Rimini, coppia di coniugi nominata alla guida di una parrocchia senza prete: è la prima volta. La scelta del vescovo per la crisi di vocazioni

Una coppia di coniugi per la prima volta alla guida di una parrocchia rimasta senza prete. Lo ha deciso il vescovo di Rimini, monsignor Francesco Lambiasi, per sopperire alla mancanza di clero che ha colpito anche la sua diocesi. Dopo la partenza di don Angelo Rubaconti, attualmente in un periodo di riposo e riflessione, monsignor Lambiasi ha nominato il diacono Davide Carroli e la moglie Cinzia Bertuccioli quali referenti pastorali della parrocchia dei Santi Biagio ed Erasmo di Misano Monte e collaboratori di don Giuseppe Vaccarini e don Roberto Zangheri nell’animazione dell’unità pastorale che unisce le parrocchie di Misano Adriatico, Misano Monte, Scacciano e Villaggio Argentina.

Una decisione analoga è stata presa, nel 2018, nella diocesi di Papa Francesco, ovvero Roma, dal cardinale vicario Angelo De Donatis. Il porporato, infatti, ha affidato la parrocchia di San Stanislao, nella zona di Cinecittà, alla cura di un diacono sposato, Andrea Sartori. Quest’ultimo si è trasferito nella canonica con la moglie Laura e i loro quattro figli. Ma, a differenza di Rimini dove il vescovo ha dato l’incarico alla coppia di coniugi, a Roma il cardinale De Donatis ha nominato soltanto il marito diacono e non anche la moglie.

Il porporato ha spiegato la sua decisione, che ha destato non poche polemiche, affermando che “San Stanislao vive una speciale vocazione che è quella di diventare una diaconia: una comunità cristiana che, in sinergia con le parrocchie del territorio della prefettura, diventa uno spazio di accoglienza e di accompagnamento dei poveri e delle persone ferite e sole, in vista del loro sviluppo umano integrale. L’idea che c’è dietro è quella di recuperare una prassi antica della Chiesa, che prevedeva il sorgere di diaconie a fianco alle parrocchie, per il servizio dei poveri del territorio. A Roma ne è documentata l’esistenza fin dal VII secolo”.

Il problema della mancanza di clero è da tempo all’ordine del giorno nella Chiesa cattolica. Se ne è discusso in modo molto approfondito durante il Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia che si è tenuto nel 2019 in Vaticano. Alla vigilia dell’assemblea, l’ipotesi più accreditata era quella di ordinare sacerdoti uomini sposati, i cosiddetti “viri probati”. “Una delle cose principali da ascoltare – afferma il documento preparatorio di quel Sinodo – è il gemito di migliaia di comunità private dell’Eucaristia domenicale per lunghi periodi”. Ciò si rende necessario soprattutto in quei Paesi dove il calo di vocazioni è talmente alto da non consentire ai pochi preti presenti sul territorio di raggiungere tutti i fedeli con una certa assiduità, almeno per garantire i sacramenti e la messa domenicale.

Il Sinodo, però, ha scelto a larga maggioranza un’altra strada: la possibilità per i diaconi permanenti, ovvero uomini sposati che hanno ricevuto il primo grado dell’ordine sacro, di essere ordinati sacerdoti. Da sottolineare che sia nella diocesi di Roma che in quella di Rimini sono stati nominati proprio due diaconi per guidare le rispettive parrocchie. “Considerando – si legge nel documento finale dell’assemblea sinodale – che la legittima diversità non nuoce alla comunione e all’unità della Chiesa, ma la manifesta e la serve, come testimonia la pluralità dei riti e delle discipline esistenti, proponiamo di stabilire criteri e disposizioni da parte dell’autorità competente, nel quadro della Lumen gentium 26, per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti della comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della parola e la celebrazione dei sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica. A questo proposito, alcuni si sono espressi a favore di un approccio universale all’argomento”.

Bergoglio, però, almeno per il momento, ha chiuso questa strada non mettendo in atto quanto proposto dal Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia. Una possibilità, quella di ordinare preti alcuni diaconi sposati, non ipotizzata solo per quella vasta regione del pianeta, ma anche per altre realtà, per esempio europee, dove la mancanza di clero è un problema serio. Da tempo l’episcopato tedesco si interroga sulla scarsità di vocazioni. Nel suo ultimo libro, La Chiesa brucia, Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, sottolinea che “la crisi del cristianesimo interpella i cattolici e la classe dirigente della Chiesa. Nella gestione immediata delle difficoltà, specie dovute alla mancanza di personale ecclesiastico, i vescovi prendono provvedimenti quali l’accorpamento delle parrocchie o la loro soppressione”.

Lo stesso Francesco, parlando alla Cei nel 2018, ha evidenziato questo problema: “La prima cosa che mi preoccupa è la crisi delle vocazioni. È la nostra paternità quella che è in gioco qui! Di questa preoccupazione, anzi, di questa emorragia di vocazioni, ho parlato spiegando che si tratta del frutto avvelenato della cultura del provvisorio, del relativismo e della dittatura del denaro, che allontanano i giovani dalla vita consacrata; accanto, certamente, alla tragica diminuzione delle nascite, questo ‘inverno demografico’; nonché agli scandali e alla testimonianza tiepida. Quanti seminari, chiese e monasteri e conventi saranno chiusi nei prossimi anni per la mancanza di vocazioni? Dio lo sa. È triste vedere questa terra, che è stata per lunghi secoli fertile e generosa nel donare missionari, suore, sacerdoti pieni di zelo apostolico, insieme al vecchio continente entrare in una sterilità vocazionale senza cercare rimedi efficaci. Io credo che li cerca, ma non riusciamo a trovarli!”.

Ai vescovi della Penisola, il Papa ha proposto “una più concreta e generosa condivisione fidei donum tra le diocesi italiane, che certamente arricchirebbe tutte le diocesi che donano e quelle che ricevono, rafforzando nei cuori del clero e dei fedeli il sensus ecclesiae e il sensus fidei. Voi vedete, se potete. Fare uno scambio di sacerdoti fidei donum da una diocesi a un’altra. Penso a qualche diocesi del Piemonte: c’è un’aridità grande. E penso alla Puglia, dove c’è una sovrabbondanza. Pensate, una creatività bella: un sistema fidei donum dentro l’Italia. Qualcuno sorride. Ma vediamo se siete capaci di fare questo”. Una proposta concreta che, però, finora è rimasta lettera morta. Con il rischio che, se non si interviene rapidamente per risolvere questo problema, diverse parrocchie si troveranno molto presto senza guida.

Il Fatto

Vademecum su alcuni punti di procedura nel trattamento dei casi di abuso sessuale di minori commessi da chierici

Non un nuovo testo normativo, ma uno strumento offerto a vescovi, superiori di ordini religiosi e operatori del diritto per istruire e gestire correttamente le cause concernenti abusi sessuali che coinvolgono diaconi, sacerdoti o membri dell’episcopato. È questo il senso del Vademecum su alcuni punti di procedura nel trattamento dei casi di abuso sessuale di minori commessi da chierici, pubblicato nel pomeriggio di giovedì 16 luglio.

Il documento è stato messo a punto dalla Congregazione per la dottrina della fede sulla base di quanto era emerso durante l’incontro su «La protezione dei minori nella Chiesa» svoltosi in Vaticano dal 21 al 24 febbraio dello scorso anno. Proprio Papa Francesco, al termine del summit, aveva sottolineato con forza «l’esigenza dell’unità dei vescovi nell’applicazione di parametri che abbiano valore di norme e non solo di orientamenti».

Il Vademecum — la cui versione attuale viene denominata “1.0” perché resta aperta a futuri aggiornamenti in base agli sviluppi della normativa canonica e alle eventuali indicazioni provenienti dalle realtà locali e da chi opera nel campo del diritto — ha come obiettivo accompagnare «chiunque si trovi nella necessità di procedere all’accertamento della verità nell’ambito dei delitti» di abuso su minori, a partire dalla “notizia” di eventuali reati fino alla conclusione della causa. «Il desiderio — si sottolinea nell’introduzione — è che questo strumento possa aiutare le Diocesi, gli Istituti di Vita consacrata e le Società di vita apostolica, le Conferenze episcopali e le diverse circoscrizioni ecclesiastiche a meglio comprendere e attuare le esigenze della giustizia su un delictum gravius che costituisce, per tutta la Chiesa, una ferita profonda e dolorosa che domanda di essere guarita».

Dopo aver precisato che il delitto in questione «comprende ogni peccato esterno contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore» e aver ricordato che nella categoria di “minore” rientrano tutte le persone che non hanno ancora compiuto diciotto anni, il Vademecum dà indicazioni sulla procedura da seguire qualora si riceva un’informazione su un possibile abuso. Per quanto si insista sull’opportunità di «usare molta cautela», si consiglia di prendere in considerazione anche le denunce anonime, così come quelle provenienti da fonti di dubbia attendibilità o vaghe e indeterminate. In ogni caso, non viene meno il «sigillo sacramentale» che vincola il sacerdote venuto a conoscenza di un delitto durante l’esercizio del ministero della Confessione.

Quanto all’«indagine previa» prescritta in questi casi, si evidenzia tra l’altro che essa «non è un processo» ma va utilizzata per raccogliere «dati utili ad approfondire la notitia de delicto» e ad «accreditarne la verisimiglianza». Si raccomanda l’accuratezza nel vaglio e nell’accertamento delle informazioni, ma anche la necessità di mantenere il «segreto d’ufficio» e di attenersi «all’eventuale volontà di rispetto della riservatezza manifestata dalle presunte vittime». Già in questa fase è prevista la possibilità di adottare misure cautelari come il divieto di esercizio del ministero. Ogni caso, «anche in assenza di un esplicito obbligo normativo», il Vademecum invita l’autorità ecclesiastica a presentare «denuncia alle autorità civili competenti ogni qualvolta ritenga che ciò sia indispensabile per tutelare la persona offesa o altri minori dal pericolo di ulteriori atti delittuosi».

Il testo chiarisce poi il campo successivo di azione assegnato alla stessa Congregazione per la dottrina della fede, che spazia dall’archiviazione del caso fino all’apertura di un «processo penale» — giudiziale o extragiudiziale — con la possibilità anche di deferire direttamente alla decisione del Papa i casi più gravi, allorché «consta manifestamente il compimento del delitto, dopo che sia stata data al reo la facoltà di difendersi». Si specificano infine le modalità di ricorso previste al termine della procedura penale.

Vademecum

Tabulato per casi di delicta reservata (pdf)

Presentazione del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer

Intervista di Vatican News al Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, S.E. Mons. Giacomo Morandi

CORONAVIRUS: 18 SALME RIESUMATE, 5 INDAGATI NEL REGGIANO

ansa

INCHIESTA SU DECESSI NELLA CASA DI CARITÀ ‘SAN GIUSEPPE’ La Procura di Reggio Emilia ha disposto la riesumazione di 18 salme di anziani – morti a causa del Coronavirus nella casa di carità ‘San Giuseppe’ di Montecchio Emilia, uno dei luoghi più falcidiati della provincia reggiana – per fare l’autopsia. Lo riporta la stampa locale che dà notizia anche di cinque persone iscritte nel registro degli indagati dalla pm Piera Giannusa che ha formulato due ipotesi di reato: omicidio colposo e delitto colposo contro la salute pubblica. Tra gli indagati c’è anche il parroco di Montecchio.

Reggio Emilia, festa per il nuovo parroco don Luca Grassi

Reggio Emilia, festa in Sant’Agostino per il nuovo parroco don Luca Grassi
Nelle foto: Don Luca con i ragazzi della Cresima; 

DON LUCA GRASSI
– Parroco di Sant’Agostino in Città
e nell’Unità Pastorale n.1/A “Santi Crisanto e Daria” in Reggio Emilia,
delle parrocchie cittadine di San Giovanni Ev. in Santo Stefano, Santissimo Salvatore in Santa Teresa e San Zenone V. e M. in San Zenone.
– Moderatore, nella stessa Unità pastorale, anche delle parrocchie cittadine della Cattedrale e diSan Prospero.
Fino ad ora Sacerdote “Fidei Donum” in Brasile.

Al suo fianco lavorerà come vicario don Gionatan Giordani. Solenne concelebrazione eucaristica che il vescovo venerdì alle ore 20.30

REGGIO EMILIA – La parrocchia cittadina di Sant’Agostino, in centro storico, è pronta ad accogliere il nuovo parroco don Luca Grassi. Prende il posto di don Guido Mortari, che per 54 anni ha rappresentato un punto di riferimento per l’intera comunità. Con don Luca farà il suo ingresso il vicario parrocchiale don Gionatan Giordani, ordinato sacerdote nel 2014, assistente spirituale della Caritas Reggiana.
L’ingresso avverrà durante la solenne concelebrazione eucaristica che il vescovo Massimo presiederà venerdì alle ore 20.30 nella chiesa di Sant’Agostino.

Per don Grassi, classe 1973, ordinato sacerdote dal vescovo Adriano Caprioli il 14 maggio 2005, si tratta di un ritorno in Sant’Agostino. Per un biennio, durante gli studi in Seminario per prepararsi al sacerdozio, ha prestato servizio pastorale nella parrocchia cittadina seguendo in particolare gli adolescenti che la domenica di Pentecoste 2005 furono cresimati dal vescovo Paolo Gibertini. Nominato vicario parrocchiale a Regina Pacis dal 2005 e assistente scout reparti Reggio 2-S.Agostino e Reggio 4-Regina Pacis, don Luca ha compiuto nel 2014 gli studi in Terra Santa per poi recarsi in Brasile come missionario diocesano“Fidei donum” a Pintadas in Brasile.

tratto da reggionline.com

Saluto Operatori Pastorali UP a don Daniele

RADICATI IN CRISTO E AL SERVIZIO DELLA CHIESA

All’annuncio della tuo trasferimento ci siamo sentiti smarriti e inizialmente abbiamo espresso il nostro disappunto. Domenica scorsa, nel salutarti, abbiamo invece lasciato prevalere la gratitudine e i tanti motivi di ringraziamento. … Oggi, come tu ci hai chiesto, vogliamo lasciarti andare, non trattenerti, accompagnarti… E per farlo dobbiamo allargare lo sguardo, spostare lo sguardo dal campanile alla Chiesa tutta: dobbiamo guardare a quella Chiesa che ami e servi, che ci hai insegnato ad amare e servire, alla Chiesa per la quale hai detto, e ora rinnovato, il tuo sì.La presenza questa sera della tua famiglia, della tua comunità di origine, del tuo parroco, del parroco emerito di questa comunità – e li ringraziamo per aver accolto il nostro invito – ci aiutano ad allargare il nostro sguardo a tutta la Chiesa.Anche il nostro essere qui, al di là del rappresentare i diversi impegni e servizi nell’ambito della comunità, vuole essere un momento di Chiesa, la testimonianza di una Chiesa tutta ministeriale. Anche noi dobbiamo chiedere perdono: per tutte le volte che non siamo stati capaci di andare oltre il nostro campanile, oltre il nostro io, oltre le nostre idee, per non aver saputo corrispondere al tuo invito, accogliere il tuo esempio, dire il nostro Sì. Nel giorno del tuo ingresso abbiamo affidato a San Daniele Comboni, un missionario, il tuo ministro presso di noi.Ora che ti attende un nuovo impegno pastorale, per sua intercessione ti affidiamo al Signore, sapendo che in Lui non ti perderemo.

Gli operatori pastorali dell’UP Santi Crisanto e Daria

Lettera del Parroco don Daniele dall’Alta Val Badia


Cari amici oggi ho potuto celebrare la Messa nella chiesina che ricorda decine di giovani italiani morti al fronte nel 1916, costruita presso il Rifugio Scotoni in Alta Val Badia, con i miei amici Aiolesi e i loro figli piccoli e grandi. Era oggi la festa di Santa Marta, che ha avuto la fortuna di ospitare Gesù in casa sua e di sentirsi richiamare affettuosamente dal Maestro che la parte migliore della ospitalità, dell’amicizia è l’ascolto attento dell’altro.
Con le nostre Suore dette di Betania festeggeremo questo segreto dell’amicizia la sera di mercoledì 7 agosto in Santa Teresa. Alle 18.30 con la Messa di orario e poi cena coi sapori del Kerala.
Domani, 30 luglio, sarà il primo anniversario di don Fabrizio Crotti, che, abbiamo ricirdato nella Messa in Santo Stefano il 21 luglio scorso, ha saputo coltivare amicizia e ospitalità come a Betania, oltre che essere tra noi il primo che si metteva in ascolto attento di Gesù. Domani sera, alle 21, nella chiesa di Fazzano, suo paese natale, sarà celebrata la Messa. I parrocchiani che sono a casa sono invitati ad unirsi al ricordo dei familiari.
Segnalo per chi, come i nostri educatori, ha attinto spesso al capolavoro del Piccolo Principe proprio per parlare di amicizia, che il 31 luglio ricorre il 75mo della morte dell’autore Antoine de Saint-Exupery. Una occasione per riprendere in mano il suo poetico libro per non disimparare a vedere con il cuore.
Un caro saluto a tutti, d. Daniele

Morto monsignor Gino Castellini, storico parroco di Cerrè Sologno. Aveva 95 anni. Sabato 27 luglio i funerali

Monsignor Gino Castellini

Reggio Emilia, 26 luglio 2019 – Era stato ricoverato all’ospedale Sant’Anna di Castelnovo Monti nella giornata di sabato 20 luglio a causa di una dolorosa infezione sulla quale non è riuscito ad avere la meglio. La mattina del 25 luglio è morto così, a 95 annimonsignor Gino Castellini, parroco emerito di Cerrè Sologno di Villaminozzo, la piccola comunità parrocchiale (oggi nell’unità pastorale “Madonna delle fonti”) a cui ha dedicato il suo ministero presbiterale e dove riposerà, nel cimitero della frazione, in attesa della risurrezione. 

Nato nell’aprile 1924 ad Asta, nell’omonima Valle, Castellini ricevette dalla famiglia e dai seminari di Marola e di Albinea un’impronta permanente di sollecitudine che lo condurrà ad essere un prete “a vita piena”, apparentemente serio, ma con quella serenità d’animo che lo ha reso accetto e ben gradito a tutti coloro che incontrava. 

Ordinato sacerdote il 29 giugno 1948, don Gino fu subito inviato come vicario cooperatore nella parrocchia di Bibbiano, accanto al parroco monsignor Cesare Spallanzani. Vi resterà fino al 1950, per diventare poi parroco di Cerrè Sologno, seicento abitanti, 850 metri di altitudine, con tutti i problemi di carattere sociale e religioso che caratterizzavano queste parrocchie a pochi anni dalla fine della seconda guerra mondiale, che qui aveva colpito pesantemente. 

Senza fretta, ma con un impegno diuturno, riuscì a organizzare il “piccolo clero” e l’Azione cattolica, realtà dai numeri contenuti, ma incisive nel piano pastorale avviato da don Gino. 

Educato, come usava allora nei seminari diocesani, a concepire il rapporto con la parrocchia come un abbraccio a vita, nonostante le difficoltà anche materiali, non pensò nemmeno di chiedere una destinazione più comoda o più umanamente remunerativa. Così Cerrè Sologno, con la sua piccola chiesa di San Pietro, sarà la “sua” parrocchia, ove vorrà restare come collaboratore pastorale anche una volta diventato, nel 2011, parroco emerito. 

Fra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso don Gino dovette allontanarsene qualche tempo per ragioni di salute, ospite della sorella Irma a Felina. E anche qui ebbe subito modo di far conoscere la sua pacatezza, il suo discorrere rasserenante che prendeva l’avvio solo dopo aver molto ascoltato l’interlocutore. 

Il diacono Giacomo Casoli, che gli è stato accanto negli ultimi sette anni, quando don Gino, consumato ma non vinto dalla malattia, cominciava ad avere difficoltà nella celebrazione della Messa, lo descrive con tre pennellate: uomo “maturo” e del consiglio, che unisce alla saggezza umana la sovrannaturale sapienza del Vangelo e che perciò è un ottimo direttore di spirito e apprezzato confessore; un prete “H24”, che divide la sua giornata tra l’attività pastorale in parrocchia (e ben volentieri, invitato, anche nelle parrocchie limitrofe), la preghiera, lo studio; un parroco che ha come famiglia tutti i suoi parrocchiani e nello stesso tempo che tutti accolgono come persona di famiglia. 

Durante l’assemblea del clero del 16 aprile 2015 il vescovo Camisasca gli aveva fatto pervenire la nomina a “Monsignore”, un titolo che quanti conoscono don Gino hanno accolto con gioia e riconoscenza per i tanti frutti che il suo sacerdozio ha donato alla Chiesa. Gratitudine di tutta la Montagna, resa palpabile dalla partecipatissima celebrazione, l’estate scorsa, in occasione del 70° anniversario di ordinazione presbiterale. 

La salma di monsignor Castellini è ricomposta presso la chiesa parrocchiale di Cerrè Sologno, dove alle ore 20.30 di venerdì 26 luglio verrà recitato il Rosario. 

La liturgia di commiato, presieduta dal Vicario generale della Diocesi monsignor Alberto Nicelli, sarà celebrata sabato 27 luglio, nella chiesa di Cerrè Sologno, alle ore 9.30.

Il resto del Carlino

Parrocchie senza prete. Quali soluzioni?

Si è svolta a Torreglia (PD) dal 24 al 27 giugno la 69ª Settimana di aggiornamento pastorale promossa dal Centro orientamento pastorale (COP). I lavori hanno avuto come oggetto “La parrocchia senza preti. Dalla crisi delle vocazioni alla rinnovata ministerialità laicale”. Tra i relatori: F. Garelli, G. Villata, A. Steccanella, L. Bressan, L. Tonello, L. Voltan e A. Mastantuono.

settimananews

I lavori hanno preso avvio con la presentazione della situazione del clero in Italia; è innegabile – ci dicono i dati statistici – che, in tre decenni, il numero dei preti si è ridotto di circa il 16%, con grandi differenze a livello territoriale (situazione assai critica al Nord e più favorevole al Sud), con un’età media di oltre 61 anni, ma anche in questo caso con rilevanti differenze territoriali 1/3 del clero ha più di 70 anni, mentre il clero giovane (con meno di 40 anni) rappresenta il 10% del corpo sacerdotale.

La consapevolezza che il fenomeno ha i caratteri della permanenza e non può essere superato con il ricorso a soluzioni tampone previste dal Codice (can. 517 §2), ha stimolato una riflessione sulla Chiesa in cui il senso di corresponsabilità di tutti e uno stile più sinodale possono contribuire allo slancio missionario, poiché quest’ultimo diviene l’oggetto di tutti i fedeli, non per salvaguardare la sua organizzazione ma per una sempre maggiore fedeltà al mandato evangelico.

Soggetto collettivo

Se nella figura “anteriore” della Chiesa, così come si è costituita nel secondo millennio, la comunità parrocchiale di fatto si è identificata con i servizi resi quasi esclusivamente dal parroco e dai suoi collaboratori, la Lumen gentium (n. 26) invita a pensarci come «soggetto collettivo». La constatazione e l’interrogativo: «Quando assistiamo alle celebrazioni domenicali e ci chiediamo chi è il soggetto: il prete che viene da fuori e continua a tener viva l’eucaristia per persone spesso anziane – cosa assolutamente legittima – oppure una comunità “soggetto collettivo” che accoglie il prete affinché la presieda nel nome dello stesso Cristo?» conduce ad abitare la mancanza di preti spostando l’attenzione dal «che cosa fare» a «chi è coinvolto», in parole più semplici: ad una riflessione sulla Chiesa che superi la tentazione del clericalismo che nasce dal dimenticare che «la Chiesa non è un’élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi, ma che tutti formano il santo popolo fedele di Dio» (papa Francesco).

Il concilio Vaticano II aveva provato a disegnare una Chiesa in cui «… comune è la dignità dei membri in forza della loro rigenerazione in Cristo, comune è la grazia di essere figli, comune la chiamata alla perfezione, una la speranza e l’indivisa carità» (LG 32). Il sogno è stato mille volte ripensato, ammorbidito e ostacolato.

Corresponsabilità e sinodalità

Ci si augura che sia ormai superata (?) la visione di comunità ecclesiali in cui la relazione dei preti con i laici era costruita sui vecchi modelli dell’accentramento e della delega benevola, che rispecchiava una visione «gerarcologica» (Congar) o «piramidale» (papa Francesco), nella quale l’unico soggetto della missione salvifica era la gerarchia, mentre i laici erano esecutori o poco più; come non è più sufficiente parlare di collaborazione dei presbiteri con i laici, quasi che solo sul piano operativo – e sulla spinta della necessità – si dovessero costruire delle convergenze; è, invece, il momento di strutturare una vera e propria prassi di corresponsabilità, che rispecchia l’ecclesiologia del popolo di Dio tutto intero come “soggetto” della missione.

Il ricorso alla «corresponsabilità di tutto il popolo di Dio» sembra essere una delle strade da percorrere per abitare e superare la mancanza del clero, ma con le necessarie specificazioni.

L’idea che rimanda alla corresponsabilità nel Concilio (ricordiamo che il termine “corresponsabilità” non è presente nei testi conciliari) si fonda sull’asserto che in forza del battesimo tutti, ciascuno per la sua parte, siamo responsabili della comunione e della missione della Chiesa. Corresponsabilità ha qui a che fare certamente con la Chiesa. Non già però con la sua organizzazione o il suo funzionamento, ma con la sua radice – la comunione – e il suo senso ultimo – la missione –, cioè l’essere segno e strumento di tale comunione.

Parrocchia senza preti
Laici, non specialisti del sacro

Nella proposizione attuale della corresponsabilità sembra assente, o poco esplicitato, l’orizzonte ampio e fondamentale della comune responsabilità di fronte al mondo, quello dell’evangelizzazione.

È necessario purificarla da una declinazione eccessivamente funzionale alla gestione ecclesiastica allo scopo di riguadagnare la corretta referenza della comune responsabilità ecclesiale. In altre parole, è indispensabile recuperare la corretta prospettiva conciliare, in base alla quale, quando si parla di comune responsabilità ecclesiale, il riferimento non è tanto alla conduzione/gestione ecclesiale, bensì al comune impegno per la testimonianza della fede. Esiste il rischio che la stabilità e la partecipazione alla «cura pastorale», proprie dei ministeri laicali, conducano a qualche forma di clericalizzazione dei laici, trasformandoli in un «clero di riserva» (a disposizione del «clero ufficiale») o in una nuova categoria di specialisti del sacro estranei di fatto alla vita del mondo.

La corresponsabilità non è prima di tutto un aiuto ai pastori, ma espressione della vita cristiana, che trova luogo e forma principalmente nella vita concreta del territorio, della gente, del luogo di lavoro.

È necessario partire da questo riferimento fondamentale, perché esso chiarisce che i laici sono abilitati e riconosciuti nella loro responsabilità ecclesiale anzitutto e propriamente come laici, cioè non in forza di eventuali incarichi intraecclesiali, ma in forza della loro concreta vita cristiana, secondo la vocazione e lo stato di ciascuno.

L’ambito dell’impegno laicale non è peculiarmente la cura pastorale della comunità cristiana, ma si esprime nella responsabilità testimoniale nel servizio della comunità ecclesiale e sociale.

Una rinnovata visione della ministerialità

Come far vivere le comunità nel «vacuum lasciato da preti diventati itineranti» (C. Theobald)?

La risposta consiste nel creare progressivamente una nuova cultura ministeriale nella Chiesa alla luce di due condizioni: in primo luogo, la presa di coscienza, da parte delle nostre comunità, del loro ruolo di presenza missionaria in seno alla società; in secondo luogo, la scoperta che esse non dispongono automaticamente di preti a volontà ma che questi sono un dono fatto alla comunità che deve, a sua volta, sempre chiedersi di quale ministero ha bisogno per compiere la missione. Un processo – questo – che rimanda a comunità sinodali consapevoli di essere un popolo in cui «tutti fanno tutto, ma non allo stesso modo né allo stesso titolo» (Conferenza episcopale francese).

Dire sinodalità è affermare il camminare insieme, in cui il pastore esercita uno specifico e irrinunciabile compito di guida in un’effettiva, e mai definibile in partenza, interazione con gli altri carismi e ministeri di natura battesimale.

Parrocchie senza prete

Il sorgere di nuovi ministeri ecclesiali non può avvenire per una sorta di accanimento terapeutico su alcuni che vengono quasi precettati per il servizio alla comunità, ma nasce da un’opera di discernimento comune di sacerdoti e laici che si pongono insieme il tema della praticabilità della vita cristiana in quel luogo.

Per quanto nasca da una radice carismatica, un ministero deve avere una figura precisa e godere quindi di una certa stabilità riconosciuta come tale almeno dalla Chiesa diocesana. Se, mediante il battesimo e la cresima, ogni cristiano diventa presenza di Vangelo nel suo ambiente, il riconoscimento di questa persona da parte della comunità e del prete responsabile la trasforma in presenza di Chiesa.

Un ministero suppone quindi un riconoscimento pubblico e un mandato esplicito, ma anche un rendere contodell’azione svolta; in effetti, alla persona inviata sono attribuiti una funzione o un compito ben definiti e stabiliti in una lettera di missione.

Esperienze

All’interno della Settimana COP sono state presentate alcune esperienze già in atto. Le ricordiamo brevemente.

  • Le unità pastorali

È un’esperienza che coinvolge ormai numerose diocesi in Italia; ha innescato un processo di revisione e di rilettura della figura classica e abituale della parrocchia che ha condotto ad una serie di acquisizioni: la riscoperta dell’evangelizzazione, come compito prioritario, appartenente a tutto il popolo di Dio; non più solo il prete come unico referente della pastorale della parrocchia, ma tutti i battezzati che desiderano vivere la loro fede in stile di corresponsabilità; non più la singola parrocchia, caratterizzata dalla coppia “campanile al centro, confini alla periferia”, ma più parrocchie insieme che agiscono, almeno in alcuni ambiti, come soggetto unitario di evangelizzazione.

  • Assunzione di responsabilità da parte di laici e di famiglie

Accanto alla figura di un responsabile parrocchiale laico (cf. can. 517 § 2) sono presenti in Italia alcune esperienze di responsabilità parrocchiale affidate ad una famiglia. In forza del sacramento del matrimonio, la famiglia non solo è luogo originario di relazioni generative al suo interno, ma anche nei confronti della comunità.

  • Le équipes di animazione pastorale

L’attivazione delle équipes contribuisce a rafforzare l’idea di Chiesa che si realizza in un luogo e permette alla singola comunità di continuare ad essere artefice della missione della Chiesa sul territorio localizzandosi e generando vita di fede. In quanto figura pastorale qualificata ed efficace, manifesta una ricca simbolica ecclesiale. Il gruppo evita l’identificazione e la concentrazione dell’azione sulla singola persona (clericalismo); permette un confronto a più voci evitandole personalizzazioni (sinodalità); consente la promozione di una collaborazione efficace (comunione); configura in piccolo la comunità stessa con la varietà dei doni e delle operazioni (soggettualità); traduce in operatività le indicazioni degli organismi di consiglio (prassi pastorale).