Pentimento e perdono IL CONFLITTO NELLA CHIESA

Accuse, denunce, autodifese e ritorsioni nei più alti ambienti della Curia romana, da lasciare i fedeli veramente sconcertati. Cosa sta succedendo? E’ triste, ma è vero che non c’è nulla di nuovo sotto il sole: fatti di questo genere, e anche molto peggiori di questi, sono sempre successi, come nel mondo, così nella Chiesa. Fatti di gran lunga peggiori, quando per secoli era costume dominante l’accaparramento da parte di famiglie potenti delle alte cariche ecclesiastiche per collocarvi i propri figli cadetti.

Non dico questo per giustificare atteggiamenti di passiva rassegnazione, ma solo perché nell’esperienza della fede bisogna prendere atto che la Chiesa condivide la condizione umana afflitta dal peccato e che la sua speranza è solo nella grazia e nel perdono di Dio.

Nell’esperienza del convivere umano il conflitto è inevitabile. Anche Gesù vi è stato immerso fino al collo e ha pagato con la vita le sue prese di posizione sulla fede, le impostazioni della vita religiosa del suo popolo, sulle questioni più drammaticamente problematiche della situazione sociale e politica del suo tempo. Quel che è certo che non ha provocato conflitti per interesse suo, o a difesa di se stesso. Non c’è da illudersi che dal conflitto non derivino inimicizie, accuse reciproche, rancori, ritorsioni e vendette, liti senza fine. Né sarebbe giusto deplorare che i protagonisti di queste situazioni combattano per difendersi dalle accuse, nella presunzione della propria innocenza, e che esigano essa venga pubblicamente e autorevolmente riconosciuta.

Nella comunità cristiana, però, insorge l’indignazione, perché è intollerabile che l’amministrazione dei beni della Chiesa, che vengono dalla donazione dei fedeli, non di rado dalla povera gente, possa essere scorretta o deviata verso interessi particolari di persone o di gruppi. Se poi niente di tutto ciò fosse vero, ancor più intollerabile sarebbe che rivalità e inimicizie personali tra vescovi e cardinali possano giungere a tal punto da lanciare gli uni contro gli altri accuse così gravi e false.

Detto questo, però, nessun credente può mettere a tacere le provocazioni del Vangelo, che ci inseguono in tutte le vicende della vita. Nel tentativo di ascoltarle, prima di tutto risuona nell’anima la parola dell’Apostolo: “Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto” (Rm 12,15). Non posso, quindi, dimenticare che le stesse persone che suscitano il mio sdegno, sono fratelli che soffrono. Non è difficile immaginare l’angosciosa amarezza, il pianto, di chi è accusato ingiustamente. Ma anche la vergogna, la paura della condanna, il rimorso, di chi ha coscienza di avere agito male o di aver fatto gravi errori per incompetenza, per leggerezza o per amore di facili compromessi. Non c’è nello spirito del Vangelo, indignazione giusta, che non sia contemporaneamente compassione.

Detto questo mi sento di poter chiedere loro, che in gran parte sono padri e pastori nella Chiesa, di esternarci non solo le loro indignate e appassionate autodifese, ma anche di dare la testimonianza di quanto sia necessario, anche se molto difficile, affrontare simili situazioni con spirito evangelico. Sarebbe medicina sulle piaghe della Chiesa, che ci aiutassero, attraverso la loro esperienza, a confrontarci, nella meditazione e nella preghiera, quando si è immersi in un conflitto, con le parole di Gesù: “ Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe» (Mc 11,25). In un altro passo, consapevole di quanto tutto ciò sia difficile per noi, egli aggiunge: “Se si pentirà, perdonagli” (Lc 17,3). Su quel “Se si pentirà”, come tutti sappiamo per esperienza, è fatale che si inchiodi ogni desiderio di riconciliazione. Ma l’imperativo non ci abbandona e continuerà a tormentare senza posa l’anima cristiana, consapevole che “tutto questo viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione” (2 Cor 5,18). E’ l’auspicio che non resti spenta, lungo un cammino così travagliato e oscuro, la luce del Vangelo.

Don Severino Dianich

Adista