Dischi Sacra Viaggio a Liegi sulle note sacre e il barocco di de Sayve

SAYVE Ad Vesperas Alexander Schneider, Fabien Moulaert Musique en Wallonie / Self (Euro 18,99)

Ha tanto da raccontare un disco come quello che Alexander Schneider e Fabien Moulaert hanno dedicato al repertorio sacro del maestro belga Lambert de Sayve (1548-1614) e alle opere di alcuni compositori a lui contemporanei: innanzitutto di come la città di Liegi, potente principato vescovile, rappresentasse una fucina inesauribile di musiche destinate ad accompagnare le funzioni liturgiche della sua imponente cattedrale, delle sue sette collegiate, delle chiese parrocchiali e del gran numero di monasteri e abbazie che ne animavano quotidianamente la vita religiosa. Il principale ambito di riferimento è quello della gloriosa tradizione fiamminga che ha marchiato a fuoco e dominato per secoli l’arte polifonica, prima medievale e poi rinascimentale, ma qui già evidentemente aperto ai dettami del “moderno” linguaggio proto-barocco che informano lo stile concertato e le sue future declinazioni. Alla guida rispettivamente dell’ensemble vocale Polyharmonique e di quello strumentale Concerto Imperiale, nel cd intitolato Ad Vesperas Schneider e Moulaert hanno appunto ricostruito un ipotetico Vespro, impreziosito da alcuni brani mariani come l’Ave Maria di Gilles Hayne, la Salve Regina di Léonard de Hodemont o il mottetto O dulcissima mater di Lambert Coolen. Il baricentro della registrazione spetta ovviamente ai Salmi adattati da Sayve, direttore musicale della Cappella imperiale di Vienna, il cui linguaggio è radicato nella grammatica del più solido magistero contrappuntistico, scolpito nei contrasti della vocalità e della parola retoricamente recitata, che si fa arte raffinata nelle pagine più intense e ispirate come il Nisi Dominus e l’elaborato Magnificat à 8 per doppio coro. Il risultato finale è estremamente interessante, ma qualcosa sembra rimanere sospeso, quasi incompiuto; come se mancasse quella scintilla di estro e fantasia che ha per esempio decretato il trionfo della grande scuola veneziana, che i Gabrieli e il sommo Monteverdi hanno sublimato ai massimi livelli di eccellenza. SAYVE Ad Vesperas Alexander Schneider, Fabien Moulaert Musique en Wallonie / Self (Euro 20,00)

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Dischisacra Buxtehude, il genio del 600 che glorificò la Croce in note

C’è un realismo quasi “grafico” nelle cantate della splendida raccolta Membra Jesu nostri, riflessioni in musica con cui Dietrich Buxtehude (1637-1707) ha raffigurato la sofferenza di Cristo morto in Croce. Le diverse parti del corpo martoriato del Redentore sono infatti ricostruite con precisione attraverso l’anatomia dei sentimenti e il fervore che guida gli occhi dei fedeli, a partire dai piedi inchiodati, risalendo per le ginocchia, le mani, il fianco, il petto e il cuore, per poi arrivare fino al volto. E l’effetto muove davvero alla commozione, per l’intensità espressiva e l’intima bellezza di queste meditazioni sonore che attraversano diverse sfumature di stati d’animo, dal dolore alla consolazione, dalla malinconia alla serenità.

Considerato il grande maestro del barocco tedesco, Buxtehude godeva di grande fama già durante la sua vita, al punto da spingere il giovane Johann Sebastian Bach a intraprendere un pellegrinaggio di quasi 400 chilometri (a piedi, narrano le cronache) per vedere all’opera l’organista e compositore, che in quel di Lubecca dispensava i suoi saggi di somma creatività in seguitissimi intrattenimenti artistico-spirituali. « Le santissime membra di Nostro Signore Gesù nella sua Passione, cantate con la più umile e sentita devozione», recita per intero il titolo di questo capolavoro assoluto, che risale al 1680 e viene considerato il «primo oratorio luterano». La lettura offerta dal Luthers Bach Ensemble diretto da Tymen Jan Bronda ci restituisce intatto il senso di stupore, riflessione e raccoglimento che caratterizza questo ciclo di sette cantate, ciascuna delle quali è suddivisa al suo interno in sei episodi distinti, con una “Sonata” strumentale introduttiva e un “Concerto” (destinato al coro) che apre e poi chiude la sezione dedicata alle “Arie” vere e proprie, via via affidate agli interventi dei cantanti solisti. Un imponente affresco poeticomusicale che viene idealmente suggellato dal toccante omaggio alla «croce portatrice di salvezza».

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BUXTEHUDE

Membra Jesu nostri

Luthers Bach Ensemble, Tymen Jan Bronda

Brilliant / Ducale. Euro 9.00

Dietrich Buxtehude (1637-1707)

Dischi Sacra / Tornano i raffinati «Mottetti» firmati da Colonna

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Con l’incisione integrale dei Mottetti a voce sola di Giovanni Paolo Colonna (1637-1695), Carlo Centemeri e l’Astrarium Consort ci riportano al cuore della straordinaria produzione musicale che, in pieno XVII secolo, animava la vita artistica e liturgica alla Basilica di San Petronio a Bologna. Maestro di cappella della principale chiesa felsinea, Colonna è stato infatti il depositario di una lunga tradizione di eccellenza artistica; successore di Maurizio Cazzati e predecessore di Giacomo Antonio Perti, ha studiato con Giacomo Carissimi e ha condiviso la ribalta “petroniana” con una nutrita schiera di illustri “suonatori” del calibro di Torelli, Bononcini, Vitali e Gabrielli. Attivo su diversi fronti compositivi, Colonna si è distinto soprattutto nella creazione di musica sacra destinata a grandiosi complessi vocali e strumentali, che includevano doppio o triplo coro, archi, fiati, percussioni e accompagnamento di due organi. Il repertorio a cui è dedicata la presente registrazione si concentra invece verso una dimensione più raccolta e intimistica della sua produzione, riservata a organici relativamente ridotti. I dodici Mottetti qui riuniti erano probabilmente musiche scritte per l’offertorio o per la comunione delle messe solenni, la cui struttura alterna recitativi e arie solistiche – normalmente con ritornelli strumentali – per poi concludersi generalmente con un Alleluia in stile concertato.
Si tratta di pagine probabilmente concepite per le doti canore dei solisti della Cappella, caratterizzate da linee vocali virtuosistiche e da un’impronta teatrale che andava prefigurando la Cantata da camera del tardo periodo barocco. Il lavoro di studio filologico e di ricerca interpretativa svolto da Centemeri e compagni ha il pregio di rendere generalmente merito della scrittura raffinata e fantasiosa di una musica che, come asserivano i teorici del tempo, «con vaga armonia diletta gli animi degli ascoltanti e con nobile artificio e tessitura si fa ammirare da i più dotti maestri».

Giovanni Paolo Colonna
Triumphate Fideles
Astrarium Consort
Brilliant. 2 cd. Euro 11,00

tratto da Avvenire

Dischi Sacra / Messiaen intreccia fede e amore per approdare all’arte assoluta

È sempre dolce naufragare nel mare della musica di Olivier Messiaen (1908-1992); tra le onde e i flutti di armonie che sembrano non conoscere orizzonti spazio-temporali, sempre così vicine alla linea dell’Infinito. Ma sono proprio le parole del compositore francese ad aiutare l’ascoltatore a orientarsi tra le mille correnti di un lungo e affascinante percorso creativo, sospinto da una continua tensione verso il Mistero: «Di fatto, la sola realtà è di un altro ordine: essa si colloca nell’ambito della Fede. È attraverso l’incontro con un Altro che noi possiamo comprenderla».
Non è dunque un caso che Marcus Creed abbia riunito alcune tra le più significative opere corali di Messiaen sotto l’emblematico titolo di “L’amore e la fede”. Alla guida della Danish National Chamber Orchestra, del Danish National Vocal Ensemble e del Danish National Concert Choir, il direttore inglese si è cimentato in un’ardua sfida artistica e interpretativa, affrontando un trittico di partiture che culmina nei Cinq rechants per piccolo coro (1948) – una delle più importanti e difficili partiture di Messiaen – passando attraverso l’austera bellezza del mottetto eucaristico O sacrum convivium! (1937).
Il disco viene inaugurato dalle Trois petites liturgies de la présence divine per coro femminile, pianoforte, percussioni, ondes Martenot e orchestra (1943-1944): un’opera densa, complessa e di forte suggestione, articolata in tre movimenti – l’Antifona della “Conversazione interiore”, la Sequenza del “Verbo, cantico divino” e la Salmodia dell’“Ubiquità per amore” – che rivelano un evidente richiamo all’antico repertorio gregoriano e che idealmente riportano appunto sul pentagramma la presenza di Dio in noi, dentro di sé e in tutto il creato attraverso una sequenza di “visioni sonore” evocate da una luce radiosa e abbagliante.
Nocchiere sicuro ed esperto, Creed tiene salda la barra del timone e la grandiosa arca musicale di Messiaen approda ancora una volta sana e salva nel porto dell’arte assoluta.

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Marcus Creed
MESSIAEN
L’amour et la foi
Our Recordings. Euro 20,00

Dischi Sacra… Splendori barocchi della Missa di Muffat

Tra Gunar Letzbor e i grandi capolavori della musica barocca si è creata da tempo una profonda corrispondenza d’amorosi suoni; negli antichi repertori tra XVII e XVIII secolo il direttore e violinista austriaco ha infatti trovato il campo d’elezione in cui esprimere la propria visione interpretativa che attinge in egual misura a rigore, estro e virtuosismo. Alla testa dell’ensemble strumentale Ars Antiqua Austria e della formazione vocale St Florianer Sängerknaben si è ora cimentato in una delle partiture sacre più imponenti e visionarie del tardo Seicento, quella Missa “In labore requies” a 24 voci di Georg Muffat (1653-1704) che è arrivata fino a noi in un’unica copia manoscritta appartenuta anche al sommo Haydn.
Un’opera in cui il compositore tedesco – già allievo di Corelli e Pasquini, nonché stimato organista conteso presso le corti di tutta Europa – offre un grande saggio di equilibrio tra le ardite combinazioni timbriche e polifoniche che derivano dall’impiego delle monumentali forze in campo, suddivise tra cantanti solisti, doppio coro vocale, triplo coro strumentale e sezione di basso continuo; un tripudio di luci, suoni e colori di forte impatto, con colpi ad effetto e artifici surround ante-litteram che avvolgono letteralmente l’ascoltatore e lo proiettano verso dimensioni spaziali che appaiono idealmente infinite.

Ars Antiqua Austria – G. Letzbor
MUFFAT
Missa “In labore requies”
Pan Classics (19 euro)

 

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Dischi Sacra Bach jr. risplende trecento anni dopo

Il meglio della musica sacra di Carl Philipp Emanuel Bach (1714-1788) scelto dallo stesso compositore. Il programma intorno al quale il direttore Hans-Christoph Rademann ha costruito il suo omaggio discografico all’arte del musicista tedesco ricalca infatti fedelmente quello che lui medesimo aveva predisposto per un concerto benefico che che si tenne ad Amburgo il 9 aprile 1786.
In quell’occasione, il secondogenito e più famoso tra i figli del Maestro di Eisenach volle che, insieme alla Sinfonia in re maggiore , venissero eseguite anche due delle partiture a cui egli era particolarmente legato: da un lato il monumentale Magnificat, scritto nel 1749 nella speranza di mettersi in buona luce per succedere all’augusto genitore nella carica di Thomaskantor a Lipsia; dall’altro lo splendido mottetto per doppio coro Heilig ist Gott (Sanctus, 1776), che l’autore stimava a tal punto da considerarlo l’opera che gli avrebbe garantito sicura fama anche dopo la sua morte. E a trecento anni esatti dalla sua scomparsa, spetta agli strumenti dell’Akademie für Alte Musik Berlin e alle voci del Rias Kammerchor riportare in vita pagine sfolgoranti per ispirazione, espressività e sfarzo sonoro; e il Magnificat, inno mariano per definizione, risplende di luci e colori che proiettano l’austero stile barocco verso inediti orizzonti “galanti”.

>>> Carl Philipp Emanuel Bach – Magnificat WQ215 – Heilig Ist Gott WQ21

Magnificat WQ215 - Heilig Ist Gott WQ21

Titolo

Magnificat WQ215 – Heilig Ist Gott WQ21

Compositore

Carl Philipp Emanuel Bach

Etichetta

Harmonia Mundi France

Supporto

CD Audio

Prezzo

€ 19,80

H.-Ch. Rademann
Carl Philipp Emanuel Bach
Magnificat
Harmonia Mundi. Euro 19,00

Le «Sette Parole» ritrovate di Pergolesi

>>> scheda online

Al di là del giallo musicologico che riguarda l’attribuzione a Giovanni Battista Pergolesi dell’oratorio Septem verba a Christo in cruce moriente proloata, c’è comunque una verità inconfutabile; le questioni legate alla paternità della composizione vanno disgiunte da quelle relative alla qualità (elevata) della sua musica.
Scritte con ogni probabilità tra il 1730 e il 1736 (anno di morte del maestro di Iesi), le Sette ultime Parole di Cristo sono tornate alla luce dopo il ritrovamento di alcuni manoscritti settecenteschi archiviati come opera del «Sig. Pergolese»; a bruciare tutti sul tempo e a firmare la prima esecuzione in tempi moderni della partitura è arrivato René Jacobs, che a capo dell’Akademie für Alte Musik di Berlino e di un valente quartetto di cantanti solisti ne ha realizzato anche la prima registrazione assoluta.
Non ci aspetti comunque di ritrovare l’impronta stilistica o la sublime intensità espressiva che marchia a fuoco lo Stabat Mater, il capolavoro con cui Pergolesi si era già presentato al cospetto della Croce del Redentore. Grazie anche all’aura austera conferita dall’intonazione gregoriana delle Parole evangeliche, il clima artistico e spirituale di questo ciclo di sette cantate è infatti maggiormente severo e meditativo, regolato da una grammatica del dolore meno incline alle leggi della retorica drammatica e più vicina a una dimensione morale e apologetica.

Akademie für Alte Musik / R. Jacobs
PERGOLESI
Septem Verba a Christo
Harmonia Mundi / Ducale

Dischi Sacra: le sublimi Missae del madrigalista Rore

Le sublimi Missae del madrigalista Rore

>>>  scheda online su ibs

C’è poco da fare: che Cipriano de Rore (ca. 1515-1565) sia uno dei più ispirati e raffinati madrigalisti del Rinascimento è una verità inconfutabile che emerge chiaramente anche quando il maestro fiammingo si diletta nella composizione di complesse e articolate musiche liturgiche concepite nell’osservanza delle rigide leggi del contrappunto. Per lui, che nel XVI secolo è stato maestro di cappella presso le corti delle nobili famiglie più influenti e presso le istituzioni musicali più prestigiose della nostra penisola – dagli Este a Ferrara e i Farnese a Parma alla Basilica di San Marco a Venezia – la musica sacra era un piacevole impegno che rientrava nell’ambito dei suoi doveri professionali; per Stephen Rice e il gruppo corale The Brabant Ensemble le sue creazioni rappresentano invece un distillato di scienza, bellezza e spiritualità allo stato puro. Lo testimonia la loro incisione della Missa “Doulce mémoire” e della Missa “A note negre”, microcosmi armonici e melodici praticamente perfetti, in cui si celebra il trionfo di quella scuola polifonica di cui Rore fu maestro sublime. Di un’arte che si riflette nella trasparenza delle linee vocali come tra le innumerevoli sfumature espressive e musicali che gli interpreti inglesi sanno valorizzare con la naturalezza di chi quel linguaggio possiede e sperimenta da anni; con dolcezza, con stile, evitando i contrasti. Anche questa è classe.

The Brabant Ensemble /S. Rice
CIPRIANO DE RORE / Missae
Hyperion / Sound and Music

Dischi sacra. Nell’ultimo Abbado salisburghese l’infinito di Mozart e Schubert

L’alone sonoro dell’ultimo accordo della Messa in mi bemolle di Franz Schubert si dissolve lentamente e passano quindici lunghi, interminabili secondi di silenzio prima che il pubblico della Haus für Mozart di Salisburgo ritorni alla realtà e faccia partire un interminabile applauso liberatorio; sul volto stanco e profondamente segnato di Claudio Abbado restano invece a lungo impresse tutta l’emozione e la carica di tensione con cui ha vissuto un’esperienza musicale totalizzante.
Dopo un’assenza di dieci anni, nel 2012 il direttore milanese è ritornato sul podio del “festival dei festival”, l’appuntamento estivo più esclusivo dell’establishment musicale internazionale; a Salisburgo, Abbado è stato uno dei protagonisti più attesi della serie di dodici appuntamenti intitolati “Ouverture spirituelle” con cui il direttore artistico Alexander Pereira (il futuro sovrintendente del Teatro alla Scala di Milano) ha voluto inaugurare l’edizione dello scorso anno.
Il programma del concerto del 28 luglio – immortalato su un Dvd pubblicato da Accentus e distribuito da Ducale – prevedeva due vette estreme del repertorio sacro di tutti i tempi, la “giovanile” Missa solemnis K139(Waisenhausmesse) di Mozart e la “matura” Messa D950 di Schubert, che Abbado ha esaltato con una lettura esemplare e dai toni quasi intimistici, grazie all’apporto determinante dell’Arnold Schoenberg Choir, dell’Orchestra Mozart e di uno strepitoso cast di cantanti solisti: per la Messa di Mozart il soprano Roberta Invernizzi, per quella di Schubert il soprano Rachel Harnisch e il tenore Paolo Fanale, per entrambe le partiture il contralto Sara Mingardo, il tenore Javier Camarena e il basso Alex Esposito.
La perfezione esecutiva e la profondità di pensiero di questa interpretazione sono fedelmente documentate dal supporto video che, se possibile, accresce ancor più la forza d’impatto della parte musicale, testimoniando della massima concentrazione con cui Abbado affronta queste straordinarie partiture: con un gesto direttoriale asciutto ed essenziale, quasi in apnea, fluttuando in un tempo sospeso tra l’hic et nunc della sala da concerto e la dimensione di infinito che i capolavori di Mozart e Schubert sanno risvegliare a ogni nuovo ascolto.

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Dischi Sacra: il martirio come canto d’amore. La «Passio Caeciliae» di Frisina

La Passio Caeciliae scritta da Marco Frisina si chiude con una sorta di ipnotica ninnananna, una berceuse chiamata ad accompagnare il sonno eterno di santa Cecilia; nel brano Lux in tenebris (The Death of Cecilia), il canto angelico intonato dal soprano si dipana infatti con dolcezza ed espressività, sostenuto dal cullante tappeto armonico sopra cui la martire sembra addormentarsi e abbandonarsi definitivamente all’abbraccio ideale di Gesù, proprio come l’ha raffigurata Stefano Maderno nella celebre scultura custodita nella basilica di Santa Cecilia in Trastevere a Roma (che ritrae la santa così come apparve nel 1599 quando fu compiuta la ricognizione del suo corpo).
L’episodio conclusivo è sicuramente uno dei momenti più alti e toccanti dell’oratorio con cui monsignor Frisina (classe 1954) ha inteso descrivere le vicende della nobile fanciulla vissuta nel II secolo, che ha consacrato la propria verginità e la propria vita in nome della fede in Cristo, arrivando a convertire ai propri ideali anche il suo futuro sposo (Valeriano), che l’ha addirittura preceduta nel martirio.
Nel cast dell’incisione discografica firmata dal Coro Musicanova e dalla Nova Amadeus Chamber Orchestra diretti da Flavio Emilio Scogna fanno anche parte il soprano solista Barbara Vignudelli e la voce narrante dell’attore David Sebasti (cd pubblicato da Brilliant e distribuito da Ducale); sono loro a guidare l’ascoltatore tra i nove quadri in cui si articola la Passio Caeciliae, tra le visite quotidiane dell’Angelo misterioso inviato dal Signore, il drammatico episodio fugato che sottolinea i momenti della persecuzione e morte di Valeriano (Persecution) o ancora la truce fine della protagonista, prima arsa e poi passata a fil di spada (The Martyrdom of Cecilia).
Ma nonostante l’evidente carica di pathos della partitura, a imporsi su tutto è una serenità di fondo che traduce in una musica lontana da asprezze e dissonanze il miracolo supremo offerto dalla testimonianza della santa, come viene descritto dallo stesso Frisina nelle note di copertina del disco: «Cecilia è una creatura fatta di luce e di amore, un capolavoro stupendo di innocenza e giovinezza che profuma di cielo. Il suo martirio è terribile, eppure è il suo più bel canto d’amore a Cristo».

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Dischi Sacra: una raccolta di canti liturgici di straordinaria bellezza

«Luce del suo popolo e del suo tempo»: con queste parole Giovanni Paolo II rivelava al mondo la forza e il carisma di Hildegard von Bingen (1098-1179), la mistica e santa tedesca che un anno fa Benedetto XVI ha nominato Dottore della Chiesa universale, riconoscendo in lei «una straordinaria armonia tra la dottrina e la vita quotidiana».
Teologa, scrittrice, poetessa, compositrice e scienziata, la sua è una figura tutta da scoprire, che gli appassionati di musica antica hanno imparato a conoscere soprattutto grazie ai dischi realizzati dall’ensemble Sequentia che, a partire dal 1982, ha intrapreso il progetto di registrazione integrale delle opere della santa. Un lungo e fortunato cammino che giunge oggi al termine – orfano però della compianta Barbara Thornton, indimenticabile voce e anima artistica del gruppo – con l’album intitolato Celestial Hierarchy (pubblicato da Deutsche Harmonia Mundi e distribuito da Sony): una raccolta di canti liturgici di straordinaria bellezza, dedicati ai profeti, ai martiri, ai padri confessori, agli apostoli e alla Vergine Maria, forgiati su un nuovo linguaggio di intensa espressività che i Sequentia sono in grado ancora una volta di riproporre con rigore, immedesimazione e altissimi esiti artistici.
Da un punto di partenza diametralmente opposto si muove invece l’approccio interpretativo con cui Dietburg Spohr e l’Ensemble Belcanto si sono avvicinati all’Ordo Virtutum, la sacra rappresentazione allegorica che la Badessa di Bingen ha incentrato sull’animo umano, sulle insidie mosse dalle tentazioni del peccato e sul sostegno offerto dal vigore delle virtù (cd pubblicato da Ecm e distribuito da Ducale). Ne è nata un’attualizzazione quasi estrema, lontana da qualsiasi intento di fedele ricostruzione storica o filologica, dove la musica originale appare quasi un pretesto: il punto di partenza per una drammaturgia in cui la lontana eco delle melodie gregoriane viene sopraffatta dalle più moderne istanze compositive contemporanee, con l’intento di avvicinare il mondo medievale di Hildegard, per stessa ammissione degli artisti «così lontano ed estraneo dal nostro». Per correttezza, però, in questo caso sarebbe stato più opportuno togliere il nome della santa dalla copertina del disco.

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Dischi Sacra. Un tripudio chiassoso e nobilissimo: così Napoli glorificava san Gennaro

È un tripudio di suoni, luci e colori il progetto discografico che Antonio Florio e il gruppo dei Turchini hanno dedicato al repertorio sacro fiorito a Napoli nei primi decenni del Settecento e a una delle principali feste, religiose e popolari, che da sempre animano la vita della città; Il Tesoro di San Gennaro è infatti il titolo di un album che arriva al cuore di un’antica e illustre tradizione, ma che testimonia anche del livello d’eccellenza artistica raggiunto in epoca barocca dall’establishment musicale partenopeo (cd pubblicato da Glossa e distribuito da New Communication).
Cantori e strumentisti hanno infatti sempre lottato per entrare a far parte dell’organico degli esecutori impegnati nelle molteplici celebrazioni dedicate al Santo protettore (in primis quella del 19 settembre, quando se ne ricorda il martirio), mentre i maggiori compositori dell’epoca, autoctoni e forestieri, hanno dedicato alcune delle loro migliori creazioni per l’apparato musicale destinato ad accompagnare i principali riti liturgici della Cappella del Tesoro.
Spetta alla Canzona a 4 con istromenti “Per San Gennaro” di Cristofaro Caresana (1640-1709) alzare il sipario sul teatro dei sacri affetti in scena a Napoli tra XVII e XVIII secolo; insieme ad alcune Sinfonie strumentali, di Domenico Scarlatti (1685-1757) viene invece proposto il caleidoscopico mottetto Antra valles Divo plaudant, mentre al Confitebor à 3 e allo splendido Stabat Mater à 4 di Nicola Fago (1677-1745) – già Maestro di Cappella del Tesoro – fanno seguito gli inni Iam sol recedit e Iste confessor di Gaetano Veneziano (1665-1716), autore anche dell’Ave Maris Stella che chiude l’incantevole programma del disco.
Una vivace colonna sonora chiamata a portare alla luce le «diverse anime di una cultura complessa che non cessa di affascinare: insieme rozza e raffinata, plebea e aristocratica, chiassosa e delicata», come scrive nel saggio che accompagna le note di copertina del disco Dinko Fabris, presidente della Società Internazionale di Musicologia e penna tra le più illuminate nel delineare i caratteri vincenti di quella musica barocca partenopea che, da oltre venticinque anni, trova proprio in Antonio Florio e nei “suoi” Turchini la voce più viva, autentica e autorevole.
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Dischi Sacra: da Francesco Cera una rilettura filologica dei corali di Bach

Nella sua incisione dell’Orgelbüchlein di Johann Sebastian Bach (1685-1750) Francesco Cera ha optato per una scelta di campo che apre una nuova prospettiva su questa celebre raccolta; l’interprete bolognese – già allievo di Luigi Ferdinando Tagliavini e Gustav Leonhardt – ha infatti deciso di affiancare in modo sistematico e rigoroso i brani organistici ai corrispondenti corali luterani originali a cui sono strettamente legati dal punto di vista tematico, affidati per l’occasione alle forze vocali del Coro della Radiotelevisione Svizzera diretto da Diego Fasolis (2 cd pubblicati da Brilliant e distribuiti da Ducale).
Il cofanetto, intitolato Orgelbüchlein and Chorales, offre dunque una prospettiva privilegiata per un’immersione completa nell’universo creativo del maestro tedesco attraverso una summa assoluta che presenta nel contempo un’alta valenza didattica, estetica e spirituale. Come evidenziato nello stesso frontespizio dell’opera, il «Piccolo libro d’organo» intendeva offrire «a un organista principiante il metodo per sviluppare in tutte le maniere un corale» e doveva prevedere originariamente 164 pezzi, di cui ne sono stati completati solo una cinquantina (BWV 599-644) composti perlopiù tra il 1713 e il 1714, destinati ad accompagnare le feste principali dell’anno liturgico, tra Avvento e Natale, Quaresima e Pasqua, Ascensione e Pentecoste.
A muovere lo stesso Cera c’è la volontà di capire (e di lasciar intendere a chi ascolta) la straordinaria ricchezza di queste pagine, al punto da spingerlo a scrivere anche le preziose note di copertina del disco, nelle quali ogni singolo brano viene brevemente analizzato dal punto di vista musicale e le sue peculiarità tecniche, stilistiche e strutturali accostate al significato simbolico e testuale del corale di riferimento; un procedimento che mette in luce come l’importanza artistica di queste pagine sia strettamente correlata con il loro autentico significato trascendentale, riportato alla luce grazie all’intelligenza e alla profondità di una lettura che costituisce il vero valore aggiunto di un progetto come questo e che rende merito alla dedica originale dell’Orgelbüchlein scritta di proprio pugno da Bach: «All’Altissimo Iddio per onorarlo e al prossimo per istruirlo».

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