Dischi Sacra. Le Messe e il Te Deum di Bruckner musica costruita sui pilastri della fede

Non si può certo dar torto a chi alle nove Sinfonie di Anton Bruckner (1824-1896) riconosce lo status di veri e propri capolavori assoluti, maestose cattedrali sonore edificate a maggior gloria della pura arte sulle solide basi di un’innegabile matrice spirituale. Per meglio comprendere il valore e la complessità dell’opera strumentale del compositore austriaco, il repertorio sacro ci offre una testimonianza privilegiata, da sempre laboratorio sopra cui il Maestro di Linz ha forgiato la profondità del suo pensiero musicale e della sua impronta creativa, riflesso incondizionato di una fede autentica e radicata.
È questo il punto di partenza ideale per avvicinarsi alla recente edizione discografica che riunisce in un unico box alcune registrazioni (già uscite separatamente sul mercato) con l’intento di formare l’integrale delle Messe, affiancate al glorioso Te Deum; la scelta di optare per esecutori diversi penalizza sicuramente la continuità e la visione d’insieme del progetto, ma nulla toglie al nobile intento di rendere giustizia all’importanza di pagine che ricoprono un ruolo centrale all’interno della produzione bruckneriana (3 cd pubblicati da Brilliant e distribuiti da Ducale).
Al Chamber Choir of Europe e alla compagine orchestrale Württemberg Philharmonie Reutlingen diretti da Nicol Matt spetta la Messa n. 1 in re minore, opera di grande spessore, carica di effetti e di rimandi (tra il Requiem mozartiano e i preludi wagneriani), di cui ci viene restituita una lettura compita ma a tratti straniante e sfilacciata. Cambio di interpreti e di registro per i rimanenti lavori inclusi nel cofanetto: alla guida del Coro e dell’Orchestra della Radio di Berlino, Heinz Rögner si dimostra infatti decisamente più in linea nell’intreccio tra l’eloquio polifonico e le sonorità quasi bandistiche della Messa n. 2 in mi minore (il cui organico prevede un coro accompagnato da una orchestra di fiati), tra l’impianto solenne e le maestose architetture della Messa n. 3 in fa minore ma soprattutto di fronte alla potenza espressiva del Te Deum, folgorante partitura in grado di portare in scena il forte contrasto fra i risvolti interiori più riservati del compositore austriaco e la dimensione quasi titanica della sua produzione musicale.

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Dischi Sacra: La tragedia della morte e la speranza nello «Stabat Mater» di Dvorák

È musica del cuore quella che scorre tra le vene melodiche dello Stabat Mater op. 58 di Antonín Dvoràk (1841-1904); che pulsa al ritmo lento di una struggente celebrazione liturgica e sembra non conoscere le leggi del tempo. È musica che nasce da un dolore tutto umano – nel giro di pochi anni al compositore boemo morirono i primi tre figli – chiamato a riflettersi nello strazio soprannaturale della Vergine Madre che assiste alla lenta agonia del proprio Figlio inchiodato sulla croce; scaturita da un sentimento che dalla disperazione terrena di una perdita lacerante si trasfigura in una domanda traboccante di speranza nella misericordia divina. Ed è anche musica che corrisponde perfettamente alla tempra d’interprete di un maestro colto e sensibile come Philippe Herreweghe, che di fronte ai più monumentali capolavori del repertorio sacro esalta le proprie doti di fine investigatore dei righi del pentagramma e delle pieghe dell’animo umano.
Alla guida del Collegium Vocale Gent, della Royal Flemish Philharmonic Orchestra e di un eccellente manipolo di cantanti solisti (formato dal soprano Ilse Eerens, dal contralto Michaela Selinger, dal tenore Maximilian Schmitt e dal basso Florian Boesch), il direttore belga affronta le pagine dello Stabat Mater rivelandone il lato più profondamente drammaturgico (cd pubblicato dall’etichetta Phi e distribuito da Sound and Music): il carattere di una grandiosa messinscena in cui l’introduzione strumentale sembra quasi simboleggiare un’alzata di sipario sulla rappresentazione di una tragedia dai toni intimi e soffusi, che mantiene inalterato il suo dirompente impeto espressivo lungo tutto il suo svolgimento.
«Fac ut ardeat cor meum in amando Christum Deum ut sibi complaceam» (Fa’ che il mio cuore arda di amore per Cristo Dio affinché possa piacergli) intona poi con piglio deciso il basso, e il suo canto si ammanta di una crescente carica di pathos attenuata unicamente dall’intervento del coro, che ne addolcisce la tempra lirica ed eroica. Ed è proprio qui che Herreweghe trova la più perfetta consonanza con l’arte di Dvoràk; con una musica che nasce dal cuore affranto di un padre che piange la scomparsa delle sue creature e approda al cuore dell’umanità che loda la gloria di Dio.

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Dischi musica sacra. Ricercando dove l’Aria è più pura: Daniel Behle e l’universo di Bach

Il tenore tedesco Daniel Behle ha già dato ampiamente prova della sua naturale predisposizione nell’affrontare le roccaforti del repertorio cameristico dei Lieder (da Franz Schubert a Richard Strauss) così come i monumentali capolavori della musica sacra, dal Messiah di Händel all’Elijah di Mendelssohn, passando per La Creazione di Haydn e il Requiem di Mozart; è infatti sempre in grado di padroneggiare con estrema sensibilità le mille sfumature espressive della singola parola, affidata a una linea di canto ora coronata dal semplice accompagnamento del pianoforte, ora contesa con le grandi masse corali e orchestrali delle partiture più colossali.
Prerogative interpretative indispensabili per impaginare un programma come quello del suo nuovo cd esclusivamente dedicato all’arte di Johann Sebastian Bach (e semplicemente Bach è il titolo) realizzato al fianco della virtuosa flautista Anne Catherine Heinzmann e del Collegium Musicum der Göppinger Kantorei diretto da Klaus Rothaupt (cd pubblicato e distribuito da Sony Classical). Si tratta di una selezione di brani i cui testi attingono tra Nuovo e Antico Testamento, Salmi e Corali luterani; una decina di pagine tratte dallo sterminato catalogo delle Cantate, degli Oratori e delle Passioni che, nonostante siano state estrapolate dal loro contesto originale, non tradiscono mai la loro evidente impronta comune: quell’unità di fondo contrassegnata dal “cuore” di una musica tesa all’immedesimazione con gli intimi risvolti dell’animo umano, campo d’indagine prediletto dal genio bachiano che nella forma compositiva dell’Aria ha trovato modo di sviscerare il più nascosto tra gli stati d’animo e il più inaccessibile tra i sentimenti.
Il timbro fermo e sicuro di Behle rappresenta un sigillo di continuità impresso sui differenti panorami sonori offerti da un percorso che passa attraverso il brano principe della Cantata «Ich habe genug» BWV 82a o il Benedictus dalla Messa in si minore, per poi chiudersi idealmente con il messaggio di riconciliazione e l’annuncio del perdono divino dell’aria Jesus nimmt die Sünder an dalla Cantata BWV 113, suggellata dalla leggiadra baldanza di una melodia festosa mirabilmente fiorita dagli abbellimenti di un flauto che sembra sfidare le leggi di gravità del contrappunto.

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«Salmo IX» e «Magnificat» di Petrassi potenza e poesia del ‘900 italiano

L’ombra lunga di Igor Stravinskij si proietta sulle due opere sacre di Goffredo Petrassi (1904-2003) – il Salmo IX e il Magnificat – che il direttore Gianandrea Noseda ha scelto come nuova tappa dell’omaggio discografico alla musica sinfonica italiana del XX secolo realizzato dal Teatro Regio di Torino in collaborazione con Casa Musicale Ricordi e l’etichetta inglese Chandos (distribuita da Sound and Music); un’influenza che in gioventù, per sua stessa ammissione, ha marchiato a fuoco la forma e la sostanza del pensiero musicale del compositore soprattutto dopo l’incontro folgorante con capolavori quali la Sinfonia di Salmi o l’Oedipus Rex.
Nelle interessanti note di copertina del cd, Enzo Restagno mette a disposizione dell’ascoltatore gli strumenti necessari per ricostruire il percorso artistico e biografico sotteso alla creazione delle due partiture di Petrassi, facendo anche leva su testimonianze dirette raccolte dalla viva voce dell’autore: partendo dalle esperienze fanciullesche tra le fila dei pueri cantores, alle prese con le antiche architetture polifoniche di Josquin Desprez e Palestrina, per arrivare al fascino totalizzante esercitato su di lui dalla modernità musicale espressa proprio dalla chiara influenza stravinskijana che contraddistingue il Salmo IX (1934-36) sin già nel suo particolare organico (formato da coro, orchestra d’archi, ottoni, percussioni e due pianoforti).
Nell’aura tardobarocca/neoclassica e nell’approccio quasi melodrammatico del Magnificat (1939-40) l’autore ha inteso rispondere alla necessità di trovare un «personaggio teatrale» con una storia da raccontare, individuato appunto nella figura della Madonna, a cui conferisce voce il timbro cristallino e il canto agile di un soprano leggero (nella presente registrazione Sabina Cvilak) che si insinua tra le possenti perorazioni corali e orchestrali dei diversi episodi in cui è strutturato il Cantico della Vergine. Alla salda guida delle compagini del Teatro Regio di Torino, Noseda dimostra una perfetta consonanza con la potenza drammaturgica e le oasi di poetica riflessione di queste pagine, ricondotte nell’alveo dell’illustre tradizione musicale e spirituale che ha fatto grande la storia artistica del nostro Paese.

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Le «Sacrae Cantiones» di Gesualdo, i madrigali del principe dei musici

L’immagine che campeggia sulla copertina del disco dedicato alle Sacrae Cantiones di Carlo Gesualdo, Principe di Venosa (ca 1560-1613), è un particolare della pala votiva in cui il pittore Giovanni Balducci ha ritratto il nobile compositore in ginocchio mentre viene sorretto da San Carlo Borromeo (suo zio materno) e riceve, insieme con la seconda moglie (Eleonora d’Este), il perdono dei propri peccati dal Cristo benedicente; una raffigurazione altamente simbolica ed evocativa che esprime perfettamente l’impronta artistica e spirituale su cui si fondano questi tardi capolavori sacri incentrati sui temi del dolore, della colpa, della penitenza e della redenzione.
Discendente da una famiglia che ha regalato più di un sovrano alla stirpe normanna e nipote di un altro augusto cardinale (Alfonso Gesualdo), il “Principe dei musici” è oggi conosciuto soprattutto per la fortunata produzione di madrigali profani, alla cui stesura ha dedicato buona parte della sua tormentata esistenza, funestata dal tragico epilogo del matrimonio con la prima moglie Maria d’Avalos – da lui fatta uccidere insieme con l’amante Fabrizio Carafa, duca d’Andria – e dalla morte dei suoi due figli; agli ultimi anni di vita, quando l’irrequieto e malinconico musicista di sangue blu si è ritirato dalla scena pubblica, risalgono invece le opere di carattere religioso, i due libri di Sacrae Cantiones (pubblicati nel 1603) e i celebri Responsoria per la Settimana Santa (dati alle stampe nel 1611).
La registrazione del Liber Secundus delle Sacrae Cantiones realizzata dal Vocalconsort Berlin offre diversi spunti di interesse, innanzitutto perché si tratta del risultato di un meticoloso lavoro di ricostruzione realizzato dallo stesso direttore e musicologo James Wood, che ha completato alcune parti mancanti attraverso un’operazione ampiamente documentata nel libretto accluso al cd (pubblicato da Harmonia Mundi e distribuito da Ducale); ma in modo particolare per il valore assoluto di musiche dove Gesualdo, con rare concessioni al linguaggio ricco di cromatismi e dissonanze che caratterizzava i suoi rinomati madrigali, si è rivolto al più severo stile contrappuntistico “a cappella” per incorniciare le preghiere di intercessione per la pace della sua anima.

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Dischi Sacra: nella Passione mitologica di Fux la sapienza allegorica del barocco

Può apparire piuttosto strano e alquanto originale che i personaggi di un’opera sacra come l’Oratorium germanicum de Passione Domini di Johann Joseph Fux (1660-1741) siano figure mitologiche assolutamente profane come Andromeda, Cassiopea o Perseo; ma è sufficiente trovare la chiave di lettura appropriata perché intorno alle antiche vicende immortalate da Apollodoro e Ovidio si ricompongano tutti i tasselli di un intreccio che, grazie alle dovute ricostruzioni dei diversi piani di riferimento, consente di appurare in modo chiaro ed evidente come il fulcro della vicenda risieda infatti nella trasposizione allegorica che vede l’eroe protagonista (Perseo/Cristo) assumere su di sé tutte le colpe dell’umanità dolente (Andromeda/Anima) per liberarla dal peccato originale ereditato dai propri avi (Cassiopea/Eva).
È questo il nucleo fondante sopra cui Fux ha costruito il proprio adattamento musicale della Passione, unico oratorio da lui scritto in lingua tedesca (nel 1731) durante la sua lunga militanza (quasi quarant’anni) in veste di compositore di corte e Kapellmeister presso la Casa Imperiale Asburgica e oggi al centro della registrazione realizzata dal gruppo di voci bianche dei St. Florianer Sängerknaben e dall’ensemble strumentale Ars Antiqua Austria diretti al violino da Gunar Letzbor (cd pubblicato da Pan Classics e distribuito da New Communication).
L’Oratorium è introdotto da una Sinfonia che si apre con un Adagio, preambolo meditativo all’atmosfera raccolta e alla dimensione quasi cameristica (l’organico prevede un’orchestra d’archi con accompagnamento d’organo) di una partitura sostanzialmente scorrevole, illuminata qua e là dagli squarci aperti dall’ispirata aria del lamento di Andromeda («Freyheit ist mir unbenohmen»), dal brano in cui Perseo consola l’Anima afflitta («Nicht verzoge meine Freindin») e dal duetto del sacrificio d’amore («Dir Zuliebe kham ich eben»), epicentro dell’intera opera che affida poi la “morale” della vicenda al solenne coro conclusivo («Alles Trauren Alles Seufftzen»), dove ai protagonisti si aggiungono anche le figure di Furor e Nemesis (Giustizia): «Rallegratevi, o figli di Eva, perché Cristo ha portato la felicità attraverso la sua sofferenza e ha cancellato ogni pianto e ogni lutto».

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Dischi Sacra: così i maestri dell’Italia barocca illuminavano l’Ufficio delle Tenebre

Basta davvero poco all’ensemble In Musica Veritas per definire con precisione e autorevolezza la propria identità artistica; il suono antico di un organo, di un cornetto, di un trombone e la voce profonda del mezzosoprano Alice Habellion sono infatti sufficienti per impaginare un programma estremamente affascinante che offre un duplice spunto d’interesse: il disco intitolato Leçons de Ténèbres porta in primo piano da un lato uno dei riti liturgici più intensi e suggestivi del tempo quaresimale come l’Ufficio delle Tenebre e dall’altro il valore di un repertorio sacro stilisticamente vario e composito come quello riconducibile ad alcuni compositori attivi nella nostra penisola intorno al XVII secolo, sconosciuti ai più ma che testimoniano del livello generale di eccellenza assoluta raggiunto dall’establishment musicale italiano lungo tutto il corso del Seicento (cd pubblicato da Ad Vitam e distribuito da Ducale).
Si tratta di un progetto che intende appunto accompagnare simbolicamente il passaggio dalle “tenebre” provocate dalla morte di Cristo sulla Croce alla luce della Resurrezione attraverso una successione di brani strumentali che fungono da introduzione agli spazi di riflessione e di raccoglimento aperti dai Salmi e dai mottetti intonati in occasione dei “Notturni” durante il Triduo pasquale.
Il baricentro artistico ed espressivo del disco è rappresentato dai Responsori per la Settimana Santa di Lodovico Grossi da Viadana (ca. 1560-1627), affreschi di grande potenza evocativa che trovano una cassa di risonanza ideale nel lungo percorso di meditazione articolato attraverso il Christus factus est di Giovanni Matteo Asola (1524-1609), i trepidanti chiaroscuri dell’O vos omnes di Giovanni Paolo Cima (ca. 1570-1622), il commoventePianto della Madonna di Giovanni Felice Sances (ca. 1600-1679) – elaborato sul testo della sequenza delloStabat Mater attribuito a Jacopone da Todi – e chiuso dall’adattamento a voce sola del brano Maria Magdalena, dato alle stampe nel 1608 da Gerolamo Ballione; e nella duplice prospettiva – fisica e metafisica – di questo cammino musicale sulle orme dei grandi maestri del passato si celebra la memoria viva della Passione di Gesù e della sua vittoria definitiva sulle forze del male.

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Dischi Sacra: da Desprez a Pierre de La Rue musica al capezzale di Ockeghem

Nei diversi manuali di storia della musica la figura di Johannes Ockeghem (ca. 1420-1497) si può trovare indistintamente approfondita nei capitoli dedicati all’età medievale che in quelli destinati ai grandi autori dell’epoca rinascimentale. A lungo maistre de la chappelle de chant presso la corte reale francese e celebrato in vita dai più autorevoli esponenti del panorama culturale del tempo – Erasmo da Rotterdam su tutti – l’artista fiammingo ha in effetti ricoperto un ruolo chiave nella progressiva affermazione del nuovo stile inaugurato dalla scuola contrappuntistica fiorita tra XV e XVI secolo, all’interno della quale Ockeghem è sempre stato considerato un punto di riferimento imprescindibile per intere generazioni di compositori.
In seguito alla sua morte, la crème del panorama musicale, chiamata idealmente a raccolta dalla celebreDéploration scritta da Guillaume Crétin, fece quasi a gara nel dedicare i brani più ispirati in memoria dell’augusto collega scomparso; seguendo la medesima traccia, Antoine Guerber e l’ensemble Diabolus in musica hanno impaginato il programma del disco Plorer, gemir, crier..., che deve il suo titolo all’omonimo motet-chanson di Pierre de La Rue (1452-1518) che apre questa affascinante raccolta (cd pubblicato da Aeon e distribuito da Sound and Music).
Tra le note della Missa “Sicut rosa spinam” di Jacob Obrecht (ca. 1457-1505) e pagine come In hydraulis di Antoine Busnois (1430-1492) o Ergone conticuit di Johannes Lupus (fl. 1518-1530), ci si ritrova immersi in un clima di raccoglimento e devozione destinato a toccare i suoi massimi vertici nel piccolo capolavoro che rappresenta l’autentico baricentro del cd, Nymphes des bois, un brano a cinque voci (una delle quali intona il testo del Requiem) scritto da Josquin Desprez (ca. 1450-1521) come omaggio al compianto maestro: «Ninfe dei boschi, dee delle fonti, valorosi cantori d’ogni nazione, cambiate le vostre voci alte e chiare in grida laceranti e lamentele, poi che le molestie d’Atropo intrappolano con rigore il vostro Ockeghem, vero tesoro di musica e arte…». Un perfetto compendio di armonie celestiali, intrecciate tra loro con un occhio rivolto al passato e l’altro spalancato verso il radioso futuro della “nuova” polifonia.

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