Ucraina. «Fermiamo la guerra o saremo coinvolti. In marcia ad Assisi per la pace»

Lotti (Tavola per la pace) spiega la scelta di una Perugia-Assisi straordinaria il 24 febbraio: la situazione si è aggravata, va rilanciata urgentemente l’azione diplomatica
Per la pace in Ucraina e non solo

Per la pace in Ucraina e non solo – Siciliani

La guerra in Ucraina, senza una drastica sterzata verso la via diplomatica, rischia di dilagare. Allargandosi agli stati vicini, ma anche ai paesi europei fornitori di armi. A pochi giorni dal primo anniversario dell’invasione russa, il coordinatore della Perugia-Assisi Flavio Lotti mette in guardia: «Continuando così, il pericolo più grande è quello di essere costretti tra non molto a scegliere tra inviare i nostri soldati o lasciare che la Russia prosegua l’invasione». Per questo il 24 febbraio ci sarà una Marcia della pace straordinaria e in notturna: «Come il buio che angoscia i civili Ucraini. E in cui brancolano anche i leader politici»

Dopo le due manifestazioni nazionali a Roma, 5 marzo 2021 e 5 novembre 2022, e la Perugia Assisi straordinaria del 24 aprile scorso, il popolo della pace manifesta ancora.

C’è l’urgenza pressante di un rilancio dell’azione diplomatica. L’aggravarsi della situazione impone una nuova mobilitazione popolare. Il vortice della guerra sta risucchiando tutto, il problema non è più solo di quante armi inviare in Ucraina, ma di come scongiurare il coinvolgimento diretto dei nostri Paesi. Siamo vicini al punto di non ritorno.

Sul piano militare lo scontro è sempre più violento.

Quello che accadrà nelle prossime settimane sarà sempre meno controllabile. Il massacro delle persone aumenterà. L’Ucraina rischia moltissimo. Lo ripeto, siamo a un bivio. O fermiamo la guerra, o rischiamo di esserne coinvolti. Bisogna chiedere l’immediato cessate il fuoco, prima che Zelensky si trovi nella condizione di perdere tutto quello che ha difeso finora. Ci troviamo davanti all’angosciante dilemma di smettere di aiutare l’Ucraina o accettare di entrare materialmente nel campo di battaglia. Serve un’altra via.

Senza dimenticare che la Russia è una potenza nucleare. Un rischio che si sta sdoganando, con definizioni normalizzanti come “armi tattiche”. Cade anche il tabù della guerra atomica?

Il cammino della distruzione totale cammina di pari passo col pericolo di allargamento della guerra. Il potenziale militare usato finora dai russi è solo una parte di quello di cui dispongono. Prima del rischio del nucleare ce ne sono altri, col coinvolgimento nella guerra nostro malgrado. Il pericolo più grande è quello di essere costretti a scegliere: mandiamo i nostri soldati o lasciamo che la Russia prosegua l’invasione? Non possiamo permettercelo. È una follia.

Un altro scenario possibile è una “afganistanizzazione” dell’Ucraina, con un conflitto di decenni.

In Afghanistan la guerra restò circoscritta. In Ucraina rischia di espandersi, coinvolgendo Polonia, Finlandia, Moldavia, Lituania. E se le armi Nato dovessero colpire obiettivi in territorio russo, Putin si sentirebbe legittimato a colpire chi invia quelle armi. Una catena da fermare con urgenza.

Anche con una marcia Perugia-Assisi di notte, prima dell’alba del 24 febbraio.

Per dare il senso del dramma delle vittime, di questa come di tutte le altre guerre dimenticate. Ma è anche il buio in cui brancola la politica, paralizzata dagli invii continui di armi, l’unica cosa che i governi sembrano in grado di fare.

L’unico “leader politico” che ha una visione chiara dall’inizio sembra Papa Francesco.

Lo sta facendo da più di un anno, anche quando la guerra era confinata al Dombass. Ma la sua voce si scontra con la sordità della politica, prigioniera dello schema della guerra.

È un problema culturale, o di cinici interessi economici di alcuni settori produttivi?

Entrambi. La macchina della guerra è in grado condizionare tante cancellerie. Ma c’è anche una debolezza del pensiero politico che in questi anni ha perso capacità di visione. L’Europa è nata come progetto di pace ed è cresciuta quando quel progetto è stato coltivato. Da anni invece non si è perseguito il benessere e la sicurezza degli europei e non si è colta l’occasione data dalla caduta del Muro di Berlino. L’Europa è rimasta prigioniera di logiche di competizione economica. Adesso è tutto più difficile. Andava costruito allora un sistema di sicurezza dall’Atlantico agli Urali, includendo la Russia. Invece ha prevalso la miopia ed stata foraggiata la Russia comprando gas a buon prezzo.

avvenire.it

Kiev, almeno 20 i morti dopo il raid russo a Dnipro

 © EPA
Tra le vittime anche una 15enne, e oltre 70 feriti

E’ salito ad almeno 20 il bilancio dei morti dell’attacco russo di ieri a un condominio di Dnipro: tra le vittime c’è anche una ragazza di 15 anni.

Lo ha reso noto su Telegram il governatore della regione di Dnipropetrovsk, Valentyn Reznichenko, come riporta il Kyiv Independent.

I feriti sono almeno 73, tra cui 14 bambini. Secondo Reznichenko, più di 40 persone sono state ricoverate negli ospedali locali. Circa 72 appartamenti sono stati completamente distrutti e altri 230 sono stati danneggiati nell’attacco.
(ANSA).

Ucraina, Lavrov: dal Pentagono minacce di un assassinio di Putin

 © ANSA

Fonte: ansa.it

– Dichiarazioni rilasciate da “funzionari anonimi” del Pentagono in merito a un “attacco decapitante” contro il Cremlino parlano di una minaccia di tentato omicidio del presidente Vladimir Putin, afferma il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov in un’intervista all’agenzia Tass.

“Alcuni ‘funzionari anonimi’ del Pentagono hanno effettivamente espresso la minaccia di sferrare un ‘attacco decapitante’ al Cremlino, che in realtà è una minaccia di tentato omicidio del presidente russo”, ha detto Lavrov.

“Se tali idee sono davvero ponderate da qualcuno, allora questo qualcuno dovrebbe pensare meglio alle possibili conseguenze di tali piani”, ha affermato il ministro degli Esteri russo.
“Il corso politico dell’Occidente, che mira alla totale repressione della Russia, è estremamente pericoloso: presenta rischi di uno scontro armato diretto tra potenze nucleari”. Ha detto ancora Lavrov. Il ministro degli Esteri russo ha sottolineato che Mosca ha affermato più volte che non ci possono essere vincitori in una guerra nucleare e che “non deve mai essere scatenata”. E’ l’Occidente invece che – secondo Lavrov – “con speculazioni irresponsabili” afferma “che la Russia sia presumibilmente sull’orlo dell’uso di armi nucleari contro l’Ucraina”.

Un razzo è caduto in Moldavia vicino al confine con l’Ucraina

La devastazione della guerra in Ucraina © AFP

Un razzo è caduto sul territorio moldavo a ridosso del confine con l’Ucraina, secondo quanto ha riferito il ministero dell’Interno citato dall’agenzia russa Ria Novosti.

Le guardie di frontiera moldave hanno trovato il razzo vicino a Briceni, nel nord del Paese, nel giorno in cui su gran parte dell’Ucraina sono in corso attacchi missilistici russi, contrastati dai razzi della contraerea di Kiev.

Un drone ha colpito oggi la pista della base aerea russa di Engels-1, nella regione di Saratov, danneggiando due bombardieri Tu-95: lo riporta Ukrainska Pravda
aggiungendo che almeno due militari sono rimasti feriti e sono stati ricoverati in ospedale.

In precedenza tre persone sono morte e almeno altre cinque sono rimaste ferite a causa di un’esplosione avvenuta in un aeroporto vicino a Ryazan, a sudest di Mosca: lo
hanno reso noto i servizi di emergenza all’agenzia di stampa russa Tass.

Secondo altri media russi ripresi dai media occidentali, sarebbe esplosa un’autocisterna carica di
carburante ed i feriti sarebbero sei.
ansa 

Guerra in Ucraina. A Kiev cresce l’allarme. A Mosca i funerali di Darija Dugina

Zelensky incassa la solidarietà dei leader mondiali sulla restituzione della Penisola di Crimea. Paura di raid sui civili per l’Indipendenza. Gli Usa ai propri cittadini: lasciate il Paese

Alexandr Dugin ha partecipato ai funerali della figlia Darya, uccisa in un attentato a Mosca

Alexandr Dugin ha partecipato ai funerali della figlia Darya, uccisa in un attentato a Mosca – Reuters

da Avvenire

«Faremo di tutto per liberare la Crimea». Alla vigilia del giorno dell’Indipendenza dalla Russia – che ricorre oggi e coincide con i sei mesi dall’inizio dell’invasione –, il presidente Volodymyr Zelensky è apparso irremovibile. La restituzione della Penisola, occupata nel 2014, come quella di Dontesk e Lugantsk, resta la base per qualunque negoziato con Mosca. Non si tratta solo dell’Ucraina, «vogliamo ristabilire l’ordine e il diritto», ha aggiunto il leader nel corso di Crimea Platform, evento di solidarietà a cui hanno partecipato oltre 40 capi di Stato e di governo e i vertici Ue.

Tutti si sono schierati al fianco di Zelensky, seppure Emmanuel Macron e Olaf Scholz con toni più sfumati. Più nette le parole di Mario Draghi, Andrei Duda e di Antony Blinken, pronunciate proprio mentre Washington starebbe per varare un nuovo pacchetto di aiuti da tre miliardi di dollari. A sorprendere è stata soprattutto la posizione forte di Recep Tayyip Erdogan. «La restituzione della Crimea all’Ucraina, di cui è parte inseparabile, è essenzialmente un requisito del diritto internazionale», ha detto il presidente turco.

In questi giorni la tensione sul terreno è altissima. E l’allerta, dopo mesi, tocca Kiev, tornata nel mirino. Si prevede un’escalation di attacchi russi per l’Indipendenza, fatto che – ha precisato Zelensky – causerebbe «una risposta forte». Nel timore di raid sulle infrastrutture civili, molti cittadini stanno lasciando la capitale e il dipartimento di Stato Usa ha chiesto ai propri cittadini di partire dall’Ucraina. Kiev, da parte sua, ha per la prima volta colpito l’edificio dell’amministrazione filo-russa di Donetsk, causando – secondo fonti secessioniste, tre morti. Il capo, Denis Pushlin, e il presidente della Duma, Vyacheslav Volodin sarebbero scampati per un soffio al lancio di missili.

La Russia dice addio a Darija Dugina ed entra nel settimo mese di guerra. Ma emergono nuovi particolari sull’attentato costato la vita alla figlia del filosofo ultra-conservatore, e soprattutto in molti si chiedono quali potranno essere le conseguenze dell’attacco, nella versione di Mosca portato avanti da una militante nel battaglione di Azov scappata in Estonia. Ricostruzione che Kiev ha bollato come «fantasiosa propaganda».

Ieri a Mosca in centinaia hanno voluto tributare l’ultimo omaggio alla giovane donna, morta ad appena 30 anni nella notte di sabato. Per tutta la mattinata la sala in cui è stata ospitata la salma ha ricevuto l’omaggio di russi colpiti dalla tragica sorte di Darija, che hanno voluto lasciare un omaggio floreale davanti al ritratto in bianco e nero della vittima e alla bara che, come vuole la tradizione ortodossa, resta aperta per tutta la funzione funebre. Ad accoglierli, il padre, Aleksandr Dugin e la moglie, entrambi vestiti di nero e con il volto devastato dal dolore.

Alla funzione funebre, che si è tenuta nel centro televisivo Ostankino, uno dei luoghi più celebri della Russia sovietica, il padre ha ricordato la figlia come una donna che «non aveva paura della verità». Secondo la testimonianza del filosofo, proprio la sera della sua morte, Darija avrebbe detto al genitore di sentirsi «una vera guerriera». «Mia figlia è morta per il popolo – ha detto Dugin durante l’orazione –, è morta per la Russia, al fronte. Il fronte è qui». Ieri aveva dichiarato che la giovane donna era una vittima del «regime nazista ucraino» e che bisognava andare avanti per la vittoria in Ucraina.

Fra le altre persone che hanno ricordato Darija con un discorso, c’erano il deputato Leonid Slutsky, noto per la sua approvazione dell’operazione militare speciale in Ucraina, il vice-presidente della Duma, Sergey Neverov, e il magnate russo Konstantin Malofeev, di orientamento ultra-conservatore, nonché fondatore e proprietario della tv russa Tsargrad. Quest’ultimo, in particolare, è un oligarca vicino a Putin. Il presidente russo ieri ha firmato l’assegnazione postuma dell’Ordine del Coraggio, una delle maggiori onorificenze russe, alla giovane vittima dell’attentato.

Intanto, emergono nuovi dettagli che gettano altre ombre sulla reale capacità di controllo del territorio da parte delle forze russe, oltre a suggerire che l’attentato avrebbe potuto essere evitato. Stando alle indagini, è ormai certo che il vero obiettivo fosse Aleksandr Dugin e non la figlia, che non avrebbe dovuto proprio essere coinvolta. La carica esplosiva, che si è rivelata fatale per Darija e che è stata montata sulla sua Toyota, è stata azionata da un comando, posto su una macchina che stava seguendo il ritorno della vettura con a bordo la giovane donna verso Mosca.

Natalya Vkov, che, secondo la versione russa, fa parte del battaglione d’Azov ed era in Russia dal 23 luglio, non solo ha vissuto indisturbata nello stesso palazzo della vittima per quasi un mese ed è riuscita a passare il confine fra Russia ed Estonia dopo aver cambiato targa alla sua automobile. Si trovava nei paraggi anche la sera dell’attentato. Il tutto senza che l’Fsb, erede del Kgb, si sia accorto di nulla.

Don Tonino Bello « La guerra è una recidiva preoccupante. Ciò che mi affligge di più in questa ripresa del conflitto»

Uno scritto inedito, senza data, sulla guerra e le reazioni dell’Occidente nell’ultimo libro di Giancarlo Piccini “Anticorpi di pace” (San Paolo): « La guerra è una recidiva preoccupante. Ciò che mi affligge di più in questa ripresa del conflitto», scrive il vescovo salentino, «sono due cose. Il terrore di dover ripetere, in un mondo di sordi, le stesse argomentazioni contro la guerra; di dover risentire le filastrocche sul pacifismo a senso unico»

«La guerra è una recidiva preoccupante. Si pensava che, dopo il primo conflitto nel Golfo, fossero maturati nell’organismo mondiale degli anticorpi cosi forti contro il “mal di guerra”, che per parecchi anni non avremmo sentito parlare di violenza armata, almeno nei luoghi così martoriati del Medioriente. Invece, eccoci in una più tragica ricaduta: tanto più tragica quanto più solerte sembra l’intervento delle potenze internazionali, in contrasto con la deplorevole indifferenza con cui le stesse si pongono di fronte ad altre situazioni che meriterebbero ben altra considerazione: il problema dei profughi palestinesi, la disperazione della Bosnia, le sconosciute situazioni di conflitto e di fame presenti in Africa… Ciò che mi affligge di più, comunque, in questa ripresa del conflitto sono due cose. Il terrore di dover ripetere, in un mondo di sordi, le stesse argomentazioni contro la guerra; di dover risentire le filastrocche sul pacifismo a senso unico; di dover rispondere che il pacifismo si desta solo quando c’è puzza di America… E poi il dover constatare che gli interessi economici prevalgono sui più elementari diritti umani. Si aprono i flash sulla Somalia, sull’Iraq. Ma si chiudono luci e cuore, quando ci sono di mezzo i poveri».

È un appunto autografo, curiosamente senza luogo né data, considerata l’attenzione dell’autore per i dettagli. A scriverlo è don Tonino Bello, ora venerabile, e a riproporlo all’attenzione dei lettori è Giancarlo Piccini, presidente della Fondazione intitolata al vescovo salentino, nel libro Anticorpi di pace – Pagine inedite e ritrovate (San Paolo, pp. 176, euro 15). Una riflessione provocatoria, com’è nello stile di don Tonino, e quanto mai attuale nell’Europa divenuta di nuovo palcoscenico di una guerra fratricida che l’agenda del media system, dopo la commozione iniziale, sembra quasi aver archiviato, relegandola in fondo a quotidiani e Tg.

Piccinni, nel commentare questo scritto «che ho ricevuto da don Tonino nel 1993 ma che rappresenta a tutti gli effetti un inedito», si lascia andare a un moto di scoramento, come se la profezia di pace di don Tonino fosse – a dispetto dell’affetto che suscita tra credenti e no – qualcosa del passato o, peggio, di ripetitivo e noioso da archiviare in fretta. «Penso a quante volte, andando in giro per piazze, chiese, teatri», commenta Piccinni, «abbiamo proposto la lezione di pace di Tonino Bello e mi tornano in mente i commenti dei soliti benpensanti: “Sempre le stesse cose, sempre a parlare di pace. Siete monotoni, ripetitivi. Annoiano questi argomenti: ormai la guerra non può più tornare”. E allora, mi chiedevo, perché continuiamo ad armarci? Perché tanti investimenti sulle armi, sull’impero della morte? Perché non investire in salute, in istruzione? Perché non combattere la fame, le malattie, le disuguaglianze? In una parola perché armarci e non amarci?».

Il volume, che vede la prefazione del cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione per le Cause dei santi, è diviso in due parti: la prima riporta alcuni scritti inediti di don Tonino (lettere, omelie, appunti) e la seconda una raccolta d’interventi di Piccini collocati in momenti diversi: la visita nel 2018 di papa Francesco ad Alessano e Molfetta, la pandemia, il ricordo del fratello di don Tonino, Marcello. Piccinni riporta anche il discorso che don Tonino, da presidente nazionale di Pax Christi, pronunciò nel 1989, davanti a un’Arena di Verona traboccante di gente, in occasione di un incontro promosso dai “Beati costruttori di pace”. Molto interessante è l’intervista che rilasciò a margine di quell’evento e che è riportata nel volume. A chi gli chiede se l’attività di Pax Christi proseguirà senza incontrare ostacoli, don Tonino risponde: «È difficile come per ogni è lavoro creativo che richieda impegno e, soprattutto, sforzo per coscientizzare la gente. È difficile, si trovano tante difficoltà. A volte anche all’interno dell’ambiente ecclesiale c’è qualche diffidenza. Ma è giusto che sia così, è fisiologico sarei per dire. Però vediamo anche un’economia sommersa straordinaria: di grazia, di entusiasmo, di voglia di proseguire per questa strada. Noi abbiamo tantissima fiducia, anche perché poi stiamo facendo gli interessi della “ditta”, cioè del Signore, che è il Re della pace».

Concludiamo con una nota a margine. Il 10 agosto di quest’anno ricorrono i 40 anni della nomina episcopale di don Tonino Bello a vescovo della diocesi di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi. Negli archivi della Fondazione è conservata, una lettera, anch’essa inedita, che don Tonino inviò nel luglio del 1982 a Giovanni Paolo II per accettare, sia pure a malincuore, la nomina: «La mia accettazione», scrive, «oltre che carica di incertezze, è anche permeata di molta tristezza: mi fa così soffrire il pensiero di dover lasciare questo popolo che ho amato e servito per tre anni, che riterrei una grazia straordinaria del Signore poter continuare a lavorare nella mia parrocchia (quella della chiesa Matrice di Tricase, in provincia di Lecce, ndr) ancora per qualche tempo. Se non insisto per essere liberato da questo onore e da queste responsabilità che mi spaventano è perché temo di intralciare i disegni di Dio».

In queste poche righe è condensato tutto lo stile di don Tonino e soprattutto, scrive Piccinni, «il suo intendere il ministero nella Chiesa sempre a servizio del popolo». 

“Ormai siamo abituati a guardare i bombardamenti, è una cosa assurda. Una cosa volgarissima. La cosa incredibile è che lo stiamo accettando tutti”

Biagio Antonacci e la guerra

“Dopo il covid mi sarei aspettato delle danze ai confini, non la guerra. L’uomo non aveva ancora capito che il covid aveva già segnato dei confini. Ormai siamo abituati a guardare i bombardamenti, è una cosa assurda. Una cosa volgarissima. La cosa incredibile è che lo stiamo accettando tutti”, ha detto Antonacci. “Ogni cosa che succede adesso per me è quasi normale, questa è la cosa grave. La guerra è il desiderio dell’egoismo, della testa, del potere. Purtroppo l’uomo ha dentro questa cattiveria di indole: noi cerchiamo di nasconderci ma questa è la verità. L’uomo non si accontenta, costruisce ricchezze e cose che non userà mai, ma lo fa solo per far vedere che queste cose le ha fatte”.

LA DISTRUZIONE DELLA GUERRA, IL SOGNO DI DIO PER LA PACE

A 100 giorni dall’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina tocchiamo con mano quanto è vero che «tutto è connesso». Solo lo sguardo alle tante vittime inermi potrà orientare una politica che miri alla pace

Cari amici lettori, abbiamo superato da poco il 100° giorno di guerra tra Russia e Ucraina. Ci passano sotto gli occhi le prime immagini di bombardamenti su Kiev, la fuga di tanti ucraini, gli orrori dei massacri insensati di civili, il timore per il possibile disastro per le centrali nucleari colpite da attacchi russi, i civili e militari chiusi nell’acciaieria Azovstal, l’uso di armi termobariche, lo spettro di una escalation nucleare, il rapimento di bambini ucraini portati in Russia, e da ultimo l’incombente spettro della fame in altre parti del mondo (Africa, Vicino Oriente) dipendenti dai rifornimenti di grano ucraino bloccati nei porti.

In Europa abbiamo vissuto la paura di essere privati del gas e petrolio russi: si è persino preso in considerazione un ritorno (“temporaneo”) al carbone (che sarebbe un grave passo indietro nella lotta contro il cambiamento climatico). In questa guerra più che mai tocchiamo con mano come «tutto è connesso», concetto chiave dell’«ecologia integrale» di cui parla papa Francesco in Laudato si’ (n. 138). I fattori ambientali, economici e sociali sono intrecciati: è la drammatica realtà anche della guerra. La guerra distrugge vite umane e rapporti familiari e sociali, distrugge la fraternità che è il sogno di Dio per l’umanità (Fratelli tutti, n. 26), distrugge le città e le attività industriali, mette in pericolo l’ambiente (vedi il disastro evitato per un soffio a Chernobyl e altre centrali nucleari) e i fragili equilibri tra le nazioni, dove quelle svantaggiate sono quelle che maggiormente patiscono le conseguenze “a distanza” del conflitto. Papa Francesco in Fratelli tutti richiamava il tema “ambiente” in relazione alla guerra: «Ricordo che la guerra è la negazione di tutti i diritti e una drammatica aggressione all’ambiente» (n. 257; cfr. LS n. 57).

Osservazione che poteva sembrare marginale, e invece ora si sta rivelando drammaticamente vera. Non si può che sottoscrivere integralmente quanto si legge poco dopo: «La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male» (FT n. 261). Qual è allora lo sguardo cristiano sulla realtà della guerra, che dovrebbe contribuire a costruire una politica che mira alla pace? «Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. Rivolgiamo lo sguardo a tanti civili massacrati come “danni collaterali”. Domandiamo alle vittime. Prestiamo attenzione ai profughi… Consideriamo la verità di queste vittime della violenza, guardiamo la realtà coi loro occhi e ascoltiamo i loro racconti col cuore aperto. Così potremo riconoscere l’abisso del male nel cuore della guerra e non ci turberà il fatto che ci trattino come ingenui perché abbiamo scelto la pace».

La guerra, male in sé, trascina con sé altri mali a cascata. L’unico vero realista, verrebbe da dire, è colui che cerca la pace. Preghiamo, cari amici, perché queste considerazioni facciano breccia anche in coloro che prendono le grandi decisioni della storia. 

Famiglia Cristiana