È il senso del dolore che salva. La grande certezza di chi crede

Giovani sposi, nonni, migranti. Nelle meditazioni della Via Crucis con papa Francesco i tanti volti dell’universo familiare. Per protesta i media ucraini non hanno trasmesso il solenne rito
Le due donne ucraina e russa alla Via Crucis al Colosseo

Le due donne ucraina e russa alla Via Crucis al Colosseo – Ansa

Tutte le famiglie del mondo sotto la croce. Famiglie alle prese con i drammi del quotidiano e le tragedie della storia. Famiglie che però vogliono andare oltre la sofferenza. Perché sanno che dopo il Venerdì Santo viene la Risurrezione. O perché ha toccato con mano il dolore dei loro popoli dilaniati dalla guerra, ma neanche questo può scalfire la loro amicizia. Così è per Irina (ucraina) e Albina (russa), che portano la croce alla XIII stazione, guardandosi con le lacrime negli occhi. È la stazione del grido di Gesù, poco prima di morire: «Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

Nei giorni scorsi, da Kiev, voci contrarie a questa iniziativa si sono levate non senza suscitare sorpresa e sconcerto, al punto che i media ucraini (anche cattolici) non hanno trasmesso la Via Crucis. Un’ulteriore ferita. Ma a vederle lì, lungo il sentiero della croce disegnato intorno al Colosseo, le due donne sono la personificazione della ricerca di una pace difficile sì, ma non impossibile. Perché nulla è impossibile a Dio e perché sotto la croce non c’è – e non ci può essere più – né giudeo né greco, come direbbe san Paolo. Viene mutata la meditazione che accompagna questo momento: «Di fronte alla morte il silenzio è più eloquente delle parole. Sostiamo pertanto in un silenzio orante e ciascuno nel proprio cuore preghi per la pace nel mondo». Così si prega. E il silenzio si protrae per lunghi secondi.

Sentimenti che verranno ripresi nella preghiera finale del Papa, che non tiene il discorso finale, ma invoca: «Tienici per mano, come un Padre, perché non ci allontaniamo da Te; converti al tuo cuore i nostri cuori ribelli, perché impariamo a seguire progetti di pace; porta gli avversari a stringersi la mano, perché gustino il perdono reciproco; disarma la mano alzata del fratello contro il fratello, perché dove c’è l’odio fiorisca la concordia. Fa’ che non ci comportiamo da nemici della croce di Cristo, per partecipare alla gloria della sua risurrezione».

Sono immagini, parole, suggestioni della via Crucis del Venerdì Santo tornata nella sua sede naturale, dopo l’interruzione dovuta al Covid. Francesco è là, segue il percorso in profondo raccoglimento dal terrapieno di fronte al Colosseo. E sono là, insieme con oltre 10mila fedeli, anche le famiglie scelte, in questo anno dedicato al nucleo fondamentale della società, per portare la croce nelle quattordici stazioni.

Una coppia di giovani sposi, una famiglia in missione, sposi anziani senza figli, una famiglia numerosa, una famiglia con un figlio disabile, una famiglia che gestisce una casa famiglia, una famiglia con un genitore malato, una coppia di nonni, una famiglia adottiva, una vedova con figli, una famiglia con un figlio consacrato, una famiglia che ha perso una figlia e una famiglia di migranti, oltre alle due donne, una russa e una ucraina, di cui si è già detto.

Nelle meditazioni viene declinata la sofferenza. Ma soprattutto la speranza. La guerra in Ucraina, emerge in tutta la sua tragedia. Nella meditazione poi sostituita c’erano domande che comunque risuonano nei cuori di tutti: «Dove sei Signore? Dove ti sei nascosto? Perché tutto questo? Quale colpa abbiamo commesso? Perché ci hai abbandonato? Perché hai abbandonato i nostri popoli? Perché hai spaccato in questo modo le nostre famiglie? Perché non abbiamo più la voglia di sognare e di vivere? Perché le nostre terre sono diventate tenebrose come il Golgota?».

Ma non c’è solo la guerra. Anche la quotidianità può fare paura. Per i giovani sposi è «la paura di una separazione, perché a tanti coniugi è accaduto». Per la famiglia in missione «il dolore e la sofferenza di una madre che muore di parto e per di più sotto le bombe». Per chi non è riuscito ad avere figli, la paura di restare soli. Per chi ha un figlio disabile (gli era stato consigliato di abortire: «Sarà un peso per voi e per la società») il dover affrontare il giudizio degli altri. Per chi ha perso il marito o addirittura un figlio il confrontarsi con l’ombra della morte. Persino a chi all’inizio ha avversato l’idea che il proprio figlio potesse diventare prete, la croce può fare paura. Così come alla famiglia dei migranti: «Siamo qui, sopravvissuti. Percepiti come un peso. Numeri, categorie, semplificazioni. Eppure siamo persone». Ma sono loro in fondo a dire l’ultima parola. La più importante. «Se non ci rassegniamo è perché sappiamo che la grande pietra sulla porta del sepolcro un giorno verrà rotolata via». È il senso del dolore che salva. La grande certezza di chi crede.

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