L’Udienza. Il Papa: l’alleanza dei vecchi e dei bambini salverà l’umanità

Francesco prosegue la serie di meditazioni sulla vecchiaia: la testimonianza che gli anziani possono dare ai piccoli e ai giovani, “è credibile” perché guarda
Il Papa: l’alleanza dei vecchi e dei bambini salverà l'umanità

Ansa

da Avvenire

“L’alleanza dei vecchi e dei bambini salverà la famiglia umana” se restituiremo ai piccoli, che devono “imparare a nascere”, “la tenera testimonianza di anziani che possiedono la saggezza del morire”. Poco prima della fine dell’udienza, un bimbo di pochi anni sale le scale dell’Aula Paolo VI e si avvicina a Francesco, rimanendo fermo accanto a lui fino alla fine. Il Papa gli chiede il nome e poi commenta tra gli applausi: “Nell’udienza parlavamo del dialogo tra vecchi e giovani, eh? Lu è stato coraggioso”. E aggiunge sorridendo: “E rimane tranquillo, eh?”.

Francesco torna sul tema dell’alleanza tra generazioni nella catechesi, la 17.ma dedicata alla vecchiaia, che “rassicura sulla destinazione alla vita che non muore più”, ribadendo che la testimonianza degli anziani “per i bambini è credibile”, più di quella di giovani e adulti, perché la vecchiaia “tiene fermo l’orizzonte della nostra destinazione”, la vita eterna. Per questo “è doloroso e dannoso vedere che si concepiscono le età della vita come mondi separati, in competizione fra loro”.

Il Papa prende spunto, per la sua riflessione, da un brano dell’Antico Testamento, tratto dal Libro di Daniele, che descrive un sogno del profeta, “una visione di Dio misteriosa e al tempo stesso splendente”. Una visione riferita a Gesù Risorto, “che appare al Veggente come Messia”, gli posa la mano sulla spalla e lo rassicura: “Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre”. Scompare così, commenta Francesco, “l’ultima barriera del timore e dell’angoscia” che la manifestazione di Dio ha sempre suscitato: “il Vivente ci rassicura. Lui pure è morto, ma ora occupa il posto che gli è destinato: quello del Primo e dell’Ultimo”.

In questo “intreccio dei simboli”, prosegue il Pontefice è proprio la vecchiaia che ci può aiutare a comprendere meglio “il legame di questa teofania con il ciclo della vita, il tempo della storia, la signoria di Dio per il mondo creato”. La visione “comunica un’impressione di vigore e di forza, di nobiltà, di bellezza e di fascino”. I capelli del vegliardo “però sono candidi: come la lana, come la neve. Come quelli di un vecchio”.

La chioma candida è il simbolo antico di un tempo lunghissimo, di un passato immemorabile, di una esistenza eterna. Non bisogna demitizzare tutto coi bambini: l’immagine di un Dio vegliardo con la chioma candida non è un simbolo sciocco, è un’immagine biblica, nobile e anche tenera.

Un vegliardo, commenta ancora Papa Francesco, “vecchio come l’intera umanità, e anche di più. È antico e nuovo come l’eternità di Dio”. “Dio è eterno – aggiunge ‘a braccio’ – è da sempre, possiamo dire che c’è come una vecchiaia in Dio, non è così, ma è eterno, ma si rinnova”. E qui ricorda la festa dell’Incontro con il Signore, che nelle Chiese orientali, il 2 febbraio, “mette in risalto l’incontro tra l’umanità, rappresentata dai vegliardi Simeone e Anna, con Cristo Signore”.

Nella liturgia bizantina il vescovo prega con Simeone: “Questi è Colui che è stato partorito dalla Vergine: è il Verbo, Dio da Dio, Colui che per noi si è incarnato e ha salvato l’uomo” e rievoca poi la presentazione di Gesù al tempio da parte della “Vergine Madre”, quando “il vegliardo lo prende tra le braccia”. Ma il gesto di Simeone è anche l’icona più bella per la speciale vocazione della vecchiaia: presentare i bambini che vengono al mondo come un dono ininterrotto di Dio, sapendo che uno di loro è il Figlio generato nell’intimità stessa di Dio, prima di tutti i secoli.

La vecchiaia, chiarisce il Papa “incamminata verso un mondo in cui potrà finalmente irradiarsi” l’amore che Dio ha messo nella Creazione, “deve compiere questo gesto di Simeone e di Anna, prima del suo congedo”. Deve, prosegue, “rendere testimonianza ai bambini della loro benedizione” attraverso la loro iniziazione, bella e difficile, “al mistero di una destinazione alla vita che nessuno può annientare. Neppure la morte”. Dare ai bambini, aggiunge, “la realtà che hanno vissuto come testimonianza, dare il testimone. Noi vecchi siamo chiamati a questo, a dare il testimone, perché loro lo portino avanti”.

La testimonianza degli anziani è credibile per i bambini: i giovani e gli adulti non sono in grado di renderla così autentica, così tenera, così struggente, come possono fare gli anziani. Quando l’anziano benedice la vita che gli viene incontro, deponendo ogni risentimento per la vita che se ne va, è irresistibile. Non è amareggiato perché passa il tempo e lui sta per andarsene: no. È con quella gioia del buon vino, che si è fatto buono con gli anni.

La testimonianza degli anziani, sottolinea Francesco, “unisce le età della vita e le stesse dimensioni del tempo: passato, presente e futuro”. Perché loro “non sono solo la memoria, sono il presente e anche la promessa”. È doloroso – e dannoso – vedere che si concepiscono le età della vita come mondi separati, in competizione fra loro, che cercano di vivere ciascuno a spese dell’altro.

E se l’umanità è molto antica, “se guardiamo al tempo dell’orologio”, il Figlio di Dio “è il Primo e l’Ultimo di ogni tempo”. Nessuno quindi, per il Pontefice, “cade fuori dalla sua eterna generazione, fuori dalla sua splendida forza, fuori dalla sua amorevole prossimità”.

L’alleanza dei vecchi e dei bambini salverà la famiglia umana. Dove i bambini, dove i giovani parlano con i vecchi c’è futuro; se non sarà questo dialogo fra vecchi e giovani, il futuro non si vede chiaro. Potremmo, per favore, restituire ai bambini, che devono imparare a nascere, la tenera testimonianza di anziani che possiedono la saggezza del morire?

Papa Francesco conclude con una richiesta: “Questa umanità, che con tutto il suo progresso ci sembra un adolescente nato ieri, potrà riavere la grazia di una vecchiaia che tiene fermo l’orizzonte della nostra destinazione?”. La morte è certamente un passaggio difficile della vita, ammette, “ma anche il passaggio che chiude il tempo dell’incertezza e butta via l’orologio. Perché il bello della vita, che non ha più scadenza, incomincia proprio allora”. Ma incomincia dalla saggezza di quell’uomo e di quella donna, anziani, che sono capaci di dare ai giovani il testimone. Pensiamo al dialogo, all’alleanza dei vecchi e dei bambini, dei vecchi con i giovani, e cerchiamo che non sia tagliato, questo legame. Che i vecchi abbiano la gioia di parlare, di esprimersi con i giovani e che i giovani cerchino i vecchi per prendere da loro la saggezza della vita.

#19gennaio #PapaFrancesco ci ricorda che Dio ci ama nel nostro essere deboli. Non ci toglie tutte le debolezze, ma ci sta vicino e ci aiuta a camminare con le nostre debolezze #udienza


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Papa all’udienza giubilare: pietà non è pietismo, vince l’indifferenza

La pietà non è pietismo ma “una manifestazione della misericordia di Dio”. Per Gesù provare pietà equivale “a condividere la tristezza di chi incontra” e ad operare per trasformare questa tristezza in gioia. E’ quanto ha affermato stamani Papa Francesco, in una giornata sferzata dal vento e dalla pioggia, durante l’udienza giubilare tenutasi in piazza San Pietro e seguita dagli ammalati, attraverso maxischermi, nell’Aula Paolo VI. Il servizio di Amedeo Lomonaco da RAdio Vaticana

La pietà non è pietismo, che è “solo un’emozione superficiale e offende la dignità dell’altro”. La pietà – ha detto il Papa – “non va confusa neppure con la compassione che proviamo per gli animali che vivono con noi”:

“Accade, infatti, che a volte si provi questo sentimento verso gli animali, e si rimanga indifferenti davanti alle sofferenze dei fratelli. Ma, quante volte vediamo gente tanto attaccata ai gatti, ai cani, e poi lasciano senza aiutare la fame del vicino, della vicina”.

La pietà è manifestazione della misericordia di Dio
La pietà di cui vogliamo parlare – ha aggiunto il Santo Padre – è una manifestazione della misericordia di Dio”. Alle persone malate, indemoniate, povere o afflitte – ha ricordato il Pontefice – Gesù rispondeva “con lo sguardo della misericordia e il conforto della sua presenza”:

“Per Gesù provare pietà equivale a condividere la tristezza di chi incontra, ma nello stesso tempo a operare in prima persona per trasformarla in gioia. Anche noi siamo chiamati a coltivare in noi atteggiamenti di pietà davanti a tante situazioni della vita, scuotendoci di dosso l’indifferenza che impedisce di riconoscere le esigenze dei fratelli che ci circondano e liberandoci dalla schiavitù del benessere materiale”.

Maria, icona della pietà
Per i credenti – ha detto infine il Papa – c’è un esempio verso cui volgere lo sguardo:

“Guardiamo l’esempio della Vergine Maria, che si prende cura di ciascuno dei suoi figli ed è per noi credenti l’icona della pietà”.

 

Udienza Papa Francesco: «Chiedo perdono per gli scandali»

“Prima di iniziare la catechesi, in nome della Chiesa voglio chiedervi perdono per gli scandali che ci sono stati recentemente sia a Roma che in Vaticano. Vi chiedo perdono”.

Una frase che ha sollevato molta curiosità. Padre Lombardi, nel briefing alla sala stampa, ha spiegato che le parole del Papa riguardano questioni che si leggono sui mass media e che riguardano “uomini di Chiesa” e la “vita cittadina”. “Il Papa – ha dichiarato il direttore della sala stampa vaticana – ha ascoltato la lettura della Bibbia che parlava degli scandali. Se usa un’espressione di carattere generale non è compito mio farla diventare più ristretta o larga di quel che ha voluto dire, non ho quindi precisazioni da dare”.

“Il Papa – dice ancora padre Lombardi – si rende conto che ci sono persone semplici, tanti che vengono alle udienze, turbate o addolorate per notizie che si leggono, e quindi per quanto c’è la responsabilità della Chiesa, di uomini di Chiesa, chiede perdono che ci sia non solo la positività e l’educazione ma esempi negativi o cose che turbano”.
La catechesi del Papa, dedicata ai bambini, è poi partita dalla frase di Gesù: “E’ inevitabile che vengano scandali, ma guai all’uomo a causa del quale viene lo scandalo”.

“La parola di Gesù è forte”, ricorda il Papa. “Guai al mondo per gli scandali! Gesù è realista e dice che è inevitabile che avvengano scandali: ma guai all’uomo a causa del quale avviene lo scandalo”.

“Solo se guardiamo i bambini con gli occhi di Gesù possiamo capire come difendendo la famiglia proteggiamo l’umanità” ha detto il Papa nellaudienza generale, dedicata alle promesse degli adulti ai bambini.

A più riprese nei saluti ai diversi gruppi linguistici, inoltre, il Papa ha chiesto di pregare per il sinodo sulla famiglia in corso in Vaticano, perché si prendano “le decisioni che meglio convengono alla famiglia”.

“Quanto siamo leali con le promesse che facciamo ai bambini facendoli venire al mondo? – ha chiesto il Papa – Li facciamo venire al mondo, questa è una promessa, e cosa diamo loro?”. “Guai – ha detto in un ulteriore passaggio – a quelli che tradiscono la fiducia e le attese dei bambini verso gli adulti”, “quando una promessa è spezzata, ne viene lo ‘scandalò che Gesù condanna”.

È stato a questo punto che papa Francesco ha inserito la sua richiesta di perdono a nome della Chiesa per gli “scandali” di “questi ultimi tempi” a Roma e in Vaticano.

Il Papa ha rivolto un “appello”, ricordando che il 17 è la Giornata mondiale del rifiuto della miseria, che “si propone di accrescere gli sforzi per eliminare l’estrema povertà e la discriminazione, e per assicurare che ciascuno possa esercitare pienamente i propri diritti fondamentali. Siamo tutti invitati – ha detto alla fine della udienza generale – a fare nostra questa intenzione perché la carità di Cristo raggiunga e sollevi i fratelli e le sorelle più poveri e abbandonati”.

Saluto ai minatori cileni. “Credo che ognuno di voi sarebbe capace di venire qui e dirci cosa significa la speranza, grazie per conservare la speranza in Dio”. Lo ha detto il Papa, in spagnolo, salutando un gruppo dei minatori cileni “che sono stati 70 giorni nella terra”: si tratta dei sopravvissuti al crollo della miniera di San Jose, in Cile, nel 2010

avvenire.it

Il Papa: matrimonio espressione dell’alleanza tra uomo e donna

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La fede instilla una “dimensione profetica” nella carità. Benedetto XVI, parlando questa mattina all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, che sta affrontando il tema “Carità, nuova etica e antropologia cristiana”, ha rimarcato il “rapporto dinamico tra fede e carità”, sottolineando che “il cristiano, in particolare chi opera negli organismi di carità, deve lasciarsi orientare dai principi della fede”, per “aderire” al progetto di Dio.

L’insidia dell’“assolutizzazione” dell’uomo. Il Papa ha quindi messo in luce le “tentazioni culturali” delle quali, “in ogni epoca”, è stato vittima l’uomo quando non ha cercato il progetto divino, tentazioni chi “hanno finito col renderlo schiavo”. “Negli ultimi secoli, le ideologie che inneggiavano al culto della nazione, della razza, della classe sociale – ha osservato – si sono rivelate vere e proprie idolatrie; e altrettanto si può dire del capitalismo selvaggio col suo culto del profitto, da cui sono conseguite crisi, disuguaglianze e miseria”. E se “oggi si condivide sempre più un sentire comune circa l’inalienabile dignità di ogni essere umano e la reciproca e interdipendente responsabilità verso di esso; e ciò a vantaggio della vera civiltà, la civiltà dell’amore”, “d’altro canto, purtroppo, anche il nostro tempo conosce ombre che oscurano il progetto di Dio”. Il riferimento del Pontefice è “a una tragica riduzione antropologica che ripropone l’antico materialismo edonista, a cui si aggiunge però un ‘prometeismo tecnologico’”. “Dal connubio tra una visione materialistica dell’uomo e il grande sviluppo della tecnologia – ha proseguito – emerge un’antropologia nel suo fondo atea”, per la quale l’uomo è ridotto “a funzioni autonome, la mente al cervello, la storia umana a un destino di autorealizzazione”, “prescindendo da Dio, dalla dimensione propriamente spirituale e dall’orizzonte ultraterreno”.

Ma “nella prospettiva di un uomo privato della sua anima e dunque di una relazione personale con il Creatore, ciò che è tecnicamente possibile diventa moralmente lecito, ogni esperimento risulta accettabile, ogni politica demografica consentita, ogni manipolazione legittimata”. È l’insidia, questa, dell’“assolutizzazione dell’uomo”, che “pretende di essere indipendente e pensa che nella sola affermazione di sé stia la sua felicità”.

Un sano discernimento. Da qui l’invito di Benedetto XVI a “prestare un’attenzione profetica a questa problematica etica e alla mentalità che vi è sottesa”, alla luce della fede e con un “sano discernimento”. Perciò “la giusta collaborazione con istanze internazionali nel campo dello sviluppo e della promozione umana non deve farci chiudere gli occhi di fronte a queste gravi ideologie, e i Pastori della Chiesa” hanno “il dovere di mettere in guardia da queste derive tanto i fedeli cattolici quanto ogni persona di buona volontà e di retta ragione”. In concreto, “di fronte a questa riduzione antropologica, quale compito spetta a ogni cristiano, e in particolare a voi, impegnati in attività caritative, e dunque in rapporto diretto con tanti altri attori sociali?”, chiede il Papa alla plenaria del dicastero vaticano.

La risposta riprende quanto scritto nel recente motu proprio sul “servizio della carità” – laddove prescrive tra l’altro di “evitare che gli organismi di carità” siano “finanziati da enti o istituzioni che perseguono fini in contrasto con la dottrina della Chiesa” – chiedendo di “esercitare una vigilanza critica e, a volte, ricusare finanziamenti e collaborazioni che, direttamente o indirettamente, favoriscano azioni o progetti in contrasto con l’antropologia cristiana”. “Ma positivamente – aggiunge – la Chiesa è sempre impegnata a promuovere l’uomo secondo il disegno di Dio, nella sua integrale dignità, nel rispetto della sua duplice dimensione verticale e orizzontale. A questo tende anche l’azione di sviluppo degli organismi ecclesiali”.

La visione cristiana dell’uomo, precisa Papa Benedetto, “è un grande sì alla dignità della persona chiamata all’intima comunione con Dio, una comunione filiale, umile e fiduciosa”, ricordando che “l’essere umano non è né individuo a sé stante né elemento anonimo nella collettività, bensì persona singolare e irripetibile, intrinsecamente ordinata alla relazione e alla socialità”. A tal riguardo, rimarca in conclusione, “la Chiesa ribadisce il suo grande sì alla dignità e bellezza del matrimonio come espressione di fedele e feconda alleanza tra uomo e donna, e il no a filosofie come quella del gender si motiva per il fatto che la reciprocità tra maschile e femminile è espressione della bellezza della natura voluta dal Creatore”.

avvenire.it

Il Papa all’udienza generale: anche gli atei desiderano vedere il volto di Dio

Benedetto XVI, durante l’odierna udienza generale nell’Aula Paolo VI, ha svolto una catechesi sulla rivelazione del volto di Dio. Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum – ha ricordato – afferma che l’intima verità di tutta la Rivelazione di Dio risplende per noi «in Cristo, che è insieme il mediatore e la pienezza di tutta la Rivelazione» (n. 2). “L’Antico Testamento – ha proseguito – ci narra come Dio, dopo la creazione, nonostante il peccato originale, nonostante l’arroganza dell’uomo di volersi mettere al posto del suo Creatore, offre di nuovo la possibilità della sua amicizia, soprattutto attraverso l’alleanza con Abramo e il cammino di un piccolo popolo, quello di Israele, che Egli sceglie non con criteri di potenza terrena, ma semplicemente per amore. E’ una scelta che rimane un mistero e rivela lo stile di Dio che chiama alcuni non per escludere altri, ma perché facciano da ponte nel condurre a Lui”. “Nella storia del popolo di Israele possiamo ripercorrere le tappe di un lungo cammino in cui Dio si fa conoscere, si rivela, entra nella storia con parole e con azioni. Per questa opera Egli si serve di mediatori, come Mosè, i Profeti, i Giudici, che comunicano al popolo la sua volontà, ricordano l’esigenza di fedeltà all’alleanza e tengono desta l’attesa della realizzazione piena e definitiva delle promesse divine”.

Nel Santo Natale – ha detto – la Rivelazione di Dio giunge al suo culmine, alla sua pienezza: “In Gesù di Nazaret, Dio visita il suo popolo, visita realmente l’umanità in un modo che va oltre ogni attesa: manda il suo Figlio Unigenito” che si fa uomo. “Gesù non ci dice qualcosa di Dio, non parla semplicemente del Padre”, ma “ci rivela il volto di Dio. Nel Prologo del suo Vangelo, San Giovanni scrive: «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18)”.

Il Papa si è quindi soffermato su questo “rivelare il volto di Dio”. A questo riguardo – ha sottolineato – san Giovanni, nel suo Vangelo, ci riporta un fatto significativo: “Avvicinandosi la Passione, Gesù rassicura i suoi discepoli invitandoli a non avere timore e ad avere fede; poi instaura un dialogo con loro nel quale parla di Dio Padre (cfr Gv 14,2-9). Ad un certo punto, l’apostolo Filippo chiede a Gesù: «Signore, mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14,8). Filippo è molto pratico e concreto” chiedendo di “vedere” il Padre, di vedere il suo volto. La risposta di Gesù – ha aggiunto – “ci introduce nel cuore della fede cristologica; il Signore afferma: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). In questa espressione si racchiude sinteticamente la novità del Nuovo Testamento, quella novità che è apparsa nella grotta di Betlemme: Dio si può vedere, Dio ha manifestato il suo volto, è visibile in Gesù Cristo”.

In tutto l’Antico Testamento – ha aggiunto – è ben presente il tema della ricerca del volto di Dio, “tanto che il termine ebraico pānîm, che significa “volto”, vi ricorre ben 400 volte, 100 delle quali riferite a Dio”. Eppure “la religione ebraica, proibendo del tutto le immagini, perché Dio non si può rappresentare”, come invece facevano i popoli vicini con l’adorazione degli idoli, “sembra escludere totalmente il ‘vedere’ dal culto e dalla pietà. Che cosa significa allora, per il pio israelita” – si chiede il Papa – cercare il volto di Dio, pur nella consapevolezza che non può esserci alcuna immagine di Lui? La domanda è importante, afferma: “da una parte si vuole dire che Dio non si può ridurre ad un oggetto”, ma “neppure si può mettere qualcosa al posto di Dio; dall’altra, però, si afferma che Dio ha un volto, cioè è un «Tu» che può entrare in relazione, che non è chiuso nel suo Cielo a guardare dall’alto l’umanità. Dio è certamente sopra ogni cosa, ma si rivolge a noi, ci ascolta, ci vede, parla, stringe alleanza, è capace di amare. La storia della salvezza è la storia di Dio con l’umanità, la storia di questo rapporto di Dio che si rivela progressivamente all’uomo, che fa conoscere il suo volto”.

Il Papa ricorda la bellissima preghiera di benedizione sul popolo ascoltata nella liturgia del 1° gennaio: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,24-26). “Lo splendore del volto divino – ha spiegato – è la fonte della vita, è ciò che permette di vedere la realtà; la luce del suo volto è la guida della vita. Nell’Antico Testamento c’è una figura a cui è collegato in modo del tutto speciale il tema del “volto di Dio”; si tratta di Mosé, colui che Dio sceglie per liberare il popolo dalla schiavitù d’Egitto, donargli la Legge dell’alleanza e guidarlo alla Terra promessa. Ebbene, nel capitolo 33 del Libro dell’Esodo, si dice che Mosé aveva un rapporto stretto e confidenziale con Dio: «Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico» (v. 11). In forza di questa confidenza, Mosè chiede a Dio: «Mostrami la tua gloria!», e la risposta di Dio è chiara: «Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome… Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo… Ecco un luogo vicino a me… Tu vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere» (vv. 18-23). Da un lato, allora, c’è il dialogo faccia a faccia come tra amici, ma dall’altro c’è l’impossibilità, in questa vita, di vedere il volto di Dio, che rimane nascosto; la visione è limitata”. Alla fine – ha sottolineato il Papa – Dio lo si può solo seguire, vedendo le sue spalle”.

“Qualcosa di completamente nuovo – ha proseguito – avviene, però, con l’Incarnazione. La ricerca del volto di Dio riceve una svolta inimmaginabile, perché questo volto si può ora vedere: è quello di Gesù, del Figlio di Dio che si fa uomo. In Lui trova compimento il cammino di rivelazione di Dio iniziato con la chiamata di Abramo, Lui è la pienezza di questa rivelazione perché è il Figlio di Dio, è insieme «mediatore e pienezza di tutta la Rivelazione” (Cost. dogm. Dei Verbum, 2), in Lui il contenuto della Rivelazione e il Rivelatore coincidono. Gesù ci mostra il volto di Dio e ci fa conoscere il nome di Dio. Nella Preghiera sacerdotale, nell’Ultima Cena, Egli dice al Padre: «Ho manifestato il tuo nome agli uomini… Io ho fatto conoscere loro il tuo nome» (cfr Gv 17,6.26). L’espressione «nome di Dio» significa Dio come Colui che è presente tra gli uomini. A Mosè, presso il roveto ardente, Dio aveva rivelato il suo nome, cioè si era reso invocabile, aveva dato un segno concreto del suo «esserci» tra gli uomini. Tutto questo in Gesù trova compimento e pienezza”: Egli – rileva – inaugura un nuovo modo di presenza di Dio nella storia, “perché chi vede Lui, vede il Padre, come dice a Filippo (cfr Gv 14,9). Il Cristianesimo – afferma san Bernardo – è la «religione della Parola di Dio»; non, però, di «una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente» (Hom. super missus est, IV, 11: PL 183, 86B). Nella tradizione patristica e medioevale si usa una formula particolare per esprimere questa realtà: Gesù è il Verbum abbreviatum (cfr Rm 9,28, riferito a Is 10,23), il Verbo abbreviato, è la Parola breve, abbreviata e sostanziale del Padre, che ci ha detto tutto di Lui”.

Benedetto XVI ha quindi osservato che “in Gesù anche la mediazione tra Dio e l’uomo trova la sua pienezza. Nell’Antico Testamento vi è una schiera di figure che hanno svolto questa funzione, in particolare Mosè, il liberatore, la guida, il “mediatore” dell’alleanza, come lo definisce anche il Nuovo Testamento (cfr Gal 3,19; At 7,35; Gv 1,17). Gesù, vero Dio e vero uomo, non è semplicemente uno dei mediatori tra Dio e l’uomo, ma è “il mediatore” della nuova ed eterna alleanza (cfr Eb 8,6; 9,15; 12,24); «uno solo, infatti, è Dio – dice san Paolo – e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù» (1 Tm 2,5; cfr Gal 3,19-20). In Lui noi vediamo e incontriamo il Padre; in Lui possiamo invocare Dio con il nome di “Abbà, Padre”; in Lui ci viene donata la salvezza”.

“Il desiderio di conoscere Dio realmente – ha quindi detto parlando a braccio – cioè di vedere il volto di Dio, è insito in ogni uomo, anche negli atei, e noi abbiamo forse inconsapevolmente questo desiderio di vedere semplicemente che ‘è’, che è per noi. Ma questo desiderio si realizza seguendo Cristo: così vediamo le spalle e vediamo infine anche Dio come amico, il suo volto nel volto di Cristo”.

E’ importante – ha aggiunto – che seguiamo Cristo, “non solo quando ne abbiamo bisogno, quando troviamo uno spazio di tempo nelle nostre occupazioni quotidiane, ma con la vita”. “E’ l’intera esistenza che deve essere orientata all’incontro con Lui, all’amore verso di Lui; e, in essa, un posto centrale lo deve avere l’amore al prossimo, quell’amore che, alla luce del Crocifisso, ci fa riconoscere il volto di Gesù nel povero, nel debole, nel sofferente. Ciò è possibile solo se il vero volto di Gesù ci è diventato familiare nell’ascolto della sua Parola” e soprattutto nel Mistero dell’Eucaristia. “Nel Vangelo di san Luca – ha sottolineato – è significativo il brano dei due discepoli di Emmaus, che riconoscono Gesù allo spezzare il pane.” L’Eucaristia – ha precisato – “è la grande scuola in cui impariamo a vedere il volto di Dio, entriamo in rapporto intimo con Lui; e impariamo, allo stesso tempo – ha concluso – a rivolgere lo sguardo verso il momento finale della storia, quando Egli ci sazierà con la luce del suo volto. Sulla terra noi camminiamo verso questa pienezza, nell’attesa gioiosa che si compia realmente il Regno di Dio”.

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