PASTORALE Liturgia: dal 2 al 4 maggio a Padova convegno sulle “altre pratiche della fede”

“La liturgia e le altre pratiche della fede” è il titolo del convegno di studio che si svolgerà dal 2 al 4 maggio nella casa Sacro Cuore di Torreglia (Pd). Il seminario, promosso dall’Istituto di liturgia pastorale di Padova, si apre lunedì 2 alle 15.45 con un intervento di Giorgio Bonaccorso su “I criteri pragmatici per le azioni pastorali”. Tra i relatori: Giuseppe Busoni, Gianni Cavagnoli, Umberto R. Del Giudice, Roberta Tagliaferri, Luigi Girardi. Per informazioni e iscrizioni consultare il sito dell’Istituto www.ist-liturgiapastorale.net

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A lezione di «Management Pastorale»: la Pontificia Università Lateranense a Reggio Emilia

Spring School: per una Chiesa missionaria e creativa, accanto alle persone

Nei giorni scorsi gli studenti del Corso di Alta Formazione in Management Pastorale sono stati ospiti del Centro diocesano di spiritualità e cultura di Marola per la Spring School, settimana residenziale intensiva sul tema dell’innovazione nella gestione delle risorse umane e nei processi organizzativi.
L’esperienza ha coinvolto 25 corsisti, religiosi e laici provenienti da tutta Italia, oltre che da India, Romania, Polonia, Olanda, Perù e Slovacchia, che si sono riuniti per proseguire il proprio percorso di studi e riflettere e sperimentare sul campo i temi dell’innovazione nella gestione delle risorse umane e nei processi organizzativi.
La definizione dei ruoli, delle deleghe, così come gli elementi del problem solving creativo, la gestione dello stress e del burnout, la leadership emotiva, la comunicazione e il team building sono stati i temi fondanti l’esperienza e connessi dal fil rouge: “La cura delle persone e della comunità per una Chiesa missionaria e creativa”.
La location del Centro diocesano di spiritualità e cultura di Marola (Carpineti) gestito dalla nostra Chiesa locale è stato uno splendido scenario che ha accolto e ospitato i partecipanti, guidati dalla Formazione della cooperativa CREAtiv Cise ed in particolare dal direttore del progetto Giulio Carpi e dai formatori Lara Montanari, Alfredo Cenini, Marco De Carolis e dai tutor della didattica Laura Bolondi e Veronica Carpi.
I temi sviluppati sono stati trattati in maniera innovativa ed esperienziale secondo la metodologia del Creative Learning Method che prevede l’utilizzo di setting tradizionali affiancati a significative esperienze outodoor che permettano ai partecipanti di vivere la teoria nella pratica.

 

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A.A.A. Cercasi Catechisti ed aiuto catechisti

Come tante parrocchia, anche la nostra, ogni anno, cerca di coinvolgere le persone mature che praticano la loro fede per compiere una bellissima esperienza come catechista dei bambini e dei ragazzi. Certo è un impegno, ma anche una nuova esperienza cristiana.

Tale esperienza è senz’altro un’occasione di crescita nella fede. Proprio accompagnando gli altri si cresce come cristiani. Evidentemente i catechisti non si nasce, ma si diventa, e sebbene la responsabilità della crescita nella fede dei bambini è, e rimane sempre, dei genitori, i catechisti possano dare una mano.

Rivolgiamo, quindi, un appello a nuove leve perchè accolgano questo invito di partecipazione e servizio nella vita della nostra comunità nell’ambito catechistico-pastorale.

Molti catechisti da anni svolgono questo servizio pastorale con grande entusiasmo, responsabilità ed amore verso i piccoli.  Ma purtroppo alcuni di loro, per vari motivi, non potranno quest’anno proseguire a svolgere il loro prezioso servizio nella nostra parrocchia.

Chi fosse, allora disponibile si faccia avanti coraggiosamente.

Con l’augurio e la speranza di poter contare su nuove energie, Vi ringraziamo di cuore.

Il parroco e i catechisti

Per informazioni e adesioni contattare il responsabile catechisti – cell. 3207505116

catechismo.w

 

 

Le sfide di Papa Francesco

Il gesto di rinuncia di Benedetto XVI è di quelli dirompenti, la cui lezione va certamente al di là della cronaca di qualche settimana. Si tratta di un atto che farà passare alla storia papa Ratzinger: con il paradosso che il Papa-teologo, la cui forza è stata tutta nella parola detta e scritta, venga invece ricordato per un gesto silente che, però, dice più di mille parole. Esso ha il valore di un’autentica e raffinata lezione di ecclesiologia. Dice che quello petrino è un ministero, un servizio alla Chiesa e per la Chiesa: niente di più, ma anche niente di meno. Per questo, esso può venir svolto fintanto che chi è stato chiamato a svolgerlo ha le forze e le energie per farlo. Quando queste vengono meno, è giusto e talvolta doveroso farsi da parte, perché la Chiesa non venga privata di quel servizio. Così come è giusto e a volte doveroso, per una parrocchia, che il parroco cessi di presiederla quando è ormai, per un motivo o per l’altro, incapace di farlo. Si tratta di un fatto che non va troppo frettolosamente archiviato, anche quando s’intende domandarsi quali sfide attendono il nuovo Papa e che cosa ci si debba aspettare da lui. Ci possono essere esagerazioni nel rapportarsi alla figura e al servizio del Papa: sia quando la si esalta e ci si fa scudo per portare avanti le “proprie idee” o “le proprie battaglie” a discapito delle ragioni o delle sensibilità di altri fratelli cristiani; sia quando s’invoca riforma e si nutrono aspettative, che possono sembrare disumane. Nell’uno e nell’altro caso, ci si dimentica che chiunque riveste quel ruolo è – se mi è concesso esprimermi così – “solo il Papa”: non è Dio, cioè; e non è neppure tutta la Chiesa. Né deve esserlo.

Il quadro che il pittore Sergio Favotto ha dedicato espressamente per VP.

Il quadro che il pittore Sergio Favotto ha dedicato espressamente per VP.

Potrebbe essere importante, pensando al futuro, attendersi anzitutto da Papa Francesco che ci aiuti a interiorizzare, con una presenza semplice e umile, quel che l’ultimo gesto di papa Ratzinger ha rimesso in evidenza: la figura del Papa non può venire sacralizzata; e guardare alle sue responsabilità non può significare disattendere le nostre. Siamo, come cristiani, tutti semplicemente discepoli di Cristo: non c’è ruolo, nella Chiesa, che ce lo deve far dimenticare; così come non c’è compito che ci può impedire di realizzarlo. Si tratta di una lezione evangelica, che il Vaticano II ha rimesso in evidenza e che forse, in questi ultimi anni, può essere stata da molti dimenticata. Anche perché, nel tempo della complessità, la via di rifugiarsi dietro le parole del Papa o, peggio, nella sua imitazione può essere apparsa a molti una scorciatoia appetibile. Può fare del bene, in tal senso, la radicalità delle parole che Papa Francesco, all’indomani della sua elezione, ha pronunciato nella prima omelia, quando ha ricordato che si può essere «vescovi, preti, cardinali, papi, ma non discepoli del Signore».

Papa Francesco nella foto dell'elezione del 13 marzo 2013 (foto ANSA / KAPPELER).

Papa Francesco nella foto dell’elezione del 13 marzo 2013 (foto ANSA / KAPPELER).

Ciò detto, non può essere taciuto che, per quel che è in suo potere di fare, dal nuovo Papa ci si può attendere qualcosa d’importante. Anzitutto, che metta come priorità assoluta l’annuncio e la testimonianza del Dio di Gesù Cristo. Nel mondo occidentale non è ormai più scontato essere cristiani; e sapere come annunciare il Vangelo nel tempo della secolarizzazione e della fine della cristianità è questione centrale, che resta in massima parte ancora da pensare. In altri Paesi, le sfide provenienti dalle diverse sètte chiedono probabilmente la stessa prioritaria attenzione. Proprio a tal fine è quanto mai urgente che si metta mano a un’autentica riforma della Chiesa. Con il Vaticano II si era intravista la possibilità di realizzare una collegialità dei vescovi con il Papa. Le modalità secondo cui potrebbe concretamente attuarsi possono essere diverse. Ma quel che sembra fondamentale è che il Papa non sia isolato nel suo ministero, che sia realmente affiancato dai vescovi, che senta attraverso di loro quali sono le urgenze della Chiesa e che cosa i cristiani pensano e dicono; e possa così scegliere, nel confronto con loro, che cosa è bene fare. Ciò è fondamentale per tutto quel che concerne la vita della Chiesa; ma anzitutto, in vista dell’annuncio di Dio. Infatti, in un mondo così complesso, non si può più pensare che l’evangelizzazione possa passare per una formula catechistica valida allo stesso modo per tutti. Sarà indubbiamente diverso ciò che è richiesto in continenti in cui il cristianesimo è giovane e quel che è richiesto nell’Europa secolarizzata. Solo un’autentica collegialità può essere in grado di affrontare questa come altre enormi sfide che ci stanno davanti.

Ma perché questa riforma sia radicale, sarà necessario riprendere a tutti i livelli delle possibilità di dialogo autentico nella Chiesa: senza paure e senza pregiudizi di sorta. La complessità delle scelte pastorali da compiere e del mondo in cui si vive, così come la consapevolezza che la Chiesa non solo non è fatta di soli preti ma neppure di soli uomini (maschi), domandano che ci sia un reale spazio di dialogo, di confronto e di discussione tra tutti i cristiani. Uno spazio importante anche per ridare il posto che le spetta alla teologia e a quanti esercitano questo ministero fondamentale nella Chiesa. E uno spazio che, solo, può far sì che i vescovi esercitino una collegialità che rappresenti davvero la vita reale delle Chiese e dei cristiani. Uno spazio da pensare e, forse, anche da “inventare”. Ma che è più importante ancora di tutte le questioni di cui trattare e da mettere “in agenda”. Perché dice che, di qualunque questione si tratta, ciò che è da ricercare è che non venga soffocata la voce di nessuno: solo così, infatti, possiamo ascoltare che cosa lo Spirito ha da dire alla Chiesa. E perché dice che nella Chiesa ognuno (fosse anche il Papa) ha sempre da rendere conto al suo fratello: in una forma che scardina dall’interno la perversità del potere. Cosa che il gesto semplice e immediato del vescovo di Roma Francesco, che si è chinato davanti al popolo per chiedere preghiera ci ha permesso di ricordare e gustare.

Roberto Repole
presidente dell’Associazione teologica italiana in Vita Pastorale Aprile 2013

La pastorale si fa green

di VITTORIA PRISCIANDARO

Da alcuni anni ormai nelle comunità cristiane italiane sta prendendo piede l’idea che non basta fare proclami per la salvaguardia del Creato, ma occorre compiere scelte “verdi” nel quotidiano, adottando degli stili di vita più sobri e rispettosi dell’ambiente. Una consapevolezza, questa, che sta dando risultati e frutti concreti.

Una giovane coppia coltiva il proprio orto. ( foto CORBIS).

Una giovane coppia coltiva il proprio orto. ( foto CORBIS).

Le prime note abbozzano una melodia ancora in divenire. Che il frastuono tutto attorno, spesso, mette a tacere. Eppure si moltiplicano i pianisti, direbbe l’economista Leonardo Becchetti, perché anche nelle Chiese qualcosa si muove e crescono le iniziative sugli “stili di vita” sostenibili sia per il pianeta – o, come si preferisce dire nel mondo cattolico, il Creato – che per il portafoglio: «Il sistema economico», spiega Becchetti, «è disseminato di pianoforti che possono suonare armonie molto belle, ma nulla accade senza suonatori. Non esiste nessuna mano invisibile che risolve meccanicamente i nostri problemi riconciliando magicamente egoismi privati in ben-essere per la società tutta. Una visione più realistica dell’economia ci dice invece che i pianoforti suonano le loro armonie nella misura in cui gli elementi meccanici con cui sono stati costruiti vengono attivati da regole del gioco lungimiranti e da attori socialmente responsabili, imprese e cittadini». La suggestiva metafora è stata proposta dall’economista nel novembre scorso ai partecipanti al quinto seminario della Rete interdiocesana Nuovi stili di vita. Decollata sei anni fa da Padova, la Rete oggi coinvolge 66 diocesi, è divisa in quattro aree geografiche – Centronord, Adriatica, Tirrenica, Sicilia – e fa parte del gruppo “Responsabilità per il Creato” dell’Ufficio per la pastorale sociale e del lavoro della Cei.

Una sorta di «chiesa di paglia» nel monastero toscano di Siloe ( foto A. CANDIDO).

Una sorta di «chiesa di paglia» nel monastero toscano di Siloe ( foto A. CANDIDO).

Si tratta di una delle espressioni più interessanti e più organizzate della cosiddetta «pastorale green» che in Italia, e molto di più all’estero, interpella in maniera crescente le comunità cristiane. «Non è solo una questione numerica: dietro, ci sono tante iniziative, volontà, impegni, percorsi», racconta padre Adriano Sella, fondatore e responsabile della Rete. Si va dall’Equobar di Vicenza, dove si gustano e si vendono prodotti del commercio equo, i soci sono riuniti in un gas (gruppo di acquisto solidale) e si organizzano viaggi e momenti di informazione “alternativa”; alle iniziative per i ragazzi delle scuole superiori di Foligno, dove il progetto Cittadini del mondo coinvolge migliaia di giovani sui temi della cittadinanza e della salvaguardia del Creato: «L’esperienza nasce da un’alleanza tra i presidi e gli insegnanti di religione, con un percorso educativo che conduce alla Giornata cittadina della salvaguardia del Creato, in maggio, quando ogni scuola presenta il suo lavoro».

L'interno della centrale a biomassa di Morgex (Aosta, foto LEGAMBIENTE/ANSA).

L’interno della centrale a biomassa di Morgex (Aosta, foto LEGAMBIENTE/ANSA).

A Padova, dove la Rete è nata, il progetto propone molteplici iniziative per educare ad avere un rapporto diverso con le cose, le persone, la natura e la comunità. Come L’angolo dei nuovi stili di vita, realizzato in parrocchie, patronati, circoli Acli dove informare su finanza etica, consumo critico, democrazia partecipativa. O la Tenda, un gazebo che viene allestito in spazi comunitari, durante feste o altri eventi, corredato da pannelli illustrati con percorsi tematici per far conoscere e promuovere i nuovi stili di vita. Ad Altamura, in Puglia, si è puntato invece sulla vendita di prodotti sfusi. Mentre a Senigallia la parrocchia di Chiaravalle, per l’ordinazione di un prete novello, ha regalato alla comunità la miniguida diocesana sui nuovi stili di vita, presentando per un’intera settimana ogni giorno un evento a tema. A Bolzano, durante la campagna elettorale, è stato realizzato una specie di decalogo dove, senza indicare persone o partiti, si parlava di punti «sostenibili» da considerare nei programmi per fare una scelta consapevole. E a San Severo gli operatori pastorali sono stati convocati per una tre giorni sui nuovi stili di vita, «facendo un cammino in modo da poter diventare a loro volta moltiplicatori».

Posa di pannelli solari in Vaticano (foto G. GIGLIA/ANSA).

Posa di pannelli solari in Vaticano (foto G. GIGLIA/ANSA).

A chi vuole dar vita a qualche iniziativa green nella propria parrocchia o comunità, padre Sella suggerisce di guardarsi intorno, vedere se nella propria diocesi, all’Ufficio per la pastorale sociale e del lavoro, c’è già chi porta avanti questo tipo di cammino. Altrimenti, se si inizia da zero, basta prendere contatti con la Rete: «La prima cosa è lavorare nel quotidiano. Togliamoci dalla testa di fare cose straordinarie, altrimenti ci ingessiamo e non combiniamo niente. Facciamo tante scelte, basta iniziare a cambiare quelle più semplici». Un esempio? «Ogni giorno apriamo un rubinetto dalle 15 alle 40 volte. Cominciamo a non sprecare l’acqua. E da lì deriva tutto il resto. La sobrietà non è privazione, ma liberazione dal superfluo». Un’altra attenzione trasversale è quella che Becchetti definisce «il voto nel portafoglio». Ovvero, la decisione di premiare – attraverso le proprie scelte nei consumi e nel risparmio – le aziende socialmente responsabili: «Se i cittadini diventano consapevoli che le loro scelte sono atti politici attraverso i quali esprimono gradimento nei confronti delle imprese che vendono i prodotti, allora il mondo può cambiare».

Raccolta delle olive nei campi del Servizio cristiano di Riesi ( foto SERVIZIO CRISTIANO ISTITUTO VALDESE, RIESI).

Raccolta delle olive nei campi del Servizio cristiano di Riesi ( foto SERVIZIO CRISTIANO ISTITUTO VALDESE, RIESI).

La Conferenza episcopale italiana, nell’ambito dell’Ufficio per la pastorale sociale e del lavoro, sta dedicando spazio a questi temi almeno dal 1999. Ha cominciato il responsabile dell’epoca, don Mario Operti, con un percorso che si è mosso sul doppio binario dell’approfondimento etico-teologico e del sostegno a iniziative concrete, come quelle della Rete dei nuovi stili di vita. Sul primo versante l’ufficio ha cercato la collaborazione dei teologi – con i moralisti dell’Atism guidata dall’allora vescovo di Bolzano Karl Golser e con l’Ati di Piero Coda – e nel corso degli ultimi anni ha dato vita a diversi cicli di seminari di studio. Il penultimo ha avuto al centro il tema della creazione e del dono e si è concluso con un convegno nazionale, a Padova, nel 2011, di cui sono già stati pubblicati gli atti. L’ultimo ciclo di seminari ha invece cercato di approfondire il problema dei modelli fondativi di etica ambientale nella loro capacità di generare stili di vita in un contesto di fede e ha avuto la sua conclusione ad Assisi, agli inizi di marzo. Proprio in questi giorni è stato pubblicato il volume Custodire il creato. Teologia, etica e pastorale, edito dalle Dehoniane, che raccoglie i materiali del percorso del gruppo “Responsabilità per il Creato” con Ati e Atism, mentre ulteriori testi usciranno tra breve in una pubblicazione elettronica.

Una scultura nel giardino del monastero di Siloe ( foto A. CANDIDO).

Una scultura nel giardino del monastero di Siloe ( foto A. CANDIDO).

«Il nostro lavoro si muove tra fondazione teologica, elaborazione etica e traduzione pastorale, fino a giungere alle buone pratiche», sintetizza il teologo Simone Morandini, che insegna Ecumenismo all’Istituto San Bernardino di Venezia, coordina il progetto “Etica, filosofia e teologia” della Fondazione Lanza ed è membro del gruppo “Responsabilità per il Creato” della Cei. «Il lavoro sugli stili di vita è diventato un leitmotiv dell’attenzione ecclesiale sulle tematiche ambientali: ciò significa sobrietà, ma anche una certa attenzione per quelle soluzioni anche tecniche che consentono di produrre beni e servizi senza impattare eccessivamente sull’ambiente». Proprio l’attenzione a non produrre soltanto idee, ma anche percorsi qualificati – dalla progettazione edile alla creazione di modelli di microeconomia sostenibile – ha fatto sì che l’ufficio chiamasse tra i suoi consulenti non solo teologi, monaci e pastori, ma anche tecnici, ingegneri ed economisti, in grado di dare piedi e mani alle buone idee e ai desiderata pastorali. «Il mio lavoro consiste nel dare a ogni progetto che mi viene proposto la chiave del basso impatto ambientale», spiega per esempio Stefania Proietti, laureata in Ingegneria meccanica ed energetica ed esperta in gestione di sistemi energetici.

Gli enormi camini della centrale geotermica di Pomarance, in provincia di Pisa ( foto ATLANTIDE PHOTOTRAVEL/CORBIS).

Gli enormi camini della centrale geotermica di Pomarance, in provincia di Pisa ( foto ATLANTIDE PHOTOTRAVEL/CORBIS).

Stefania, che lavora all’Università di Perugia, ha partecipato alle Conferenze internazionali sul clima, ha creato una serie di società che fanno consulenza su questi temi e fa parte dell’Ufficio “Nuovi stili di vita” della diocesi di Perugia. «I tecnici hanno la grande responsabilità di cercare le soluzioni migliori anche dal punto di vista economico, per far sì che il basso impatto ambientale o l’energia alternativa non vengano concepite come un lusso che solo pochi eletti possono concedersi». In questo, aggiunge, occorre «fare anche un grande lavoro di divulgazione culturale nelle comunità ecclesiali ma anche nelle pubbliche amministrazioni».

Un parcheggio di biciclette a Venezia ( foto J. ROSS/SPACES IMAGES/CORBIS).

Un parcheggio di biciclette a Venezia ( foto J. ROSS/SPACES IMAGES/CORBIS).

Le proposte che vengono da Roma hanno spesso un feedback nella sensibilità di pastori che su questi temi ormai stanno riflettendo da tempo nelle loro diocesi. A Savona, per esempio, quest’anno la Quaresima è stata all’insegna del «digiuno» dalla carta. Per la prima volta non è stato inviato alle parrocchie nulla di cartaceo: niente manifesti, niente opuscoli, ma un più agile materiale informativo via e-mail cui è seguita ogni settimana una newsletter. Anche in Campania le Chiese progettano di sostituire carta per lettere e altri documenti con strumenti elettronici.

La raccolta delle olive al Servizio cristiano di Riesi, un centro ecumenico che sorge in provincia di Caltanissetta (foto SERVIZIO CRISTIANO ISTITUTO VALDESE, RIESI).

La raccolta delle olive al Servizio cristiano di Riesi, un centro ecumenico che sorge in provincia di Caltanissetta (foto SERVIZIO CRISTIANO ISTITUTO VALDESE, RIESI).

Monsignor Ciro Miniero, nuovo vescovo di Vallo della Lucania e delegato regionale per la cultura e le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale campana, ha annunciato infatti che e-mail dirette ai computer o ai tablet di sacerdoti o diocesi sostituiranno le comunicazioni cartacee che, fino a poco tempo fa, avvisavano chiese e comunità di incontri e appuntamenti. Gli sms, dall’arrivo del vescovo, già sono usati per richiamare l’attenzione su attività diocesane e catechesi. Il progetto, che punta alla realizzazione di un portale internet per la Conferenza episcopale campana e alla formazione professionale di chierici e laici, userà anche i social network e coinvolge gli uffici regionali delle 25 diocesi della regione. «Si tratta di un modo per creare un collegamento veloce tra le diocesi e trovare modalità concrete di collaborazione tra gli uffici della Curia», spiega Miniero.

La nuova sensibilità ambientale delle Chiese deve molto alle Assemblee ecumeniche europee che su questi temi hanno lavorato bene, senza i dissidi e le incomprensioni che, invece, ci sono stati in altri ambiti. Non è un caso che il gruppo della Cei nasca nel ’99, due anni dopo l’Assemblea di Graz, dove emerse l’indicazione che ogni Chiesa avesse dei referenti nazionali per il Creato. Mentre dalla Kek, la Conferenza delle Chiese europee, nel ’98 nasceva la Rete cristiana europea per l’ambiente (Ecen), la Chiesa cattolica sceglieva di puntare su un lavoro di formazione di vari referenti nazionali, con incontri annuali organizzati dal Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee). Di recente l’attenzione a livello europeo è un po’ calata, concentrandosi più su tematiche legate ai cosiddetti valori non negoziabili, ma a livello nazionale le realtà vanno avanti.

«La sensibilità va crescendo nelle diocesi. E questa riflessione permette anche di incontrare le altre comunità cristiane e persone lontane », commenta don Angelo Casile, direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro. In Italia il corrispettivo della Commissione per il Creato della Cei, per quanto riguarda le Federazione della Chiese evangeliche, è la Commissione Glam (Globalizzazione e ambiente), che tenta di sensibilizzare le Chiese sui problemi che l’ingiustizia economica e la distruzione della terra pongono al mondo e in particolare alla fede cristiana. «Le comunità cristiane sono chiamate a promuovere la responsabilità di ciascuno riguardo a nuovi stili di vita che utilizzino con maggior sobrietà le risorse energetiche, contengano le emissioni di gas serra e favoriscano la vivibilità delle nostre città», dice don Casile. «Un ulteriore impegno è incentivare e diffondere gli studi sul miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici e l’edificazione di spazi nelle nostre comunità secondo regole dettate da sobrietà e risparmio energetico. Si pensi inoltre alla possibilità di far avanzare la ricerca di energie alternative e la promozione dell’energia eolica, solare e geotermica per il riscaldamento e l’illuminazione e il sostegno sempre più diffuso nelle nostre comunità alla raccolta differenziata dei rifiuti, al riutilizzo dell’usato e a tantissime altre pratiche virtuose che scaturiscono da un cuore illuminato dalla fede e per questo attento a Dio, alle persone e alle cose».

Vittoria Prisciandaro – jesus aprile 2013

La pastorale e l’apostolato Ma chi sono i laici?

Il Concilio chiede ai laici di collaborare alla pastorale, rimanendo laici, cioè non rinunciando al loro impegno secolare, bensì portandosi dietro l’esperienza e la maturità di fede che in quell’impegno quotidianamente maturano.

Il suo intervento alla 62ª Settimana liturgica nazionale; Trieste, 22-26 agosto 2011.

Il suo intervento alla 62ª Settimana liturgica nazionale; Trieste, 22-26 agosto 2011.

Proviamo a entrare in un consiglio pastorale parrocchiale. Cosa vediamo? Un prete, raramente due. Ancor più raramente qualche suora. Quasi tutti sono laici. Ma chi sono questi laici? Cosa fanno? Da dove vengono? E, soprattutto: perché sono lì? Si tratta di persone normali.
Hanno una vita fatta di tante cose, ma se gli chiediamo «perché sono lì?» la risposta largamente prevalente sarà: perché me lo ha chiesto il parroco, oppure: perché collaboro con lui? Non pochi e probabilmente la maggior parte di quelli più preparati si definiscono “operatori pastorali”, gente che aiuta il parroco a mandare avanti la liturgia o la catechesi o alcuni servizi che la parrocchia mette a disposizione.
Probabilmente nessuno sta lì per quello che fa fuori dal perimetro fisico della parrocchia (e se ci sta si sente “un pesce fuor d’acqua”). Se invece di entrare in parrocchia fossimo entrati nelle stanze di qualche curia, durante una riunione di uno dei tanti “uffici pastorali”, avremmo visto una scena simile e avremmo ascoltato risposte simili.

Il sociologo Luca Diotallevi.

Il sociologo Luca Diotallevi.

Ora cambiamo scena

Se entriamo nell’aula di un consiglio comunale, o in parlamento, se assistiamo a un’assemblea di imprenditori o di sindacalisti, se assistiamo a un collegio dei docenti o alla riunione di una società sportiva, troviamo – nel nostro Paese è inevitabile – una grande maggioranza di battezzati e di persone che sinceramente si dicono “cattoliche” e tra queste una cospicua minoranza di praticanti piuttosto “regolari”.

Se però aspettiamo un attimo, e ascoltiamo il confronto delle posizioni, e aspettiamo che venga il momento in cui si formano e si mettono al voto delle proposte, raramente possiamoconstatare una capacità d’iniziativa, un’analisi della situazione, una proposta di ampia convergenza nata da un discernimento nel corso del quale una libera e responsabile elaborazione della fede cristiana abbia avuto un qualche peso. Attenzione, ciò di cui si sottolinea la mancanza non è assolutamente una manifestazione in qualsiasi forma di unità dei cattolici contro tutti.

Anzi, non è improbabile che, se aspettiamo ancora un po’, capiterà di ascoltare l’invocazione di qualcosa del genere da parte del personaggio più improbabile, sostanziata dei contenuti più deboli e magari esposta con toni aciduli. Del resto, sappiamo bene che tutta quella schiera di associazionismo di ispirazione cristiana parapolitico, parasindacale, paraimprenditoriale, paraprofessionale, quando non del tutto scomparso, è ormai preda di difficoltà ancora più gravi e radicali di quelle cui ogni giorno debbono far fronte le organizzazioni specificamente religiose.

Non c’è da stupirsi dunque se tanti cattolici, una volta alle prese con problemi politici o economici o sociali in genere, risultano sprovvisti di quasi tutto quello che non è una soggettiva generosità o, fortunatamente in un numero modesto di casi, un astioso spirito di rivincita o di opportunismo. È evidente che un solco profondo separa i due tipi di scene appena immaginate. Un solco profondo separa la religione e la vita. È il solco allargato e approfondito dalla crisi della fede, la quale come è capace di generare nuova religione così è capace di generare novità in ogni altro ambito della vita.

Perché stupirsi di questa situazione? Se vescovi e preti hanno trasformato gli spazi ecclesiali in luoghi in cui parlano solo loro, come si può pensare che i laici sappiano parlare la fede laddove si tratta di temi e decisioni che il clero non può e, anche se volesse, non sa affrontare con la competenza richiesta dalla contingenza e dalla complessità delle dinamiche secolari? È come se tutti (clero e laici) avessero accettato il dogma della laicità, quello che garantisce ai professionisti della religione un monopolio in questo ambito e che garantisce ai laici un’assoluta e altrettanto improduttiva libertà in tutti gli altri ambiti. Quando la religione si clericalizza, i laici si laicizzano. Le due scene – quella religiosa e quella mondana – sono separate da un solco profondo che non si colma neppure se i laici elevano il regime dei loro consumi religiosi.

Da laico, posso infatti essere un grande consumatore di beni religiosi, un “super devoto”, un bulimico di religioserìe, ma non per questo sono in grado di comprendere quale valore e quale significato il cristianesimo vorrebbe continuare ad avere in ogni altro momento della mia vita. Eppure il Concilio era stato chiaro (cf ad esempio, Lumen gentium 31). I cristiani vivono nel secolo e lì sono chiamati a una lotta, tanto interiore quanto sociale, nella quale continuamente si tratta di gestire le realtà temporali e di provare a orientarle secondo il piano di Dio. Tra questi (i “laici”), alcuni (i “religiosi”) hanno ricevuto doni speciali seguendo i quali con la loro vita testimoniano già nel presente la vittoria conseguita dal Signore sulle potenze di questo mondo e sulla morte.

Ai vescovi (e ai loro preti), ai pastori, sarebbe chiesto di prendere un po’ di sobria e paziente distanza dal gorgo del secolo e di servire questo popolo al fine che ciascuno dei fedeli possa seguire il Signore liberamente e ordinatamente (cf LG 18).

Ciò non esclude che i laici possano prendere parte all’apostolato dei pastori (“pastorale”), anzi, tutt’altro. Semplicemente si chiede che i laici collaborino alla pastorale rimanendo laici, ovvero non rinunciando al loro impegno secolare ma portandosi dietro l’esperienza e la maturità di fede che in quell’impegno quotidianamente maturano.

A differenza dei pastori, i laici non sono chiamati a divenire professionisti della pastorale, e del resto non potrebbero farlo se non contraddicendosi. In quanto insegnato dalle costituzioni conciliari, il solco tra religione e resto della vita non è tolto – pensarlo sarebbe un’illusione –, ma solo reso un po’ meno profondo e un po’ meno largo. Certo, se i pastori non sanno mettere ordine nel modo di esercitare il loro indispensabile ministero e se tutta la comunità ecclesiale non torna a interrogarsi sui prezzi che stiamo pagando per le sofferenze inflitte all’Azione cattolica e per la disattenzione che riserviamo allo stato del monachesimo e della vita religiosa, sarà davvero difficile contrastare il processo che approfondisce e allarga l’abisso tra religione e vita.

Che fare allora?

Per lo meno fare tesoro di due esperienze. La prima, sempre più frequente e sempre più dolorosa, è quella che ci rivela l’inconsistenza delle promesse fondamentaliste, integriste o variamente movimentiste.

Diversamente da quanto affermato in quelle promesse, il solco di cui abbiamo parlato non è un abbaglio. Esso esiste, fuori di noi e ancor di più dentro di noi, e fino all’ultimo giorno non potrà essere cancellato. Dev’essere affrontato con forza e con coraggio, e soprattutto sostenuti dalla grazia.
È così che cresce una fede vera e matura. Com’è ormai sotto gli occhi di tutti, le esagerazioni fondamentaliste e integriste possono affascinare per il tempo di una breve stagione, ma poi sbiadiscono e lasciano apparire le macerie costruite sulla base di una proposta cristiana spiritualmente debole e culturalmente sprovveduta.

Un antidoto al fascino di quelle esagerazioni sarebbe offerto costantemente da una maggiore familiarità con le dinamiche della vita spirituale e con la storia della Chiesa e del cristianesimo, ma raccomandare tutto questo a volte sembra vano. La seconda esperienza da mettere a punto è quella che come laici facciamo ogni qual volta comprendiamo davvero la nostra dignità nella Chiesa, pari a quella di qualunque altro battezzato, e la responsabilità che ne deriva. Se grande è la dignità, grande è la nostra responsabilità per ogni deficit di esercizio dell’apostolato dei laici, e per le lacerazioni e le deformazioni che questo deficit incide sul volto della civitas e della ecclesia.
Ogni eventuale fiacchezza nell’apostolato dei laici non può mai essere innanzitutto colpa dei pastori. Non è un caso che il solco che separa religione e vita si manifesti oggi con una profondità e una larghezza straordinaria, ovvero proprio in un momento in cui siamo coinvolti in un trapasso da un “mondo” che irreversibilmente finisce a un “mondo” che si va formando, ma del quale non sono ancora visibili neppure i tratti principali. Tuttavia è proprio per vivere con fede e con lucidità questo trapasso che lo Spirito ha donato alla Chiesa e all’umanità la grazia del Vaticano II, così tutti i pontefici, a partire da Paolo VI, hanno insegnato. Questa è una grazia che provoca e che giudica in modo pressante i laici e la qualità del loro apostolato.

In questo trapasso, particolarmente traumatico in Italia e nella vecchia Europa continentale, il compito dei laici cristiani è quello di fare dell’eucaristia e della parola di Dio luce e forza di un discernimento e di un rinnovamento della vita politica, della vita economica, della vita familiare, della vita culturale e scientifica, e così via, e forti di questa esperienza, loro compito è anche quello di contribuire al rinnovamento della vita religiosa.

Luca Diotallevi

vita pastorale febbraio 2013