonanza nel duomo gremito di persone.

Basta, dunque, considerare il carcere come un luogo di malavita! Il carcere è una preziosa comunità cristiana, generativa, che permette, in uno spazio ristrettissimo, di essere a contatto con il mondo intero, da cui non possiamo prescindere; è il terreno favorevole alla fraternità universale, all’annuncio di un dono che – chi ci sta – non può trattenere per sé.

Sono convinto che la lettura di questi testi possa fare compagnia a tutti nei momenti più bui, personali e collettivi: far intravvedere una luce, una via che il Signore apre a partire dal di dentro.

I Stazione: Gesù è condannato a morte

Meditazione di un detenuto

Ricordo don Tonino Bello, quando su un crocifisso lesse un cartellino lasciato dai pittori che l’avevano appoggiato al muro per tinteggiare la parete ove era affisso: COLLOCAZIONE PROVVISORIA. Credo che sia proprio così: “ognuno ha la sua Croce”.

La vita mia è stata un calvario. Io credo che la Croce sia la vera Chiesa, quella delle famiglie con a casa un figlio o una figlia diversamente abile o diversa dai canoni della cosiddetta normalità, bisognosa di cure in ogni momento del giorno, nel mettersi a servizio degli altri, nella sofferenza di genitori che donano tutto il tempo per accudire e prendersi cura. Vedo la Croce nei bambini che vivono la fame e che muoiono sotto le bombe degli uomini che dovrebbero proteggerli.

La Croce è sempre lì, ferma, come un monito: guarda cosa possono fare i fratelli ad altri fratelli!

Dove abito adesso, ci sono alte mura a protezione perché dalla strada non si veda cosa succede all’interno. Cosa posso dirvi? Devo aver navigato per tante sofferenze e aver vissuto forse per giungere fino a questo giorno per capire che la vendetta non serve. Può sembrare appagante, ma non è così: il perdono è molto di più, sfuggente, quasi come un’utopia.

Ma io non voglio più vivere quei giorni: scelgo di vivere, di andare avanti, scelgo di perdonare. Vi assicuro che avete il mio più totale perdono; arriverà il giorno in cui tutto questo odio dovrà finire. Solo il perdono può, perché la sofferenza passa, mentre il sofferto ti rimane addosso e non se ne va via più.

Solo noi possiamo cambiare le cose, rovesciare le prospettive, come quando nei nostri drammi ci riscopriamo migliori di come pensavamo di essere.

Se dovessi scegliere tra Dio e la Verità non avrei alcun dubbio: sceglierei Dio. La mia mamma è devota della Madonna, mi ha insegnato a vedere la bellezza e la forza che ha l’Amore per gli altri e per me stesso. Se dovessi scegliere tra lei e i princìpi e le ideologie, tra il potere e il denaro, non avrei alcun dubbio: sceglierei la mia mamma.

III stazione: Gesù cade per la prima volta

Meditazione di una persona che ha vissuto l’esperienza del carcere

Abbiamo letto: Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui: il castigo che ci dà salvezza… può apparire un controsenso; il castigo è una punizione, la punizione che si infligge a chi ha commesso una colpa e la punizione, specie se la colpa è grave; viene fatto di associarla a un che di irreversibile. Insomma, vai all’Inferno, restaci e portane il marchio!

Il castigo che, addirittura, ci dà salvezza viene a dimostrarcelo, viene a darcene esempio: il Figlio di Dio dovette venire perché non lo capivamo!

Anni fa non avrei compreso quanta verità è contenuta in una così sintetica asserzione: il castigo ci dà salvezza.

In fondo, anche sul dizionario si legge “Il castigo è una punizione che si infligge a chi ha commesso una colpa, con lo scopo di correggerlo” e la correzione, in una dimensione e visione più ampia, altro non è che la salvezza, la liberazione da tutti i mali.

Ebbene, il carcere è il castigo per chi ha commesso alcuni errori.

In quanto “castigo” – vuoi nella concezione cristiana, vuoi nell’accezione terrena da vocabolario – deve portare ad una correzione.

È così per definizione. È statuito dal Signore e sancito dalle umane norme.

Garantisco che il carcere, in alcuni casi, di certo nel mio caso, salva addirittura la vita e permette ai tuoi occhi di apprezzare una diversa visione di tutto ciò che ti circonda, mutando la percezione di ciò che ti ha avviluppato nella vita precedente; quella vita condotta, appunto, nel gregge sperduto, quella vita spesa, appunto, nell’iniquità. Il carcere può. Il carcere deve, giacché sin dal 1947, nella Costituzione, fu ben mutata la finalità della carcerazione: da mera punizione, a “castigo” correttivo, la rinomata “ri-educazione”.

Il carcere, quindi, non deve essere inteso, da noi che ne siamo fuori, come un luogo oscuro e ignoto, di cui nulla si sa, ma rassicurante. Vi si passa di fronte, si guarda di sfuggita e la sua presenza rasserena, dato che colà, quasi fosse un buco nero, il male scompare!

Nossignori, colà si entra, ma pure si esce!

Colà, quindi, devono essere concentrati i nostri sforzi, a prodigarci sempre più affinché il castigo compia la sua finalità: porti la salvezza, la redenzione, la correzione.

Pochi sono i pastori che portano orientamento al gregge smarrito, colà racchiuso. Più illuminata deve essere la visione dello strumento punitivo! Nel mondo dei reclusi ho trovato ispirazione; ho scoperto la dimensione dei derelitti, ossia degli abbandonati, delle persone rimaste o lasciate sole, prive di appoggi e di aiuti, e per lo più anche nell’indigenza. È a loro che penso, ad ogni piè sospinto nella mia nuova vita.

C’è stato chi fu trafitto per le nostre colpe e schiacciato per le nostre iniquità. Non possiamo certo emularlo, ma adoperiamoci affinché il suo esempio e le sue indicazioni, plasmino le nostre azioni quotidiane. Adoperiamoci, quindi, affinché il castigo giustamente inflitto al carcerato, sia realmente correttivo e dia compimento e senso al sacrificio di Colui che, per farci capire, dovette caricarsi delle nostre sofferenze ed addossarsi i nostri dolori. È facile! Basta davvero poco e, soprattutto, basta la curiosità di voler capire come funziona un carcere e il mondo che racchiude.

IV stazione: Gesù incontra la Madre

Meditazione della mamma di un giovane detenuto

Seguire il cammino di Gesù in questo momento di quaresima è vivere un momento di sofferenza e di compassione: la fede è molto importante in questo momento, mi aiuta a sentirmi ancora più vicina a Gesù e a trovare le risposte alla confusione della mente. Tutta la mia comunità prega per lui e per noi, questo è sentire ancora più forte la fede che da sempre ha accompagnato la mia famiglia.

“Io non posso giudicarti
ma posso cercare di aiutarti,
questo aiuto avrei voluto dartelo prima,
purtroppo mi è sfuggito il tuo disagio.
Ti chiedo scusa.
Non è finita la tua vita,
anzi si ricomincia insieme, e più forti di prima.
La rabbia fa sparlare,
e io ti voglio bene esattamente
come il primo giorno che ti ho visto.
Ma l’amore ne ha il sopravvento
e ti voglio bene esattamente
come il primo giorno che ti vidi nascere.
Ti rivedrò e il cuore batterà forte esattamente come quel primo giorno di vita, sarà una nuova nascita.
Ogni giorno prego Maria,
mamma come me e mi dà un po’ di conforto,
mi sento vicina a te e spero che
le mie preghiere ti arrivino nel cuore.

V stazione: Gesù viene aiutato dal Cireneo

Meditazione di una giovane volontaria

Simone tornava dai campi e Simone non ha scelto. Sono queste le due immagini che il brano mi ha suscitato.

I campi mi rimandano all’idea della quotidianità: la croce viene messa addosso a Simone in un giorno qualunque, al termine della giornata quando rientra dal lavoro. Non si parla di occasioni speciali, di momenti premeditati, dove si ha il tempo di prepararsi. Simone non ha il tempo di scegliere, di capire se è all’altezza o meno di quanto gli viene chiesto.

Queste due immagini mi parlano degli amici del carcere: di un’umanità che si riscopre giorno dopo giorno; nella semplicità, nella quotidianità e nella costanza dei momenti di incontro. Di un’umanità davanti alla quale non ci si può preparare, ma solo presentare a mani aperte.

E, infine, c’è la croce che porta sembianze difformi sui volti delle persone che ho incontrato: ingabbia l’anima e qualche volta anche il corpo, fa respirare a fatica, non fa più vedere la luce, né tanto meno la bellezza che vi potrebbe circolare attorno.

Chi decide di farsi carico di quella croce, di alleviare anche per poco il peso di colui che la sta portando, sa che in quella stessa croce passa un po’ anche della sua liberazione. E così la croce, da peso che grava sulle spalle, si fa salvezza.

VI stazione: Veronica asciuga il volto di Gesù

Meditazione di una catechista

Il volto sporco, sudato e insanguinato che la Veronica asciuga lo rivedo nei volti degli uomini che incontro in carcere. Sono volti segnati dalle cadute, dalle umiliazioni, dalla solitudine, dai giudizi e dai pregiudizi. Sono volti di padri, di mariti, di figli, di fratelli. Sono volti di persone che si portano addosso il peso del fallimento, dell’incapacità di risollevarsi, della paura di non farcela. Eppure, dietro quelle maschere fatte di fragilità e debolezza, ci sono altri volti, più profondi, più veri, che colpa e peccato non possono offuscare.

Come catechista mi faccio compagna di viaggio in un cammino per riscoprire quella tenerezza, quella umanità, quella bellezza che c’è in ognuno e che è parte di una bellezza più grande, di un Amore infinito, di un Dio capace di dipingere con lacrime, polvere e sangue l’immagine più bella e più vera di sé.

Il volto di Gesù impresso nel telo della Veronica diventa allora il riflesso di quei volti e di quelle vite desiderose di essere riscritte, di essere trasformate, di essere impregnate di quella Grazia e di quello Splendore capace di trasformare ogni errore in opportunità.

VII stazione: Gesù cade per la seconda volta

Meditazione di un giovane detenuto

In vita mia non avrei mai pensato di entrare in carcere, ma certi avvenimenti mi hanno portato ad essere la persona sulla strada che conduceva a queste quattro mura.

Sono convinto che Cristo da qui mi faccia vedere e sentire meglio il peso della sua Croce e del dono che fa di sé stesso, fino in fondo, per cancellare i nostri peccati, compresi i miei, intrisi di odio e di sentimenti negativi verso una vita che per me era un sistema che mi disgustava, senza più apprezzare i doni più grandi: la mia famiglia, l’Amore, il mio lavoro e le amicizie.

Delinquendo, ero consapevole di fare del male, e per un periodo era quello che mi riusciva meglio: dentro, la mia anima soffriva, come una vittima di guerra. Poi l’arresto, l’umiliazione davanti ai miei compaesani e la consapevolezza di tutto il dolore che avrei portato a tutti i miei cari.

Come il Cireneo, in carcere ho trovato chi mi poteva aiutare ad alleviare il peso della Croce; ho riscoperto il dono della fede, che avevo da tempo messo da parte a causa di alcune perdite e vicissitudini violente. In cuor mio ho dovuto accettare e placare tutto ciò per una pace interiore e con Dio, anche di fronte a figure come il Pubblico Ministero che mi ha condannato a tutto questo: solo l’Amore per la mia famiglia e la fede mi hanno dato la forza di guardare in faccia i miei errori e cercare di risolvere tutto ciò.

La vita qui è dura, ma cerco di affrontarla prendendola di petto e con gioia, nonostante tutto, attendendo l’ora di rimettermi in gioco e sperando di recuperare ciò che ho perso e lasciato in sospeso fuori.

La libertà e le piccole cose bisogna apprezzarle sempre, soprattutto quando ti sembrano scontate, ma in realtà valgono più dell’oro, e se si vuole di più o si ha bisogno di aiuto, basta impegnarsi onestamente e chiedere: “Chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto, cercate e troverete”.

Concludo con un pensiero per tutte le persone che – come hanno fatto su Gesù – si mettono prontamente a giudicare, deridere, prendere in giro: errare è umano, perseverare è ignoranza, ma perdonare e accoglierci nelle nostre fragilità ci rende più nobili e più umani.

Anche in carcere si possono trovare persone così, con un animo nobile; non fermiamoci alle apparenze, perché ingannano.

VIII stazione: Gesù incontra le donne di Gerusalemme

Meditazione della moglie di un detenuto

Essere donna – figlia, sposa e madre – e vivere l’esperienza di tuo marito che finisce in carcere è quasi impossibile da spiegare, come impossibile è spiegare quali sentimenti si provano. Anche perché noi siamo sempre stati una famiglia semplice, senza precedenti, senza avere a che fare col mondo della giustizia.

Siamo arrivati in Italia anni fa: prima mio marito che, con fatica, ha messo le basi perché noi potessimo raggiungerlo per pensare ad un futuro migliore, a una scuola buona per le nostre figlie e nostro figlio. Già questo non è semplice: imparare una lingua, costumi, modi nuovi di fare, ma ci siamo presi questo peso sulle spalle, proprio come Maria e Giuseppe che sono scappati per dare un futuro di vita a Gesù.

Tutto sembrava andare bene, ma poi, in un giorno incredibile, siamo entrati in un incubo: quando mio marito è entrato in carcere, anche il carcere è entrato a casa mia, a casa nostra. Niente contatti, nessuna notizia, se non pian piano attraverso il cappellano che ha sempre fatto da ponte tra noi e lui, venendoci anche a trovare a casa. Piccolo segno di una speranza, che a volte sembrava nascere, a volte, per le notizie del processo e la lunghezza dei tempi, sembrava essere inghiottita nel buio dell’incertezza.

È dura arrivare la sera a cena, quando il figlio e le figlie ti chiedono: quando torna? Cosa dice l’avvocato? Chissà cosa starà facendo, adesso, papà in carcere?

Queste domande dette ad alta voce, queste semplici domande, mi hanno insegnato a non tenere tutto dentro; chiedere, bussare, cercare come dice Gesù nel Vangelo, è la via da seguire: abbiamo – ho bisogno – di parlare con qualcuno, di chi mi ascolti per dire quello che mi passa nel cuore o, a volte, di stare in silenzio con le mie lacrime, ma davanti a qualcuno.

Beati voi che ora piangete, perché riderete: è questa la beatitudine che stiamo provando, come famiglia credente, con tutte le sue fatiche. Siamo convinti che questo momento di dramma porterà i suoi frutti; è una Croce che non avremmo mai voluto, ma la prendiamo; attraversiamo questo momento con la guerra che c’è intorno a noi, certi che siamo in cammino verso la luce, la Risurrezione e la Pasqua.

X stazione: Gesù è spogliato delle sue vesti

Meditazione di una educatrice del carcere

Nel mio lavoro di funzionario giuridico pedagogico entro in relazione con le storie di tanti uomini, tutti accomunati dall’essere detenuti per le colpe commesse e, per questo, spogliati, dal loro ingresso in carcere, della libertà, della condizione sociale e così della propria dignità.

Sono uomini spesso inermi, alcuni con problemi psichiatrici, privi del necessario per poter sperare e credere in un riscatto sociale. Molti non hanno riferimenti familiari né risorse affettive e lavorative. Per questo sono sempre più esasperati nella loro “povertà”.

Ho scelto di fare questo lavoro perché credo nell’uomo, credo che anche le condizioni peggiori hanno un senso, sono preziose e utili. È qui, nelle realtà più buie, che, come figli di Dio, siamo chiamati a fermarci per aiutare l’altro a ripartire. Ogni uomo, anche l’ultimo degli ultimi, deve essere messo nelle condizioni di comprendere la gravità dei propri atti, pagare per le colpe commesse e avere le condizioni per ricostruirsi come “persona nuova”.

Tutto questo richiede un lavoro molto difficile e faticoso, si parte dal conoscere l’uomo e la sua storia. Ogni giorno raccolgo le sofferenze, la rabbia, il dolore e anche le cattiverie più nascoste di uomini per i cui percorsi di recupero sono necessari strumenti e risorse che spesso mancano… e così, tante volte, troppe volte, quella stanca e impotente mi sento io.

Più calano le tenebre e più la luce brilla anche dove tutto sembra perso: è prezioso quando si riesce a far entrare, in questo contesto di povertà e di sofferenza, un messaggio di luce che viene dalla realtà esterna. Non posso non ringraziare sentitamente diverse opere di volontariato grazie alle quali e con le quali si lavora per cercare di “coprire” tante nudità e sofferenze.

Signore Gesù, nudo sulla croce, aiutami ad essere anch’io nuda davanti a te.

via crucis

XII stazione: Gesù muore in croce

Meditazione di un magistrato

“Ha vissuto una vita sacrificata.” Lo sentiamo dire di persone la cui esistenza è stata caratterizzata da esperienze difficili, faticose, che le hanno indotte a rinunciare a qualcosa o a molto che desideravano.

A ognuno di noi può capitare di dover fare sacrifici o, talvolta, di sentirsi sacrificati, di sentirsi diminuiti da qualcosa che ci coinvolge negativamente e che non possiamo evitare.

Chi vive, subisce, sopporta, teme l’esperienza del carcere, sa bene cosa significa essere sacrificati nella libertà e negli affetti familiari. Allora ci si chiede che senso ha e cosa viene dopo il momento del sacrificio, se non la speranza che esso non sia fine a sé stesso, ma offra nuove possibilità di vita.

E in questa prospettiva conforta la frase di Gesù nell’ultimo momento della sua vita terrena.

XIII stazione: Gesù è deposto dalla croce

Meditazione di un detenuto in affidamento presso una Comunità

Sono di origine marocchina e di credo musulmano, ma partecipo volentieri a questo momento di preghiera con i fratelli cristiani. In carcere la convivenza, anche se forzata, mi ha fatto incontrare più da vicino la Chiesa, le parole e i gesti di tanti uomini e donne cristiani, e ho potuto ammirare da vicino il loro operato pur in mezzo a tante difficoltà.

La Croce è come il giudizio: ci rimani inchiodato, fissato per sempre nel tuo sbaglio in quello che eri, e per gli altri sei e sarai solo quello.

Un giorno mi è stata proposta la comunità e il cammino di liberazione dalla dipendenza che essa propone: anche la dipendenza è essere inchiodati, fissati a un modo di fare e di essere che annulla il tuo futuro: sei impantanato e non ne esci più.

Ho accettato questa opportunità, ho potuto uscire dal carcere, accompagnato: non mi sembrava vero; facevo fatica a guardare la campagna, le strade, le case perché non più abituato a guardare lontano; per quattro anni solo muri, corridoi e porte ben chiuse.

Entrare in comunità per me ha significato essere deposto dalla Croce, essere tolto dai chiodi che mi fermavano a quella vita – non vita. Ora tocca a me, perché a volte sono le mie scelte che possono rimettermi i chiodi: la scelta della libertà va portata avanti ogni giorno, ogni minuto.

Chiedo a Dio di aiutarmi a vivere da libero: la libertà è sempre da conquistare, messa un passo davanti a noi; è come un tesoro fragile, e lo puoi perdere per una stupidata.

Vi lascio con una mia poesia, segno di questa mia sete di libertà:

La libertà non ha un prezzo, qui,
non rimane che far scattare la mia fantasia
e nessuno può impedirmi, o condannare,
la mia bellezza interiore;
intorno a me non ci sono angeli.

Sveglio la mia mente,
ogni volta che apro la finestra,
con fatica osservo il cielo,
e comincio a contare le stelle
dimenticando da quanto tempo sono qui e quanto mi rimane;
sorrido alla luna, come se avessimo una sorta di complicità:
pensiero libero e anima pulita.
La bellezza ovunque: e campi di grano e api che ballano sulle rose.

Il giudizio degli uomini che mi hanno condannato,
fa parte del mio passato
ecco la realtà: non mi perdono; mi giro e trovo blindi ben serrati.

Tante semplici cose a cui nel passato
ho dato valore inutile,
adesso piango perché questo posto
non è fatto per noi.
Saluto la luna e chiudo le finestre
poi mi sveglio con il rumore delle chiavi del povero assistente
e, a guardarlo in faccia, mostra un’espressione
come se fosse come noi legato.
È amara la realtà e ci affidiamo alle nostre speranze.

settimana news

È il senso del dolore che salva. La grande certezza di chi crede

Giovani sposi, nonni, migranti. Nelle meditazioni della Via Crucis con papa Francesco i tanti volti dell’universo familiare. Per protesta i media ucraini non hanno trasmesso il solenne rito
Le due donne ucraina e russa alla Via Crucis al Colosseo

Le due donne ucraina e russa alla Via Crucis al Colosseo – Ansa

Tutte le famiglie del mondo sotto la croce. Famiglie alle prese con i drammi del quotidiano e le tragedie della storia. Famiglie che però vogliono andare oltre la sofferenza. Perché sanno che dopo il Venerdì Santo viene la Risurrezione. O perché ha toccato con mano il dolore dei loro popoli dilaniati dalla guerra, ma neanche questo può scalfire la loro amicizia. Così è per Irina (ucraina) e Albina (russa), che portano la croce alla XIII stazione, guardandosi con le lacrime negli occhi. È la stazione del grido di Gesù, poco prima di morire: «Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

Nei giorni scorsi, da Kiev, voci contrarie a questa iniziativa si sono levate non senza suscitare sorpresa e sconcerto, al punto che i media ucraini (anche cattolici) non hanno trasmesso la Via Crucis. Un’ulteriore ferita. Ma a vederle lì, lungo il sentiero della croce disegnato intorno al Colosseo, le due donne sono la personificazione della ricerca di una pace difficile sì, ma non impossibile. Perché nulla è impossibile a Dio e perché sotto la croce non c’è – e non ci può essere più – né giudeo né greco, come direbbe san Paolo. Viene mutata la meditazione che accompagna questo momento: «Di fronte alla morte il silenzio è più eloquente delle parole. Sostiamo pertanto in un silenzio orante e ciascuno nel proprio cuore preghi per la pace nel mondo». Così si prega. E il silenzio si protrae per lunghi secondi.

Sentimenti che verranno ripresi nella preghiera finale del Papa, che non tiene il discorso finale, ma invoca: «Tienici per mano, come un Padre, perché non ci allontaniamo da Te; converti al tuo cuore i nostri cuori ribelli, perché impariamo a seguire progetti di pace; porta gli avversari a stringersi la mano, perché gustino il perdono reciproco; disarma la mano alzata del fratello contro il fratello, perché dove c’è l’odio fiorisca la concordia. Fa’ che non ci comportiamo da nemici della croce di Cristo, per partecipare alla gloria della sua risurrezione».

Sono immagini, parole, suggestioni della via Crucis del Venerdì Santo tornata nella sua sede naturale, dopo l’interruzione dovuta al Covid. Francesco è là, segue il percorso in profondo raccoglimento dal terrapieno di fronte al Colosseo. E sono là, insieme con oltre 10mila fedeli, anche le famiglie scelte, in questo anno dedicato al nucleo fondamentale della società, per portare la croce nelle quattordici stazioni.

Una coppia di giovani sposi, una famiglia in missione, sposi anziani senza figli, una famiglia numerosa, una famiglia con un figlio disabile, una famiglia che gestisce una casa famiglia, una famiglia con un genitore malato, una coppia di nonni, una famiglia adottiva, una vedova con figli, una famiglia con un figlio consacrato, una famiglia che ha perso una figlia e una famiglia di migranti, oltre alle due donne, una russa e una ucraina, di cui si è già detto.

Nelle meditazioni viene declinata la sofferenza. Ma soprattutto la speranza. La guerra in Ucraina, emerge in tutta la sua tragedia. Nella meditazione poi sostituita c’erano domande che comunque risuonano nei cuori di tutti: «Dove sei Signore? Dove ti sei nascosto? Perché tutto questo? Quale colpa abbiamo commesso? Perché ci hai abbandonato? Perché hai abbandonato i nostri popoli? Perché hai spaccato in questo modo le nostre famiglie? Perché non abbiamo più la voglia di sognare e di vivere? Perché le nostre terre sono diventate tenebrose come il Golgota?».

Ma non c’è solo la guerra. Anche la quotidianità può fare paura. Per i giovani sposi è «la paura di una separazione, perché a tanti coniugi è accaduto». Per la famiglia in missione «il dolore e la sofferenza di una madre che muore di parto e per di più sotto le bombe». Per chi non è riuscito ad avere figli, la paura di restare soli. Per chi ha un figlio disabile (gli era stato consigliato di abortire: «Sarà un peso per voi e per la società») il dover affrontare il giudizio degli altri. Per chi ha perso il marito o addirittura un figlio il confrontarsi con l’ombra della morte. Persino a chi all’inizio ha avversato l’idea che il proprio figlio potesse diventare prete, la croce può fare paura. Così come alla famiglia dei migranti: «Siamo qui, sopravvissuti. Percepiti come un peso. Numeri, categorie, semplificazioni. Eppure siamo persone». Ma sono loro in fondo a dire l’ultima parola. La più importante. «Se non ci rassegniamo è perché sappiamo che la grande pietra sulla porta del sepolcro un giorno verrà rotolata via». È il senso del dolore che salva. La grande certezza di chi crede.

Avvenire

Via Crucis con Charles de Foucauld

Charles de Foucauld sarà canonizzato il prossimo 15 maggio, più di cento anni dopo la sua morte (1 dicembre 1916), anch’egli vittima nascosta e ‘marginale’ di un conflitto sanguinoso. La sua vita – dalla conversione in Francia alla Trappa, dalla Palestina al deserto algerino – le sue parole, la sua scelta di sequela del Cristo, la sua spiritualità di Nazareth, la sua fratellanza universale come meta da raggiungere nel servizio e nella quotidianità erano profetici un secolo fa e sempre più dimostrano la loro attualità, in questo XXI secolo, bagnato da guerre, divisioni, disuguaglianze, sopraffazioni. Una vita continuamente spesa, la sua, per l’Altro e per gli altri, fino all’estremo dono di sé.
Se ci sono dei ‘modi’ per essere cristiani nel tempo di oggi, Charles de Foucauld senz’altro li ha intravisti, li ha vissuti, li ha intuiti quasi tutti.
Facciamoci guidare da lui nella meditazione della via crucis di oggi.

I stazione

Gesù nell’orto degli ulivi

Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo

Giunsero intanto a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli: «Sedetevi qui, mentre io prego». Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Gesù disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate». Poi, andato un po’ innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora. E diceva: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu».  Tornato indietro, li trovò addormentati e disse a Pietro: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole».
(Mc 14, 32-42)

15 luglio 1904, Amra (in viaggio, in terra tuareg)

Ho questo come regola: fare le cose che ritengo assai utili alle anime e che le circostanze non permettono ad altri di fare… Penso quindi di rimanere in questo paese finché vi sarò tollerato, finché non verrò sostituito, finché vi potrò lavorare utilmente per il regno di Gesù… in questo momento sono nomade, sotto la tenda, e cambio continuamente di luogo; ciò va molto bene per iniziare, giacché mi fa vedere molte persone e molti posti; ma appena potrò stabilirmi in una residenza fissa in qualche luogo, io lo farò, perché credo che è la mia vocazione, e perché i viaggi devono essere per me solamente eccezioni: condurrò allora, in un angolo di terra tuareg, la vita di Nazareth, fino a quando sarò tollerato e non sarò più utile altrove, benché utile non lo sia da nessuna parte. Rimarrò finché crederò che è questa la volontà di Gesù e finché mi tollereranno.
Amatissimo padre, nessuno meglio di voi vede quanto è grande il bene da fare qui; nessuno meglio di voi conosce la miseria del vostro povero figliolo così fiacco, così debole, così indolente, così egoista, così vuoto, così sensuale, così poco interiore, ahimè! così tiepido, così poco fedele…
(Lettera a don Huvelin)

Amiamo Gesù,
che ci ha tanto amati,
che ci ha amati per primo,
Lui assolutamente amabile che ci ama,
noi miserabili,
più di quanto nessun altro cuore umano possa amarci.
(Meditazione sulla Passione)

II stazione

Gesù è condannato a morte

Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo

Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via, via, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i sommi sacerdoti: «Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.
(Gv 19,14-16)

Tamanrasset, 20 luglio 1914

Non posso dire che desidero la morte; me l’auguravo in altri tempi; ora vedo tanto bene da fare, tante anime senza pastore, che vorrei soprattutto fare un po’ di bene e lavorare un poco per la salvezza di queste povere anime. Ma il buon Dio le ama più di me, e non ha bisogno di me. Sia fatta la sua volontà.
(Lettera a Maria de Bondy)

Amiamo Dio,
poiché ci ha amati per primo.
La Passione, il Calvario,
è una suprema dichiarazione d’amore.
Non è per redimerci che Tu hai sofferto tanto, Gesù!
Il più piccolo dei tuoi atti ha un valore infinito,
poiché è l’atto di un Dio,
e sarebbe stato sufficiente, anzi sovrabbondante,
per redimere mille mondi,
tutti i mondi possibili…
È per santificarci, è per indurci,
per spingerTi ad amarTi liberamente,
poiché l’amore è il mezzo più potente
per attirare l’amore,
poiché amare è il mezzo più potente
per farsi amare.
(Meditazione sulla passione)

III stazione
Gesù cade sotto la croce

Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo

Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua sorte?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per l’iniquità del mio popolo fu percosso a morte.
(Is 53, 7-8)

Tamanrasset, 1 agosto 1910

Gli uomini sono inesorabili verso le colpe perché sono impotenti a riparare il male compiuto; Dio è misericordioso perché può ridare alle anime la loro primitiva bellezza e, per quanto in basso siano precipitate, può renderle così pure come se non avessero mai fatto delle cadute.
(Lettera a Maria de Bondy)

Dimenticarmi,
non pensare che a me e al prossimo,
a me soltanto in vista di Dio
e nella stessa misura che agli altri,
così come si addice a colui che ama Dio sopra ogni cosa
e il prossimo come se stesso.
(Meditazioni sul Pater)

IV stazione

Simone di Cirene aiuta Gesù a portare la croce

Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo

Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù.
(Lc 23, 26)

Tamanrasset, 22 luglio 1907

La mia esistenza è molto semplice: è la vita monastica con preghiere, letture, lavori, con tutti i momenti della giornata regolati e con tutte le cose fatte ad ora fissa; il lavoro manuale è sostituito dagli studi di lessico tuareg. Come il fratello portinaio d’un convento, vengo spesso interrotto da qualcuno che mi chiama dal di fuori. Sono le uniche interruzioni della mia solitudine. Esse non sono lunghe.
In questo momento il paese si trova in piena carestia: non è piovuto, qui, da 18 mesi, e per un paese che vive soprattutto, spesso unicamente di latte, è un disastro; tutte le capre e cammelle sono magre e senza latte e i poveri soffrono in un modo che si legge loro sul viso. Sono essi che vengono a bussare di quando in quando alla mia porta: non ho altre visite in questo momento.
(Lettera a Maria de Bondy)

Essere ricco, a mio agio,
vivere dolcemente con i miei beni,
quando Tu sei stato povero, in ristrettezze,
vivendo penosamente di un faticoso lavoro,
in quanto a me non lo posso, o mio Dio…
io non posso amare così.
(Ritiro fatto a Nazareth, 1897)

V stazione

Gesù è spogliato delle vesti

Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo

I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura: “Si son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte”. E i soldati fecero proprio così.
(Gv 19, 23-24)

Abbracciare la povertà con tutto il nostro cuore; le ricchezze non soltanto sono un bagaglio ingombrante, ma sono anche un pericolo: esse difficilmente sono compatibili col perfetto amore di Dio, di Gesù, perché sono diametralmente opposte all’imitazione di Gesù; esse difficilmente sono compatibili col perfetto amore del prossimo, perché ciò che si conserva per sé non lo si dà agli altri, e non si ama il proprio prossimo «come se stesso» quando si tengono le ricchezze per sé e si lascia il fratello morire di fame, quando non si divide quel che si ha con coloro che soffrono privazioni.
(Estratti dai santi Evangeli, 1899)

Non disprezziamo i poveri,
i piccoli, gli operai; non soltanto
essi sono nostri fratelli in Dio,
ma sono anche quelli che nel modo
più perfetto imitano Gesù
nella sua vita esterna.
Per noi, essi rappresentano perfettamente Gesù.
(Meditazioni sui santi Evangeli 1897-1899)

VI stazione
Gesù è crocifisso

Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo

Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno».
(Lc 23, 33 34)

Nostra Signora delle nevi, 14 agosto 1901.

Non appena credetti che c’era un Dio, compresi che non potevo fare altro che vivere per Lui: la mia vocazione religiosa risale alla stessa ora della mia fede. Dio è così grande! C’è una tale differenza tra Dio e tutto quello che non è Lui… Agli inizi, la fede dovette superare molti ostacoli; io, che avevo tanto dubitato, non ci misi un giorno solo a credere; a volte i miracoli del Vangelo mi sembravano incredibili, altre volte volevo intercalare le mie preghiere con brani del Corano. Ma la grazia divina e i consigli del mio confessore dissiparono queste nubi… Desideravo essere religioso, vivere solo per Dio e fare ciò che era più perfetto, a ogni costo… Il mio confessore mi fece attendere tre anni; io stesso, pur desiderando «esalarmi davanti a Dio nella pura perdita di me stesso», come dice Bossuet, non sapevo quale Ordine scegliere. Il Vangelo mi insegnò che «il primo comandamento è amare Dio con tutto il cuore» e che bisognava racchiudere tutto nell’amore; tutti sanno che l’amore ha come primo effetto l’imitazione. Bisognava dunque entrare nell’Ordine in cui avrei trovato la più esatta imitazione di Gesù. Non mi sentivo fatto per imitare la Sua vita pubblica nella predicazione: dovevo dunque imitare la vita nascosta dell’umile e povero operaio di Nazareth.
(Lettera a Enrico de Castries)

Mio Signore Gesù,
falla splendere davanti al mio sguardo,
questa dottrina della croce,
e fa’ ch’io l’abbracci,
così come Tu vuoi da me…
Fa’ che anche io possa dire
di non sapere che una cosa:
“Gesù e Gesù crocifisso”.
(Meditazione sulla Passione)

VII stazione
Gesù e la madre

Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
(Gv 19, 25-27)

Abbiamo verso la Vergine una fiducia assoluta ed invochiamola, senza esitare, con questa fiducia, in tutte le nostre necessità, in tutti i nostri desideri, in tutte le nostre azioni. […] È evidente d’altra parte che noi, che aspiriamo ad essere i fratelli di Gesù, non possiamo diventarlo se non a condizione di mostrare e di essere veramente i figli di Maria: per essere fratelli di Gesù, è assolutamente necessario essere figli di Maria.
(Meditazione sulla passione, 1897-1899)

Quelli che cercano
di far regnare la pace in mezzo agli uomini,
di essere in pace con tutti,
sono quelli che sanno
ciò che sono gli uomini:
una sola famiglia
nella quale tutti sono fratelli,
della quale Dio come creatore è il Padre.
(Meditazioni sui santi Evangeli relative alle cinque virtù, 1897-1898)

VIII stazione

Gesù muore in croce

Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo

Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo spirò.
(Lc, 23, 44-45)

Tamanrasset, 1 settembre 1910.

È la solitudine che aumenta. Ci si sente sempre più soli al mondo. Gli uni sono partiti per la patria, gli altri hanno la loro vita sempre più separata dalla nostra; ci si sente come l’oliva rimasta sola in cima a un ramo, dimenticata, dopo il raccolto. Alla nostra età, questo paragone della Bibbia torna spesso alla mente… ma Gesù rimane: Gesù, lo sposo immortale che ci ama come nessun cuore umano può amare; rimane ora, rimane sempre.
(Lettera a Maria de Bondy)

Padre mio,
io mi abbandono a te,
fa’ di me ciò che ti piace.
Qualunque cosa tu faccia di me
Ti ringrazio.
Sono pronto a tutto, accetto tutto,
purché la tua volontà si compia in me
e in tutte le tue creature.
Non desidero niente altro, mio Dio.
Rimetto l’anima mia nelle tue mani,
Te la dono mio Dio,
con tutto l’amore del mio cuore
perché ti amo,
ed è per me un’esigenza d’amore il donarmi
il rimettermi nelle tue mani senza misura
con una confidenza infinita
perché Tu sei il Padre mio.

IX Stazione

Gesù è deposto nel sepolcro

Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo

In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.
(Gv 12, 24)

1 dicembre 1916
Il nostro annientamento è il mezzo più potente che abbiamo per unirci a Gesù e fare del bene… Quando si può soffrire e amare, si può molto, si può il massimo che è possibile in questo mondo. Si sente che si soffre; non sempre si sente che si ama ed è una grande sofferenza in più! Però si sa che si vorrebbe amare, e voler amare è amare.
(Lettera a Maria de Bondy)

Prega perché io ami,
prega perché ami Gesù,
prega perché ami la sua croce
non per se stessa,
ma come l’unico mezzo,
la sola via
per glorificare Gesù:
“Il chicco di grano porta frutto
solo morendo”
(Lettera alla sorella Maria de Blic, 27 febbraio 1903)

Conclusione

In questo spazio di riflessione sulla fraternità universale, mi sono sentito motivato specialmente da San Francesco d’Assisi, e anche da altri fratelli che non sono cattolici: Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e molti altri. Ma voglio concludere ricordando un’altra persona di profonda fede, la quale, a partire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti. Mi riferisco al Beato Charles de Foucauld.
Egli andò orientando il suo ideale di una dedizione totale a Dio verso un’identificazione con gli ultimi, abbandonati nel profondo del deserto africano. In quel contesto esprimeva la sua aspirazione a sentire qualunque essere umano come un fratello, e chiedeva a un amico: «Pregate Iddio affinché io sia davvero il fratello di tutte le anime di questo paese». Voleva essere, in definitiva, «il fratello universale». Ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti. Che Dio ispiri questo ideale in ognuno di noi. Amen.
(Papa Francesco, Fratelli tutti, 286-287)

Per i meriti della Sua Passione e Croce
il Signore ci benedica e ci custodisca. Amen

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