Dischi sacra. Nell’ultimo Abbado salisburghese l’infinito di Mozart e Schubert

L’alone sonoro dell’ultimo accordo della Messa in mi bemolle di Franz Schubert si dissolve lentamente e passano quindici lunghi, interminabili secondi di silenzio prima che il pubblico della Haus für Mozart di Salisburgo ritorni alla realtà e faccia partire un interminabile applauso liberatorio; sul volto stanco e profondamente segnato di Claudio Abbado restano invece a lungo impresse tutta l’emozione e la carica di tensione con cui ha vissuto un’esperienza musicale totalizzante.
Dopo un’assenza di dieci anni, nel 2012 il direttore milanese è ritornato sul podio del “festival dei festival”, l’appuntamento estivo più esclusivo dell’establishment musicale internazionale; a Salisburgo, Abbado è stato uno dei protagonisti più attesi della serie di dodici appuntamenti intitolati “Ouverture spirituelle” con cui il direttore artistico Alexander Pereira (il futuro sovrintendente del Teatro alla Scala di Milano) ha voluto inaugurare l’edizione dello scorso anno.
Il programma del concerto del 28 luglio – immortalato su un Dvd pubblicato da Accentus e distribuito da Ducale – prevedeva due vette estreme del repertorio sacro di tutti i tempi, la “giovanile” Missa solemnis K139(Waisenhausmesse) di Mozart e la “matura” Messa D950 di Schubert, che Abbado ha esaltato con una lettura esemplare e dai toni quasi intimistici, grazie all’apporto determinante dell’Arnold Schoenberg Choir, dell’Orchestra Mozart e di uno strepitoso cast di cantanti solisti: per la Messa di Mozart il soprano Roberta Invernizzi, per quella di Schubert il soprano Rachel Harnisch e il tenore Paolo Fanale, per entrambe le partiture il contralto Sara Mingardo, il tenore Javier Camarena e il basso Alex Esposito.
La perfezione esecutiva e la profondità di pensiero di questa interpretazione sono fedelmente documentate dal supporto video che, se possibile, accresce ancor più la forza d’impatto della parte musicale, testimoniando della massima concentrazione con cui Abbado affronta queste straordinarie partiture: con un gesto direttoriale asciutto ed essenziale, quasi in apnea, fluttuando in un tempo sospeso tra l’hic et nunc della sala da concerto e la dimensione di infinito che i capolavori di Mozart e Schubert sanno risvegliare a ogni nuovo ascolto.

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Dischi Sacra: il martirio come canto d’amore. La «Passio Caeciliae» di Frisina

La Passio Caeciliae scritta da Marco Frisina si chiude con una sorta di ipnotica ninnananna, una berceuse chiamata ad accompagnare il sonno eterno di santa Cecilia; nel brano Lux in tenebris (The Death of Cecilia), il canto angelico intonato dal soprano si dipana infatti con dolcezza ed espressività, sostenuto dal cullante tappeto armonico sopra cui la martire sembra addormentarsi e abbandonarsi definitivamente all’abbraccio ideale di Gesù, proprio come l’ha raffigurata Stefano Maderno nella celebre scultura custodita nella basilica di Santa Cecilia in Trastevere a Roma (che ritrae la santa così come apparve nel 1599 quando fu compiuta la ricognizione del suo corpo).
L’episodio conclusivo è sicuramente uno dei momenti più alti e toccanti dell’oratorio con cui monsignor Frisina (classe 1954) ha inteso descrivere le vicende della nobile fanciulla vissuta nel II secolo, che ha consacrato la propria verginità e la propria vita in nome della fede in Cristo, arrivando a convertire ai propri ideali anche il suo futuro sposo (Valeriano), che l’ha addirittura preceduta nel martirio.
Nel cast dell’incisione discografica firmata dal Coro Musicanova e dalla Nova Amadeus Chamber Orchestra diretti da Flavio Emilio Scogna fanno anche parte il soprano solista Barbara Vignudelli e la voce narrante dell’attore David Sebasti (cd pubblicato da Brilliant e distribuito da Ducale); sono loro a guidare l’ascoltatore tra i nove quadri in cui si articola la Passio Caeciliae, tra le visite quotidiane dell’Angelo misterioso inviato dal Signore, il drammatico episodio fugato che sottolinea i momenti della persecuzione e morte di Valeriano (Persecution) o ancora la truce fine della protagonista, prima arsa e poi passata a fil di spada (The Martyrdom of Cecilia).
Ma nonostante l’evidente carica di pathos della partitura, a imporsi su tutto è una serenità di fondo che traduce in una musica lontana da asprezze e dissonanze il miracolo supremo offerto dalla testimonianza della santa, come viene descritto dallo stesso Frisina nelle note di copertina del disco: «Cecilia è una creatura fatta di luce e di amore, un capolavoro stupendo di innocenza e giovinezza che profuma di cielo. Il suo martirio è terribile, eppure è il suo più bel canto d’amore a Cristo».

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Dischi Sacra: una raccolta di canti liturgici di straordinaria bellezza

«Luce del suo popolo e del suo tempo»: con queste parole Giovanni Paolo II rivelava al mondo la forza e il carisma di Hildegard von Bingen (1098-1179), la mistica e santa tedesca che un anno fa Benedetto XVI ha nominato Dottore della Chiesa universale, riconoscendo in lei «una straordinaria armonia tra la dottrina e la vita quotidiana».
Teologa, scrittrice, poetessa, compositrice e scienziata, la sua è una figura tutta da scoprire, che gli appassionati di musica antica hanno imparato a conoscere soprattutto grazie ai dischi realizzati dall’ensemble Sequentia che, a partire dal 1982, ha intrapreso il progetto di registrazione integrale delle opere della santa. Un lungo e fortunato cammino che giunge oggi al termine – orfano però della compianta Barbara Thornton, indimenticabile voce e anima artistica del gruppo – con l’album intitolato Celestial Hierarchy (pubblicato da Deutsche Harmonia Mundi e distribuito da Sony): una raccolta di canti liturgici di straordinaria bellezza, dedicati ai profeti, ai martiri, ai padri confessori, agli apostoli e alla Vergine Maria, forgiati su un nuovo linguaggio di intensa espressività che i Sequentia sono in grado ancora una volta di riproporre con rigore, immedesimazione e altissimi esiti artistici.
Da un punto di partenza diametralmente opposto si muove invece l’approccio interpretativo con cui Dietburg Spohr e l’Ensemble Belcanto si sono avvicinati all’Ordo Virtutum, la sacra rappresentazione allegorica che la Badessa di Bingen ha incentrato sull’animo umano, sulle insidie mosse dalle tentazioni del peccato e sul sostegno offerto dal vigore delle virtù (cd pubblicato da Ecm e distribuito da Ducale). Ne è nata un’attualizzazione quasi estrema, lontana da qualsiasi intento di fedele ricostruzione storica o filologica, dove la musica originale appare quasi un pretesto: il punto di partenza per una drammaturgia in cui la lontana eco delle melodie gregoriane viene sopraffatta dalle più moderne istanze compositive contemporanee, con l’intento di avvicinare il mondo medievale di Hildegard, per stessa ammissione degli artisti «così lontano ed estraneo dal nostro». Per correttezza, però, in questo caso sarebbe stato più opportuno togliere il nome della santa dalla copertina del disco.

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Dischi Sacra. Un tripudio chiassoso e nobilissimo: così Napoli glorificava san Gennaro

È un tripudio di suoni, luci e colori il progetto discografico che Antonio Florio e il gruppo dei Turchini hanno dedicato al repertorio sacro fiorito a Napoli nei primi decenni del Settecento e a una delle principali feste, religiose e popolari, che da sempre animano la vita della città; Il Tesoro di San Gennaro è infatti il titolo di un album che arriva al cuore di un’antica e illustre tradizione, ma che testimonia anche del livello d’eccellenza artistica raggiunto in epoca barocca dall’establishment musicale partenopeo (cd pubblicato da Glossa e distribuito da New Communication).
Cantori e strumentisti hanno infatti sempre lottato per entrare a far parte dell’organico degli esecutori impegnati nelle molteplici celebrazioni dedicate al Santo protettore (in primis quella del 19 settembre, quando se ne ricorda il martirio), mentre i maggiori compositori dell’epoca, autoctoni e forestieri, hanno dedicato alcune delle loro migliori creazioni per l’apparato musicale destinato ad accompagnare i principali riti liturgici della Cappella del Tesoro.
Spetta alla Canzona a 4 con istromenti “Per San Gennaro” di Cristofaro Caresana (1640-1709) alzare il sipario sul teatro dei sacri affetti in scena a Napoli tra XVII e XVIII secolo; insieme ad alcune Sinfonie strumentali, di Domenico Scarlatti (1685-1757) viene invece proposto il caleidoscopico mottetto Antra valles Divo plaudant, mentre al Confitebor à 3 e allo splendido Stabat Mater à 4 di Nicola Fago (1677-1745) – già Maestro di Cappella del Tesoro – fanno seguito gli inni Iam sol recedit e Iste confessor di Gaetano Veneziano (1665-1716), autore anche dell’Ave Maris Stella che chiude l’incantevole programma del disco.
Una vivace colonna sonora chiamata a portare alla luce le «diverse anime di una cultura complessa che non cessa di affascinare: insieme rozza e raffinata, plebea e aristocratica, chiassosa e delicata», come scrive nel saggio che accompagna le note di copertina del disco Dinko Fabris, presidente della Società Internazionale di Musicologia e penna tra le più illuminate nel delineare i caratteri vincenti di quella musica barocca partenopea che, da oltre venticinque anni, trova proprio in Antonio Florio e nei “suoi” Turchini la voce più viva, autentica e autorevole.
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Dischi Sacra: da Francesco Cera una rilettura filologica dei corali di Bach

Nella sua incisione dell’Orgelbüchlein di Johann Sebastian Bach (1685-1750) Francesco Cera ha optato per una scelta di campo che apre una nuova prospettiva su questa celebre raccolta; l’interprete bolognese – già allievo di Luigi Ferdinando Tagliavini e Gustav Leonhardt – ha infatti deciso di affiancare in modo sistematico e rigoroso i brani organistici ai corrispondenti corali luterani originali a cui sono strettamente legati dal punto di vista tematico, affidati per l’occasione alle forze vocali del Coro della Radiotelevisione Svizzera diretto da Diego Fasolis (2 cd pubblicati da Brilliant e distribuiti da Ducale).
Il cofanetto, intitolato Orgelbüchlein and Chorales, offre dunque una prospettiva privilegiata per un’immersione completa nell’universo creativo del maestro tedesco attraverso una summa assoluta che presenta nel contempo un’alta valenza didattica, estetica e spirituale. Come evidenziato nello stesso frontespizio dell’opera, il «Piccolo libro d’organo» intendeva offrire «a un organista principiante il metodo per sviluppare in tutte le maniere un corale» e doveva prevedere originariamente 164 pezzi, di cui ne sono stati completati solo una cinquantina (BWV 599-644) composti perlopiù tra il 1713 e il 1714, destinati ad accompagnare le feste principali dell’anno liturgico, tra Avvento e Natale, Quaresima e Pasqua, Ascensione e Pentecoste.
A muovere lo stesso Cera c’è la volontà di capire (e di lasciar intendere a chi ascolta) la straordinaria ricchezza di queste pagine, al punto da spingerlo a scrivere anche le preziose note di copertina del disco, nelle quali ogni singolo brano viene brevemente analizzato dal punto di vista musicale e le sue peculiarità tecniche, stilistiche e strutturali accostate al significato simbolico e testuale del corale di riferimento; un procedimento che mette in luce come l’importanza artistica di queste pagine sia strettamente correlata con il loro autentico significato trascendentale, riportato alla luce grazie all’intelligenza e alla profondità di una lettura che costituisce il vero valore aggiunto di un progetto come questo e che rende merito alla dedica originale dell’Orgelbüchlein scritta di proprio pugno da Bach: «All’Altissimo Iddio per onorarlo e al prossimo per istruirlo».

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Dischi Sacra: Kaija Saariaho esplora il percorso di Simone Weil verso l’Assoluto

È una lunga meditazione sul mistero della vita e della morte l’oratorio La Passion de Simone che la compositrice finlandese Kaija Saariaho (classe 1952) ha dedicato alla figura di Simone Weil (1909-1943), filosofa, scrittrice e mistica francese (di origine ebraica) che a soli 34 anni si è lasciata morire di stenti in un ospedale di Londra, come estremo gesto di rifiuto e come atto di condivisione verso tutti i bambini malnutriti e i prigionieri reclusi nei campi di concentramento, vittime innocenti degli orrori perpetrati dalla Seconda guerra mondiale.
Si tratta di una partitura estremamente densa e complessa, sintesi artistica in cui denuncia sociale, pensiero assoluto e riflessioni spirituali confluiscono in un linguaggio che presenta connotazioni di intensa drammaticità e lontane reminiscenze con l’universo musicale del sommo Messiaen. L’organico prevede una voce solista, coro, orchestra e inserti di “live electronics” (con le registrazioni audio di alcune citazioni tratte dai testi della Weil), mentre la struttura si articola in quindici stazioni fortemente ancorate alla tradizionale impronta formale della Passione, che intendono ripercorrere idealmente le tappe compiute di Gesù lungo la via del Calvario.
Accompagnata dalla Finnish Radio Symphony Orchestra e dal Tapiola Chamber Choir diretti da Esa-Pekka Salonen, il soprano Dawn Upshaw è la protagonista assoluta della registrazione della Passion de Simone realizzata dal vivo – in forma scenica, per la regia di Peter Sellars – nell’ottobre 2012 a Helsinki (Super Audio Cd pubblicato da Ondine e distribuito da Ducale). Chiamata a ricoprire il ruolo centrale di voce narrante/cantante, è proprio lei il vero e proprio cuore pulsante delle meditazioni in musica elaborate dalla Saariaho sul libretto adattato dallo scrittore libanese Amin Maalouf; ed è grazie alle sue doti canore e alla sua naturalezza espressiva che la Upshaw riesce a ricomporre sotto il sigillo della sua forte personalità di interprete le trame narrative e sonore molto spesso frammentarie e poco incisive della partitura, che non rendono sempre conto della profondità dell’anelito di pace e giustizia di un’anima fortemente inquieta e in perenne ricerca di compimento come quella della Weil.

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Il grande Vespro mariano di Willaert polifonia sontuosa e immaginifica

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Appendice discografica delle celebrazioni che nel 2012 hanno reso omaggio al 450° anniversario della morte di Adrian Willaert (ca.1490-1562), l’incisione dedicata al Vespro della Beata Vergine realizzata dalla Capilla Flamenca diretta da Dirk Snellings rappresenta una splendida occasione per riportare alla luce i fasti e gli splendori della più pregevole e raffinata polifonia cinquecentesca (cd pubblicato da Ricercar e distribuito da Sound and Music).
Si tratta del tributo all’estro e al talento di un compositore che per trentacinque anni ha ricoperto la carica di maestro di cappella presso la Basilica di San Marco a Venezia e ha rivestito un ruolo di primo piano in quello che si apprestava a divenire uno dei centri artistici più prestigiosi d’Europa, grazie anche alla qualità e allo splendore senza precedenti dell’apparato musicale che ne accompagnava le funzioni religiose, come dimostra questa ricostruzione della liturgia vespertina per una festività mariana.
I brani interpretati da Snellings e compagni attingono principalmente all’antologia dei «Salmi appartenenti alli Vesperi per tutte le feste dell’anno» data alle stampe nel 1550, in cui sono raccolte le opere che Willaert ha scritto, a cori alterni, insieme con il francese Jachet de Mantua; pagine chiamate a tradurre in suoni l’immensa ricchezza di immagini e di suggestioni poetiche provenienti dai testi biblici, che si traduce in una straordinaria varietà di soluzioni timbriche e armoniche, dove la perizia tecnica e l’abilità costruttiva radicate nella più solida scuola contrappuntistica rinascimentale – di cui l’autore fiammingo era riconosciuto come maestro assoluto – si sposa con la bellezza sinuosa e la potenza espressiva sprigionate dagli inni di lode (Laudate pueri e Nisi Dominus), dai canti di supplica (Laetatus sum) e dai mottetti di pura devozione (Benedicta es coelorum Regina eAve maris stella) con cui il popolo dei fedeli chiede l’intercessione alla Vergine. E sotto il manto sontuoso delMagnificat Willaert affida idealmente il compimento della sua composizione, lasciando già presagire verso quali nuovi orizzonti artistici e spirituali da lì a qualche decennio il genio di Monteverdi avrebbe portato l’intonazione del Vespro dedicato alla Madonna.

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Dischi Sacra: con Harnoncourt nelle profondità della «Missa Solemnis» di Beethoven

Disco dopo disco, concerto dopo concerto, sembra che più passino gli anni e più le interpretazioni di Nikolaus Harnoncourtguadagnino in chiarezza di visione e profondità di lettura. Sarà una questione di saggezza e di esperienza, di un gusto e di una sensibilità affinati in decenni di frequentazione con i più ispirati capolavori della storia della musica, ma non c’è nessuna delle grandi pagine del repertorio sacro da lui affrontate negli ultimi tempi che sotto la sua guida non abbia rivelato sfumature e dettagli talvolta inediti.
All’interno di questo circolo virtuoso non fa eccezione neppure la Missa Solemnis in re maggiore op. 123 di Ludwig van Beethoven (1770-1827), che il direttore austriaco ha immortalato in una registrazione video realizzata dal vivo in compagnia della Royal Concertgebouw Orchestra e del Netherlands Radio Choir (Dvd pubblicato da C Major e distribuito da Ducale).
Ancora una volta Harnoncourt indugia sulla partitura con un’attenzione meticolosa ma mai ossessiva, che rende espressivamente decisivo ogni minimo particolare, lavorando di cesello sul suono dell’orchestra – nel contempo austero e sontuoso – nell’articolazione del canto corale così come nella scelta e nella conduzione illuminata delle voci soliste, praticamente perfette (il soprano Marlis Petersen, il mezzosoprano Elisabeth Kullman, il tenore Werner Gura e il baritono Gerald Finley).
Non c’è mai nulla di scontato in una lettura che libera la Missa beethoveniana dalla retorica di una gravità oppressiva e statuaria grazie a doti di elasticità e flessibilità che permettono di evidenziare di continuo la drammaticità dei contrasti interni alle singole sezioni; ogni stacco di tempo lascia spazio alla contemplazione e alla riflessione, alla dimensione autentica di un’arte che si rivolge direttamente alle più alte sfere dello spirito. Perché è proprio su questo piano che si gioca la sfida interpretativa di un’opera che non ammette distrazioni o cali di tensione, ma corre sempre lungo il filo di una concentrazione evidente, quasi fisica, che le telecamere sanno perfettamente cogliere riflessa sui volti dei protagonisti, sul podio e sul palco, come su quelli del pubblico in platea, nel più completo e rispettoso silenzio fino all’ultima nota.

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