Il parroco di Gaza: «Cessate il fuoco, subito!»

Il parroco di Gaza: «Cessate il fuoco, subito!»

ROMA-ADISTA. «Impegnatevi ovunque per un cessate il fuoco immediato e permanente a Gaza, perché ci sono già stati troppi morti, più di 22 mila vittime delle bombe, tra cui 8 mila bambini! Non abituiamoci a questa carneficina. Più di 56 mila feriti sono in attesa di cure. Dobbiamo fare tutto il possibile per evitare che il conflitto israelo-palestinese si estenda all’intera regione». E’ questo il primo messaggio che p. Gabriel Romanelli, PRETE argentino, parroco della Chiesa della Sacra Famiglia, l’unica parrocchia cattolica nella Striscia di Gaza, rivolge ai cristiani di tutto il mondo, in una lunga intervista pubblicata nel numero di Famiglia Cristiana in edicola da oggi, 18 gennaio.

Padre Romanelli attualmente si trova in Cisgiordania: lo scorso 7 ottobre, il giorno dell’attacco di Hamas, lui si trovava a Betlemme e non è più riuscito a rientrare nella Striscia, presso la sua parrocchia. «Un cessate il fuoco è ora l’unica emergenza, perché ogni minuto di guerra produce più odio, più desiderio di vendetta e nessuno può vincere in questo modo nel lungo periodo”, afferma p. Romanelli. 

Testimoni. IL sacrificio di don Minzoni 99 anni dopo

Due momenti per ricordare il sacerdote ucciso dai fascisti il 23 agosto 1923
Don Giovanni Minzoni, parroco di Argenta, ucciso dai fascisti il 23 agosto 1923

Don Giovanni Minzoni, parroco di Argenta, ucciso dai fascisti il 23 agosto 1923 – Archivio

Avvenire

Con due manifestazioni Ravenna ricorda il 99° anniversario della morte di don Giovanni Minzoni, parroco di Argenta (provincia di Ferrara ma arcidiocesi di Ravenna-Cervia), educatore, sacerdote attento ai diritti dei lavoratori, ucciso il 23 agosto 1923 da due fascisti della zona.

Lunedì alle 18 deposizione di fiori alla lapide di piazza Garibaldi, cui seguirà un incontro con lettura di brani del diario di don Minzoni, il saluto del sindaco Michele de Pascale e l’intervento dell’ex deputata Albertina Soliani. Appuntamento organizzato dal Centro Studi Donati, Acli, Associazione Zaccagnini, Azione Cattolica, Cif, Agesci e Masci. Martedì l’arcivescovo Lorenzo Ghizzoni celebrerà una Messa di suffragio alle 18 nella chiesa San Nicolò ad Argenta.

Nato a Ravenna nel 1885, Minzoni entrò in seminario nel 1897 e nel 1909 fu ordinato sacerdote. Durante gli anni di formazione entrò in contatto con Romolo Murri e il modernismo teologico, avvicinandosi al movimento democratico cristiano. L’anno seguente fu inviato ad Argenta, di cui divenne parroco dopo la fine della Grande guerra, durante la quale prestò servizio come cappellano militare ottenendo la medaglia d’argento al valore militare. Poco prima dello scoppio del conflitto si era recato a Bergamo per studiare alla Scuola sociale della diocesi.

Ad Argenta promosse la costituzione di cooperative di ispirazione cattolica tra i braccianti e le operaie del laboratorio di maglieria, il doposcuola, il teatro parrocchiale, la biblioteca circolante. un turbine di iniziative. Grazie all’incontro con don Emilio Faggioli, fondatore del gruppo scout “Bologna I” e poi assistente ecclesiastico regionale dell’Asci, don Minzoni si convinse della validità dello scautismo, per cui decise di fondare un gruppo scout nella propria parrocchia.

Nel lembo di pianura padana tra Ferrara e Ravenna in quegli anni si respirava un clima pesante, con scoperi, repressioni violenze. Nel 1921 fu vittima dello squadrismo fascista il sindacalista socialista Natale Gaiba, consigliere comunale ad Argenta e amico di don Minzoni. Questo e altri episodi convinsero il sacerdote ad opporsi esplicitamente al fascismo già prima della marcia su Roma. Si iscrisse al Partito Popolare e rese nota la cosa nell’aprile del 1923.

Pochi mesi dopo, la sera del 23 agosto, intorno alle 22.30, mentre stava rientrando in canonica in compagnia di un giovane parrocchiano, Enrico Bondanelli, don Minzoni fu aggredito da due fascisti di Casumaro, frazione del comune di Cento, che lo colpirono violentemente con un bastone procurandogli una frattura cranica. Don Minzoni riuscì in un primo momento a rialzarsi, ma dopo pochi passi cadde sulle ginocchia. Bondanelli, con grande difficoltà, lo aiutò ad arrivare a casa, dove venne visitato da un medico, ma dove morì attorno alle mezzanotte.

Avvenire

Messa in mare: parroco indagato da Procura di Crotone. Sacerdote chiede scusa, non volevo banalizzare l’Eucarestia

Don Mattia Bernasconi, il prete della parrocchia San Luigi Gonzaga di Milano che ha celebrato messa in mare a Crotone a conclusione di un campo di volontariato di Libera, risulta iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Crotone che ha aperto un fascicolo sulla celebrazione avvenuta domenica in località Alfieri su un materassino gonfiabile.

Il parroco è indagato per offesa a confessione religiosa.

L’iniziativa del procuratore Giuseppe Capoccia nascerebbe, secondo quando appreso in ambienti giudiziari, dall’esame di articoli e foto apparsi soprattutto sui social che avrebbero arrecato offesa alla religione cattolica.
Intanto, il sacerdote ha chiesto scusa. “Vi scrivo poche ma sentite righe per chiedere scusa per la celebrazione di domenica 24 mattina nelle acque del mare di Capo Colonna”. Lo scrive in una lettera pubblicata sul sito della parrocchia di San Luigi di Gonzaga di Milano, don Mattia Bernasconi, vicario della pastorale per i giovani. “Non era assolutamente mia intenzione banalizzare l’Eucarestia né utilizzarla per altri messaggi di qualunque tipo”, aggiunge don Bernasconi. (ANSA). 

Monsignor Carlino da imputato in Vaticano a parroco della Basilica a Lecce

Vaticano monsignor Carlino da imputato a parroco a Lecce

Agi

Monsignor Mauro Carlino, imputato nel processo in corso davanti al Tribunale della Santa Sede per la vicenda dell’acquisto da parte del Vaticano di un lussuoso palazzo londinese su Sloane Avenue, diventa parroco della chiesa simbolo di Lecce, la basilica di Santa Croce.

Carlino, 46 anni, leccese di nascita, all’epoca dei fatti funzionario del Vaticano, fu sospeso dall’incarico da papa Francesco dopo il suo coinvolgimento nell’affare finanziario-immobiliare che avrebbe prodotto perdite per 217 milioni di euro in danno della Santa Sede.

Tornato nella sua città d’origine, monsignor Carlino fu nominato dall’arcivescovo Michele Seccia suo segretario personale. Ieri è arrivata anche l’ufficializzazione della sua nomina a parroco della basilica di Santa Croce, icona del Barocco leccese, vanto della curia locale e dell’intero Salento.

A dare l’annuncio è stato lo stesso arcivescovo Seccia nel corso della Giornata sacerdotale di fine anno pastorale, davanti al clero diocesano riunito a Roca, una località nelle vicinanze del capoluogo salentino. Il nome di monsignor Mauro Carlino figura nell’elenco dei parroci di nuova nomina diffuso nella stessa occasione.

È noto che negli ambienti ecclesiastici leccesi Carlino goda di grande stima, così come è assai diffusa l’idea che nel processo possa emergere la sua assoluta innocenza. La vicenda giudiziaria che vede coinvolto Carlino riguarda fatti avvenuti quando il sacerdote leccese era segretario dei sostituti per gli Affari generali, il cardinale Angelo Becciu (tra i principali imputati) e monsignor Edgar Peña Pena Parra.

Sotto la lente dei giudici è finita la gestione dei fondi della Segreteria di Stato, con particolare riferimento all’operazione finanziaria finalizzata all’acquisto del palazzo di Londra.

Monsignor Carlino, dopo avere avvertito la vocazione al sacerdozio, ha studiato al Seminario Romano e alla Pontificia Università Lateranense, per poi conseguire il dottorato in Storia della Chiesa alla Pontificia Università Gregoriana.

È stato ordinato presbitero il 28 marzo 2001 ed ha fatto ritorno nella diocesi di Lecce fino alla chiamata all’Accademia Pontificia di piazza della Minerva, a Roma, dove si è specializzato in Diritto canonico e si è preparato alla carriera diplomatica. Fu anche segretario personale dell’arcivescovo di Lecce, Cosmo Francesco Ruppi.

La sua prima destinazione è stata alla segreteria della nunziatura apostolica in Nicaragua, cui è seguito l’incarico nella segreteria di Stato, in Vaticano. Appassionato di calcio, monsignor Carlino è un grande tifoso del Lecce, di cui segue tutte le partite.

La vera storia del Crocifisso di don Camillo

Settant’anni fa usciva il primo film della saga ispirata ai racconti di Giovannino Guareschi diretta dal regista francese Duvivier. Quello utilizzato sul set stava a Cinecittà, ora si trova a Brescello ed è una copia del Cristo custodito nella chiesa di Busseto: «I fedeli vengono qui e si confidano con lui, proprio come nel film», racconta il parroco don Luigi Guglielmoni

in Famiglia Cristiana

Della saga di don Camillo e Peppone si sa molto. Del “Crocifisso parlante” con il quale dialoga il pretone burbero e generoso inventato da Giovannino Guareschi in Mondo piccolo assai meno. Il 15 marzo 1952, settant’anni fa, usciva il primo film della saga che portò al cinema la bellezza di oltre 13 milioni di spettatori, risultando una delle pellicole più viste di tutti i tempi. Un successo che ben presto varcò i confini italiani sbarcando in Francia, Germania, Svezia, Stati Uniti, Inghilterra (dove la voce narrante era quella di Orson Welles) fino ad arrivare al Don Kamiro proiettato nel 1954 in Giappone.

E pensare che nessun regista italiano contattato dalla produzione accettò di girare Don Camillo: troppo controverso in termini politici, troppo rischioso in un periodo dove l’opposizione tra Pci e Democrazia Cristiana era all’apice della tensione. Dissero di no Mario Camerini, Vittorio De Sica, Luigi Zampa e Renato Castellani. Venne sondata anche Hollywood, dove la sceneggiatura fu molto apprezzata. Frank Capra si disse interessato ma era troppo impegnato in quel periodo. La scelta, alla fine, cadde sul francese Julien Duvivier che cambiò in parte la sceneggiatura, scatenando le ire di Guareschi che non era mai soddisfatto di come le sue indicazioni venivano realizzate nelle riprese.

Lo scrittore diceva che «il mio pretone e il mio grosso sindaco li ha creati la Bassa. Io li ho incontrati, li ho presi sottobraccio e li ho fatti camminare su e giù per l’alfabeto». Logico che il film dovesse essere girato nella Bassa parmense, bagnata dal Po e terra di grandi italiani, a cominciare da Giuseppe Verdi. Guareschi volle aprire il suo ristorante proprio accanto alla casa natale del Maestro, a Roncole di Busseto, per poter stare, diceva, “all’ombra di un grande”. Ora è sede dell’Archivio curato con grande dedizione dal figlio Alberto, custode tenero della memoria del padre che riposa nel piccolo cimitero di fronte insieme alla moglie Ennia (la Margherita dei suoi racconti) e la figlia Carlotta (la Pasionaria).

Dove girare dunque il film? Julien Duvivier non era convinto dei paesi indicati da Guareschi, come Fontanelle, Roccabianca (dove lo scrittore era nato nel 1908), Polesine, Busseto e decise di far perlustrare il circondario alla ricerca del paese giusto. «Ici, Ici voilà le pays», esclamò entusiasta il regista francese quando vide piazza Matteotti a Brescello, Reggio Emilia, dove è ancora possibile ammirare la campana Sputnik, il carro armato americano e la bicicletta di Don Camillo.

E il celebre Crocifisso che ora si trova nella chiesa ma arriva da Cinecittà come materiale di scena della saga e che qualche anno fa l’allora parroco di Brescello don Evandro Gherardi, ispirandosi proprio ai racconti di Guareschi, decise di portare in processione dal centro del paese fino alle rive del Po per chiedere a Dio la protezione dagli effetti devastanti delle piene del fiume e dalla siccità, un problema che quest’anno è diventato particolarmente drammatico. «Poi», racconta, «l’ho portato in processione, da solo, in una piazza vuota, nella Via Crucis del Venerdì Santo, durante il lockdown del 2020».

Duvivier nel suo peregrinare nella Bassa aveva visto il Crocifisso conservato nella Collegiata di San Bartolomeo a Busseto, la chiesa dove nel 1836 Verdi sposò la sua prima moglie, Margherita Barezzi, e se ne innamorò perché lo trovava perfetto per il film. Perché il Cristo ha la testa lievemente girata sul lato destro, come se stesse interloquendo con don Camillo e volesse voltare la testa quando il prete gli dice qualcosa su cui non è d’accordo, e un corpo longilineo e dalle lunghe braccia sottili, quasi per abbracciare tutti. Oggi svetta nella prima cappella a sinistra risalente al 1642 e restaurata nel 1846. Per questo sul sagrato della chiesa di Busseto ci sono i cartonati di don Camillo, interpretato dal mitico Fernandel, e Peppone, Gino Cervi.

«Si tratta», spiega il parroco di Busseto, don Luigi Guglielmoni, «di un Crocifisso ligneo, di grandi dimensioni, degli inizi del 1400, ottimamente conservato. Forse in origine era il Crocifisso dell’altare maggiore della bella chiesa iniziata nel 1339 per volere del marchese Uberto Pallavicino, poi ampliata e riconosciuta “Collegiata” con Bolla papale del 9 luglio 1436». Davanti all’icona c’è un cartello che spiega cos’ha a che fare con i film su don Camillo e Peppone.

«Il Crocifisso resta lì, in alto e silenzioso, invitando a sostare un momento e ad alzare lo sguardo oltre l’immediato», riflette don Luigi, «Guareschi è stato geniale nel far dialogare il Crocifisso con don Camillo. Ma quel Cristo in croce continua a “parlare” a quanti ogni giorno vengono ad accendere un cero, a consegnargli la propria croce e a cercare speranza».

Per girare il film, Vivier fece scolpire un Crocifisso sul modello di quello di Busseto in legno di cirmolo, un legno leggero perché Fernandel faceva fatica a portare pesi, con le teste di legno intercambiabili a seconda che nel film Gesù dovesse ridere, piangere o arrabbiarsi nei dialoghi con il prete. Finito il film, se ne erano perse le tracce. Poi è stato ritrovato in un magazzino di Cinecittà. I cittadini di Brescello hanno voluto riportarlo nella loro città, dove è stato restaurato e pulito e da cinquant’anni si trova nella chiesa parrocchiale, dove molti vanno a pregare e accendere un cero.

Busseto ha ispirato, Brescello ha conservato. Da oggetto di scena a oggetto di culto e di devozione popolare. Una storia che sarebbe piaciuta a Guareschi al quale San Giovanni XXIII, lettore avidissimo dello scrittore, voleva affidargli di scrivere un commento al Catechismo. Giovannino conobbe di sguincio l’idea papale. E se ne stupì.

San Luca Santo del giorno 18 Ottobre. Onomastico di don Luca Grassi e 2° Anniversario ingresso in Parrocchia di don Luca e don Gionatan

L’ingresso dei nuovi sacerdoti nella parrocchia

San Luca
L’Evangelista S. Luca nacque in Antiochia di Siria, dà genitori pagani. Imparò la scienza medica e, allo scopo di perfezionare le sue cognizioni, intraprese diversi viaggi nella Grecia e nell’Egitto. Si portò poi a Troade per esercitarvi la sua professione: ma qui il Signore l’attendeva per un’altra missione più grande. Essendo passato di là l’apostolo Paolo a predicare il S. Vangelo, Luca, conquistato dalla verità, volle seguirlo nel sacro ministero e gli fu compagno fedelissimo fino alla morte.

Verso il 60, mentre S. Paolo si trovava prigioniero a Cesarea, Luca scrisse, per divina ispirazione, il terzo Vangelo in lingua greca, che si distingue per la sua chiarezza ed eleganza.

Questo Vangelo è dedicato a Teofilo, che era un famoso cristiano di Antiochia, ma nello stesso tempo è indirizzato a tutti i Cristiani e a tutti quelli che vogliono salvarsi, siano essi ebrei o pagani: il regno di Dio è aperto a tutti. Egli voleva dimostrare la bontà e la misericordia di Dio, e perciò racconta gli episodi e le parabole più commoventi.

Eloquentissime sono le parabole del buon samaritano, della pecorella smarrita, del fariseo e del pubblicano, di Zaccheo e del figliuol prodigo, che ci manifestano l’infinita misericordia di un Dio morto per noi sulla croce e che perdona agli stessi suoi crocifissori: « Padre, perdona loro, perché non sanno quel che fanno ».

Il santo evangelista si diede anche alla predicazione ed evangelizzò la Macedonia, la Dalmazia, l’Italia e la Gallia. Durante la prigionia di S. Paolo in Roma scrisse gli « Atti degli Apostoli » in cui narra la storia dei primi anni della Chiesa e particolarmente i viaggi di S. Paolo. Ma la tradizione ci dice che S. Luca, oltre che medico, era pure pittore. Devotissimo della Madonna, è tra gli Evangelisti quello che ne parla più diffusamente. Non può non averla vista, non averle parlato: lo dimostrano anche le belle immagini della Vergine che ci furono tramandate sotto il suo nome.

Mori nella Bitinia, all’età di 84 anni. Le sue venerate spoglie vennero deposte nella città di Costantinopoli, assieme a quelle di S. Andrea, nella basilica dedicata ai dodici Apostoli. Giunsero poi a Padova, dove tuttora si trovano nella Basilica di Santa Giustina.

S. Paolo lo chiama « medico carissimo » e « fratello, la cui Mele è nel Vangelo ».

Il suo simbolo è un toro alato, perché il primo personaggio che introduce nel suo Vangelo è il padre di Giovanni Battista, Zaccaria, sacerdote del tempio e responsabile del sacrificio di tori.

PRATICA Il Vangelo sia la regola della nostra vita.

PREGHIERA. Deh! Signore, interceda per noi il tuo evangelista S. Luca, il quale ad onor del tuo nome portò continuamente nel suo corpo la mortificazione della croce.

MARTIROLOGIO ROMANO. Festa di san Luca, Evangelista, che, secondo la tradizione, nato ad Antiochia da famiglia pagana e medico di professione, si convertì alla fede in Cristo. Divenuto compagno carissimo di san Paolo Apostolo, sistemò con cura nel Vangelo tutte le opere e gli insegnamenti di Gesù, divenendo scriba della mansuetudine di Cristo, e narrò negli Atti degli Apostoli gli inizi della vita della Chiesa fino al primo soggiorno di Paolo a Roma.

santodelgiorno.it

A Lampedusa, tra arrivi ed emergenze. L’addio del parroco: «Il cuore resta qui»

Totò Martello, sindaco di Lampedusa e Linosa, scruta il cielo nuvoloso e mormora: «C’è brutto tempo». Le condizioni meteo avverse ostacolano i viaggi della speranza e della disperazione. Qui è sempre opportuno guardarlo, il cielo, per capire cosa accadrà. Ma gli sbarchi ci sono stati e ci saranno ancora nell’isola che raccoglie storie come pesci nella rete dell’umanità. Solo una settimana fa circa in cinquecento hanno poggiato il piede sulla terraferma: erano di origini subshariane, egiziane e marocchine. Nei giorni scorsi, il viavai dei barchini, con il loro carico di fragilità, è stato incessante.

«Attualmente, abbiamo più di quattrocento persone nell’hotspot e aspettiamo a breve la nave quarantena che svuoterà la struttura – dice il sindaco Martello –. Chi continua a dire che i migranti portano il contagio del Covid compie una speculazione politica. Speriamo che si possa procedere anche per vaccinarli, dovrebbe accadere presto. Si parla giustamente dell’Afghanistan e sono il primo a dire che bisogna sostenere, a tutti i livelli, l’impegno della comunità internazionale di fronte al dramma che si sta vivendo laggiù, ma è altrettanto giusto ricordare che ci sono altri territori e Paesi nei quali vengono quotidianamente negati i diritti umani e diritti fondamentali come quello alla salute, all’istruzione, al cibo. Noi non possiamo essere lasciati soli, ecco l’appello che non mi stancherò di ripetere».

Tanti giungono, qualcuno parte, come don Carmelo La Magra, 42 anni, il parroco che è diventato un simbolo e che si è congedato con un post su Facebook, annunciando l’arrivo di don Carmelo Rizzo. Lui andrà a Racalmuto. Ora, don La Magra racconta: «Potrei fare un resoconto infinito, ho passato a Lampedusa cinque anni, ma, per l’intensità, è come se fossero stati trenta. Cosa mi porto addosso? I volti delle persone che ho incontrato, i lineamenti delle donne, degli uomini, dei bambini. Porto con me la loro fatica, la sofferenza ineluttabile, le danze gioiose per essersi salvati. Non li dimenticherò mai». Tutto è viaggio che si snoda dentro e fuori: sulle strada e nel cuore. «Non scorderò mai la mia Lampedusa – dice don Carmelo –. Il mio impegno non è certo finito. Lascio una comunità provata dal Covid. La pandemia ha intaccato dinamiche di relazione che erano molto salde ed è un’ottima scusa per rinchiudere i migranti nell’hotspot. Un dispiacere forte? Le vittime del naufragio del trenta giugno scorso non sono state ancora recuperate. Mi ferisce la motivazione: costerebbe troppo. E se lì sotto ci fossi io o se ci fosse un italiano qualunque, cosa direbbero?». Nove corpi attendono, adagiati a circa novanta metri di profondità.

Qui, per forza di cose, la speranza è un’onda che oltrepassa la disperazione. Sulla pagina Facebook di don La Magra, da circa un mese, campeggiano i sorrisi di una madre e di sua figlia. La mamma approdata in cerca di salvezza, la bimba nata nel poliambulatorio perché il miracolo di una venuta al mondo ha dribblato perfino la fretta dell’elisoccorso nel lembo di terra in cui le mamme partoriscono altrove, per mancanza di un punto nascite. La didascalia di don Carmelo ha benedetto quell’amore con parole semplici e toccanti: «Ogni tanto la vita manda all’aria gli schemi degli uomini e ti fa nascere dove non si nasce. Benvenuta al mondo piccola Maria, lampedusana di nascita come non se ne vedevano da tempo».

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Dopo cinque anni («ma è come se fossero stati trenta»), don Carmelo La Magra lascia l’isola per Racalmuto.

«Il dispiacere più forte? Le vittime del naufragio del 30 giugno non recuperate per ragioni economiche»