Mattarella, compito Istituzioni garantire stampa indipendente

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“Creare e garantire le condizioni per una stampa indipendente è compito che interpella le istituzioni, la società civile nelle sue diverse articolazioni, l’industria dei media, la coscienza professionale di ciascun giornalista.
Una società economicamente sana propone una industria editoriale capace di affermare con forza la propria funzione, non orientata a interessi di parte, ma diretta a inverare la previsione della Carta costituzionale che ribadisce il diritto dei cittadini a una informazione libera”.
Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in un messaggio inviato al 29/o Congresso FNSI. (ANSA).

Le minacce ai giornalisti sono raddoppiate nel 2022

Lo rende noto Ossigeno per l’Informazione, presentando gli ultimi dati del suo osservatorio. Nei primi nove mesi del 2022 sono stati minacciati 564 giornalisti, il 100 per cento in più dei 288 dello stesso periodo del 2021

minacce giornalisti

AGI – Nel 2022 in Italia i giornalisti minacciati sono stati il doppio dell’anno precedente. Sono diminuite le denunce dei minacciati alle forze dell’ordine ed è cresciuta la quota di querele e cause per diffamazione a mezzo stampa temerarie e strumentali. Lo rende noto Ossigeno per l’Informazione, presentando gli ultimi dati del suo osservatorio sulle minacce ai giornalisti e sulle notizie oscurate con la violenza. Nei primi nove mesi del 2022 sono stati minacciati 564 giornalisti, il 100 per cento in più dei 288 dello stesso periodo del 2021.

“È aumentata in particolare la parte di intimidazioni e minacce realizzata attraverso querele e cause per diffamazione a mezzo stampa pretestuose o infondate, frutto di una legislazione anacronistica e ingiusta, che mostrano il lato italiano di quell’ “uso scorretto del sistema giudiziario” denunciato dell’UNESCO in uno studio appena pubblicato. Queste intimidazioni e minacce – avverte Ossigeno – sono aumentate in proporzione alle altre, cioè a quelle che si sono manifestate con aggressioni, avvertimenti, e altri metodi violenti. Quest’ultimo aspetto rende il quadro italiano ancor più preoccupante. Questo andamento trova conferma nei dati pubblicati dal Centro di Osservazione del Ministero dell’Interno. Questo Centro tiene sotto osservazione proprio la parte violenta delle intimidazioni, quella di cui vengono a conoscenza le forze dell’ordine”.

“Quest’anno il Centro ha registrato meno episodi dell’anno precedente. Questi dati del Viminale non dicono che ci sono state meno minacce ai giornalisti. Dicono letteralmente che quest’anno meno giornalisti hanno denunciato le minacce a loro danno. Ciò signica che i giornalisti italiani denunciano le minacce meno spesso di prima. Perché? Hanno meno fiducia negli interventi delle autorità, o sono piu’ rassegnati o semplicemente hanno più paura di prima e perciò subiscono più spesso senza reagire? Questo aspetto sarà oggetto di approfondimento”, prosegue il rapporto, “Certamente però si può dire che la diminuzione delle minacce registrate dal Viminale non è una buona notizia, non è un segnale rassicurante. È anzi un ulteriore segnale di allarme”.

Ossigeno si augura “che l’allarme venga raccolto, che ciò spinga a capire meglio l’andamento del fenomeno e a intensificare le attività per sensibilizzare il mondo del giornalismo, le forze politiche, il Parlamento, il Governo ad adottare opportune contromisure, ognuno per la propria parte. Il menù delle cose da fare e non fatte è lungo e ben noto ed è da anni invariato. È triste chiudere il 2022 osservando che anche quest’anno è trascorso senza che si sia fatto alcun passo avanti. Le intimidazioni e le minacce ai giornalisti sono innegabilmente una malattia che indebolisce la libertà di informazione e danneggia la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Le malattie trascurate, non curate possono degenare e produrre danni peggiori all’organismo. Ed è forse ciò che sta accadendo”.

IL FESTIVAL DEI MEDIA CEI «L’informazione ponga domande»

«La comunicazione ha un grande spazio che è aiutare a porre le domande giuste, a far percepire la sfida che è dinanzi a noi. Senza questo rischia di essere un’informazione che non comunica. Soprattutto nel contesto della cultura digitale, con milioni di informazioni ogni giorno». È l’allarme quello di monsignor Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione nella prima giornata della Festa della Comunicazione “Media Cei Insieme per… passione!”. Tema dell’evento le parole di Cristo “La gente, chi dice che io sia” … “Ma voi, chi dite che io sia?”. Monsignor Fisichella, va oltre. «La prima domanda che ci dobbiamo fare è “chi sono io?”. Nel momento in cui Gesù chiede “ma voi chi dite che io sia?”, sta chiedendo ai suoi discepoli chi sono loro, se sono veramente capaci di seguire, se hanno occhi per vedere il mistero che hanno davanti a loro, se hanno orecchie capaci di ascoltare veramente il suo messaggio, se hanno parole per comunicarlo in maniera coerente ». E alla domanda su cosa avrebbe risposto lui alla domanda di Cristo, l’arcivescovo risponde. «Gli avrei detto “sei il senso della mia vita”. Davanti a Cristo non si può rimanere neutrali, dopo l’incontro con lui non si è più come prima». Ma, torna ad avvertire, «c’è il grande rischio di non cogliere la complessità della realtà che ci viene posta dinanzi». In primo luogo, sottolinea Fisichella, «il grande evento della rivelazione di Gesù che è la capacità di Dio di parlare il nostro linguaggio per fare capire a noi chi siamo veramente». Ricordando che «l’uomo è chiamato ad amare, perché il primo incontro di Dio con l’uomo è una relazionalità di amore. Se non riscopriamo questa dimensione profonda che è la natura stessa di Dio, non riusciremo a dare una risposta soddisfacente alla sofferenza, al limite, alla morte dell’innocente, alla violenza. E la presenza dell’amore di Dio non è una teoria ma sono fatti concreti ». Come i Venerdì della Misericordia di papa Francesco dei quali Fisichella è stato l’organizzatore. «Il Papa dice che bisogna sollecitare la cultura dell’incontro, perché nell’incontro si crea relazionalità e ci si sente amati. Non possiamo dimenticare che nel Vangelo il Signore ci dice “siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro”, e anche “siate perfetti come perfetto è il Padre vostro”. Le due affermazioni si illuminano a vicenda. Devi scoprire la misericordia come la via che ti porta alla perfezione, che ti unisce di più a Dio». E, conclude, «quella del Papa è la provocazione a scoprire che cosa si nasconde dietro quelle persone, un richiamo alla vicinanza, a non giudicare, a sostenerle. Per mostrare come l’orizzonte della speranza cristiana è molto più forte di qualsiasi debolezza, ma anche una sollecitazione a seguire l’esempio. Il Papa desidera che questo sia il cammino dei credenti».

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L’arcivescovo lancia l’allarme sul «grande rischio di non cogliere la complessità della realtà che ci sta davanti»

Santo del Giorno 24 Gennaio

San Francesco di Sales Vescovo e dottore della Chiesa 24 gennaio

Thorens, Savoia, 21 agosto 1567 – Lione, Francia, 28 dicembre 1622

Vescovo di Ginevra, fu uno dei grandi maestri di spiritualità degli ultimi secoli. Scrisse l’Introduzione alla vita devota (Filotea) e altre opere ascetico-mistiche, dove propone una via di santità accessibile a tutte le condizioni sociali, fondata interamente sull’amore di Dio, compendio di ogni perfezione (Teotimo). Fondò con santa Giovanna Fremyot de Chantal l’Ordine della Visitazione. Con la sua saggezza pastorale e la sua dolcezza seppe attirare all’unità della Chiesa molti calvinisti. (Mess. Rom.)

Patronato: Giornalisti, Autori, Scrittori, Sordomuti

Etimologia: Francesco = libero, dall’antico tedesco

Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Memoria di san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa: vero pastore di anime, ricondusse alla comunione cattolica moltissimi fratelli da essa separati, insegnò ai cristiani con i suoi scritti la devozione e l’amore di Dio e istituì, insieme a santa Giovanna di Chantal, l’Ordine della Visitazione; vivendo poi a Lione in umiltà, rese l’anima a Dio il 28 dicembre e fu sepolto in questo giorno ad Annecy.
(28 dicembre: A Lione in Francia, anniversario della morte di san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra, la cui memoria si celebra il 24 gennaio nel giorno della sua deposizione ad Annecy).

Il 4 maggio 1959 Giovanni XXIII disse, rivolgendosi ai giornalisti convenuti a Roma: «Vi è (…) una certa stampa che pecca gravemente contro la verità e contro la carità, mentendo per ispirare l’odio; stampa che sembra avere quest’unico programma: avviare a perdizione le anime semplici; ogni giorno travisare il vero (…)».
Oggi la maggior parte della stampa, della Tv e del Web ispira all’odio. Il laicismo sfrenato ha permesso di dire tutto, anche le cose più indegne ed indecenti, a tutti, senza rispetto per nessuno, neppure per la religione, per l’età, lo stato di salute. L’ideologia dell’uguaglianza, inoltre, porta al cinismo abitudinario e alla maleducazione generalizzata: ci si grida in faccia e ci insulta. Verità e carità? Queste sconosciute: il servizio pluralistico dei media è a vantaggio spesso della menzogna e dell’odio.
L’operare di molti giornalisti è sensazionalistico e tutto deve fare spettacolo, anche e soprattutto il dolore. San Francesco di Sales (1567-1622), Patrono degli scrittori e dei giornalisti, ha molto da insegnare al mondo editoriale e pubblicistico di oggi, anche a quello cattolico. Egli fu un predicatore instancabile e scrisse moltissimo, fu autore di libri eccezionali e sue sono più di 30 mila lettere; celebri sono poi i suoi fogli volanti, che faceva stampare per metterli sotto gli usci di casa e affiggerli ai muri di città e paesi. Sfruttò il suo talento di scrittore per diffondere il più possibile gli insegnamenti del Vangelo e spiegare le meraviglie della dottrina e della spiritualità cattolica.
Si fece scrittore per portare la verità e l’ortodossia della fede: fu ponte fra Cristo e la gente, fra Cristo e gli eretici, convertì migliaia e migliaia di calvinisti. Dagli scritti di questo dottore della Chiesa, fra le figure più nobili della Controriforma, esce un oceano di saggezza travasata con dolcezza e serenità. Usa dire: «Meno aceto e più miele», anche nella polemica. È un longanime (con l’animo grande): «è necessario sopportare gli altri, ma in primo luogo è necessario sopportare se stessi e rassegnarsi ad essere imperfetti». Suggerisce di vedere la realtà con oggettività e non soggettivamente: «quel che facciamo per gli altri ci sembra sempre molto, quel che per noi fanno gli altri ci pare nulla».
Il Trattato dell’amore di Dio è una vera e propria summa spirituale, dove l’autore spiega come Dio trae a sé l’uomo con vincoli di amore, cioè di vera libertà: «poiché l’amore non ha forzati né schiavi, ma riduce ogni cosa sotto la propria obbedienza con una forza così deliziosa che, se nulla è forte come l’amore, nulla è amabile come la sua forza» (libro I, cap. VI). I contenuti della fede che comunicherà attraverso i canali comunicativi del suo tempo hanno come fonte originaria la crisi di fede che subisce nel 1587: per sei settimane non mangia, non dorme, piange e si ammala.
Esce dalla notte oscura affidandosi e fidandosi unicamente di Dio: «Io vi amerò, Signore». Lo dice e lo realizza e tutto il mondo conoscerà, proprio con i suoi scritti, la potenza di quell’amore. Dall’incontro con la signora di Charmoisy trarrà spunto per scrivere uno dei libri più letti nell’età moderna, Filotea. Introduzione alla vita devota. E dalla sua profonda comunione spirituale con una personalità d’eccezione, santa Giovanna Francesca di Chantal, nascerà una nuova famiglia religiosa, l’Ordine della Visitazione, caratterizzato, come volle il Santo, da una consacrazione totale a Dio vissuta nell’umiltà, nel fare straordinariamente bene le cose ordinarie. L’Ordine della Visitazione diffuse la spiritualità del Sacro Cuore di Gesù, soprattutto attraverso le Rivelazioni di Cristo alla visitandina santa Margherita Maria Alacocque, con il conseguente movimento spirituale che trovò terreno fertile in molti oratori filippini.
Lo stesso san Francesco fondò a Thonon un Oratorio, eretto da papa Clemente VIII con la Bolla Redemptoris et Salvatoris nostri (1598). L’anno del suo dies natalis, 1622, corrisponde all’anno della canonizzazione di san Filippo Neri che il Vescovo di Ginevra aveva conosciuto grazie alla biografia dell’oratoriano Gallonio che gli fu donata dall’amico, Vescovo oratoriano e beato, Giovanni Giovenale Ancina. Formatosi dai Gesuiti, fu intrepido difensore della fede e della Chiesa e aveva una dote eccezionale: conosceva il cuore umano. Tale sensibilità fu determinante per essere recepito al meglio.
Le persone, quando lo ascoltavano o lo leggevano, si chinavano ai suoi insegnamenti, perché egli “leggeva dentro”. A santa Giovanna di Chantal, scrisse: «(…) Ecco la regola della nostra obbedienza che vi scrivo a caratteri grandi: fare tutto per amore, niente per forza. (…) Vi lascio lo spirito di libertà, non già quello che esclude l’obbedienza, ché questa è la libertà del mondo; ma quello che esclude la violenza, l’ansia e lo scrupolo» (Lettera del 14 ottobre 1604). Il Vescovo di Ginevra è anche, ricordiamolo, Patrono dei sordomuti.
Nella nostra età, dominata dall’apostasia, possa egli rendere meno sordi alla verità i cattolici e far tacere i bugiardi e gli ingannatori. Disse di lui san Vincenzo de’ Paoli: «coloro che l’ascoltavano pendevano dalle sue labbra. Sapeva adattarsi alle qualità di ognuno e si considerava in debito con tutti. Consultato a proposito di affari importanti, questioni di coscienza o qualsiasi altro argomento, non lasciava andare il suo ospite prima che questi fosse rimasto soddisfatto e consolato». È proprio vero: anche quando si legge qualcosa dello scrittore e giornalista savoiardo si rimane soddisfatti e consolati e si trova nuova energia per essere davvero cristiani in ogni stato in cui ci si trova e in ogni luogo, conformandosi alla volontà di Dio.

Autore: Cristina Siccardi – santiebeati.it

Due lumi spenti, uno saggiamente acceso…

Lumi vari. “Repubblica” (6/3, p. 45: «Il Papa irrealista») lancia un’impresa “artistica” che irride i Papi, ma per caso l’Autore ricorda che «a pochi passi» dal luogo della mostra – femminile di… mostro? ndr – «è vissuta e morta santa Caterina da Siena, Patrona di Roma, d’Italia e d’Europa». Già: Lei chiamava «dolce Cristo in terra» i Papi «reali» dei suoi tempi – non sempre e comunque Santi. Altro sproposito, ma offerto di proposito sul “Fatto” (3/3, p. 8). Benedetto XVI salutando i cardinali aveva detto: «E tra voi… c’è anche il futuro Papa». No! Titolo: «Se la fumata bianca annunciasse un laico». Marco Politi ritrova il gusto, abituale da una ventina d’anni, di contraddire il Papa: «E invece no. Non è detto. Pochi sanno che è nel potere del Conclave eleggere romano pontefice qualsiasi battezzato… ». E invece… lo sanno tutti, e mai successo con un «laico». Infatti lui ricorda il caso di Celestino V, già frate e prete quando fu eletto. Puro gusto di contraddire, e anche di contraddirsi nel seguito immediato: «Il pericolo (che costringe a eleggere un laico) non c’è più». Dunque «il futuro Papa» era proprio lì, davanti a Benedetto XVI. Brutta inguaribilità… Finisco in positivo: un «lume» sapientemente acceso. Sul “Messaggero” (6/3, p. 25) Maurizio Costanzo – antichi graditi ricordi – spera «che per Pasqua sia stato eletto» il nuovo Papa. Per lui «se ciò non accadrà, qualcuno dovrà prendere il coraggio a due mani e chiedere al Papa Emerito di venire lui a darci la benedizione per la Pasqua… (ma) la Chiesa saprà contare bene i giorni e lo Spirito Santo farà il suo mestiere. Vedrete, sarà così». Viva il buonsenso, e il garbo in pagina!

avvenire.it

SABATO 26 GENNAIO FESTA DI SAN FRANCESCO DI SALES Patrono dei giornalisti e dei comunicatori

Il-vero-patrono-dei-giornalisti.san.francesco.sales

INVITO A TUTTI  I COLLABORATORI  E OPERATORI  DELLA COMUNICAZIONE

Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla

    Ufficio Comunicazioni Sociali

         Il Vicario Episcopale

Reggio Emilia, 16 gennaio 2013

SABATO 26 GENNAIO FESTA DI SAN FRANCESCO DI SALES

Patrono dei giornalisti e dei comunicatori

Il Vescovo Mons. Massimo Camisasca invita personalmente in seminario a Reggio, Viale Timavo 93 sabato 26 gennaio 2013 alle ore 15,45 all’annuale festa giornalisti, comunicatori e tutti coloro che sono impegnati o desiderano impegnarsi nei vari mezzi della comunicazione.

            QUESTO IL PROGRAMMA

– Ore 15,45 Accoglienza e saluti

– Ore 16 puntuali: Relazione del Vescovo sul tema “LE PAROLE E I FATTI: DUE PILASTRI FONDAMENTALI DEL GIORNALISMO”

– Ore 16,30 Avvio di un dialogo aperto con interventi del pubblico

– Ore 17,15 Breve pausa

– Ore 17,30 S. Messa nella cripta del Seminario, presieduta dal Vescovo

                                                                                                         segnalato da  Don Emilio Landini

Stampa e potere

Forno Mauro – Informazione e potere. Storia del giornalismo italiano / >>> scheda libro online

Informazione e potere. Storia del giornalismo italiano Titolo Informazione e potere. Storia del giornalismo italiano
Autore Forno Mauro
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Forno studia gli ultimi 150 anni di storia italiana, analizzando le maggiori questioni che hanno attraversato il giornalismo, stampa ed editoria, fino all’avvento della televisione e dell’informazione on-line.

Mauro Forno affida a Walter Lippman – giornalista statunitense, vincitore di due premi Pulitzer – la chiusura del suo ultimo volume Informazione e potere. Storia del giornalismo italiano, edito a marzo di quest’anno da Laterza (pp. 298, euro 22,00).
«La qualità dell’informazione in una società moderna è un indice della sua organizzazione sociale», scrisse Lippman quasi un secolo fa, proseguendo: «Quanto migliori sono le istituzioni, tanto più facilmente gli interessi relativi sono formalmente rappresentati, tanto più questioni vengono dipanate, tanto più obiettivi sono i criteri adottati, tanto più perfettamente si può presentare come notizia una vicenda. Nella sua espressione migliore la stampa è serva e custode delle istituzioni; nella sua espressione peggiore è un mezzo mediante il quale alcuni sfruttano la disorganizzazione sociale ai propri fini particolari».
Che Forno, docente di storia del giornalismo e della comunicazione politica e storia dei media all’università di Torino, collaboratore di Vita Pastorale da svariati anni, citi Lippman in un momento di profonda trasformazione – a livello tecnologico, ma non solo – dell’universo mediatico, non appare un caso. Il giornalista americano non si piegò al sensazionalismo e ai gusti del “grande pubblico”, mantenendo sempre il distacco dell’osservatore.
Allo stesso modo, prendendo in esame gli ultimi centocinquant’anni di storia italiana, Forno analizza le maggiori questioni che hanno attraversato il giornalismo del nostro Paese, dall’era dei periodici d’informazione allo sviluppo dell’on-line, senza indulgere nel descrivere il rapporto tra potere politico, economico e finanziario e informazione, troppo spesso vittima della «malcelata aspirazione di entrare a far parte di quella oligarchia, in una logica di non alterazione – e anzi spesso di salvaguardia – dei rapporti di potere».
Per citare ancora Forno, infatti, «al di fuori di particolari fasi storiche o di casi molto specifici, quasi mai i giornalisti italiani sono riusciti a rivendicare concrete forme d’indipendenza o controllo sulle testate in cui lavoravano. E anche quando hanno ottenuto – sotto il fascismo – l’istituzione dell’albo (vale a dire di uno status di professionalizzazione e quindi di autonomia teoricamente elevato, al pari di quello di un medico o di un avvocato), hanno poi dovuto pagare il prezzo della perdita di qualsiasi pretesa d’indipendenza, ponendosi al servizio degli interessi politici del regime».
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Rosarno, 7 gennaio: immigrati alla manifestazione a un anno dalla rivolta del 2010.
Foto di (VITTORIANO RASTELLI / CORBIS)

C’è chi ha sostenuto – Elizabeth Eisenstein – che la nascita del capitalismo vada collegata a quella della stampa. È d’accordo, professor Forno?
«Si tratta di una tesi avanzata dalla studiosa americana in una ricerca pubblicata nel 1979 dal titolo The printing press as an agent of change. Eisenstein vi sosteneva che la storiografia tradizionale non aveva mai colto appieno la portata della scoperta di Gutenberg (la stampa a “caratteri mobili”), a cui si doveva un contributo essenziale nella diffusione del sapere e della conoscenza e nella promozione di un maggiore spirito critico rispetto allo stesso concetto di autorità. Insomma, semplificando molto il discorso, secondo Eisenstein gli editori del XVI e del XVII secolo – ben più, ad esempio, della Riforma protestante o della lotta di classe – avevano favorito la nascita del moderno capitalismo. Evidentemente anche quella della Eisenstein, come altre tesi, presenta aspetti persuasivi e punti di debolezza. Appare in ogni caso impossibile non rilevare la fortissima influenza esercitata dall’invenzione di Gutenberg sulla trasformazione di strumenti di analisi e riflessione come i libri – e, in prospettiva, i giornali – in beni accessibili a un pubblico straordinariamente più ampio».

L’Inghilterra come culla dell’informazione corretta, con i fatti separati dalle opinioni e la citazione delle fonti: era il XVII secolo e il governo inglese non rinnovò il Licensing Act, la censura preventiva, dando il via a un nuovo modo d’interpretare i rapporti tra stampa e potere. Come giudica si siano evoluti questi rapporti in Europa e in Italia, da quel momento fino a oggi?
«In Italia – ma anche in altri Paesi dell’Europa meridionale – la stampa “d’informazione”, così come l’intendiamo oggi, assunse sin dai suoi albori caratteri piuttosto particolari, legandosi molto di più, rispetto al mondo anglosassone, “al potere” e “ai poteri”. Si trattava del resto di Paesi spesso caratterizzati da una bassa percentuale di lettori (anche per l’elevato tasso di analfabetismo) e quindi da scarse prospettive di radicamento di una stampa veramente “popolare” (a tutto favore di una stampa di carattere prevalentemente “politico”, rivolta a un limitato pubblico di notabili).
Queste e altre circostanze resero – sin dalle origini – i giornali italiani dei soggetti economicamente assai poco redditizi. E sappiamo che proprio l’autonomia finanziaria rappresenta un presupposto indispensabile per garantirsi indipendenza dai governi o dai potenti di turno».

Rosarno, 7 gennaio: immigrati alla manifestazione a un anno dalla rivolta del 2010.

La prima “sfida” editoriale cattolica prese vita agli albori del ‘900 per opera del conte Giovanni Grosoli, uno dei fondatori del quotidiano L’Avvenire, il quale costituì un trust editoriale, non direttamente dipendente dalle gerarchie e in grado di competere con la grande stampa liberale del tempo. L’avventura non ebbe vita facile. Comesi è poi articolato l’impegno del giornalismo cattolico? E quale ruolo può ancora giocare in questo momento storico?
«Probabilmente la Chiesa di inizio secolo non era ancora pronta per sostenere sino in fondo un’impresa come quella di Grosoli. Il che non significa affatto negare la notevole fase di sviluppo avviata, proprio a partire da quel periodo, dalla stampa cattolica. Per giunta essa fu l’unica a sopravvivere – se pur con pesanti limitazioni – nel ventennio fascista, riuscendo poi a riproporsi – con ruoli nuovi e articolati – anche nel secondo dopoguerra. Più che l’esperienza dei giornali quotidiani, settore in cui, tutto sommato, la stampa cattolica non ha mai raccolto particolari fortune (se si esclude l’esperienza dell’Osservatore Romano, che peraltro a partire dal 1929 divenne un quotidiano “estero”), degna di particolare attenzione appare a mio giudizio la proposta cattolica nel campo dei periodici. Oltre al caso rilevante di Famiglia Cristiana, credo che a partire dal XX secolo un fenomeno d’indubbio rilievo sia stato rappresentato dai settimanali diocesani, attraverso cui le Chiese locali si sono dimostrate capaci di modellare il proprio messaggio attorno ai bisogni e alle esigenze dei singoli contesti territoriali».

Dai fondi segreti alle veline il fascismo in Italia fu un periodo buio anche per l’informazione. Quali influenze sono rintracciabili di quel periodo nel modo odierno di fare giornalismo nel nostro Paese?
«Nel passaggio dal fascismo al postfascismo si è nel complesso verificata – nell’ambito del controllo sull’informazione – una certa continuità di uomini e di metodi. Per fare un esempio, nell’Italia del dopoguerra la tradizione dei finanziamenti governativi ai giornali “amici” (che affondava le sue radici nella stessa storia pre e postunitaria) fu mantenuta. Anche gli esecutivi repubblicani continuarono insomma a finanziare le testate che meglio sembravano in grado di contrapporsi alla propaganda delle opposizioni. La tradizione italica di una certa stampa, formalmente di informazione ma di fatto funzionale ai governi di turno, non venne dunque sradicata nemmeno col passaggio dal fascismo alla democrazia, come del resto avvenne per molti istituti introdotti dal fascismo: a partire dall’albo dei giornalisti, dall’Istituto nazionale di previdenza, dall’Ente nazionale cellulosa e carta (costituito nel giugno 1935 per garantire un prezzo politico alla materia prima per la fabbricazione dei giornali)».

Quale ruolo ha svolto nel mondo dell’informazione l’affermazione dell’impero editoriale di Silvio Berlusconi? A suo avviso l’ex premier ha tratto vantaggio per la sua ascesa politica dai mezzi che ha avuto a disposizione?
«Oggi molti studiosi dei media tendono ad attribuire un notevole peso al potenziale “democratico” di nuovi strumenti, come ad esempio i blog e i social network, e alla loro capacità di ritagliarsi spazi anche “informativi”, riuscendo a bypassare l’influenza egemone di canali più ufficiali e tradizionali, come la televisione e i giornali. Sostanzialmente, anch’io tendo a collocarmi in questo fronte. Devo tuttavia dire che rimango sempre poco persuaso dalle analisi di chi tende a enfatizzare i presunti ridottissimi influssi oggi esercitabili sull’opinione pubblica dagli strumenti tradizionali. Per venire alla sua domanda, l’ascesa politica di un imprenditore come Silvio Berlusconi fu di certo agevolata dall’ampio ricorso al mezzo televisivo (al momento della sua “entrata in campo”, i nuovi media si trovavano del resto ancora in uno stadio molto basso di diffusione e lo sono ancora oggi tra larghe fette di popolazione) e non credo che la sua successiva perdita di consensi sia stata causata in misura significativa dalla sua potenza mediatica. Insomma, non penso – come invece sostengono altri – che l’eccesso di esposizione televisiva di un leader politico rappresenti oggi – in quanto tale – un “problema”, nel senso di provocare “perdita di consenso”. Resto convinto che a fare la differenza siano i contenuti espressi attraverso il mezzo televisivo. Se io fossi un uomo politico come Berlusconi, mi terrei ben strette le mie televisioni».

Quale sarà il destino della carta stampata? La rete la fagociterà oppure i due strumenti potranno camminare “appaiati”?
«Che l’editoria “classica” – i giornali stampati, nella fattispecie – sia in uno stato di grave crisi, mi pare un dato innegabile. Ma sarei cauto a profetizzare la definitiva scomparsa dell’informazione tradizionale a vantaggio di altre proposte, a partire da quelle on-line. Raramente un nuovo media (o un nuovo strumento informativo) ha saputo soppiantarne totalmente uno vecchio, mentre spesso si sono manifestati processi di adattamento di quest’ultimo alle nuove esigenze. Credo che quotidiani e periodici cambieranno, si adatteranno, ma non scompariranno. Forse – come talvolta avviene nei momenti di difficoltà – riusciranno persino a “migliorare”».

I criteri alla base dell’informazione mutano o restano i medesimi sia che si parli in tv, sulla carta oppure on-line?
«Le rapide innovazioni tecnologiche, a iniziare da quelle collegate allo sviluppo di Internet (capace di porre per la prima volta simultaneamente in collegamento i giornalisti di tutto il mondo, consentendo ai medesimi di condividere un unico patrimonio di informazioni) hanno indubbiamente prodotto una certa omogeneizzazione nell’impostazione del giornalismo, specie di quello proposto dalle nuove generazioni di professionisti. Nel contempo, i programmi televisivi e il materiale prodotto nella rete hanno ormai finito per influenzare profondamente i contenuti dei giornali, che da tempo hanno dovuto ripensare il proprio linguaggio e il proprio aspetto.
«Ritengo che l’informazione cartacea potrà ancora conservare un ruolo importante se si dimostrerà capace di distinguersi nell’analisi e nell’approfondimento. All’interno della pioggia ininterrotta di news proposte dalla rete (difficilmente valutabili e verificabili per un utente medio) la figura del bravo giornalista potrebbe insomma rivelarsi preziosa, soprattutto per consentire al pubblico di interpretare una realtà sempre più complessa e difficilmente riconducibile a un quadro coerente».

Tre giornali dell’editoria cattolica. In alto a sinistra: l’ascesa politica di un imprenditore come Berlusconi fu di certo agevolata dall’ampio ricorso al mezzo televisivo.

Maria Grazia Olivero / vita pastorale ottobre 2012

Insulti contro vento e proposte “singolari”

Fantasie estremiste: più o meno volute, ugualmente dannose. Domenica, prima pagina de “L’Unità” con titolone che reagisce duro: «Insulti di Grillo nella piazza vuota». Giusto? Trattandosi di insulti giustissimo, sempre. Eppure proprio lì accanto la vignetta di Staino ne piazza uno calibratissimo mascherato da satira, equivalente proprio alla celebre invettiva di Grillo che comincia con “V”. Solito colloquio figlia-padre: «Marchionne vuole che lo Stato lo aiuti a rilanciare la Fiat. Il Papa vuole che lo Stato lo aiuti a bloccare le unioni civili… E poi a uno viene la voglia di mandarli tutti e due a Detroit». Così, allegramente, sullo stesso piano nell’invito brusco interessi Fiat più o meno giusti e discutibili e principi di dottrina cristiana e cattolica fondati sulla Parola di Cristo e su prassi di Chiesa in 2000 anni di storia. Sarà satira, ma fa pena per distorsione e strumentalizzazione cieca, che in fin dei conti – visto in più di 60 anni – danneggia chi la propone: un boomerang politico sicuro, come uno sputo contro vento: non intelligente e dannoso. Vale anche, purtroppo, per una sortita per lo meno arruffona. Domenica su “La Stampa” (pag. 11) una singolare proposta del ministro dell’Istruzione: «Profumo: cambiare l’ora di religione». Singolare: nel senso che lui appare molto solo, sul tema. La sua “ragione”? «Il 30 per cento degli studenti è di origine straniera e, spesso, non di religione cattolica». Testuale, non è satira! È vero, e non sono neppure italiani… E allora con questo criterio anche la letteratura, e la storia, e la geografia dovrebbero cambiare, o no? Che dire? Niente discorsi impegnativi, qui, che sarebbero complessi. La scuola italiana ha ben altri problemi.
a cura di Gianni Gennari – avvenire.it