Europa: con il coronavirus Avvento on line ma non “virtuale”

La pandemia obbliga a modificare le consuetudini delle settimane che precedono il Natale. Un giro d’Europa dimostra però la volontà di continuare a pregare, stare insieme e fare festa, magari utilizzando le moderne tecnologie digitali. Tante le iniziative per i bambini. E così san Nicola, i presepi, i calendari e santa Lucia…

fonte SIR

Settimane d’attesa e di preparazione al Natale: l’Avvento è cominciato e nel tempo del Covid e delle sue restrizioni, questa realtà che segna la vita dei cristiani assume anche un volto virtuale e la comunità dei credenti si sposta on line. Alle messe in streaming, che ormai sono diventate una consuetudine un po’ ovunque, alle risorse spirituali che si erano già moltiplicate on line negli anni scorsi, si sono aggiunte novità virtuali a sostituire tradizioni che il distanziamento e i numeri contingentati nelle chiese quest’anno impediscono.

Dalla Francia all’Irlanda… Di calendari dell’Avvento – risorse che quotidianamente vengono pubblicate on line per nutrire i giorni che separano al Natale – se ne trovano ovviamente a profusione e non sono una novità. Qualche esempio: la diocesi di Parigi propone di scoprire, giorno dopo giorno un passo di “Fratelli tutti” attraverso un video di pochi secondi in cui compare una frase della nuova enciclica di Papa Francesco; la diocesi di Valenza, sempre in Francia, ogni giorno offre un video in cui appare una persona che svolge un servizio per la diocesi per “scoprire la ricchezza e la diversità della vita cattolica nella quotidianità, confinata o meno”.I vescovi francesi propongono una app per il telefono, su cui ogni giorno arriva una “risorsa spirituale”.Anche il sito dei vescovi irlandesi offre ogni giorno nuove proposte, a partire dalle letture della liturgia, accompagnate da un “audio-pensiero”, un brano di “Fratelli tutti”, un canto, e la condivisione attraverso i social di cose belle da segnalare con lo slogan “#SharingHope”, per creare una comunità di speranza anche nella distanza. Invece il calendario della parrocchia irlandese di Cobh è il “calendario della gentilezza”.

Ritiri, preghiere e podcast. Diventano virtuali e a distanza anche i ritiri, quelle giornate di silenzio, preghiera, meditazione e condivisione che spesso le parrocchie propongono in questo periodo. Ad esempio la diocesi di Reims lo propone on line, dal 6 al 10 dicembre. Chi si iscrive, riceverà un pensiero per iniziare la giornata, un podcast da ascoltare per la preghiera guidata, un canto dell’avvento da meditare, i testi per i diversi tempi di preghiera (lode, vespri, messa) e poi la sera ci si ritroverà su una piattaforma per ascoltare testimonianze, confrontarsi…

Germania: un solo grande coro. Ogni diocesi tedesca ha un calendario dell’avvento: quello di Aachen, ad esempio, invita a “stare vicini” e ad aprire ogni giorno una finestrella sul volto di un missionario o volontario della diocesi che racconta la vita e il Natale in un Paese lontano.Insieme al calendario, l’arcidiocesi di Friburgo ha anche proposto il “canta con noi per Natale”:siccome in questo tempo non si può nemmeno cantare in coro, tutti i fedeli dell’arcidiocesi son invitati a registrare on line la propria voce e immagine sulla base musicale di un canto natalizio; le voci verranno montate perché diventino “parte di un grande coro”.

Arcivescovo “in esilio”. L’arcivescovo di Misnk (Bielorussia), Tadeusz Kondrusiewicz, che da settimane è in Polonia perché le autorità bielorusse non gli consentono di rientrare, sta tenendo un ritiro on line da giovedì 3 dicembre a domenica 6 dicembre, “per i fedeli della parrocchia cattedrale e tutti coloro che desiderano unirsi a loro”. Spiega però l’invito che questa soluzione è stata pensata “non semplicemente per il Covid”.

San Nicola e i bambini. La fantasia si è scatenata per la festa di san Nicola, che il 6 dicembre passa nelle case a incontrare i bambini, benedirli e portare loro doni. Il vescovo santo quest’anno è in estrema difficoltà perché non può entrare nelle case o creare assembramenti per le strade. La tradizione, molto diffusa nel mondo di lingua tedesca, comunque sopravviverà anche al Covid. Alcune parrocchie hanno già annunciato che il santo si presenterà alla messe (il 6 cade di domenica quest’anno); altre hanno preparato degli itinerari con rigida tabella di marcia sul territorio parrocchiale e i bambini potranno salutarlo dalla finestra o scendendo per la strada mentre passa, ma stando alla distanza del bastone pastorale che san Nicola sempre porta con sé.Ci sono invece realtà in cui sono state pensate “visite digitali”: la diocesi di Essen ha organizzato 90 appuntamenti di circa 30 minuti ciascuno in videoconferenza:asili e gruppi di famiglie hanno prenotato la loro visita che avviene attraverso lo schermo tra il 4 e il 7 dicembre. E gli appuntamenti sono andati a ruba. In Austria, dove c’è un lockdown stretto fino al 6 gennaio, san Nicola ha l’autorizzazione per girare e fermarsi sulla porta di casa nel rispetto di tutte le norme igieniche e di distanza.

Spagna: la tradizione della “posada”. La stessa sorte subisce quest’anno la tradizione della “posada”, quel cammino processionale di Maria e Giuseppe che nel mondo ispanico passano per le strade, prima della nascita di Gesù, per cercare un posto dove far nascere il bambinello. Il sito spagnolo del Catholic Relief Service propone tre appuntamenti sulla piattaforma Zoom: ci “uniremo virtualmente e festeggeremo insieme come una famiglia”: ci saranno preghiere e canti, un quiz in cui mettere alla prova la propria conoscenza del Natale e vincere premi. E un invito: “prima di collegarvi, preparate i vostri tamburelli per cantare”.

Presepe in Austria, santa Lucia in Scandinavia.  La visita ai presepi? Difficile al tempo del Covid. E il Mariendom di Linz, in Austria, che ha uno dei presepi più grandi al mondo, vecchio di oltre cento anni, nei giorni di Natale lo renderà visitabile online, perché si sta lavorando a scansionare 30 delle 80 statue che lo compongono. Per quanto riguarda la tradizione di Santa Lucia, che si celebra il 13 dicembre, un po’ dipende da dove vive la meravigliosa ragazzina che squarcia la notte nordica portando sul capo una corona di luci. In Svezia, dove le restrizioni ora sono molto pesanti, Lucia potrà andare nelle scuole, classe per classe, a salutare i bambini, ma senza la presenza dei genitori e la tradizionale festa. Diventeranno invece “digitali” i numerosi concerti che solitamente riecheggiano in nome della santa nella notte in cui è avvolta la Svezia; li si potrà ascoltare nel chiuso della propria casa e non nelle chiese, come era abitudine.

Rapporto della Caritas Italiana sul diritto alla casa in Europa

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14 novembre 2020 – Osservatore

In Europa, pur nell’ambito di un quadro giuridico di spessore, la casa resta per molte persone una meta difficile da raggiungere e da mantenere. Oltre ventitré milioni di famiglie, circa il 10 per cento della popolazione totale dell’Unione europea, spendono più del 40 per cento del reddito per mantenere la propria abitazione, e quasi nove milioni di famiglie vivono in alloggi inadeguati. C’è poi chi un tetto non l’ha mai avuto: solo in Europa settecentomila persone sono senza dimora e il fenomeno è aumentato del 70 per cento in dieci anni. Sono i dati principali presentati nel dossier «Casa, bene comune. Il diritto all’abitare nel contesto europeo», pubblicato dalla Caritas Italiana in questo anno nel quale si celebrano i settant’anni dalla Dichiarazione Schuman, che ha dato il via al processo di integrazione europea.

Nella cornice giuridica europea, sottolinea l’organizzazione cattolica, il diritto alla casa è di pertinenza esclusiva dei singoli stati. La condizione abitativa nel vecchio continente risulta pertanto eterogenea e diversificata a seconda della situazione reddituale delle famiglie e delle politiche abitative attive, tra le quali l’offerta di edilizia residenziale pubblica svolge uno dei ruoli prioritari. Nonostante alcuni paesi siano maggiormente strutturati rispetto alla dotazione di abitazioni sociali, le difficoltà economiche della crisi del 2008 e la crisi sanitaria dovuta al coronavirus, i cui esiti sono ancora difficili da prevedere, «hanno generato nuove fragilità abitative con differenti intensità». A fianco delle categorie sociali strutturalmente in difficoltà rispetto al tema dell’abitare — aggiunge la Caritas — come immigrati, senza dimora, famiglie con disabili o disoccupati cronici, «si sono aggiunti anziani con pensioni basse, famiglie con figli a carico oppure i cosiddetti working poor, che rischiano sempre più lo scivolamento in povertà con la conseguente possibilità di perdere la casa». Dinanzi a tali problematiche le politiche abitative “classiche” non riescono più a fornire una risposta, soprattutto nei paesi dell’Europa meridionale. Sono comunque presenti nel continente molte esperienze innovative, precisa la Caritas, «da cui trarre utili piste di lavoro per favorire una migliore esigibilità del fondamentale diritto a un degno abitare».

Fra gli Stati europei più sviluppati, l’Italia si distingue, oltre che per una delle più basse quote di edilizia pubblica, anche per una minore dimensione del patrimonio in affitto privato, pilastro dell’offerta in molte altre nazioni e, più in generale, per una scarsa disponibilità di alloggi con costi commisurati ai redditi. Lo Stato italiano, pur detenendo la responsabilità del settore dell’edilizia pubblica in concorrenza con le regioni, non eroga finanziamenti dal 1998. Le poche risorse non consentono una programmazione degli interventi tale da fornire una risposta socialmente significativa. Dal canto loro, le regioni non hanno adeguatamente sostenuto il settore abitativo destinando per lo più le risorse ottenute dallo Stato a situazioni emergenziali o per ambiti circoscritti. «Il modello italiano di privatizzazione del problema abitativo da tempo dimostra profonde strutturali debolezze — denuncia il dossier della Caritas — rivelando un arretramento rispetto a paesi europei dove la maggior parte del parco abitativo è pubblico o sociale, con affitti accessibili». In Italia, denuncia l’organizzazione, «da qualche decennio si spende troppo poco e male per l’emergenza abitativa: non si costruiscono più alloggi sociali o con canoni di locazione sostenibili, non si agisce sull’enorme patrimonio di abitazioni vuote e invendute. La costruzione di case popolari ha spesso marginalizzato le persone in casermoni edificati in periferie lontane e insane».

Secondo il recente «Rapporto sulla povertà ed esclusione sociale in Italia» della Caritas, nel paese oltre 1.800.000 famiglie sono in condizioni di povertà assoluta e chi vive in affitto ha una situazione più critica: sono circa 850.000 le famiglie povere in locazione, quasi la metà di tutte le famiglie povere. I senza dimora sono 51.000 e la loro condizione è stata aggravata dall’arrivo della pandemia. Ogni anno inoltre arriva l’assalto del gelo che crea situazioni ad alto rischio per chi non ha una casa o una sistemazione al coperto e riscaldata. La cosa che balza subito agli occhi in Italia, afferma in conclusione la Caritas, «è che la gran parte delle abitazioni, circa sette su dieci, sono case di proprietà. Siamo tra i paesi europei in cui questa quota è più alta. È un problema? Sì, perché questa situazione crea un mercato poco dinamico, in cui le abitazioni in affitto sono poche e, generalmente, care».

Il dossier si chiude con le parole pronunciate da Papa Francesco in occasione della sua visita alla Casa dell’accoglienza Dono di Maria , il 21 maggio 2013. La “casa”, disse il il Pontefice davanti alle missionarie della Carità, ai poveri assistiti e ai volontari che operano nel centro, «rappresenta la ricchezza umana più preziosa, quella dell’incontro, quella delle relazioni tra le persone, diverse per età, per cultura e per storia, ma che vivono insieme e che insieme si aiutano a crescere. Proprio per questo, la “casa” è un luogo decisivo nella vita, dove la vita cresce e si può realizzare, perché è un luogo in cui ogni persona impara a ricevere amore e a donare amore».

di Charles de Pechpeyrou

Per gli organismi ecclesiali a dimensione europea, è questo il tempo per rendere più solide le radici dell’Unione, intensificando la collaborazione

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Questa fase di iniziale uscita dall’epidemia da coronavirus ha visto la COMECE (Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea) al centro di una serie di iniziative che segnano, insieme alla conferma di una linea di attenzione costante all’evoluzione dell’UE, il rafforzamento di una serie di rapporti con altre istituzioni che vanno nella direzione di un collegamento stabile e da uno stile di lavoro in rete.

Prima che dalle parole e dai documenti, dalla serie di iniziative traspare il messaggio di fondo che essa vuole mandare alle istituzioni della Unione Europea, ma anche alle conferenze episcopali nazionali e alle rispettive comunità ecclesiali.

E il messaggio che ne risulta è la richiesta di una maggiore cooperazione tra i Paesi dell’Unione come condizione per uscire dalla fase di crisi nella quale tutti siamo entrati.

In questa fase, tutte le criticità che accompagnano da anni il cammino europeo si sono come addensate determinando una situazione nuova che impone nuove scelte. L’epidemia ha fatto capire che uscirne veramente richiede una rimodulazione di tutte le questioni e dei tradizionali approcci. Per questa ragione ad emergere con maggiore chiarezza è la scarsa e instabile coesione che caratterizza in misura variabile i Paesi membri dell’Unione.

Le Chiese cristiane e l’Unione

Un incontro delle Presidenze della COMECE e della CCEE (Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee) ha segnato la ripresa di rapporti, mai interrotti, nella prospettiva di una nuova stagione.

L’occasione era duplice: la valutazione dell’esperienza delle Chiese nel tempo dell’epidemia e la predisposizione di una serie di attività comuni da mettere in cantiere. Ne è risultata una visione condivisa delle fatiche e delle promesse che vengono fuori da questa fase particolare di storia europea e mondiale, tra le quali possono essere richiamati l’allentamento del rapporto con la Chiesa della fascia più anziana della popolazione, l’esperienza rinnovata dell’unità delle famiglie e della fede vissuta spesso anche nella preghiera domestica, la crescita di un senso di solidarietà che ha aperto il cuore e le mani ai più bisognosi nei territori, tornati a un senso nuovo di appartenenza e di protagonismo.

Nella differenza delle forme di rapporto istituzionale, nei vari Paesi si è lamentato lo scarso riconoscimento della libertà della Chiesa e dell’esercizio del culto. In questo senso, il recente ritorno di attenzione al tema della libertà religiosa nell’Unione Europea va salutato positivamente.

Nel quadro di questi rapporti si segnala l’iniziativa spontanea di un’alleanza tra organismi internazionali denominata Elsi’A (Alleanza Enciclica Laudato si’), il cui interesse dominante è costituito dalla “cura della casa comune” e alla quale guardano anche le due istituzioni episcopali europee, e in modo particolare la COMECE.

Più di recente la COMECE si è fatta promotrice di un passo avanti nel dialogo con l’UE incontrando insieme alla CEC (Conferenza delle Chiese Europee) la Presidenza tedesca dell’Unione che è appena entrata nel semestre di competenza.

L’occasione è particolarmente propizia per sollecitare a rinnovare l’impegno per il progetto europeo e i suoi valori fondanti al fine di rendere l’Europa più giusta, equa e sostenibile. Presentando un documento comune, l’iniziativa ecumenica ha ricordato quanto sia vitale l’apporto delle Chiese e delle comunità religiose per un progetto europeo che abbia un’anima ideale e valoriale.

chiese UE

COMECE: stimolare le Chiese cattoliche dell’UE

L’iniziativa più recente della Presidenza della COMECE riguarda l’invito rivolto ai presidenti e ai segretari generali delle conferenza episcopali dei Paesi dell’Unione per un incontro congiunto a fine settembre. L’incontro ha lo scopo di valutare la situazione che si è determinata a seguito della pandemia da Covid-19 e la «possibilità di un’azione comune della Chiesa in Europa per affrontare tale situazione, per aiutarci a vicenda, dando un segnale di unità e solidarietà, e per inviare un messaggio forte».

Si conferma così, attraverso lo sviluppo di un’azione propriamente ecclesiale, la volontà di stimolare uno stile e far giungere una sollecitazione che dica quanto sia indispensabile ai Paesi dell’Unione lavorare insieme per il bene di ciascuno di loro e di tutti insieme, senza dimenticare il ruolo delicato che la storia le affida in questa fase della sua storia.

Sono, questi, motivi presenti anche nella presa di posizione della Commissione per gli affari sociali della COMECE in occasione della presentazione del Piano di rilancio della Commissione Europea.

Legami solidali nell’UE

Sebbene in ritardo nel raccogliere il bisogno di aiuto dei Paesi più colpiti dall’epidemia, l’Unione sembra aver trovato la lucidità e la volontà di intervenire. Ora si richiede più che mai di agire insieme. Come dice il titolo del documento: “Nessuno può salvarsi da solo!”.

E infatti ciò che alla fine emerge prepotente è la consapevolezza che la necessità di dare risposta ad una urgenza improvvisa e drammatica, ripropone in modo nuovo la questione di fondo che riguarda, più che la sopravvivenza dell’Unione Europea, la sua capacità di darsi una forma compiuta di unione che non sia solo economica, ma anche politica, sociale e culturale.

Finché la coscienza e le occasioni per sentirsi richiamati a tale compito non mancheranno, si potrà rimanere fiduciosi; il dramma sarà quando verranno a mancare.

San Benedetto e l’uomo europeo. 11 Luglio 2020. Nella memoria liturgica del padre del monachesimo occidentale

In occasione della consacrazione della ricostruita chiesa cattedrale di Montecassino, avvenuta il 24 ottobre 1964, Paolo VI proclamò san Benedetto Patrono principale d’Europa. Con quel gesto il Pontefice asseverò il ruolo decisivo che il monachesimo benedettino aveva giocato nel medioevo, mediante la fitta rete dei suoi monasteri, nel forgiare il continente europeo attraverso un’unità senza pari di fede e di cultura. Anche un agnostico come il sociologo Léo Moulin ammise che san Benedetto e i suoi monaci potevano senz’altro essere definiti «i “Padri d’Europa” nel senso pieno del termine, sia dal punto di vista storico che sociologico».

Nondimeno, va subito ricordato che tutto ciò che i monaci benedettini furono in grado di realizzare dev’essere ricondotto a quel principio unificatore della loro vocazione, ossia il quaerere Deum, la ricerca di Dio (cfr. Regola di san Benedetto [=rb] 58, 7). «Essi — come ha affermato Benedetto XVI — volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio. Dalle cose secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò che, solo, è veramente importante e affidabile».

I monaci benedettini, dunque, non avevano innata la vocazione a colonizzare, a dissodare o a creare fattorie che erano vere e proprie imprese d’avanguardia dove si conducevano audaci esperimenti di agronomia e si istruivano in maniera illuminata le masse rurali. Né avevano, come loro scopo precipuo, quello di prosciugare le paludi, di costruire mulini e vivai, di incrementare l’arte dell’apicoltura, di prendersi cura dei boschi o di specializzarsi nella produzione vinaria, olearia e casearia. Così come non avevano come finalità primaria quella di recuperare e trasmettere la cultura antica o di crearne una nuova.

Eppure, se in risposta alle esigenze dei tempi, i monaci, oltre che grandi evangelizzatori, si rivelarono anche dei grandi «educatori economici» (H. Pirenne) e propagatori culturali, ciò fu la risultante di un’esistenza vissuta nella diuturna ricerca di Dio, condotta nella sequela di Gesù e alla luce del suo Vangelo, il che, ovviamente, si configurava anche come ricerca della verità sull’uomo e sulla sua autentica realizzazione. È da qui, infatti, che ha preso forma quell’umanesimo benedettino — «parte importante dell’umanesimo cristiano» (Ludmiła Grygiel) — che ha segnato in maniera duratura e profonda l’ethos europeo.

Tuttavia, oggigiorno, nel clima socio-culturale nel quale si dibatte l’Europa secolarizzata e post-umana, dove le meta-narrazioni riguardanti il Dio cristiano sono fortemente in declino, viene spontaneo chiedersi se il messaggio di san Benedetto possa ancora essere fonte di ispirazione per i cittadini europei. Noi crediamo di sì. Ecco alcuni esempi di come tale messaggio abbia ancora qualcosa da dire alle menti e ai cuori dei nostri contemporanei.

Innanzitutto l’esortazione di san Benedetto ad essere artigiani di pace e di unità, ricercando e custodendo entrambe nella verità e nella carità (cfr. rb, Prol. 17; 4, 25; 65, 11). Non è un caso se il Breve apostolico con cui Paolo VI dichiarò san Benedetto Patrono principale d’Europa inizi con le parole «Pacis nuntius», “messaggero di pace”, ed «Effector unitatis», “costruttore di unità”. Solo facendosi promotori di pace e di unità, infatti, sarà possibile vivere in armonia con sé stessi, con gli altri e con il creato, e contribuire efficacemente all’edificazione di un mondo più giusto e umano. Il tutto all’insegna di una “cultura del dialogo” che «implica un autentico apprendistato, un’ascesi che ci aiuti a riconoscere l’altro come un interlocutore valido» (Papa Francesco).

Un altro valore presente nella rb è il rispetto per ogni essere umano. Fedele al Vangelo, san Benedetto esorta ad «Onorare tutti gli uomini» (rb 4, 8), perché in ogni essere umano è presente il Cristo. È un invito ad avere uno sguardo nuovo nei confronti dei propri simili, uno sguardo che, attingendo al comandamento cristiano dell’amore, si concentri sull’unicità e sulla dignità di ogni persona; uno sguardo aperto alla dimensione plurale, soprattutto sul piano culturale e religioso; uno sguardo che favorisca l’inclusione, la condivisione e la solidarietà, specialmente verso i malati, i pellegrini, i forestieri (che in monastero non mancano mai: cfr. rb 36, 4), ossia verso gli umili, i poveri, gli ultimi. Insomma, san Benedetto ci sprona a riconoscere in ogni uomo e donna un fratello e una sorella da accompagnare, da accudire, da educare, da far progredire, da evangelizzare, da amare e da condurre felicemente verso il porto della vita eterna.

Un altro aspetto che merita attenzione è la preziosità della vita quotidiana. Quest’ultima è per san Benedetto il luogo in cui riconoscere i segni della prossimità di Dio nella propria vita (cfr. rb 19, 1); il luogo in cui vivere la santità evangelica in una forma ordinaria, di modo «che l’eroico diventi normale, quotidiano, e che il normale, quotidiano diventi eroico. Bisogna ammirare la semplicità di tale programma, e nello stesso tempo la sua universalità» (Giovanni Paolo II). Un’eco di ciò è rintracciabile nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate di Papa Francesco, là dove egli esorta i cristiani a vivere la “santità quotidiana”. Per san Benedetto, poi, non vi è nulla che non contribuisca in qualche modo al proprio cammino di santità, a tal punto da esortare i suoi monaci a maneggiare con cura gli attrezzi del monastero, come una zappa, un mestolo o uno stilo. Essi pure, infatti, sono strumenti attraverso i quali cercare Dio, e per questo vanno maneggiati come se fossero vasi sacri dell’altare (cfr. rb 31, 10).

Infine, per percepire la presenza di Dio nel nostro quotidiano, san Benedetto conferisce grande importanza anche alla “stabilità”. Il paradigma del cambiamento d’epoca che stiamo attraversando è quello della complessità e della velocità, e ciò è spesso causa di ansia, di disorientamento e di destabilizzazione. La stabilità a cui allude san Benedetto (cfr. rb 58, 17), oltre che di natura fisico-spaziale, è anche e soprattutto interiore. Essa ha a che fare con un cuore saldamente fondato sulla roccia che è Cristo, al quale assolutamente nulla dev’essere anteposto (cfr. rb 72, 11), e sul suo Vangelo, guida sicura per il cammino di quaggiù (cfr. rb , Prol. 21).

La Regola di san Benedetto continua dunque a essere fonte di ispirazione sia per il credente sia per ogni uomo di buona volontà che desideri contribuire all’edificazione di un’Europa dal volto umano, «un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo», per il quale servono «memoria, coraggio, sana e umana utopia» (Papa Francesco). Benedictus benedicat!

di Donato Ogliari
Abate ordinario di Montecassino

Osservatore Romano

Al via la Conferenza delle Chiese europee sulla pace

Mettersi insieme in ascolto delle “dure lezioni del passato” per impegnarsi ad essere oggi in Europa e nel mondo strumenti di pace e di riconciliazione. Lo ha sottolineato il rev. Christian Krieger, presidente della Conferenza delle Chiese europee, aprendo l’assemblea. Krieger ha ricordato – riferisce l’Agenzia Sir – che il contesto storico in cui 60 anni fa nacque la Cec (1959), era “un’Europa frammentata e divisa dopo la Seconda Guerra mondiale. A quel tempo c’era una reale necessità di superare le divisioni politiche e lavorare per la guarigione e la pace”. È questa la missione che le Chiese cristiane in Europa continuano a svolgere ancora oggi per far emergere “un’Europa umana, sociale e sostenibile in pace con se stessa e con i suoi vicini, in cui prevalgono i diritti umani e la solidarietà”.

Pace e riconciliazione

Rifacendosi quindi al Trattato di Pace che fu firmato proprio a Palazzo di Versailles nel 1919, il pastore protestante ha detto: “La prima guerra mondiale ha portato alla fine di un ordine mondiale. La mappa dell’Europa fu ridisegnata così come la maggior parte della mappa del mondo”. In questi giorni, rappresentanti delle Chiese aiutati da esperti e politici, esploreranno “le dure lezioni del nostro passato europeo e globale”, identificando quali sono oggi “le minacce alla pace in Europa e nel mondo”. “Speriamo – ha aggiunto – di trarre ispirazione dal ruolo e dal lavoro della Conferenza delle Chiese europee, sin dalla sua creazione, come strumento ecumenico impegnato nella costruzione della pace, nella guarigione delle ferite del passato e nella riconciliazione”.

Dialogo ecumenico

La Conferenza delle Chiese europee è un organismo ecclesiale ed ecumenico che unisce 114 Chiese di tradizioni ortodosse, protestanti e anglicane in Europa per il dialogo, la difesa e l’azione comune per la promozione della pace e per l’unità della Chiesa. (Sir)

L’avvio delle iniziative. Matera, capitale della cultura e laboratorio per il Sud

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla cerimonia di inaugurazione di Matera capitale europea della cultura (Lapresse)
da Avvenire

«Una bellezza generata dalla povertà». Forse la chiave di lettura di questo anno in cui Matera sarà la Capitale europea della Cultura l’ha fornita ieri il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Lo ha fatto prendendo spunto da un classico della letteratura del nostro Novecento, quel Cristo si è fermato a Eboli in cui Carlo Levi, dopo aver descritto la tragica condizione sanitaria e sociale dei Sassi materani, prende spunto da essa, la fonde col complessivo panorama materano e giunge ad affermare che chiunque veda Matera non può che restare «profondamente colpito dalla sua dolente bellezza». È poiché, ha aggiunto Conte citando un altro classico immortale come L’idiota di Dostoevskij, «la bellezza è un enigma», ecco che questa bellezza avrà un senso solo se saprà conservare la sua originalità dando vita a una nuova strada di sviluppo culturale, volano per la Basilicata e per l’intero Meridione.

È stato questo, il tema che ha fatto da substrato a tutti gli interventi che oggi hanno dato ufficialmente l’avvio alle iniziative di Matera capitale europea della cultura 2019. Con Conte, nell’auditorium ricavato all’interno della Cava del Sole (il luogo dove nei secoli si è cavata la pietra per la costruzione della città), hanno parlato il sindaco della città Raffaele De Ruggeri, il ministro della cultura Alberto Bonisoli, il presidente della Fondazione Matera 2019 Salvatore Adduce. Tutti infatti, nessuno escluso, hanno ricordato che con questo anno di celebrazioni, per dirla con Adduce, «Matera vuole capovolgere ancora una volta il paradigma del suo destino è affermare che è davvero possibile fare e raccontare un’altra storia del Mezzogiorno italiano».

Una bellezza povera e dolente perché costruita dal povero quotidiano lavoro di tanta povera gente col suo dolore, la fatica del vivere e la sua secolare sofferenza. L’enigma è invece tutto situato nel futuro che questa bellezza non più dolente sarà capace di generare. A questo proposito il presidente del Consiglio ha voluto fare alcune precise promesse. Ha detto che il governo si impegnerà nel fare in modo che questa occasione non vada perduta facendo di Matera una sorta di pietra miliare per il riscatto del Sud.

A questo proposito, ha aggiunto, «è nostro dovere supportare con dei finanziamenti purché a fronte di progetti fattibili e concreti. Nei prossimi giorni partiremo con una cabina di regia. Ci sarà un grande piano per mettere in sicurezza il territorio del Mezzogiorno e partirà un piano di rinnovamento delle infrastrutture». Quindi dopo essere tornato a ribadire che il suo è un governo operativo, ha sottolineato la necessità di essere padroni del proprio destino, in questo senso «la cultura serve a riscoprire quello che siamo stati per lavorare a diventare quello che vogliamo essere domani».

Matera nel primo giorno da capitale della cultura (Fotogramma)

Matera nel primo giorno da capitale della cultura (Fotogramma)

«Il futuro dipende da noi» è stato lo slogan utilizzato anche dal ministro Bonisoli. «Dobbiamo pensare – ha aggiunto – a Matera fra venti o trent’anni facendo della cultura un fattore decisivo di sviluppo economico e sociale». Uno sviluppo che, come ha affermato il sindaco De Ruggeri, «passa per la parola “accoglienza”, per l’umiltà che da sempre ci caratterizza, per la semplicità tipica della nostra tradizione. Questa è la nostra sfida sociale e culturale. Questa è la peculiarità che ci ha fatto vincere nel 2014 la selezione per diventare Capitale europea della Cultura».

E la cosa che fin da ora fa ben sperare che Matera diventi davvero un caso culturale significativo per tutto il Paese è che anche un esponente dell’opposizione in Consiglio comunale come Paolo Manicone si ritrovi negli stessi concetti e aggiunga: «La nostra speranza è che nasca da questo evento una nuova economia materana, fondata sulle nostre caratteristiche economiche e sociali, così che anche il turismo non divenga assolutizzante come è accaduto in città come Venezia, ma faccia da volano per uno sviluppo equilibrato e complessivo». Uno sviluppo, ricorda Angela Riccardi, agricoltrice da quattro generazioni, «che sappia mettere al centro anche settori tradizionali e ricchi di prospettive come l’agricoltura».

Tutto questo mentre Matera cominciava già a vivere questo suo anno da protagonista travolta da decine di iniziative musicali in tutte le strade, in tutte le piazze con qualcosa come 2019 musicisti impegnati, 20 bande italiane e 19 europee. Una intensità di iniziativa che l’organizzazione promette per tutte le prossime 48 settimane seguendo i cinque temi-ambiti che hanno caratterizzato il dossier programmatico: radici e percorsi, continuità e rotture, futuro remoto, utopie e distonie riflessioni e connessioni.

Tutto questo anche attraverso coproduzioni internazionali a cominciare dalla collaborazione con la bulgara Plovdiv, l’altra capitale europea della cultura 2019, ma anche Giappone, Argentina, Giordania, Tunisia. Collaborazioni con la Fondazione Ravenna, col San Carlo di Napoli per la coproduzione di una grandiosaCavalleria rusticana nei Sassi, con la Rai. Ogni giorno del 2019 ogni visitatore avrà almeno cinque attività da svolgere: una mostra, uno spettacolo dal vivo, un passeggiata su un percorso ambientale, l’incontro con un significativo cittadino materano, contribuire alla mostra di chiusura portando un oggetto della propria cultura di appartenenza. Fra le grandi mostre viene inaugurata oggi la prima: “Art excavandi”. Curata da Pietro Laureano, propone un viaggio fra le città rupestri del mondo.

Oggi si è tenuto anche il secondo atto inaugurale. Uno spettacolo organizzato dalla Rai al quale ha presenziato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Si è svolto nella suggestiva ambientazione del Sasso Caveoso, davanti alla suggestiva chiesa rupestre di San Pietro Caveoso, condotto da Gigi Proietti (che non ha mancato di esporre, fra brani della Commedia e di Shakespeare, la propria personale visione di Matera, e della sua identità come chiave di volta per costruire un nuovo futuro di speranza) con la partecipazione di Rocco Papaleo e di una star musicale internazionale come Skin.

Mattarella: un giorno importante per l’Europa che valorizza le sue culture

Parlando a conclusione della giornata inaugurale di Matera 2019, al termine dello spettacolo che si è svolto nel Sasso Caveoso, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fra l’altro sottolineato: «Questo è un giorno importante per l’Europa che dimostra di saper valorizzare le sue culture. Giorno di orgoglio per i materani e per la Basilicata. Giorno di orgoglio per l’Italia che vede una delle sue eccellenze all’attenzione dell’intero continente. La cultura costituisce il tessuto connettivo della civiltà europea. Non cultura di pochi, che marca le disuguaglianze dei saperi e delle opportunità, ma cultura che include, che genera solidarietà».
Matera, ha aggiunto Mattarella, «è un esempio di quanto l’Europa debba alla preziosa originalità di luoghi così straordinari e ricchi di fascino. Di quanto la fatica e il genio di una comunità siano riusciti a produrre. E si coglie anche il legame col cammino dei popoli europei orientato da valori comuni. Matera è la realtà che l’Italia offre all’Europa per mostrare come la storia più antica possa aiutarci ad aprire le porte di un domani migliore. Matera sarà in questo anno l’immagine dell’Europa perché ha dimostrato di saper dare nuovo valore alle sue origini. Da Matera e dalle sue iniziative dalla sua ospitalità dal confronto che riuscirà ad animare verrà una spinta di sviluppo una iniezione di futuro».

Mattarella ha poi citato l’agenda Europe per la cultura, in cui «è scritto il proposito di “sfruttare il potere della cultura per la coesione sociale e il benessere”. In linea con questa indicazione abbiamo il dovere di “sostenere la creatività”, le “relazioni culturali internazionali” e di investire su quella rete di conoscenza e formazione, innovazione e lavoro che sola può offrire al continente un destino all’altezza dei suoi popoli. A cominciare dai più giovani. Essere europei è oggi parte ineliminabile delle nostre stesse identità nazionali».

Questa città, ha quindi concluso il capo dello Stato, «è anche un simbolo del Mezzogiorno italiano che vuole innovare e crescere sanando fratture e sollecitando iniziative. Matera è simbolo dei vari Sud d’Europa, così importanti per il continente, perché nel Mediterraneo si giocheranno partite decisive per il suo destino è per quello del Pianeta». A questo proposito, parlando a margine della manifestazione, appena giunto Sergio Mattarella non ha mancato di sottolineare il suo dolore e di manifestare le sue condoglianze per l’ennesima tragedia dei migranti, stamani nelle acque di questo stesso mare.

Avvenire

MATERA DA OGGI CAPITALE CULTURA, ATTESI MATTARELLA E CONTE

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CERIMONIA DI INAUGURAZIONE IN EUROVISIONE, CON GIGI PROIETTI Matera da oggi è ufficialmente Capitale della Cultura. Attesi il presidente della Repubblica, Mattarella, e il premier Conte per l’inaugurazione. La cerimonia sarà condotta da Gigi Proietti e trasmessa in diretta su Rai1 in Eurovisione. Le celebrazioni si apriranno con ballerini luminescenti che si trasformano in cavalli e Stefano Bollani al piano come solista e con le bande nell’inno da lui stesso realizzato.